Il Cammino di Assisi: trekking sulle orme di San Francesco
SABATO 12 MAGGIO 2012
Come si fa a organizzare per bene la partenza di un viaggio che prevede di camminare per una settimana in mezzo al niente muniti solo di un mega zaino da portare sulle spalle? Alzandosi alle 05 e preparando tutto all’ultimo minuto, ovviamente!
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Così, mentre fuori albeggia, noi corriamo come matti su e giù per la casa, buttando a casaccio roba dentro agli zaini, che diventano drammaticamente sempre più gonfi e pesanti. Li osserviamo con aria spaurita, ma non c’è il tempo per farsi tante domande: abbiamo deciso che se cammino dev’essere, cammino sarà fin dall’inizio e a prendere il treno a Montebelluna ci andremo a piedi! Alle 7 lasciamo allegri la nostra casetta e marciamo verso la stazione che dista poco più di cinque chilometri da dove abitiamo. E se comincia un cammino, cominciano anche le tappe-ristoro: un caffè all’osteria vicino alla chiesa non ce lo leva nessuno. La signora dietro al banco non ci conosce ma mentre armeggia con i nostri caffè ci chiede dove stiamo andando, carichi come dei muli. Quando le spieghiamo che abbiamo intenzione di percorrere il Cammino di Assisi, attraverso i luoghi di San Francesco, ci fa promettere che pregheremo per i suoi figli e ci lascia 4 euro per accendere due candele a nome suo. La sua richiesta ci fa onore e ci rende ancora più fieri dell’impresa che stiamo per compiere. Manterremo fede alla promessa fatta.
È stata una bella idea dare inizio al cammino partendo proprio dalla porta di casa e muoverci tra treni e stazioni con gli zaini sulle spalle, gli scarponi ai piedi, le borracce che sbattacchiano e tutto il resto ci fa sentire viaggiatori con la V maiuscola!
A Bologna l’attesa per il cambio ci permette di uscire un attimo dalla stazione e Giovanni ne approfitta per farsi tagliare barba e capelli presso il minuscolo negozio di un parrucchiere nord-africano. È tutto contento perché gli pare di essere tornato in Tunisia, quando di ritorno dal deserto, si era fatto tagliare la barba dagli indigeni per pochi spiccioli. Ma il tenero momento amarcord svanisce in fretta appena l’amico musulmano gli chiede 20 (e dico 20!!) euro per un taglio di 5 minuti fatto con la macchinetta! E oltretutto stiamo anche per perdere il treno adesso! Corriamo in stazione e saliamo per un pelo sul treno per Forlì. Arrivati a destinazione cambiamo mezzo di trasporto e, a bordo di un autobus, raggiungiamo la piccola Dovadola, paesello dell’Emilia adagiato nella valle del fiume Montone. Da qui avrà inizio il cammino vero e proprio.
Scende con noi un altro pellegrino che già in autobus avevamo individuato perché era l’unico passeggero, a parte noi, a essere munito di zaino e scarpe da trekking. Si chiama Mauro, viene da Salsomaggiore e di certo non gli manca la voglia di parlare e di fare amicizia con noi, che invece, come al solito, ci comportiamo un po’ da orsi. Tutti e tre insieme (noi zitti, il nuovo arrivato che chiacchiera) raggiungiamo l’Abbazia di S. Andrea, un luogo pieno di pace appena sopra il paese, dove ci attende Don Alfeo. L’anziano parroco, dal fare simpatico e dai modi gentili, ci conduce all’attiguo rifugio Benedetta-Porro dove si trova la camera per i pellegrini, dove dormiremo stanotte insomma. La struttura è spartana e dotata solo dello stretto necessario (vecchie brandine, un bagno in comune…) e quindi perfettamente in linea con l’essenzialità che speriamo di ritrovare durante questo cammino. Don Alfeo poi ci rilascia la credenziale del pellegrino, una sorta di passaporto dove verrà apposto un timbro alla conclusione di ogni tappa. Ci consegna inoltre la “guida del pellegrino” dove ogni tappa è descritta in maniera minuziosa e contiene tutte le indicazione per non perdere il sentiero: sembra la descrizione di una caccia al tesoro, fantastico! Concluse le ultime pratiche arriva l’ora di rilassarci un po’ e ci stendiamo sul prato che circonda l’abbazia, un posto davvero incantevole. Mentre ci riposiamo in vista delle fatiche che ci attenderanno da domani il pensiero corre di nuovo ai nostri zaini: come diamine faremo a portarceli dietro per una settimana?
Un’oretta dopo io e Giovanni ci siamo già stancati di stare distesi e scendiamo giù in paese. Girovaghiamo per le viuzze, entriamo nel minuscolo negozio di alimentari, mangiamo ciliegie e intanto andiamo in cerca dell’attacco del sentiero, così domani mattina potremo partire spediti. Dovadola non offre granché, ma è uno di quei deliziosi paesini in cui gli abitanti, alla sera, si ritrovano a chiacchierare in piazza o seduti fuori dai bar o sugli scalini di casa, un paese dove tutti conoscono tutti e ci si saluta chiamandosi per nome. Così anche noi ci uniamo agli abitanti ed entriamo in un bar a berci l’aperitivo.
Tornati al rifugio, ci facciamo una doccia e poi, insieme al nostro nuovo compagno di viaggio, ci incamminiamo verso la pizzeria più vicina, a 2 km da lì. Stiamo in fila sul ciglio della strada, attraverso prati immensi. Mauro è un fiume di parole e inizia a raccontare delle barzellette così disarmanti che… non possiamo non metterci a ridere! Pieni di fame raggiungiamo finalmente il ristorante, un vero postaccio che però non ci mette molto a riempirsi di gente, forse perché non ci sono tante altre locande in zona. Quando arrivano le nostre pizze siamo felici di constatare che il cibo non è affatto male! E nemmeno la compagnia, sembra che stia già prendendo forma un’armonia speciale tra noi.
Andiamo a letto molto presto, ognuno sulla sua brandina e siamo un po’ preoccupati perché per il giorno seguente hanno previsto tempo pessimo, ma nel frattempo il gran caldo patito durante il giorno non accenna a mollare la presa.
DOMENICA 13 MAGGIO 2012 (circa 22 km, 500 mt di dislivello)
Verso le 02 si alza un forte vento e comincia a piovere violentemente. Quando ci alziamo, alle 05, fuori c’è la nebbia, è molto nuvoloso e la temperatura ha subito un crollo di almeno 20°! Comunque sia, bisogna partire e quindi cominciamo a riporre la nostra roba negli zaini; facciamo colazione con i biscotti e lo yogurt acquistati ieri in paese e poi diamo ufficialmente inizio al Cammino!
La fortuna sembra essere dalla nostra quando inaspettatamente, nella deserta Dovadola, troviamo un bar già aperto a quest’ora, nonostante sia domenica mattina! Che bello, come potevamo partire senza un buon caffè?
