Capodanno a New York

Un viaggio padre e figlia alla (ri)scoperta della Grande Mela
Scritto da: ShareTheWorld
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Il nostro viaggio indimenticabile nella Grande Mela

Uno dei giorni più attesi dell’anno è, probabilmente, la notte di San Silvestro. Per lunghi mesi fervono i preparativi su dove andare o cosa fare. Gettarsi alle spalle giornate negative, conservare nel cuore immagini di teneri ricordi e sognare nuove avventure: questo significa aspettare il nuovo anno. E poi ci sono io, fuori dall’ordinario, che è solita passare questa notte con la propria famiglia, assistendo al concertone in TV. Uno sguardo ai fuochi d’artificio, qualche augurio di circostanza, e sono già pronta per la prima dormita dell’anno.

“Papà, mettiamo la sveglia in coincidenza con la mezzanotte americana? Guardiamo i festeggiamenti in diretta da New York. Affare fatto. Ci addormentiamo e verso le 5 del mattino suona la sveglia. Carichiamo velocemente lo streaming e anche noi siamo pronti per fare il countdown. 3, 2, 1…ed un’esplosione di coriandoli ricopre il nostro schermo.

“Papà, che ne dici di trascorrere il prossimo capodanno a lì?”. Una stretta di mano a rendere ufficiale quel patto, chissà se verrà rispettato. Ma io sono testarda e quando voglio una cosa faccio di tutto per ottenerla. Di quella promessa non me ne sono affatto dimenticata. Passano i giorni e fingiamo che quelle parole non siano mai state pronunciate fino a quando non arriva la festa del papà. Nessun oggetto appoggiato sul tavolo da pranzo. Solo un foglio color giallo con al centro una nostra foto di quando ero piccola ed una di quando mi sono laureata. Quelle due foto, passato e presente, come a ricordare che lui c’è sempre stato, anche quando le urla facevano più rumore dei battiti del cuore. Il papà c’è sempre. Ed io per lui ci sarò sempre.

 

Un biglietto per due per New York

 

Poi apri quel biglietto e vedi noi due sorridenti sul Ponte di Brooklyn: “Alza l’immagine per trovare il tuo regalo”. Sotto di essa una semplice domanda: capodanno a New York, solo tu ed io, che ne dici? Volete sapere la sua risposta? Nessuna…non aveva capito che dovesse sollevare la fotografia. Tipico di papà.

Il tempo passa ed io non ho ancora nessuna risposta. Io rimango della mia idea, lui tace. Fino a quando non decido di prendere in mano la situazione e metterlo alle strette: “Che vogliamo fare allora?”. Prende coraggio e risponde con un timido sì. Per poi aggiungere “ma perché non facciamo venire con noi anche la mamma?”. Insomma, di farsi un viaggio solo con me proprio non ne voleva sapere.

Forse poco convinto che avrei veramente fatto la mossa, mi dà l’ok per iniziare ad organizzare il viaggio. Pochi istanti dopo avevo tra le miei mani biglietti aerei e una prenotazione d’hotel. “Mi sa che mi sono cacciato in un bel guaio”. E non vi nego che sia rimasto di quel pensiero fino ad un minuto prima di salire sull’aereo. Ma ormai non si poteva più tornare indietro.

Nei mesi che precedevano la partenza, la nostra nuova casa era diventata il negozio di abbigliamento sportivo. Dovevamo arrivare preparati al grande freddo e così ci siamo attrezzati con giacche, indumenti e cerotti termici, cappelli e guanti.

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Giorno 1 – Volo Milano – New York

Quando il mattino del 28 dicembre mi sveglio e vedo la valigia accanto alla porta, capisco che il mio sogno è finalmente realtà. È ora di mettersi in auto in direzione dell’Aeroporto di Milano Malpensa.

Lasciamo la nostra vettura al parcheggio custodito, un pranzo veloce prima di recarsi al banco check-in e siamo pronti per iniziare i vari controlli aeroportuali. Finalmente è il momento di imbarcarsi. Guardo papà e mi emoziono. Una volta a bordo mi accorgo di avere la posizione privilegiata, quella dei sognatori: lato finestrino.

