Sorpresa albanese
Ho stropicciato gli occhi, stirato le membra stanche e subito mi sono reso conto che dal finestrino che spuntava curioso alla mia sinistra s’intravvedevano delle montagne scure e rigogliose contornate da un mare pieno d’azzurro e così vicino, e solo in quel momento mi sono guardato attorno ed allora ho visto tutte quelle facce bruciate dal sole e dalla fatica, ho sentito la forte fragranza di quei profumi dozzinali ed economici, ho scorto quegli occhi pieni di gioia, la gioia di tornare a casa ed allora tutto mi si è fatto più chiaro: stavo arrivando in Albania, una terra vicina eppure misteriosa che semplicemente aveva rapito i miei sensi e catturato la mia curiosità.
Ancora una manovra dell’aereo e quelle montagne sono diventate sempre più grandi e verdi e il mare più scuro ed intenso ed ecco che in un’istante mi sono trovato dinnanzi ad una bionda poliziotta che imprimeva un timbro bluastro sul mio passaporto, il mio benvenuto qui nella terra delle aquile, qui in Albania.
Una volta sbrigate le formalità doganali ho trovato la mia via d’uscita verso quel sole che splendeva possentemente e dove sono stato preso d’assalto da bambini in cerca di monete, occhi che cercavano famigliari ed amici e tassisti che offrivano i loro servizi. Montato su di una vecchia mercedes bianca mi abbandono pigramente su di un sedile consunto e strappato e spendo il tempo che ci vuole per arrivare a Tirana scrutando con curiosità il paesaggio che mi sfila davanti: asini e cavalli a spasso sulla strada, un bambino che mi saluta seduto sulla ringhiera arrugginita di un ponte, vecchie ossute che sembrano aspettare qualcuno che le venga a prendere e portare via da quel polveroso ciglio di strada, montagne secche e spoglie, fabbriche fattiscenti che sembrano debbano crollare da un momento all’altro, bunker militari mai usati e simbolo di una paranoica paura di un’invasione Italiana e campi; campi coltivati pieni di frutti e campi abbandonati a se stessi e diventati cimiteri per immondizie di ogni tipo. Pian piano questa campagna desolata e silenziosa mi abbandona e viene rimpiazzata da blocchi grigi e cupi di appartamenti che mi annunciano l’arrivo in una Tirana piena di gente a spasso a godersi una passeggiata domenicale, un gelato o chissà cos’altro.
Vengo scaricato davanti al Qendra Stefan, l’hotel dove risiederò per un paio di giorni e dove Josif il padrone mi accoglie calorosamente e mi confermerà poi la spontaneità e l’ospitalità di questo popolo, ma la mia voglia di conoscere Tirana è forte e dopo una rapida doccia ed un veloce cambio scendo in strada e m’immergo in queste strade ampie e malmesse, popolate di un vociare allegro e rumoroso che mi fa subito sentire bene e a mio agio.
Il mio tragitto mi porta a Piazza Skandenberg, il cuore di questa città dove un mosaico in pieno stile socialismo reale mi ricorda che io questa piazza l’avevo già conosciuta tramite i miei libri di geografia, e dove palazzi che sono reminescenze della triste ed inutile invasione fascista del ’39 si mescolano ad edifici di perfetta matrice Stalinista, a statue di eroi del folklore popolare e ad una timida ma dignitosa moschea. I miei occhi scrutano ogni palazzo ed ogni suo dettaglio e possono solo immaginare la storie che hanno vissuto. Da Piazza Skandenberg proseguo per un viale dritto e lungo, Boulevard Deshmoret e Kombit, lasciandomi alle spalle l’Hotel Dajti costruito dagli Italiani durante l’occupazione e mai rinnovato, il parco cittadino popolato da una gioventù allegra e vivace, il museo di arte moderna, l’ex palazzo del Partito Comunista, l’insolito ex mausoleo a piramide di Enver Hoxha, il “padre” dell’Albania moderna e comunista, e vari edifici governativi fino ad arrivare al polveroso stadio Qemal Stafa.
Ammetto che in effetti Tirana non è una bella città, questo no, però ha un fascino tutto suo forse frutto di quella storia travagliata e per noi ancora misteriosa che ha vissuto mestamente per tutti questi anni. In effetti è strano pensare che neanche tanto tempo fa’ Tirana era la capitale di uno dei più inviolabili stati del Mondo, proibito ad occhi esterni ed isolato da tutto e tutti, chiuso in una dura politica basata sul Marxismo e sullo Stalinismo. Per quanto mi ci sforzi provo ad immaginarmi questa città, questi ponti, queste strade durante il periodo dove Enver Hoxha aveva potere su tutto e tutti, ma ahimè non ci riesco, forse per noi che non abbiamo vissuto una dittatura così cruda ed ottusa non possiamo nemmeno lontanamente immaginare come dovevano essere quei giorni lontani e bui.