Ma la gioia dura poco: nel giro di neanche un’ora il tempo non regge più e ricomincia a piovere. La pioggia non ci abbandonerà mai per tutta la giornata, impedendoci di vedere al di là del nostro naso, bagnandoci come pulcini e lasciandoci pieni di freddo in balia del vento. Che tortura! Non metto in dubbio che i paesaggi attraversati oggi fossero stupendi ma con la faccia chiusa dentro al cappuccio del k-way chi può dire di averli visti? Che peccato… Camminare in queste condizioni è dura soprattutto per lo spirito: l’umore finisce sotto le scarpe, ci si affatica di più, ci si annoia, vien voglia di gettare la spugna. E soprattutto a me vengono i nervi per essermi persa la bellezza di questi luoghi!
Il nostro nuovo amico Mauro, invece, è sempre positivo e felice: al contrario di me, cerca di trovare il lato bello della situazione, fa battute, racconta barzellette, se la ride. E soprattutto canta a squarciagola (e bisogna dire che ha anche una gran bella voce)!
Il primo luogo interessante che incontriamo nella tappa di oggi è l’Eremo di Montepaolo, a un’ora di cammino dalla partenza. Fin qui è stata tutta salita. Su questo monte Sant’Antonio da Padova rimase in una grotta per quasi un anno e questo è diventato quindi il punto di arrivo di un altro importante cammino, quello -appunto- di Sant’Antonio, che da Padova finisce a Dovadola.
Sempre sferzati dalla pioggia incessante e dal vento saliamo in cima al monte Trebbio ma oggi non ci è concesso di godere di nessun panorama. Proseguiamo sul crinale e, arrivati a circa due terzi del percorso, ci fermiamo a ristorarci all’Agriturismo “Il Pratello”, quando sono circa le 11. Il proprietario, quando vede come siamo conciati, non ci fa nemmeno entrare: ci accompagna in cantina e ci fa accomodare tra il muletto e una pila di bancali ma per noi è come essere giunti in paradiso! Ci offre the caldo e del vino e, mentre divoriamo le banane secche che ha tirato fuori Mauro dallo zaino e i nostri corpi riacquistano il loro torpore, chiacchieriamo un po’ col ristoratore. Alla fine dover tornare sotto a quel torrente d’acqua è una vera tortura! Io poi ho veramente il morale a terra: cammino chiusa nel k-way consolandomi col pensiero che domani il tempo dovrebbe migliorare e dicendomi che giornate come questa mi aiuteranno ad apprezzare ancora di più quelle piene di sole.
Da Il Pratello al Rifugio San Valentino non si fa più nessuna pausa: testa basta e marsch! Prima arriviamo meglio è, ma nel frattempo riusciamo a beccarci perfino la grandine! Poveri noi!
Il San Valentino appare dinnanzi a noi quasi come un miraggio in mezzo al bosco. Appena mettiamo dentro la testa veniamo avvolti da un paradisiaco calduccio e da una ridente compagnia di gente che si trova lì per festeggiare il compleanno di una signora. Ci spogliamo velocissimi dei vestiti bombi d’acqua e ci infiliamo sotto la doccia (calda, aaaah!); poi ci precipitiamo a tavola dove ci vengono gentilmente offerti gli avanzi della festa. Noi tre sembriamo dei lupi affamati e divoriamo tutto in un batter d’occhio. Una trentina di perfetti sconosciuti ci ha accolto con calore e noi, ora che abbiamo le pance piene, lasciamo che il pomeriggio diventi sera mentre rispondiamo alle loro mille domande e intanto ci riscaldiamo le ossa davanti al grande camino (da qua io per oggi non mi scollo più!). Sembra di stare in una grande famiglia e penso che, quando si pernotta negli alberghi o negli agriturismi, non si ha certo la possibilità di avvicinarsi alla gente del luogo come sta succedendo a noi stasera.
Il rifugio è gestito da una coppia di anziani signori, la Nella e Cesare che abitano giù nel paesino di Tredozio. Lei non ha intenzione di perdersi la succulenta occasione che le è capitata, quella di avere sei orecchie pronte ad ascoltare la cascata ininterrotta di pettegolezzi e racconti che sta per riversarci addosso. Noi glielo lasciamo fare e lei non si ferma più fino a sera! Ci racconta aneddoti sui pellegrini che sono passati di qua e poi passa a narrarci le gesta dei suoi adorati cagnolini dei quali è davvero innamorata! Marito e moglie, comunque, sono di una gentilezza indescrivibile e alle 19 – quando quelli del compleanno se ne sono già andati – ci preparano una gustosa cenetta che consumiamo tutti e cinque insieme. Intanto il tempo fuori sembra volgere al bello: evviva! La serata si conclude con altre chiacchiere davanti al cammino, mentre gli scarponi si sono asciugati e il corpo si è ritemprato per la tappa di domani. Nella e Cesare rimangono con noi a dormire al rifugio: con le loro coccole ci hanno davvero fatti tonare bambini!
LUNEDì 14 MAGGIO 2012 (24 km, 550 mt di dislivello circa)
Lasciare il rifugio di Nella e Cesare stamattina non è stato affatto facile. Quelle due care anime si sono alzate insieme a noi alle 06 per prepararci la colazione e poterci salutare. A volte non trovi chi ti regala queste gentilezze neanche nei posti dove paghi! I due hospitaleri, nonostante l’età non più verdissima, curano il “loro” rifugio e i pellegrini come fossero dei tesori: le camere erano pulitissime e siamo stati trattati meglio dei pascià e non credo sarà facile trovare un’accoglienza simile da altre parti. Prima di salutarci definitivamente non rinunciamo ad una foto tutti insieme, cagnolini della Nella compresi!
Per le prime ore del mattino ci viene regalato un bel sole che ci permette di godere a pieno della bellezza mozzafiato dei luoghi che attraversiamo: colline verdi, enormi distese d’orzo, boschi e valli…un incanto! Ogni tanto ci fermiamo per controllare di non aver perso di vista qualche segnavia (farli ancora più mimetici no, eh?) ma fino al paese di Portico il tragitto scorre tranquillo, quasi interamente su stradine asfaltate. Portico si trova esattamente a metà della tappa ed è un paesino di sole 800 anime, davvero pittoresco. Ci fermiamo per un meritato caffè e per fare acquisti per il pranzo. Al “Vecchio Convento”, un antico ristorante del posto, ci vengono offerti –oltre ai caffè- importanti consigli per il rimanente pezzo del percorso e ci viene apposto un timbro sulla credenziale del pellegrino. Attraversato il centro storico, usciamo dal paese passando per un bellissimo ponte medievale a schiena d’asino che scavalca il torrente Montone.
Il sentiero poi svolta nei pressi di un enorme tiglio e da lì comincia a inerpicarsi su per una erta mulattiera lastricata che ci tiene impegnati per quasi due ore e ci porta nel ventre dei verdi boschi della zona.
