Quattro città per un solo viaggio: alla scoperta dei piccoli gioielli dimenticati del Sud Italia
Da qualche lustro avevamo in programma di far visita alla famosa Reggia di Caserta, e con l’occasione, di fare una puntata nel Sud Italia, nei luoghi meno noti che hanno visto il fiorire di civiltà così dette “minori”, quali quelle Irpine e Sannite con infiltrazioni Longobarde. Anticipando i ponti del 25 aprile e primo maggio, organizziamo un fine settimana; le previsioni meteo non sono delle più rosee, ma il nostro intento è quello di evitare la grossa invasione di vacanzieri che si muoveranno per le imminenti festività.
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3 giorni in Campania. Diario di viaggio
20 aprile 2024, sabato – Montecassino e Avellino
Partiamo la mattina di sabato, giornata limpida, e dopo pochi chilometri fa capolino la nostra affezionata nuvoletta che ultimamente riesce sempre a rovinarci la vacanza. Entriamo in autostrada ad Orte dopo aver percorso la E45 (eterno cantiere) senza i rallentamenti dovuti al traffico pesante, e, superata Roma Sud, all’altezza di Frosinone iniziano a cadere le prime gocce di pioggia, che tra l’altro era stata ampiamente prevista. Optiamo per un repentino cambiamento di programma, prendendo l’uscita di Cassino: visiteremo l’Abbazia di Montecassino. Raggiungiamo il centro abitato, e sulla sinistra troviamo l’indicazione che ci indirizza sui tornanti che conducono alla sommità del colle; ora piove con insistenza, e paghiamo i due euro al parcheggio proprio sotto la salita che conduce all’ingresso.
Fra il gennaio ed il maggio del 1944 l’ abbazia fu teatro di serrati combattimenti fra le forze alleate che risalivano la penisola e quelle tedesche qui asserragliate sulla linea di difesa, e fu rasa al suolo dai pesanti bombardamenti anglo-americani, che nonostante le circa duemila tonnellate di bombe ad alto potenziale non riuscirono a sconvolgerne le poderose fondamenta, sulle quali è stata ricostruita la nuova struttura, fedelmente a quella originaria. L’abbazia nel corso dei secoli aveva raccolto una serie inestimabile di antichi scritti e codici, copiati e tradotti dal paziente lavoro dei monaci: la biblioteca è stata per lungo tempo una fra le più corpose a livello planetario. Si deve alla perseveranza dell’Abate Priore Gregorio Diamare e ad una mezza dozzina di monaci che non abbandonarono il loro posto, la salvezza di una benché minima parte dei libri, trasferiti all’ultimo momento in luoghi sicuri quando si ebbe la certezza degli imminenti bombardamenti. Secondo fonti molto attendibili, anche alcuni gruppi di paracadutisti e granatieri tedeschi contribuirono in maniera determinante al salvataggio di questi tesori.
Una volta giunti al primo livello, da una finestra che funge da belvedere, possiamo osservare l’ordinato cimitero di guerra polacco, basato su terrazze che salgono sulle pendici fino oltre la metà di una collina alla nostra destra. Poca affluenza di pubblico, giornata infausta, prevalentemente tedeschi e polacchi. Attraversato l’ordinato patio visitiamo l’erboristeria (molto, troppo commerciale ed a prezzi decisamente non economici), per poi salire la scalinata che reca alla cattedrale di Santa Maria Assunta e San Benedetto Abate, un trionfo di mosaici sui quali risplendono in prevalenza i tasselli dorati. Scendiamo nella cripta, dove sono state collocate le spoglie mortali di San Benedetto e la sorella gemella Santa Scolastica: facciamo fatica a credere che tutto il complesso sia stato ricostruito pietra su pietra dalle fondamenta rispettando la struttura originaria. La prova che non siamo dentro alla antica fortezza viene fornita dai soffitti della chiesa, con molti ovali solo intonacati e non affrescati. Usciti da qui, sulla destra accediamo al museo (ingresso 6 euro), accolti da una magnifica natività di Sandro Botticelli, donata nel 2006 dalla devota famiglia Masi di Montecatini, e solo da allora fruibile al pubblico, per proseguire lungo un itinerario che mostra tanti reperti recuperati dalla distruzione dei bombardamenti, dai cocci ritrovati nelle vecchie farmacia ed erboristeria, ai libri miniati dai monaci salvati dalla biblioteca. Dipinti, arazzi, statue, oggetti e paramenti sacri danno la misura del tesoro che qui era stipato.