Il mio peregrinare per le strade di questa città mi porta a percorrere in senso contrario Boulevard Deshmoret e Kombit fino ad arrivare alla direzione opposta, ovvero la piccola e vuota stazione dei treni, dove non posso fare a meno di notare che in effetti da quella stazione parte solamente un treno in direzione di Durazzo, e nemmeno tutti i giorni, l’unica linea ferroviaria di questo Paese.
Prima di cedere alla stanchezza e ritornare in Hotel mi concedo una lauta cena in un piccolo ristorante affacciato su questo affollato viale e, essendo l’unico avventore in tutto il ristorante, opto tranquillamente per un tavolino che mi permetta di sedermi vicino alla finestra per osservare il via vai di questa gente.
E così, davanti ad un piatto caldo di Byrekas mi perdo ad osservare la folla che mi sfila davanti in tutta la loro normalità: belle ragazze vestite di mille colori, zingari che a mano tesa aspettano una moneta o un’ qualcosa, mamme che portano a spasso i figli, anziani vestiti molto modestamente o che sembrano decisamente usciti da una rivista degli anni ’60 e ragazzi che sfrecciano in moto. Anche questa è la nuova faccia dell’Albania visto che durante il comunismo era proibito stare fuori fino a tardi e che tutti questi negozi e queste luci, insegne, bar, moto non esistevano se non nei sogni o nelle immagini rubate dalla televisione Italiana.
Dopo un sonno ristoratore e decisamente risanatorio vengo riportato alla realtà dal suono inferocito di clacson che proviene dalla strada, dal vociare alto delle persone che iniziano la loro giornata , e così il buongiorno avviene all’alba delle 0630 di mattina, forse decisamente presto per quello che avrei voluto.
Questa giornata volevo dedicarla alla scoperta di Kruja e Durazzo, due località non molto distanti da Tirana, e che sicuramente mi avrebbero dato un’altra immagine di questo Paese che desideravo profondamente conoscere.
L’idea in partenza era proprio quella di recarmi a Kruja e visitare Durazzo nel pomeriggio, ma trovare la stazione dei minibus per Kruja non era molto semplice e dopo aver provato in un paio di posti che mi erano stati indicati e dopo aver sentito nomi di località a me straniere pronunciati ad alta voce ho rinunciato e quindo ho optato per recarmi in treno a Durazzo, ammesso poi che che ne fosse stato uno.
In effetti non sono mai salito su quel treno visto che quando ero nelle vicinanze della stazione un’autobus molto vissuto procedeva lentamente alla ricerca di possibili passeggeri e quando ho notato una scritta rossa sul davanti che annunciava “DURRES” non me lo sono fatto dire due volte e mi ci sono fiondato dentro.
Il bus, era un vecchio mezzo Yugoslavo che sicuramente aveva visto tempi migliori e che ancora ai finestrini mostrava delle tendine unte e strappate che una volta dovevano aver ornato questo veicolo come fosse stato una bomboniera.
Il tragitto per Durazzo è durato 40 minuti ed è costato la cifra irrisoria di 100 Leke,circa 80 centesimi, e si è snodato sull’ unica autostrada Albanese che collega la capitale con la costa marittima. Anche questa volta i miei occhi si sono concentrati sul paesaggio che appariva e scompariva dinnanzi a noi, un Mondo popolato di fertili campagne, magre mandrie che pascolavano sull’asfalto, villaggi consumati dal tempo e gente che camminava ordinatamente sul ciglio della strada senza direzione caricandosi sulle spalle fagotti ingombranti o bambini piccoli. Chissà dove stavano andando, chissà perchè poi? Ogniuno silenzioso, col suo carico che si avvia verso l’orizzonte, con l’orgoglio che brucia negli occhi che scuri e profondi ci guardano sfrecciare veloci alzando polvere e sbuffando fumo nero.
Quando il sole si è fatto più alto nel cielo l’autobus ha raggiunto la vibrante ed indaffarata stazione di Durazzo, che si trova nascosta tra le grandi e colorate navi che approdano nel suo porto. Un vialone grande e trafficato mi ha presentato Durazzo in tutta la sua tragica realtà fatta di palazzi scrostati, fattiscenti, cadenti o decisamente ridotti in macerie, quasi fosse successa una guerra qui di cui non ci siamo resi conto. Le molte finestre rotte sembrano degli occhi orbi che tetri e malaugurali seguono ogni tuo passo su di un marciapiede crivellato di buche, eppure questo è uno dei viali principali!! Infatti dopo pochi passi scorgo l’antico anfiteatro Romano che giace in rovina circondato da informi palazzoni e le antiche mura Bizantine che molti secoli fa proteggevano la città dai nemici.