Il viaggio mi è sembrato interminabile, il puntino sullo schermo sembrava non muoversi mai ed io non riuscivo ad addormentarmi. “Ci stiamo preparando per l’atterraggio all’aeroporto JFK di New York”: la frase più bella che si possa sentire. È sera quando l’aereo sorvola la città. Le luci ci accolgono. Siamo arrivati!

Prima di giungere in hotel dobbiamo fare il solito controllo passaporti. Una fila lunghissima di persone provenienti da tutto il mondo ci attende. Ci accodiamo anche noi. È il nostro turno, qualche domanda di rito e poco dopo con il sorriso sul volto la guardia ci esclama “have a nice holiday”. È fatta! Recuperiamo le nostre valigie e saliamo sul taxi. “Preferite la strada panoramica o la più veloce?”. È stata una scelta abbastanza sofferta, ma eravamo troppo stanchi per gustarci la città.

Dopo circa 40 minuti di viaggio eravamo in hotel, pronti a dare la buona notte a New York.

Giorno 2 – Trump Tower e MOMA New York

La nostra vacanza inizia alla ricerca di Starbucks. Avevamo letto che era a pochi metri dal nostro hotel, eppure non riuscivamo a trovarlo. “Papà, andiamo sulla 5th Avenue, così facciamo colazione alla Trump Tower”. Volevamo iniziare alla grande! Terminato il nostro cappuccino ci incamminiamo verso una piovosa Times Square. Ci rimaniamo per poche ore, giusto il tempo per far sì che aprisse il MOMA. Passiamo circa due ore al suo interno: tra opere “surreali” (come una dentiera o una gamba che esce dal muro) e altre che hanno fatto la storia (come La notte stellata di Van Gogh, Les demoiselles d’Avignon di Picasso o Gli orologi molli di Dalì).

Ma papà non sembra esserne molto entusiasta. Lasciamo il museo e ci dirigiamo verso Grand Terminal Station. Si dice che, per uno strano gioco, al suo interno ci sia una galleria acustica: se due persone si pongono gli angoli estremi di essa, si possono udire chiaramente le parole sussurrate all’altro. Ci abbiamo provato, ma credo che qualcosa sia andato storto. Con noi non ha funzionato! Dopo averci riprovato più volte ci siamo arresi e ci siamo diretti nell’atrio principale. Lì, alzando gli occhi al soffitto, potrete ammirare l’affresco raffigurante il cielo nel Mediterraneo: quel silenzio al cielo che fa a cazzotti con il caos ed il viavai che vi è all’interno.

Lasciamo a malincuore questo angolo di New York per incamminarci verso casa. Come sempre non so capire il navigatore e così, per percorrere un una quindicina di minuti, ci abbiamo messo il doppio. Allungando il percorso, involontariamente, verso Times Square. Proprio qui, nella zona più frequentati della città, sono riuscita a scivolare rovinosamente, cadendo su una grata. Non potete immaginare il dolore (durato poi più di un mese).

Arriviamo finalmente in hotel. Una doccia calda e possiamo dormire, domani sarà una giornata lunga.

Giorno 3 – Ecco dove passare il Capodanno a New York

La giornata inizia con una colazione alla Trump Tower (lo Starbucks a due minuti dall’hotel non l’abbiamo ancora trovato). Non abbiamo un vero e proprio programma per questa giornata. La città sarebbe stata presa dai preparativi, e noi, soliti ad andare a letto presto, non potevamo non aspettare la mezzanotte quindi era meglio non stancarsi troppo. Così abbiamo deciso di perderci tra le stradine del Central Park e rincorrere gli scoiattoli. Passiamo il pomeriggio a letto.

“Ma non usciamo?” chiede papà. Quello che non volevo partire e che ora non vuole perdersi neanche un secondo. Si fanno le 19 quando lasciamo la camera dell’albergo. Avevo deciso di passare la notte a Times Square, ma sapevo che era un’impresa ardua. Si parla di ore in piedi, al gelo, senza possibilità di andare al bagno. Ammetto che se fossi stata da sola avrei tentato questa follia (nonostante sconsigliata da tutti), ma avevo la responsabilità di un’altra persona, e così ho optato per una serata più soft. Ci siamo incamminati comunque verso Times Square. Insomma, non capita mica tutti i giorni di essere a Capodanno a New York! Forze dell’ordine schierate ad ogni angolo: poliziotti a cavallo, in auto, un’infinità di uomini lungo tutto il percorso ed elicotteri alzati in cielo. Solo questa immagine, difficile da descrivere, merita il viaggio!