Durante la giornata Mauro è sorridente e di compagnia come al solito e più tempo trascorriamo insieme a lui, più ci piace averlo con noi. E’ simpatico, ma non solo: ci regala quella carica di entusiasmo che arriva sempre al momento giusto, proprio quando ti stai per scocciare (vuoi per la stanchezza, vuoi per il tempo matto, vuoi per i dolori alle spalle); riesce a vedere sempre il lato positivo delle situazioni cosa che non è né facile né tantomeno scontata; è un uomo di grande Fede ma non te la impone, anzi scopriamo con sorpresa che nei (rari) momenti in cui sta zitto recita in segreto silenzio le lodi e il rosario. Insomma ci tocca dire che averlo incontrato è stato per noi una bella fortuna!
Oggi anche se è bel tempo non mi sono mai tolta né il pile né i guanti. La breve sosta per il pranzo ci fa ripartire più infreddoliti che mai alla volta di Premilcuore, punto finale della tappa odierna. Giunti in paese entriamo in un bar per il nostro caffè-premio e lì incontriamo due guardie forestali che ci danno delle preziose indicazioni per il percorso di domani che -lo sappiamo- sarà piuttosto impegnativo. Ci mettiamo poi alla ricerca dell’agriturismo “Cà Ridolla”, dove saremo ospitati per la notte. Passando sotto il cartello che indica l’inizio del centro abitato, scopriamo che Premilcuore ha ottenuto la bandiera arancione: leggiamo nella guida che le origini di questa “piccola perla” incastonata nell’alta valle del fiume Rabbi risalgono al primo secolo d.C . In realtà non vi troviamo niente di interessante da vedere e la valle che lo accoglie è stretta e buia. Cà Ridolla si trova a due km dal centro e il posto in cui ci sistemano è piuttosto sporco e decadente ma ormai ci stiamo trasformando in veri pellegrini e vista la stanchezza con cui giungiamo a fine giornata qualsiasi alloggio ci va bene! Incontriamo qui altri due pellegrini, due fratelli provenienti da Monaco di Baviera, Annalisa ed Helmut. Sembrano un po’ strani, vedremo…
Buttati gli zaini nella stanza, io e Giovanni diamo con orrore un’occhiata al bagno e decidiamo che per adesso rimandiamo l’appuntamento con la doccia. Ci rimettiamo in cammino verso il paese per andare a comprare il pane per domani dato che non troveremo alcun punto d’appoggio per tutta la giornata. Questo ci è stato confermato anche dalle due guardie forestali incontrate prima al bar. Arrivati in “piazza” scopriamo però che di lunedì a Premilcuore non c’è nessun (e ripeto, nessun) esercizio aperto, né forni, né alimentari. Niente di niente, deserto totale. Sconsolati entriamo in un baretto e una dei clienti, proprietaria di un albergo lì vicino, ci invita a passare da lei che ci darà un pezzo di pane. Che gentile! O forse le abbiamo fatto pena? Non importa, noi approfittiamo volentieri della sua cortesia e andiamo a prenderci la pagnotta in regalo.
Tornati a Cà Ridolla arriva il momento di andare a cena, molto presto come al solito, come le galline. A tavola con noi ci sono anche Annalisa ed Helmut. Dai loro racconti sembra che abbiano compiuto numerosi trekking in tutto il mondo ma a vederli non si direbbe che siano dei grandi camminatori. Mah, magari scopriremo che marciano più di noi. Quello che è certo è che bevono più di noi: in meno di due ore si scolano due bottiglie di rosso senza tanti complimenti! Per cena ci vengono serviti pasta al ragù, grigliata mista e melanzane impanate. Contando che abbiamo pagato 22 euro a testa (letto e colazione compresi!), non ci possiamo proprio lamentare!
Prima delle 22 siamo già tutti dentro ai sacchi a pelo: riposo lungo per chi deve camminare a lungo.
MARTEDI 15 MAGGIO 2012 (21 km, circa 600 mt di dislivello)
Siamo al terzo giorno di cammino e già inizio a ricordare con fatica che data è, in certi momenti mi sfugge anche che ora è. L’attenzione ormai è totalmente spostata verso la bellezza che ci circonda e non ci importa più del tempo: mangiamo quando abbiamo fame, ci fermiamo quando siamo stanchi, andiamo a letto appena il nostro corpo ce lo richiede. E poi mi accorgo che, durante esperienze come questa, più il tempo scorre e più tutto si fa ancor più bello. Non lo so spiegare: sarà sapere che ogni giorno in più è un giorno in meno di cammino da vivere; sarà che mi sto abituando poco a poco ai miei compagni di viaggio e la sintonia con loro cresce (beh, più con Mauro che con i tedeschi); saranno i paesaggi che mi incantano l’anima; saranno i gesti rituali che compiamo ogni mattina al momento di partire e ogni sera appena giunti al rifugio. Sarà tutto questo; oppure no. Sta di fatto che il cammino, con il tempo che passa, diventa sempre più bello, più intenso, più vissuto. Ogni tappa è ormai importantissima: la studiamo, ne parliamo insieme e quando la stiamo percorrendo ci indichiamo l’un l’altro le cose belle che notiamo in modo che nessuno si perda niente. Anche il paesaggio sembra diventare più spettacolare ad ogni passo in più e varia in continuazione per non annoiarci mai.
A colazione ci tiene compagnia il proprietario dell’agriturismo, che ieri ci era sembrato un tipo un po’ burbero e che invece si rivela una persona molto gentile con tanta voglia di raccontarci dei suoi cavalli e dei meravigliosi trekking che ha fatto insieme a loro. Vorremo trattenerci di più ma ormai fuori il sole è sorto da un pezzo: dobbiamo proprio metterci in cammino. Lo salutiamo e ringraziamo anche per il prosciutto che ci hanno dato ieri sera. Non arriverà a domani, a pranzo gli faremo la festa!
Il percorso inizia con mille scatti di foto presso uno stupendo e antichissimo ponte a schiena d’asino che scavalca un orrido spettacolare. Sotto scorre l’impetuoso torrente Rabbi, dalle acque color smeraldo. Poco più avanti, attraversati prati e boschi, inizia la lunga salita della tappa di oggi, quella che ci terrà impegnati per più di tre ore. Il passo è lento a causa degli zaini pesanti e il piede spesso scivola sia per la pendenza del sentiero sia per via del fango, ma niente riesce a demoralizzarci: come potremo avere il cuore triste con tanta bellezza che ci circonda e ci accompagna? Siamo tre pellegrini (ah sì, i tedeschi li abbiamo già seminati) e stiamo attraversando come dei piccoli hobbit faggete maestose bucate qua e là da qualche raggio di sole, che penetra tra le foglie come una spada luminosa; entriamo in buie pinete dove altissimi alberi si innalzano disperati alla ricerca della luce; esploriamo antichi ruderi di cui non conosciamo la storia. Verso le 10 arriviamo al punto più in alto della tappa e da lì prende il via una dolce discesa che ci accompagnerà fino al paese di Corniolo. Prima di scendere giù, però, facciamo una sosta in un angolo di paradiso che ci accoglie appena usciti dal fitto bosco: una vecchia casetta in pietra, sola al centro di prati infiniti. Tutt’intorno solo foreste e colline e un piccolo stagno. Non diciamo nulla, guardiamo e basta e nel frattempo tiriamo fuori pane e prosciutto. Secondo me è vero, non siamo tanto distanti dal Paradiso.