Alla fine però, quando ci si abbandona al degrado di Durazzo ci si accorge che poi non è così brutta o triste o angosciante come sembra, anzi, è una città che vive ancorata nel suo passato; una volta glorioso; e le moschee, le rovine romane o perfino le tante statue di eroi valorosi e patrioti comunisti ancora attorniati da stelle rosse e braccia alzate che indicano ad est ne sono testimoni.
Qui il tempo sembra davvero essersi fermato e malgrado l’Albania cerchi in tutti i modi di togliersi di dosso quella cappa grigia e cupa di giorni lontani, qui sembra essere il punto di forza. Una volta arrivato sulla spiaggia affollata di pescatori scorgo al di la del mare una terra rigogliosa e bella, casa… L’Italia che da qui è visibile e che sembra così lontana in questo momento anche se, forse, si potrebbe toccare con un dito.
Le lancette dell’orologio però giravano inesorabilmente e senza pietà di me intento a gustarmi ogni minuto ed ogni momento di questa città e quindi era giunto il tempo di mettersi in cammino nuovamente in direzione di Kruja. Ritornato alla stazione dei bus provo a cercare un mezzo che indichi la mia destinazione, ma le varie Kavaja, Gijrokastra, Fier, Vllora non mi dicono niente di buono. Decido quindi di chiedere ad un’autista di bus diretto al sud che si sta gustando una sigaretta se potesse indicarmi l’autobus giusto per Kruja e malgrado non avessimo una lingua in comune si fa in quattro per caricarmi sull’autobus giusto, stringendomi la mano e lasciandomi impresso nell’anima la cordialità di questo popolo. Certo, una volta ritornato in Italia forse nessuno mi crederà quando racconterò di quanto ospitali, corretti ed onesti siano gli Albanesi, ci saranno persone che si riempiranno la bocca di parole rubate dai giornali o dalla televisione che mi diranno “Gli Albanesi sono tutti delinquenti!”, niente di più sbagliato ed ingiusto. Una lunga strada dissestata dove l’asfalto era ridotto in piccole macerie e la polvere colorava l’aria ha lasciato Durazzo e si è arrampicata su in montagna, tra picchi che si stagliano maestosamene nel cielo e tra una natura selvaggia e silenziosa, rotta solo dal fracasso prodotto dalle ruote del nostro bus che si schiantano contro sassi, pietre, buche. Arrivati a Fushkruje in un povero mercato che espone i pochi prodotti rimasti lascio il bus per salire su di un minubus che si addentra potente tra quelle montagne alte e maestose e dopo una decina di minuti circa Kruja mi da il suo benvenuto con la statua gigante di Skandenberg, che era di queste parti, le rovine del castello e un panorama che toglie il fiato.
Per raggiungere il castello mi addentro tra le strette viuzze del bazar locale, dove colorati tappeti, legni intarsiati e metalli lavorati da mani abili ed esperte mi tentano e silenziosamente mi guidano verso di loro. Alla fine mi trovo nel negozio di un’antiquario a comprare reliquie del periodo Comunista e a parlare con il proprietario di come si viveva prima, di quando io non sarei mai potuto venire qui e lui non avrebbe mai potuto parlare con uno straniero. In un negozio non distante invece avviene un’episodio decisamente curioso: ero entrato in questo negozio di tappeti quando il proprietario mi chiede se sono Danese e io negando gli dico invece che sono Italiano. Ecco! Italiano! Subito passa alla mia lingua che tutti qui davvero parlano e capiscono senza problemi, e mi dice che abita a Napoli e lavora in nero anche se adesso, con le nuove regole d’immigrazione, sta trovando difficile lavorare in Italia, ma questo alla fine non è importante e quindi passo all’episodio che davvero mi fa ancora sorridere quando ci penso. Ora, lui mi chiede quanti anni abbia e io gli rispondo candidamente che ne ho trenta. Al suono della mia età mi chiede se sono sposato e quando io gli dico di no mi dice “come? 30 anni e non sei ancora sposato? Guarda che a quell’età bisogna aver già moglie, anzi se t’interessa l’operaia di mia moglie (la tessitrice di tappeti) ha 25 anni ed è libera…Se t’interessa la mando a chiamare ora e…” …E si è fatto talmente insistente che sono dovuto andarmente prima che mi accasasse con una tessitrice di tappeti in una località piccola ed isolata dell’Albania.