Ci abbiamo provato anche noi ad incanalarci nella fila per l’attesa del countdown, ma bisognava sostare al Columbus Circles. In pratica non avremmo visto nulla, così abbiamo percorso la parallela a Times Square assaporando l’atmosfera, fatto brillare gli occhi di entusiasmo ed osservato quel caos ordinato. Dopo aver tentato, ovviamente invano, di trovare un piccolo buco da cui poter osservare la drop ball, siamo tornati davanti al Central Park.

E qui ci si è accesa una lampadina: le transenne erano posizionate esattamente di fronte la 7th Avenue. Da qui avremmo potuto vedere il lancio dei “confetti” (come chiamano loro i coriandoli). E invece niente, il poliziotto ci ha invitati ad allontanarci perché lì non ci si poteva fermare! Ci addentriamo in un buio Central Park. I turisti si spostano silenziosamente, timidamente e anche un po’ faticosamente.

Nessuno sapeva dove andare esattamente. Tutti seguivano tutti. Alla fine una grande folla ci accoglie per attendere il nuovo anno. 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1…happy new year!

Con gli occhi gonfi di lacrime un po’ per la gioia un po’ per le emozioni, osservo lo spettacolo di fuochi d’artificio. “Buon anno papà” rispondo a bassa voce cercando di nascondere la commozione. Ero a New York, solo con mio padre, a salutare l’arrivo del nuovo decennio. Il sogno è diventato realtà. Un ricordo che rimarrà per sempre dentro di me.

Tra le innumerevoli vetrine lungo la strada del lusso, vi era un led con la scritta “In your eyes I can see an eternity”, nulla di più vero se riflesso sulla Grande Mela.

Ritorniamo nella nostra stanza. È ora di dormire. Lasciamo far baldoria agli altri, noi preferiamo riposarci per l’indomani.

Giorno 4 – Trascorrere il Capodanno a New York

Ci svegliamo di buon ora e corriamo ad assaporare l’aria del nuovo anno. Ci siamo preparati così tanto per questo viaggio che ora era arrivato il momento di mixare le sorprese che ci eravamo fatti a vicenda. A pochi passi della drop ball vi è un piccolo Starbucks. La cosa carina è che ha una finestra che dà sul maxischermo raffigurante la bandiera americana.

Prendiamo un cappuccino, “niente brioche papà ci penso io” e dal mio zainetto tiro fuori due piccoli panettoni. Papà invece mi porge due candele con il numero 20. Ci siamo posti davanti alla finestra, il nostro panettone con sopra la candela e come sfondo la bandiera americana. Il nostro anno inizia così: con una piccola tradizione italiana, portata nella città dei sogni. Ci godiamo una Times Square semivuota, i “confetti” sono già stati raccolti quasi totalmente. Giusto qualche mucchietto di qua e di là quella con cui grandi e piccini ci giocano.

Abbiamo passato un paio di ore in questa zona. Si sentiva un’aria così particolare che non volevamo smettere di respirarla. Papà mi richiama all’ordine e mi ricorda che il nostro piano di viaggio è ancora fitto. Ci incamminiamo fino ad arrivare al nuovo centro commerciale dell’Hudson Yards: negozi di lusso la fanno da padrona, ma noi siamo lì per altro. Uscendo nel suo cortile si spalanca davanti a noi The Vassel, una struttura a forma di alveare. L’ingresso è gratuito ma necessita di prenotazione. Un sali-scendi, destra e sinistra, “papà vado di là”, “incontriamoci in cima”, è tutto quello che abbiamo trovato. Purtroppo le nuvole basse non hanno regalato una vista eccezionale sull’Hudson ed il vento pungente ci scaraventava quasi a terra. Eppure è stato tutto così divertente che ne è valsa la pena.