Rifocillati scendiamo verso Corniolo, sempre attraverso verdissimi prati e facendo anche un ravvicinato incontro con un branco di cervi femmina. Nel frattempo delle curiose scritte sui sassi attirano la nostra attenzione: “Venite da Gigino, l’amico del pellegrino”. Dev’essere quel simpatico ristoratore di cui abbiamo sentito parlare nei diari di viaggio degli altri pellegrini! Quando arriviamo a scorgere Corniolo, il minuscolo paese è baciato in pieno dal sole. Raggiungiamo il rifugio, una casetta in pietra davvero pittoresca, immersa nella pace silenziosissima di questi luoghi e chiamiamo il signor Vanni che ci fornisce l’abracadabra per aprire la scatoletta dove sono rinchiuse le chiavi per entrare. Ci sistemiamo, ci laviamo, facciamo il bucato (eccoli i gesti di rito!) e poi è il momento per un po’ di super-meritato relax! Giovanni e Mauro raccolgono la legna e accendono la stufa, io mi siedo sull’erba al sole, scaldandomi come fanno le lucertole.
Verso le 16 andiamo a comprare le provviste per domani all’unico negozio del paese che funge da alimentari, bar, panificio ed edicola. Ed è già tanto che ce ne sia uno! Corniolo infatti è davvero minuscolo, conterà sì e no 200 anime, 150 delle quali molto prossime all’aldilà! Ciononostante ci affascina molto di più del precedente Premilcuore e mentre scendiamo verso il negozio ci accorgiamo con sommo piacere che nessuno degli abitanti si risparmia un saluto o un sorriso verso quei tre stanchi ragazzi. Tutto questo calore e questa accoglienza ci fanno sentire dei veri pellegrini! All’alimentari ci limitiamo a prendere della frutta e l’occorrente per la colazione perché la proprietaria ci avvisa che l’indomani sarà aperto dalle 06 con il pane fresco pronto da portar via. Bene! Così io, Giovanni e Mauro ci sediamo sulle panchine fuori dal negozio e passiamo più di un’ora a ridere, smangiucchiare e raccontarcela, perfettamente integrati nella tranquillità del paesino, dove il tempo sembra scorrere lento lento.
Alle 18 andiamo a messa, in una chiesetta grande come una capanna, vicina al nostro rifugio. Sembra che tutta Corniolo sia venuta alla funzione e noi siamo lieti di prendere parte alla vita del paese. Finita la messa arriva il momento che tutti attendavamo: la cena da Gigino! Abbiamo avvertito il ristoratore del nostro arrivo nel pomeriggio, dopo aver visto le scritte lungo il sentiero. La sua reazione è già stata eloquente: “Venite venite, che si fa una gran festa!”. Curiosi e affamati arriviamo alla trattoria dove ci accoglie quest’Alvaro Vitali di Corniolo, un tipino magro, con gli occhi vispi e la faccia rossa e allegra. I tedeschi sono già seduti a tavola e senza perdere tempo Gigino fa accomodare anche noi e ci porta subito dell’ottimo pane e una grande caraffa di vino rosso. Poi torna in sala con un gigantesco vassoio di tagliatelle fumanti. Sono veramente squisite e mentre mangiamo Gigino ci fa morire dal ridere con le sue battute e con il suo buffo modo di fare. La faccia gli si illumina di contentezza quando risolviamo uno dei misteri della sua vita: si tormenta infatti perché non capisce cosa vogliano dire i tedeschi quando esclamano “ZUPA!” davanti a ognuno dei suoi piatti. Gli spiego io, imitando la pronuncia d’oltralpe. . E ce lo racconta facendo di quelle facce divertentissime che noi a momenti ci strozziamo con la pasta! Per secondo arriva lo stinco di maiale accompagnato da un tortino di verdure e da cipolle stufate. E’ tutto buonissimo, anzi… zupa! Sensazionale sopra ogni cosa è l’atmosfera che si crea durante la cena. Gigino ci fa passare le tre ore più divertenti della nostra vita, tanto che alla fine ci fanno male le guance a forza di ridere! Annalisa (la tedesca) è praticamente ubriaca e il culmine della serata viene raggiunto quando Gigino tira fuori la sua specialità, i “draghetti sputafuoco” (ma mi sa che il nome se l’è inventato al momento per prendere in giro la tedesca! Tanto l’italiano non lo capiscono..): sono degli zuccherini fatti da Gigino stesso, immersi in un intruglio di alcool (molto alcool!), scorze di arancia e di limone, uvetta, germogli di pino e altra roba galleggiante che nemmeno lui sa cosa sia! Annalisa se ne infila uno in bocca e poi comincia a fare la faccia di una che ha ingioiato un peperoncino messicano. Gigino, con un sorriso da un orecchio all’altro, le infila subito 7-8 draghetti in un vasetto di vetro per il giorno dopo, come scorta per il cammino! Helmut, che a differenza della sorella sta sempre zitto e sembra vivere in un mondo tutto suo, inizia a mangiare gli aghi di pino che galleggiano nel vaso degli zuccherini, pensando siano da mangiare pure quelli. Gigino lo guarda e poi rivolto a noi ci fa: “Fa lo scoiattolo questo qui, si mangia pure il pino!”. Mauro scoppia a ridere senza più fermarsi e noi andiamo dietro a lui, ovviamente. Alla fine non può di certo mancare una foto ricordo tutti insieme e ci salutiamo con grande dispiacere. Ma torneremo a trovare Gigino, questo è certo!
Al rifugio troviamo un bel calduccio (per fortuna), grazie alla stufa che hanno acceso i ragazzi. Domani si parte per Camaldoli e la tappa sarà lunga e impegnativa, meglio andare a dormire.
MERCOLEDI 16 MAGGIO 2012 (24 km, 1150 mt di dislivello)
Se dovessi dare un titolo alla giornata di oggi sarebbe: “Pellegrini dispersi nella nebbia”. Appena lasciamo il rifugio di Corniolo infatti l’occhio ci cade sul lontano crinale che dovremo salire e che è completamente avvolto da nubi scurissime. Mauro è ottimista ma io mica tanto… Passiamo al negozio di alimentari, compriamo il necessario per il pranzo ed, energici, ci mettiamo in cammino: oggi sarà lunga, meglio non perdere né tempo, né lo spirito.