Kruja è davvero bella nel suo silenzioso silenzio di montagna, con le sue pietre grigie ed antiche, con il suo fascino immutato da secoli, ma il tempo stringe ed è arrivata l’ora di fare ritorno a Tirana. Un tipo un po’ cupo dalle cue labbra pendeva senza sosta una sigaretta mi guida a Fushkruje facendo la stessa strada dell’andata dove trovo la coincidenza per la capitale. Sono solo due giorni che sono qui in Albania eppure sta già entrando nella mia anima perchè è davvero un Paese unico, bellissimo quanto drammatico. Io lo immaginavo completamente diverso ed invece si sta rivelando una piacevole sorpresa giorno dopo giorno.
Una volta arrivato a Tirana decido di viziarmi con un’autentico piatto Albanese in un’autentico ristorante Albanese, non un posto dove si vedono i pochi e sparuti turisti o i nuovi arricchiti ovvero coloro che sono emigrati e sono tornati in patria per passare le vacanze o trovare amici, ma bensì un posto dove possa davvero “vivere” per una serata come un’autentico locale. In una strada non tanto distante da Piazza Skandenberg trovo il ristorante “popullori”, un vero e proprio pezzo di Europa dell’Est dove le tovaglie sono plastificate ed unte, il menù scarso e monotematico, il servizio scontato e senza sorrisi…Ma è proprio per questo che l’ho scelto, perchè è autentico. Una zuppa calda di carne d’agnello mi riscalda lo stomaco e stanco ma felice per la giornata trascorsa mi avvio all’hotel dove mi abbandono sul letto tra le braccia di Morfeo in un sonno profondo e atteso.
Il solito suonare di clacson e il forte vociare proveniente dalla strada sottostante mi svegliano regalandomi quest’ultima giornata qui in terra Albanese, che decido di trascorrere esplorando ancora una volta Tirana in tutta la sua diversità.
Per prima cosa mi dedico alla visita del museo nazionale di storia, dove approfondisco le conoscenze storiche su di questo Paese. Anche qui mi sono reso protagonista di una gaffe imbarazzante, visto che sono entrato talmente deciso di godermi il museo che mi sono dimenticato di pagare il biglietto, venendo poi rincorso e redarguito da una guida del museo decisamente non molto simpatica.
Dopo il museo sosto ancora per un po’ in Piazza Skandenberg cercando di memorizzare ogni dettaglio di questa maestosa piazza, come il suo palazzo del popolo (ora l’opera nazionale Albanese) dono di Stalin all’Albania, la Moschea di Ethem Bey, la statua di Skandenberg e tutte le persone che colorano questo angolo cittadino. Seguendo il vialone già esplorato i giorni precedenti, parto alla scoperta del cimitero monumentale che è una camminata di un’oretta, ma ahimè la ricerca di questo posto non ha avuto molto successo anche se poi mi ha regalato la possibilità di conoscere posti di Tirana che sicuramente non avrei mai visto.
Il monte Dajti lentamente è sceso sulla città scivolando nel lago artificiale che fa da cornice a Tirana e dalle sue colline ho potuto ammirare il villaggio di Petrela che fa da guardia alla capitale. Per strada il monumento ai fratelli Frasheri mi ha ricordato ancora una volta di quanto fresco sia il passato stalinista di questo Paese e di quanta strada ci sia ancora da fare prima di trovare un proprio equilibrio che lentamente si sta cercando.
Prima di fare ritorno in albergo per fare le valigie e correre in aeroporto mi siedo su di un muretto in una via affollata non distante dal centro e, gustandomi un byrek talmente caldo da bruciarmi la lingua, mi godo ancora questi ultimi momenti qui a Tirana che fra poche ore saranno soltanto dei piacevoli ricordi, come i sorrisi di tutte le persone con cui mi sono incrociato, i silenziosi paesaggi che spuntano tra il verde della campagna e tutti quelle sensazioni che hanno arricchito il mio cuore facendolo sussultare e sentirlo vivo.
Non potevo però partire senza aver prima fatto un salto nel colorato mercato rionale che si trova di fronte il mio hotel e dove vengo letteralmente assalito dal profumo della frutta stesa sotto il sole, dall’acido gusto del formaggio caprino, dalla pungente fragranza che emanano verdi olive condite e pronte ad essere assaggiate e dal suono cacofonico di mille voci che declamano le loro merci. Anche questa è l’Albania.
Dall’alto del mio finestrino non ho abbandonato questo Paese finchè non è sparito avvolto dalle nuvole e tutto è diventato piccolo e lontano, e pieno di soddisfazione ho socchiuso gli occhi abbandonandomi all’idea di fare presto ritorno in questa terra bagnata dal sole, in questo misterioso Paese dove il Kanun, un’antica legge che regola il comportamento, è ancora applicata quotidianamente, dove le donne anziane usano ancora coprirsi la testa ogni qualvolta s’incontra una moschea, dove i bambini salutano le macchine che sfrecciano veloci e dove i sogni si realizzano ancora.
Mirupafshim Sqhiperia…