Ripercorriamo la strada al contrario. Un pranzo veloce da Wendy’s, poco distante da Times Square, e poi un piccolo riposino in camera. Sono le 5 quando prendiamo la metropolitana in direzione Downtown. Un viaggio di un’ora e un cambio: siamo finalmente arrivati nel quartiere di Dyker Heights. Una volta usciti dalla metro, svoltate subito a destra (lasciandovi al lato il bar) ed incamminatevi verso la zona più interna. Il mio consiglio è quello di non andarci soli, perché il buio ed il vuoto possono incutere un po’ di paura. Pian piano che ci si avvicina al centro le decorazioni natalizie fuori dalle case diventano sempre di più. Fino a quando non rimarrete accecati dalle fitte luminarie delle case. Uno spettacolo per gli occhi. Sembra di stare in un film. Eppure è una magica realtà.

Sorvolo di raccontare tutte le volte che ci siamo persi di vista perché le auto (più alte di me) coprivano le visuali di papà, evito anche di dirvi quante volte ci siamo chiamati a gran voce e di tutte le volte che non ci sentivamo a vicende perché il capello poggiava sulle orecchie e bloccava l’udito. Evito di raccontarvelo, ma in fondo la location calzava a pennello per questi momenti comici: nei film succede sempre, o sbaglio?

Riprendiamo la metro, siamo stanchi, ma una vetrina natalizia “ci prende in ostaggio”. Il tuo volto veniva fotografato e fatto apparire sulla finestra del negozio.

Torniamo in camera, è ora di chiudere gli occhi.

Giorno 5 – World Trade Center e Battery Park

In questi giorni abbiamo scoperto che Starbucks è davanti al nostro hotel, ma le impalcature lo nascondevano. Più avanti di pochi metri c’è Whole Food Market. Se paragonato ad altri supermercati questo appare essere più costoso, ma la qualità è ottima. Inoltre vi è un grande reparto in cui è possibile scegliere pietanze di vario genere (come una sorta di ristorante) e consumarle sul posto. Ma la chicca di questo supermercato è la colazione: cappuccino ottimo (nulla a che vedere con quello “commerciale” di Starbucks) e un muffin enorme, pieno di gocce di cioccolato. Per non parlare del prezzo, davvero conveniente.

Oggi non ci va di rimanere seduti a goderci il pasto e così con la nostra tazza bollente in mano, ci dirigiamo verso la metropolitana. Destinazione Wall Street. Quando scendiamo alla nostra fermate, nei pressi del Battery Park, il cielo azzurro ci accoglie. Proprio da qui partono i traghetti per Lady Liberty, la Statua della Libertà, ma noi questa volta abbiamo deciso di non visitarla. E con il senno di poi abbiamo fatto bene. La volta precedente in poco più di 30 minuti avevamo ritirato i biglietti, passato i metal detector e preso posto sul battello. Questa volta c’era una fila a serpente davvero troppo lunga. E per chi ha un itinerario fitto, non è il massimo. In ogni caso mi sento di consigliarvi di prendervi una giornata intera da dedicare alla visita della Statua della Libertà (unita a quella di Ellis Island).

Svoltato l’angolo, il famoso Charging Bull ci dà il benvenuto. Percorriamo una deserta Wall Street e ci rechiamo poi alla Trinity Church. Una visita molto veloce (a me personalmente ha deluso molto l’interno) e ci incamminiamo verso il World Trade Center. Ci immergiamo in un immenso complesso bianco a forma quasi di ala. Un centro commerciale “sotterraneo”, da dove partono anche i treni per il New Jersey.

Una volta terminata la visita, iniziamo con una passeggiata ed una preghiera accanto alle vasche costruite dove una volta sorgevano le Torri Gemelle. A pochi passi vi è un albero recintato. Durante l’attentato era stato dato per spacciato, eppure è ritornato a fiorire. Ci dirigiamo verso la scalinata che dà sulla piazza, e proprio qui rimaniamo affascinanti da un memoriale a basso rilievo in dedica ai vigili del fuoco caduti durante i soccorsi. Davvero toccante, sopratutto perché affiancato da un albero di Natale addobbato con le immagini di queste persone.