Terminata la visita scendiamo al parcheggio, dove possiamo usufruire dei bagni (50 centesimi, tutto organizzato alla perfezione) e lasciamo l’abbazia proseguendo verso il cimitero polacco, dove troviamo parecchi visitatori con mazzi di fiori bianco rossi che depongono ordinatamente in un apposito spazio sul piazzale antistante l’inizio delle gradinate. Il cimitero raccoglie i resti di 1051 caduti, inumati in ordinate fila di tombe, secondo la schematica metodologia militare, che salgono a gradoni lungo il fianco della collina, al cui apice risalta una grossa croce ricavata sul terreno. Sulla destra della prima fila diciotto tombe senza la croce cattolica, ma con un cippo con la stella di Davide. Continua a piovere, ed ora è calata anche una densa foschia che rende il luogo surreale.
Riprendiamo la nostra strada, e nel tardo pomeriggio raggiungiamo Avellino, dove abbiamo stabilito il nostro punto di appoggio. Il primo impatto non è dei migliori: traffico congestionato, palazzoni di edilizia popolare con macchine rigorosamente parcheggiate in strada causa la totale mancanza di autorimesse, a cui si aggiunge una temperatura polare trasportata da un vento gelido. Siamo in periferia, e fortunatamente troviamo un comodo parcheggio sotto casa degli amici che ci ospiteranno in una via scarsamente transitata, una vera fortuna. Sistemiamo armi e bagagli per la notte e usciamo per la cena, in una pizzeria prenotata che al nostro arrivo ci accoglie con una coda chilometrica di gente in attesa delle pizze da asporto. Non amo particolarmente la tipica pizza napoletana con il “cornicione”, ma ora mi rendo conto di averla sempre disprezzata perché cotta solo apparentemente “alla moda” partenopea da pseudo pizzaioli napoletani fuorusciti; l’originale è sicuramente altra cosa. Ottima cena.
21 Aprile, domenica – Benevento
Oggi il cielo è coperto, ma dovrebbe tenere. Percorriamo circa trenta chilometri e giungiamo a Benevento a metà mattinata. Parcheggiamo in centro, in piazza Orsini, laterale al Duomo, e iniziamo la visita della città proprio da questa chiesa, molto bella ma impegnata nella Funzione, così che evitiamo di disturbare e andiamo oltre. Sul fianco opposto a quello che da sulla piazza la strada scende, costeggiando i ruderi delle antiche rovine e transitando sotto l’Arco Romano, seguendo le indicazioni raggiungiamo il Teatro, che dopo i restauri del dopo guerra appare come uno dei meglio conservati di epoca romana. Il biglietto è di 5 euro, eccessivo per una visita così fulminea che giustifica la scarsissima affluenza di visitatori, ma è quanto imposto dal Ministero dei Beni Culturali quale contributo per la conservazione dei monumenti. Il teatro, con acustica perfetta, è ancora oggi utilizzato per rappresentazioni, dato che può accogliere qualche migliaia di persone; merita. Risaliamo al Duomo per la visita e lo troviamo chiuso: sono le tredici e la riapertura è per le diciassette. Visita andata. Risaliamo allora per la via principale, Corso Garibaldi, costeggiato da bei palazzi d’epoca fra i quali spicca quello di Paolo V, e negozi, un’isola pedonale che regala una bella passeggiata. Sulla sinistra superiamo l’obelisco Egizio proveniente dal Tempio di Iside ad Assuan, e poco dopo ci appare l’Arco di Traiano. Il monumento che reca i rilievi meglio conservati di tutte le costruzioni di questa tipologia, una vera opera d’arte. Di lì a poco, superato il maestoso Teatro Vittorio Emanuele, raggiungiamo piazza Santa Sofia con il suo obelisco ed il campanile, sede della omonima chiesa, un trionfo di archi e colonne datata all’ottavo secolo e restaurata come vuole la regola. Poco sopra la piazza c’è il Palazzo del Governo, e terminiamo la nostra passeggiata alla Rocca dei Rettori. Facendo il percorso a ritroso osserviamo dall’esterno il monumentale Convitto Nazionale Pietro Giannone, in piazza Roma, e le vetrine di una fiaschetteria che espone in bella mostra pubblicità e bottiglie del famoso liquore Strega.
