I colori del Vesuvio

Di lui hanno scritto Goethe e Leopardi: raccontare il Vesuvio sarà in salita, come la visita
Scritto da: Lorena Di Nola
i colori del vesuvio
Partenza il: 25/04/2008
Ritorno il: 25/04/2008
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
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Di lui hanno scritto Goethe e Leopardi: con precedenti tali, raccontare il Vesuvio sarà in salita, come la visita. La combinazione di reminescenze letterarie, grado zero della natura, storia quasi divenuta mito avrebbe dovuto spingermi a scalare il vulcano molto prima. Ci sono passata davanti migliaia di volte; ha sempre marcato l’orizzonte per me, casertana. Le pendici del monte sono verdi e ospitano un museo di arte contemporanea all’aperto: perfetto intrattenimento quando si è in coda. L’idea dovrebbe essere copiata in parecchi tratti della nostra rete autostradale. Gli autisti incolonnati si improvvisano parcheggiatori, agitano le mani fuori dai finestrini e danno consigli di guida; c’è chi, temerario, scende dall’auto per dirigere il traffico: manca solo il fischietto. La scalata in macchina si rivelerà più stancante di quella a piedi. All’inizio del percorso una coppia di anziani distribuisce bastoni di legno agli scalatori improvvisati. In salita i bastoni sembrano un simpatico orpello: c’è chi li usa a mo’ di spada in una foto ispirata ai tre moschettieri, chi ne fa un’arma per catturare una lucertola. E’ nella discesa – abbastanza ripida da lasciare a molti un livido come indesiderato souvenir – che se ne scopre l’utilità. La salita si snoda su un percorso racchiuso da staccionate in legno: da alcune angolature il tracciato ricorda la muraglia cinese. La terra è nera, bruciata, o rossa, carica di ferro: sembra quasi un paesaggio marziano, privo di acqua, finché non ti giri e alla tua destra compare la distesa blu interminabile del Mediterraneo. Un cartello solitario troneggia sulla fiancata del monte; coperto di polvere e circondato da sassi e lapilli di ogni forma, ricorda il pericolo caduta massi. Per l’altro pericolo, quello dell’eruzione, non si sprecano cartelli.

A Leopardi hanno ispirato riflessioni sul ruolo dell’uomo nell’universo, a me un più profano ‘Ma dove sono’? Di ginestre non c’è abbondanza sul Vesuvio: il giallo non si aggiunge alle tinte del monte. La vista da qui abbraccia tutto il golfo e, come se non bastasse, la costiera amalfitana e ben tre isole: una sfida per il grandangolo di qualsiasi macchina fotografica. E’ l’immagine da cartolina, conosciuta pure a Tokyo, incorniciata però dai ramoscelli spelacchiati di un albero tenace, anziché dal pino o dal limone. Che contrasto fra questo marrone e il blu del mare, fra l’assenza di vita del vulcano e la densità abitativa del napoletano. Finalmente siamo in cima. I flash scattano come ad una sfilata di moda; tutti in posa davanti al cratere: la bestia è stata domata. Certo la foto ricordo verrebbe molto meglio se sullo sfondo ci fosse una colata lavica: il turista deve accontentarsi di un paio di fumarole. Prima di fare ritorno, gli scalatori si godono il successo: una coppia improvvisa un picnic sul bordo del cratere, un’altra si stende su un telo a prendere il sole, un ragazzino scrive frasi romantiche col bastone sulla sabbia – un ‘ti amo’ infuocato davvero. L’aria festosa viene interrotta da uno scoppio improvviso: il cielo si riempie di fumo, i volti si turbano e scappa qualche grido di paura. Servono alcuni secondi per capire: non stiamo per saltare in aria, era solo un fuoco d’artificio.

La discesa è ripida e al pericolo caduta sassi si aggiunge il pericolo caduta persone. Raggiungiamo incolumi l’ingresso, restituiamo i bastoni all’anziana coppia e ci rimettiamo in auto. C’è chi durante la scalata ha proposto ironicamente di raccogliere spazzatura nel cratere del vulcano: un inceneritore naturale, più funzionante di certi termovalorizzatori. La discesa dal monte mitico segna il ritorno alla realtà: non è solo la natura ad essere estrema in questi luoghi.

Lorena Di Nola



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