Dopo aver scattato qualche foto ci dirigiamo verso la Saint Paul’s Chapel of Trinity Church, rimasta intaccata dalla tragedia e per questo usata dalle forze impegnate per i momenti di pausa. Ci addentriamo e, dopo aver visitato la stanzetta in cui sono presenti cimeli dell’11 settembre, notiamo un gruppo di persone ricevere il pasto. Improvvisamente le porte si chiudono, sta per iniziare uno spettacolo a cui si può assistere raramente, per di più gratuitamente. Attendiamo una buona mezz’ora, lo show ha inizio! Sarà che noi di musica non ci capiamo nulla, ma quello spettacolo ci faceva davvero ridere. E chi mi conosce bene, sa che la mia risata è molto rumorosa: è meglio uscire. Lasciamo lo spettacolo a chi ne capisce di più e ci andiamo a rifocillare.

Sul lato posteriore della Chiesa, all’angolo, vi è un edificio in vetro. Recatevi al secondo piano ed optate per Shake Shack. Il prezzo del panino è senz’altro più alto rispetto quello di classico fast-food, ma la qualità è da leccarsi baffi. Ancora oggi sogno quel panino!

È quasi ora di visitare la Freedom Tower, detta anche One World Trade Center, ma prima di fare ciò ci rechiamo nel centro commerciale che c’è di fronte. Cercate il “parco” esterno, una magnifica vista sulla Statua della Libertà vi attende. Si è fatta ora. È il momento di passare i soliti e veloci controlli. Un’ascensore velocissimo (in 47 secondi percorre ben 102 piani) vi condurrà al view point. Una stanza in cui avrete la visuale a 360°. Da un lato avrete Lady Liberty e l’Hudson, dall’altro l’Empire State Building, Times Square e tutti i grattacieli della città. Siamo arrivati un’ora prima del calar del sole e devo ammettere che vedere quel panorama di giorno e di sera non ha prezzo. Una vera medicina per gli occhi.

Non avremmo mai voluto lasciare quella stanza, ma eravamo fuori casa da molte ore, la stanchezza iniziava a farsi sentire e dovevamo ancora visitare il Ponte di Brooklyn. Di sera è davvero incredibile. Ma vi consiglio di regalarvi una passeggiata anche con la luce del sole. “Papà, che ne dici se saliamo anche sull’Empire State Building? Il cielo è limpido”. Annuisce. Corriamo a prendere la metro, scendiamo poco distanti dell’edificio. In poco tempo siamo di nuovo in ascensore. “Un ascensore è rotto, se non volete attendere, potete salire a piedi, sono solo due piani” ci dicono.

Che vuoi che sia, ormai siamo abituati camminare. Si parte. Peccato che due piani non significhino 4 rampe, ma almeno una dozzina. Ci siamo, la vista ci ripagare di tutta la fatica della giornata. Quasi quasi ci rimango per l’eternità! “Ora però torniamo a casa, sono stanco e mi fanno male i piedi”, dice dolcemente papà. Lui che soffriva da tutto il pomeriggio, ma che taceva per rendermi felice.

Siamo quasi sulla 5th Avenue, ma io, “allergica” ai semafori rossi decido di prendere un via secondaria. Quando noto uno strano negozio: American Girl. Ne rimango estasiata e decido di entrare a visitarlo. Credo di non aver mai visto nulla di simile. Bambine che spiegano di quale patologia soffra la loro bambola e commessi in camicie bianco pronti a trascrivere una ricetta medica. Un vero ospedale a misura di bambola attrezzato con tutto il necessario: raggi X, sedie a rotelle, gessi e tutto quello che serve per curare i piccoli pazienti. Al lato opposto, il salone delle bellezze dove bimbe e bambole possono mettere lo smalto ed avere la medesima acconciatura. Al piano inferiore un piccolo bar (con ai tavoli, ovviamente, il seggiolino per la bambola) ed una riproduzione dell’evoluzione delle bambole nel corso degli anni.

Si è fatta proprio ora di tornare a casa.

Buona notte.