Fino a Campigna (a 3 ore dal punto di partenza) il tracciato è tutto in salita ma non è quello il problema. Il vero dramma è che –dannazione!- inizia a piovere e a me il morale precipita subito sotto le scarpe! Non ci voleva: un’altra giornata come domenica, a prendere acqua e a non vedere niente di niente! E’ molto meglio tornare indietro e restare fermi un giorno, propongo io con voce supplicante. Per fortuna con me ci sono due pellegrini (Mauro e Giovanni, mica i tedeschi) che non si lasciano abbattere né dal maltempo né dalle mie lamentele e in un modo o nell’altro mi convincono ad andare avanti e a credere che il tempo migliorerà. Mauro, in particolare, mi propone una cosa che mai avrei pensato potesse infondermi la grinta che mi manca: un rosario. Così, in fila uno dietro l’altro, bagnati dalla pioggia, avanziamo tra i boschi silenziosi recitando a cuore spiegato un rosario umile e molto sentito, dove al posto dei consueti “misteri” ognuno tira fuori una sua personale preghiera. E -miracolo!- la pioggia cala d’intensità fino a smettere del tutto. Con la forza del rosario nelle gambe e belli infreddoliti raggiungiamo finalmente Campigna, una spruzzata di casette perse in mezzo alle montagne dove però abbiamo la fortuna di trovare un bar in cui scaldarci le ossa, far riposare un po’ le spalle e berci un caldo caffè. Qui è anche l’ultimo luogo dove vediamo Annalisa ed Helmut, poi perderemo per sempre le loro tracce. Da Campigna prende via la parte più dura del percorso e (forse) di tutto il Cammino. Un’ardua salita ci porta su fino al Passo della Calla (1300 mt di altitudine, 800 mt di dislivello dalla partenza), dove arriviamo col fiatone, il cuore che pompa e lo zaino che pesa come non mai. Dal passo il sentiero ci conduce verso luoghi tra i più fatati che io abbia mai visto: siamo entrati infatti nelle Foresta Integrale del Casentino, dove è vietato non solo raccogliere o tagliare anche un singolo rametto, ma persino lasciare il sentiero: i boschi qui sono super-tutelati (in particolare un pezzo di foresta detto “della Lama”), persino calpestarli sarebbe un sacrilegio. Tutto è avvolto da una densa nebbia che rende l’atmosfera irreale, quasi frutto di un sogno. Le piante sono altissime, maestose, imponenti. Sembrano vive, come se avessero un’anima e pare quasi che si voltino a guardarci mentre passiamo. Nonostante la foresta eserciti un forte fascino su di me, devo ammettere che allo stesso tempo non vedo l’ora di uscire di qui!
La lunga salita termina a Poggio Scali che doveva essere uno dei punti più panoramici di tutto il Cammino ma con questa nebbia a momenti non vediamo neanche il nostro naso! Il freddo poi è così intenso che, anche se stiamo camminando da 6 ore e passa, decidiamo di continuare senza soste per non congelarci! Dopo un’altra mezz’oretta però, scesi un po’ di quota, la nebbia, così come era apparsa, si dissolve: siamo finalmente fuori dal regno delle nubi e ci fermiamo in una verde radura a scaldarci al sole come tre serpentelli. Beh, visto che siamo qui potremo anche mangiare qualcosa, no? Veloci tiriamo fuori dagli zaini pane e affettato e recuperiamo l’energia consumata.
Ripreso il cammino, un attimo di panico: un segnavia girato nel senso inverso ci manda nel pallone. Siamo sulla strada giusta o ci siamo persi? Chiamiamo Giordano (l’organizzatore del percorso) che ci assicura che si tratta dello scherzo infelice di qualche simpaticone e che la nostra direzione è quella corretta. Distruggiamo il segnavia errato e riprendiamo la discesa. Un’ora dopo eccoci all’Eremo di Camaldoli: si tratta di una monastero benedettino fondato nell’XI° secolo da San Romualdo nello splendore e nella quiete delle foreste casentinesi. Mi affretto a portare a frate Alberto i saluti del mio amico Arrigo, ma il monaco non sembra molto interessato… Peccato. Visitiamo ciò che si può visitare (compresa la bellissima la cella di San Romualdo) e poi raggiungiamo il monastero, a 40 minuti a piedi da lì. Qui invece conoscere Arrigo ci torna utile perché un gentilissimo fraticello (Emilio) ci guida alla scoperta del luogo sacro spiegandoci tutto nei minimi dettagli a aprendo a noi porte che agli altri visitatori non è concesso oltrepassare. Che fortuna!
Quando arriviamo al Rifugio della Forestale (il luogo dove passeremo la notte) sono le 18 e di Helmut e sorella non c’è manco l’ombra. L’hospitalera brasiliana che gestisce il rifugio dice di non saper nulla di loro ma poco dopo riceve una telefonata di un tale da Stia che dice che i tedeschi sono lì in paese. A Stia! Da tutt’altra parte rispetto a Camaldoli: ma come sono finiti laggiù? Mistero. La brasiliana ci sistema in una camera/ghiacciaia e per cena ci prepara zuppa e insalata. E così le pance sono belle piene anche stasera! C’è a tavola con noi una nuova pellegrina dal nome impronunciabile (Gutrud o qualcosa del genere): è tedesca pure lei e inizia il suo cammino da qui, da Camaldoli. A giudicare dall’aspetto spettrale con cui è giunta al rifugio dubitiamo fortemente che domani riuscirà anche solo ad alzarsi dal letto, ma se lo farà potrà unirsi a noi.
GIOVEDI 17 MAGGIO 2012 (21 km, 850 mt di dislivello)
Tiriamo un po’ le somme: Annalisa ed Helmut li abbiamo smarriti lungo la via (o meglio, si sono smarriti da soli); la ragazza arrivata ieri sera a Camaldoli più morta che viva stamattina non ha fatto cenno ad alzarsi. Quindi è rimasto di nuovo il trio iniziale (io, Giovanni e Mauro) a continuare l’avventura. E oggi ci aspetta un’altra tappa bella tosta.
La notte è trascorsa tutt’altro che tranquilla. Sopra la nostra stanza infatti dormiva un’orda di ragazzini indemoniati che hanno riso, corso e fatto baccano fino a notte fonda. Giovanni ad un certo punto ha perso la pazienza ed è andato a prendere a calci la porta dei discoli: sistema efficace perché poco dopo il casino è cessato. Penso che nel frattempo la nuova pellegrina abbia creduto di essere finita in mezzo ai matti.
Alle 06 ci tiriamo su e la gentile hospitalera ci ha prepara una ricca colazione: noi ci sentiamo trattati come se fossimo in un hotel a 5 stelle!
Passiamo di nuovo davanti al monastero di Camaldoli e da lì iniziamo a salire per un ripido sentiero che continuerà la sua corsa verso l’alto per gran parte della mattinata. Per fortuna pure l’umore è alto dal momento che in cielo risplende un sole perfetto: ci voleva! Rimaniamo quasi sempre nel cuore di meravigliosi boschi e giungiamo al Rifugio “Cotozzo”, piccolo edificio in pietra con focolare all’interno. Niente pause però e dopo 3 ore di marcia filata saltiamo fuori dalla foresta direttamente nel centro di un paese, come ci è capitato tante altre volte durante il viaggio: una cosa strana perché da noi non succede mai che si passi dalla foresta alla piazza del paese, ma ci piace un sacco! Siamo sbucati a Badia Prataglia dove facciamo scorta di cibo per stasera perché sappiamo che a Biforco dovremo arrangiarci a preparare la cena. E già che ci siamo ne approfittiamo per la rituale “seconda colazione”: Giovanni e Mauro si buttano su una dietetica focaccia con i ciccioli, io opto per la mia amata frutta. Consumiamo la merenda seduti su una panchina al sole, ma la temperatura non è salita e tira un’arietta che ci pela vivi! Caffè al bar e poi rimettiamo in spalla gli zaini. Seguiamo l’indicazione per “La Casa- Il Romito” e, superato il torrente Archiano, la strada riprende a salire. Il percorso di oggi ci costringe a fare doppia attenzione perché incontriamo tanti incroci di sentieri (non per niente una delle località che passiamo è detta “Quattro Vie”!) e a volte il tracciato è poco battuto oppure mancano i segnavia. Ma per noi questo equivale a giocare a caccia al tesoro o a fare una gara di orienteering: ci divertiamo come bambini a cercare il sentiero giusto! Queste difficoltà, però, ci fanno tornare col pensiero alla tedesca di ieri sera e ci chiediamo come farà ad arrivare a destinazione.
