I colori del Vesuvio
A Leopardi hanno ispirato riflessioni sul ruolo dell’uomo nell’universo, a me un più profano ‘Ma dove sono’? Di ginestre non c’è abbondanza sul Vesuvio: il giallo non si aggiunge alle tinte del monte. La vista da qui abbraccia tutto il golfo e, come se non bastasse, la costiera amalfitana e ben tre isole: una sfida per il grandangolo di qualsiasi macchina fotografica. E’ l’immagine da cartolina, conosciuta pure a Tokyo, incorniciata però dai ramoscelli spelacchiati di un albero tenace, anziché dal pino o dal limone. Che contrasto fra questo marrone e il blu del mare, fra l’assenza di vita del vulcano e la densità abitativa del napoletano. Finalmente siamo in cima. I flash scattano come ad una sfilata di moda; tutti in posa davanti al cratere: la bestia è stata domata. Certo la foto ricordo verrebbe molto meglio se sullo sfondo ci fosse una colata lavica: il turista deve accontentarsi di un paio di fumarole. Prima di fare ritorno, gli scalatori si godono il successo: una coppia improvvisa un picnic sul bordo del cratere, un’altra si stende su un telo a prendere il sole, un ragazzino scrive frasi romantiche col bastone sulla sabbia – un ‘ti amo’ infuocato davvero. L’aria festosa viene interrotta da uno scoppio improvviso: il cielo si riempie di fumo, i volti si turbano e scappa qualche grido di paura. Servono alcuni secondi per capire: non stiamo per saltare in aria, era solo un fuoco d’artificio.
La discesa è ripida e al pericolo caduta sassi si aggiunge il pericolo caduta persone. Raggiungiamo incolumi l’ingresso, restituiamo i bastoni all’anziana coppia e ci rimettiamo in auto. C’è chi durante la scalata ha proposto ironicamente di raccogliere spazzatura nel cratere del vulcano: un inceneritore naturale, più funzionante di certi termovalorizzatori. La discesa dal monte mitico segna il ritorno alla realtà: non è solo la natura ad essere estrema in questi luoghi.
Lorena Di Nola