Sono le quindici, e ritorniamo ad Avellino per una visita della città. Raggiungiamo il centro, con il suo bel corso Vittorio Emanuele II, il passeggio della gente locale, che conduce al centro storico, ricostruito dopo il terrificante terremoto del 1980. Circa a metà percorso entriamo nella chiesa del Santissimo Rosario, mentre sul lato opposto, alla fine del corso, si nota la stazza del Palazzo del Governo. Superata Piazza della Libertà svetta la torre dell’orologio, il simbolo della città, e ci apprestiamo ad entrare nel centro storico, girando a sinistra della statua di Carlo II bambino, il “reuccio” e costeggiando la facciata del palazzo delle dogane. Dopo aver percorso un breve tratto in salita giungiamo al Duomo, e ci soffermiamo un attimo a guardare i resti delle antiche rovine, di scarso interesse. Entriamo quindi in chiesa mentre è in corso la funzione, e l’autoritario sacerdote ci impone di sederci ad ascoltare l’omelia, che non ci fa male. Dietro la chiesa ci sono il lazzaretto ed il vecchio ospedale, ai quali dedichiamo una rapida occhiata, quindi scendiamo gli scalini della Torre dell’Orologio fino a raggiungere l’ingresso dei cunicoli che erano la via di fuga dal castello, le cui misere rovine sono visibili poco distante. Terminiamo la nostra passeggiata riprendendo l’auto nei pressi del Carcere Borbonico, non più in uso, e rientriamo.
La sera ci trasferiamo al borgo di Atripalda, il nucleo originario di Avellino, per la cena, dove assaggiamo gli “scialatielli” ai frutti di mare, un “must” locale niente male.
22 Aprile, lunedì – Reggia di Caserta
La mattina dopo aver fatto colazione in una super fornita pasticceria (sfogliatella frolla e maritozzo con panna, tanto per gradire), sempre ad Atripalda, intraprendiamo la via del ritorno, destinazione Caserta. La città ci appare subito caotica, un quarto d’ora dal casello autostradale per entrare sulla statale, polverosa e sporca, educazione stradale da Far West, il tutto in aperto contrasto con la bellezza e la magnificenza della Reggia, che si mostra maestosa dopo qualche chilometro. Parcheggiamo nell’area dedicata prima del sottopasso, e seguendo il percorso dall’altro lato della strada raggiungiamo l’ingresso. La biglietteria funziona come un orologio, e l’attesa è di breve durata: 18 euro la tariffa per i giardini e gli appartamenti Reali. L’apice dei giardini è a circa tre chilometri dalla struttura abitativa, con l’ultimo tratto in salita, così per due euro e cinquanta acquistiamo i biglietti per la navetta (elettrica) che ci condurrà alla sommità del percorso, riservandoci il ritorno a piedi per godere appieno delle varie fontane che rompono il percorso del corso d’acqua.
Giunti alla sommità della collina il bus ci lascia in prossimità delle fontane di Diana Cacciatrice, ai piedi della cascata che da origine ai giochi d’acqua: alla destra la scultura che rappresenta Diana nel momento che scaccia Atteone, reo di averla vista nuda; nella composizione di sinistra lo stesso Atteone, trasformato in cervo, viene attaccato e sbranato dalla muta dei suoi stessi cani. Alla destra di questa terrazza si apre l’ingresso al parco, meglio noto come Giardino Inglese, bei prati ed uno stagno coperto di ninfee fiorite con al centro un’ isolotto con i resti di un tempietto, edificato con colonne provenienti da Pompei. Defilata dal percorso pedonale c’è la casa che fu la dimora del botanico inglese J.A. Graefer e del personale destinato alla cura del parco. Scendendo verso il Palazzo Reale ci soffermiamo alle vasche delle fontane di Venere ed Adone, di Cerere, di Eolo e dei Delfini, sotto un tiepido sole che finalmente scalda l’aria.
Una volta raggiunta la residenza reale percorriamo una larga scala che ci conduce al piano superiore, dove ci accingiamo a visitare la Cappella Palatina, e varcare poi l’ingresso degli appartamenti, un tripudio di lusso e di bellezza. Iniziamo con la sala destinata al corpo di guardia, quindi facciamo la conoscenza dell’architetto Vanvitelli, che fa bella mostra di se in un ovale all’ingresso delle omonime stanze, tappezzate di bozze, sezioni e disegni degli studi per la realizzazione della Reggia. Seguendo una serie di corridoi perimetrali, possiamo transitare nella sala del trono, transennata per permettere il restauro in corso d’opera del pavimento, la cappella di Pio IX, le stanze di Gioacchino Murat, le camere da letto dei Reali con il bagno della regina, con la vasca dotata di rubinetteria per l’acqua calda ed il bidet, primo in assoluto in Italia, all’avanguardia dei tempi, i quattro locali delle stagioni, le tre sale della biblioteca.
In ultimo la sala ellittica con i grandiosi presepi, da sempre presenti nella storia napoletana. L’unica cosa che non ho gradito e che reputo stonata, è stata la presenza di opere di arte contemporanea mischiate con reperti di altra epoca e altro gusto, indubbiamente di un altro livello. Finiamo la visita transitando in una stanza dove sono affissi alla parete i ritratti dei Reali e dei loro sette figli, quasi a volerci ringraziare per la visita.