Da Badia si prosegue su continui saliscendi (più sali che scendi!) per altre 2 ore abbondanti e verso le 13 giungiamo a Frassineta, un minuscolo borgo di case (apparentemente disabitate) chiuse a cerchio attorno ad una splendida pieve romanica . Il sole brilla in alto, l’erba davanti alla porta della chiesa è verde e morbida, le nostre pance sono vuote: tre ottimi motivi per fermarci qui a fare un pic-nic, dai! Chiacchieriamo allegri e intanto mandiamo giù bocconi di panino, nella pace più totale, baciati dal sole e accarezzati da un frizzante venticello. Ci concediamo pure il lusso di sdraiarci e chiudere gli occhi stanchi per qualche minuto. Ma alle 14:30 siamo di nuovo in marcia lungo l’ultimo tratto della tappa, quello che ci condurrà a Biforco. Le salite sembrano non voler mai finire oggi e il percorso mette a dura prova la nostra resistenza fisica fino alla fine. Inoltre i segnavia continuano a latitare e noi, immersi tra cespugli spinosi e alte ginestre, ci chiediamo dove stiamo andando a finire. Per fortuna poi il sentiero si ricongiunge alla strada asfaltata che porta a Rimbocchi. Da lì un’ultima salitona (ma sarà davvero l’ultima??) ci conduce all’agognata Biforco, un suggestivo ammasso di case in pietra che sembra sul punto di venire inghiottito dai miliardi di alberi che lo circondano! Solo cinquanta persone hanno deciso di rimanere a vivere quassù e molte di queste sono anziane: del resto è comprensibile che un giovane, a Biforco, non veda molte possibilità per il suo futuro. Il paesello è davvero lontanissimo dal resto del mondo! E’ un luogo pittoresco, sì, ma anche selvaggio ed estremamente isolato. Le case sono costruite attorno alla chiesa che, a sua volta, si affaccia sulla piccola piazza del paese. Funziona pure un bar/alimentari/circolo ricreativo e proprio lì dovremo trovare la signora Fiorella, quella che si occupa della casa per i pellegrini. Fiorella sta dietro al bancone ed è un’arzilla signora dal marcato accento toscano. Con fare sbrigativo ci conduce al rifugio, ci mostra la cucina e poi ci apre le camere. Io e Giovanni ne occupiamo una, Mauro un’altra ma la signora Fiorella non sembra prenderla benissimo e lancia a me e al mio futuro marito un’occhiataccia di rimprovero!
Appena la signora Fiorella se ne va scendiamo tutti e tre in cucina per cercare di accendere il caminetto: fa veramente freddo dentro casa e noi abbiamo bisogno di lavare e asciugare i nostri indumenti. Dopo un po’ però, notata l’intensità della fiamma, io decido che i miei abiti possono rimanere sporchi per l’ennesima volta! Trascorriamo il resto del pomeriggio a riposare, scrivere il diario e a curiosare in giro per il paesino che in due passi si visita per intero.
Per cena ci spetta un menù coi fiocchi: tortellini, carne in scatola, rape sottovuoto, pane, vino acquistato al negozio della Fiorella e per dessert degli ottimi wafer! Un pasto da re, direi.. Mangiamo di gusto mentre veniamo lentamente affumicati dal caminetto. Sul più bello, ovvero nel momento esatto in cui Giovanni e Mauro si stanno per lanciare sui Draghetti Sputafuoco che ci ha lasciato Gigino(ebbene sì, ci hanno seguito fino a qua!), chi appare? Gutrud, la ragazza tedesca su cui non avevamo scommesso neanche cinque lire! Non riusciamo a spiegarci come abbia fatto ad affrontare le salite di oggi e a destreggiarsi in quell’intrico di sentieri, ma non c’è altro da dire se non che è brava e coraggiosa! Gutrud è stanca ed affamata e noi ci offriamo di cucinarle una pasta olio-e-pepe, quello c’è. Lei non dice granché ma i suoi occhi mostrano riconoscenza. Finito di mangiare se ne va a letto filata mentre noi ci rechiamo al negozio/bar della Fiorella dove concludiamo degnamente questa bella giornata con una partitona a carte.
VENERDI 18 MAGGIO 2012 (11 km (??), 600 mt di dislivello)
Per la prima volta dall’inizio dell’avventura la sveglia suona dopo le 6. Possiamo permettercelo perché la tappa di oggi è corta. Corta ma non meno faticosa: ci attendono 600 metri di dislivello distribuiti su pochi km, pieni di toste salite da affrontare e lungo un sentiero sassoso e impegnativo. Ci prepariamo una colazione un po’ raffazzonata e poi ci mettiamo in marcia. Ma appena messo piede sulla strada capisco subito che qualcosa non va: quel fastidioso dolorino al tendine d’ Achille che ieri percepivo appena oggi si è trasformato in una stilettata atroce che mi insidia il calcagno ad ogni passo che muovo. Provo a togliere lo scarpone e a rimetterlo, cambio calzini, cerco di camminare senza caricare sulla parte dolente ma niente, fa troppo male. Arrivati a Rimbocchi mi infilo un tovagliolo di carta nella scarpa per creare uno spessore tra il piede e la calzatura (quando si è fuori dal mondo ci si ingegna come si può…) e il dolore si attenua un po’. Possiamo così iniziare la pesante salita che condurrà a La Verna, “il crudo sasso intra Tevere e Arno” dove nel 1224 Francesco ricevette le stimmate. Ecco perché questa è considerata la tappa più importante di tutto il pellegrinaggio. Procediamo lentamente, sia per la forte pendenza sia perché io non riesco a camminare bene con questo maledetto piede dolorante! Di bello almeno c’è il tempo: la mattinata è splendida, c’è un bellissimo sole e la solita aria fresca e frizzante non ci fa sudare. Il sentiero entra ed esce di continuo da meravigliosi boschi di faggi e, poco prima di arrivare all’eremo, il paesaggio si fa ancora più incantevole con rocce spettacolari che sembrano essere cadute dal cielo direttamente in mezzo alla foresta! Recitiamo il consueto rosario, uno dei tanti riti nati inaspettatamente durante questo cammino e che poi è inaspettatamente diventato una necessità. L’eremo ci appare imponente sopra le nostre teste, arroccato in cima a uno spuntone di roccia. Mi ricorda un po’ le meteore viste in Grecia… Una mulattiera quasi verticale ci conduce all’interno del luogo sacro e, senza dire niente, ci sistemiamo al sole sul piazzale davanti alla basilica. Ci sono molti altri visitatori e noi lasciamo che il tempo passi e la gente sfili davanti a noi, mentre ci riposiamo e rosicchiamo tranquilli qualche biscotto. Nessuna fretta oggi…
Scendiamo a vedere la gola di Sasso Spicco dove è avvenuto il famoso miracolo: Francesco si era qui ritirato a pregare ma un masso enorme, staccatosi dalla montagna, stava per schiacciare il fraticello. All’ultimo però il masso si è bloccato tra le strette pareti della gola, appena sopra la testa rasata del santo che così ebbe salva la vita. Il masso si trova ancora lì, miracolosamente incastrato ed è possibile scendere a vederlo. Visitiamo poi la Basilica e la cappella edificata proprio nell’esatto punto in cui il santo ricevette le stigmate. Sinceramente a me tutta sta mania di costruire altari, cappelle e chiese per celebrare i luoghi sacri non piace nemmeno un po’: andavano lasciati come erano e scommetto che né a Francesco né a Dio importi niente di tutto questo sfarzo e tantomeno che lo apprezzino. In generale poi non amo l’atmosfera che si respira nei luoghi di pellegrinaggio: vedere la gente che va a caccia del miracolo o fa la fila per toccare una reliquia o fa donazioni per ottenere qualche grazia mi porta molto lontana dalla spiritualità vera. Mi chiedo cosa avrebbe detto il Poverello di Assisi di tutto questo.
Dopo aver terminato la visita completa dell’Eremo ci concediamo un pranzetto al ristorante del pellegrino: non che si mangi bene, eh, ma un regalino ci vuole per queste tre povere anime vagabonde, no? Usciti dal ristoro, chi ci appare? Di nuovo Gutrud! Quella arriva e scompare come un fantasma! La salutiamo con calore ma come al solito non riusciamo a comunicare con lei né a capire cosa voglia dirci così la lasciamo alla visita dell’eremo e riprendiamo la strada in direzione di Chiusi della Verna. Il paesino dista 1,5 km dal santuario ma non si può certo definire un luogo altrettanto pittoresco: le case sono grigie, brutte, tristi e non c’è proprio niente da vedere. Dobbiamo trovare la “Casa della Preghiera” dove ci attende Suor Albertina. L’edificio è enorme e ci vivono solo due “sorelle” che ci accolgono con calore. Suor Albertina è una raffica di parole e complimenti e ci fa entrare coprendoci di carezze e smancerie come fossimo tre bambini che si sono persi nel bosco. Io e Giovanni moriamo dal ridere quando guarda Mauro e gli stampa due buffetti sulle guance! Contro ogni previsione permette a me e a Giovanni di dormire nella stessa stanza (strano trovare una suora così!): io pensavo che avrebbe messo me in una cella con le sbarre alla finestra e i due maschiacci fuori su un giaciglio di paglia!
Lasciamo le nostre cose nelle stanze, ci rinfreschiamo un po’ e poi usciamo di nuovo. Io devo assolutamente passare in farmacia e farmi dare qualcosa per il piede altrimenti domani col cavolo che finisco la tappa…
Verso sera il tempo cambia e comincia a piovere: ci rifugiamo in un bar dove tiriamo l’ora di cena giocando a carte. Nonostante i sotterfugi da pochi soldi messi in atto dai miei avversari per farmi perdere, mi riconfermo come unica e imbattibile campionessa universale!! Verso le 19 torniamo dalle suore per mangiare e scopriamo che alla “Casa della Preghiera” sono arrivati due nuovi pellegrini, di Bologna stavolta. Si chiamano Marco e Stefano e iniziano oggi il loro cammino partendo proprio da Chiusi, ovvero dal punto in cui l’avevano lasciato l’anno scorso. Un po’ come faremo io e Giovanni che per quest’anno dovremo abbandonare il percorso a metà. I ragazzi si siedono a tavola con noi e ci vengono servite un sacco di prelibatezze: una zuppa di verdure con pastina (molto buona!), una gustosissima omelette con prosciutto e formaggio, insalata e delle melanzane intrise d’aglio (Giovanni ci va veramente a dormire fuori stanotte!). Insomma ci trattano benissimo le suorine! Finito di mangiare, noi tre facciamo un altro salto al bar per il caffè e per un po’ di televisione, che guardiamo seduti ai tavolini insieme ai vecchietti del paese. Poi a nanna prestissimo.
SABATO 19 MAGGIO 2012 (20 km, 400 mt di dislivello)
Buon compleanno Mauro!
Oggi il nostro amico pellegrino compie 36 anni e a colazione gli facciamo tutti gli auguri. Addirittura Suor Albertina gli porta dei cioccolatini per festeggiare: è strana tutta quest’animata allegria visto che sono solo le 6 del mattino ma a nessuno dispiace, anzi! Dopo una raffica di coccole e raccomandazioni, suor Albertina ci lascia finalmente andare e possiamo metterci in cammino. Il sentiero inizia con una salita (che strano!) che, regalandoci paesaggi mozzafiato e una visuale spettacolare su gran parte dei crinali che abbiamo valicato in questi gironi, ci conduce in poco più di due ore all’Eremo della Casella, dove Francesco passò di ritorno da La Verna, dopo aver ricevuto le stigmate. Il luogo si può definire con un solo aggettivo: Incantevole! L’eremo sorge su uno spiazzo erboso baciato dal sole e completamente circondato da alberi maestosi ed antichissimi. Entriamo nella minuscola cappella e visitiamo il rifugio dei pellegrini, davvero caratteristico. Ci sediamo sull’erba a fare merenda e a goderci il bel sole quand’ecco che Mauro scorge una macchia di pelo nell’erba. Si tratta di un tasso. L’animale è tutto raggomitolato su se stesso e anche quando diamo segno di avvicinarci rimane fermo immobile. E’ evidente che la bestiola non sta bene e infatti, giunti accanto, ci accorgiamo che ha il muso gonfio, gli occhi chiusi e un sacco di mosche che gli ronzano intorno. Decidiamo di chiamare la forestale ma ci risponde il comando di Siena: ci promettono di arrivare però è chiaro che al tasso spetta una lunga agonia. Noi non possiamo fare altro: dispiaciuti all’inverosimile, lasciamo una ciotola d’acqua vicino all’animaletto e continuiamo lungo il nostro sentiero.
Dall’eremo in avanti è una lunga e dolcissima discesa che noi interrompiamo solo per la solita sosta al bar di un minuscolo paesino e per un’altra pausa, più lunga, per pranzare. Consumiamo i nostri panini sul prato di una piccola chiesetta a Colle di Fragaiolo, ennesimo posto da cartolina. Mentre ci riposiamo, il dottor Mauro mi dà qualche lezione di rianimazione: mi insegna a fare il massaggio cardiaco mentre il povero Giovanni fa la parte del manichino. Ridiamo come matti ed è troppo bello giocare come fanno i bambini!
Riprendiamo poi la discesa verso Caprese Michelangelo, città natale del celeberrimo artista italiano. Oggi due amici di Mauro lo raggiungono in paese per pranzo per festeggiare il suo compleanno. Incontriamo i due ragazzi lungo la salita verso Caprese e, fatte le presentazioni, andiamo tutti insieme a mangiare in un ristorante di lusso: altro che “menù del pellegrino” a cui ci eravamo abituati. E altro che astinenza e penitenza! Per noi tre, pellegrini anomali, continuano i vizi e le abbuffate e oggi superiamo il limite con questo doppio pranzo! Gli amici di Mauro, due tipi simpatici e allegri come lui, alla fine tirano fuori persino una torta di compleanno per il festeggiato, con tanto di candeline! Abbiamo tutti un sorriso da un orecchio all’altro e mentre guardo Mauro che soffia sulle fiammelle con l’aria beata di un fanciullo (aria che tante volte gli ho visto addosso), non posso fare a meno di pensare che non è da poco avere degli amici che attraversano due regioni per venire a farti gli auguri. E se Mauro può vantarsi di questa fortuna è semplicemente perché se la merita grazie al suo animo generoso e a alla sua grande capacità di voler bene. Ha sempre sorrisi e parole buone per tutti, Mauro. Io, se fossi partita da sola, non sarei mai stata capace di legarmi ad altri due pellegrini come ha fatto lui con noi. Avrei pensato che sarei stata meglio da sola in mezzo alla natura e nel frattempo mi sarei persa un’enorme ricchezza: quella di incontrare dei nuovi amici. Proprio per colpa del mio pericoloso “mi basto da sola” a momenti mi stavo per perdere anche quel pellegrino chiacchierone incontrato sull’autobus da Forlì a Dovadola!
Finito di mangiare Mauro rimane ancora un po’ con i suoi amici mentre io e Giovanni cerchiamo il rifugio. Nel frattempo sono arrivati anche i miei genitori, scesi fin quaggiù per recuperarci: il percorso per noi è ormai giunto al termine. Nel frattempo però sono andati all’agriturismo che hanno prenotato. Al rifugio io e Giò troviamo Marco e Stefano, i due pellegrini incontrati ieri sera. Il posto non è un granché, anzi a dirla tutta la stanza non è neanche tanto pulita, ma stanotte è l’ultima notte e i pensieri sono altrove. Il cielo sembra aver compreso la nostra tristezza perché si annuvola e inizia a piovere, forse per renderci meno difficile lasciare il Cammino. Anche il piede mi fa più male del solito e mi si è pure infiammato un callo. Manca ancora la tappa di domani ma il viaggio, con i suoi riti, i gesti, l’entusiasmo, è già finito. Stasera Mauro telefonerà al rifugio di domani per prenotare solo per lui.
Io e Giovanni ci laviamo e poi, sotto un cielo plumbeo, torniamo in centro a Caprese, senza saper bene cosa fare. Nessuno dice niente, conosciamo entrambi la tristezza che attanaglia i nostri cuori. Pensare che potremo riprendere l’avventura quando vogliamo, che ci sono ancora cinque tappe da vivere e che abbiamo fatto la promessa di concludere prima o poi quest’avventura, non ci è di nessuna consolazione. Aspettiamo i miei sotto la pioggia. Quando arrivano la tristezza, se possibile, aumenta ancor di più perché loro sono al prova definitiva che il Cammino è terminato. Anche il tentativo di far capire a loro quanto è stato bello ciò che abbiamo vissuto mi sembra impossibile, quindi ad un certo punto smetto di raccontare. Dopo un giretto per Caprese saliamo in auto con loro e la sensazione è stranissima: siamo trasportati dopo una settimana passata ad autotrasportare noi stessi e la nostra “casa” (lo zaino). Mentre beviamo qualcosa al bar, ma anche più tardi, durante la cena, non ho voglia di parlare e penso a quanto mi mancheranno le giornate mie, di Giovanni e Mauro, chiacchierose e silenziose insieme. Penso a tutte le cose a cui ho rinunciato in questi giorni, a tutti gli oggetti di cui sono stata in grado di fare a meno, a tutti i bisogni che improvvisamente non mi sono più sembrati così necessari (i capelli puliti, il cambiarsi d’abito o di scarpe, la tivù, preparare una cena decente e moltissimi altri). Per riuscirci mi è bastato pochissimo: solo pochi giorni e un modo nuovo di valutare le cose, basato semplicemente sui kg che sono in grado di portare sulle spalle. Ho usato questo sistema come metro di misura per distinguere il necessario dal superfluo. E mi sono accorta che il necessario ce l’avevo tutto con me: un paio di buone gambe, un sacco a pelo per dormire, la forza di un amico e soprattutto la presenza della persona che amo. Per camminare, su questi sentieri ma anche nella vita, non serve davvero niente di più.
DOMENICA 20 MAGGIO 2012 (27 km, 200 mt di dislivello)
Quando qualcosa finisce non c’è nulla da dire, ci sono solo forti emozioni. E scrivere di emozioni mi è quasi impossibile.
Il cammino di oggi, iniziato prima dell’alba, ci ha trasportati per vallate e campagne di una bellezza struggente e nonostante la pioggia che ogni mezz’ora veniva a darci un’inumidita, niente è sembrato meno bello, meno prezioso. Ci siamo volutamente lasciati ingannare dalla serenità delle ore che passavano, portando avanti i nostri passi come fosse stato un giorno qualsiasi, non l’ultimo, no. Abbiamo riso, sbuffato, mangiato, recitato il nostro energizzante rosario, ascoltato le barzellette sceme di Mauro, scattato foto. Una lunga tappa vissuta con l’intensità di tutte le altre. Dicevamo –sì- cose tipo: “Mauro stasera salutaci la Gutrud, se arriva”, ma fino all’ultimo istante non ci siamo voluti rendere conto che il nostro cammino, il nostro, quello del trio Elena-Giovanni-Mauro, era veramente concluso.
Finito di pranzare, davanti al bellissimo Duomo di Sansepolcro, Mauro mi ha messo in mano un rosario, anzi IL rosario, quello che tanto abbiamo fatto roteare attorno al dito in questi giorni. Non volevo accettarlo, era troppo per me: sapevo che l’aveva comprato a Gerusalemme. Ma poi l’ho preso perché desideravo con tutto il mio cuore portar via con me quel piccolo filo di perle di legno.
Abbiamo abbracciato Mauro, il nostro amico, e guardandolo allontanarsi pensavo che in quel piccolo ometto abbiamo trovato un vero pellegrino, uno che cammina seguendo alla perfezione le orme di San Francesco…
“Elena, il rosario è come una bacchetta magica, non toglie le distanze, né le difficoltà. Ma aiuta a superarle.” (Mauro)