Giorno 6 – Guggenheim Museum e Rockfeller Center

Oggi ci prendiamo la giornata con più calma. Una ricca e lenta colazione ci dà il buongiorno. Ci incamminiamo verso il Guggenheim passando attraverso il Central Park. Non riesco proprio a star lontana da questo “polmone verde”. È come una calamita. Arriviamo in questo museo particolare (non vi sono stanze, ma solo lungo corridoio che sale girando su se stesso) e cerchiamo di trovare un quadro che ci possa affascinare. Amo l’arte ed i musei, ma quelli moderni proprio li capisco. Quando abbandoniamo il museo, si è fatta ora di pranzo. L’ennesimo panino ci attende!

Terminato il pranzo ci organizziamo per recarsi al festival delle luci a Randall’s Island. Purtroppo non è ben collegata con la terraferma, ma non ci diamo per vinti. Prendiamo la metro in direzione Harlem. Quando però usciamo, l’aria si fa molto pesante. Il quartiere è molto trasandato, i senza tetto sono ovunque ed è deserta. A tutto ciò dobbiamo aggiungere un clima poco ottimale (vento e pioggia). Ma continuiamo, non ci arrendiamo.

Chiedo a tutti dove fosse la fermata del bus. Ma più domandavo e più ci avvicinavamo ad una strada ad alta percorrenza. Insomma, nessuno sapeva darci informazioni. Così ci arrendiamo e cambiamo piano. Riprendiamo la metro e ci dirigiamo verso l’edificio dell’ONU, un’immensa struttura recintata. Mette quasi timore.

Ho una sorpresina in serbo per papà, anzi due. Proseguiamo lungo la strada fino a quando non siamo davanti alla porta di un bar diventato famoso per il film Serendipity. C’è troppa gente ad attendere di entrare e il locale è piccolo. Non ci va di perdere altro tempo. Ma papà era già felice così. Ci lasciamo il locale alle spalle e in un batter d’occhio siamo sulla Tramway, una funivia che in pochi minuti collega Manhattan con Roosevelt Island. Non abbiamo trascorso tanto tempo, anche perché ormai il sole era calato da molte ore, ma ci è bastato per ammirare l’ennesimo paesaggio spettacolare.

Prima di andare a dormire ci godiamo lo spettacolo di luci davanti al Rockefeller Center. Davvero sbalorditivo.

Giorno 7 – Shopping a New York

La nostra avventura sta volgendo al termine e sembra che anche il cielo se ne sia accorto, ma la voglia di vivere questa instancabile città prevale sulla tristezza. E così la nostra giornata inizia con una lunga camminata. Arriviamo al Madison Garden, ci siamo quasi. Eccolo: il Flatiron Building. Un edificio così particolare nella forma e nella storia. Si dice che nel passato, quando tirava vento, i newyorkesi evitassero di passarci accanto perché temevano che potesse cadere. Buffo, se pensiamo alle dimensione dei grattacieli che oggi troviamo in città!

Prendiamo per l’ennesima volta la metropolitana ed iniziamo a visitare prima Little Italy e poi China Town. Piccolo aneddoto divertente riguardo quest’ultimo quartiere: molti negozietti vendono profumi. Lavorando in una profumeria ho il vizio di cercare novità o di confrontare i prezzi, così mi sono avvicinata poiché incuriosita da nomi importanti. Il ragazzo, notato il mio interesse, mi informa che sul retro c’è una stanza con altri profumi. Ho pensato che fossero quelli di valore maggiore. Quando apre la porta, mi ritrovo davanti a un bagno con all’interno profumi sconosciuti. Ringrazio e saluto.

Iniziamo a camminare fino a quando non arriviamo all’ex ferrovia sopraelevata, l’High Line. La percorriamo lentamente, come se non volessimo far scorrere il tempo per paura di dover dire addio alla città.

È il momento di dare per l’ultima volta la buona notte alla città che non dorme mai. Ma prima passiamo la nostra ultima serata a Times Square. In totale silenzio, seppur circondato da mille rumori e voci. Prima di andare in camera ci concediamo una piccola deviazione al Brayant Park.

Giorno 8 – Goodbye New York

È l’ultima mattina, ma decidiamo di dire addio alla città a modo nostro: iniziamo a camminare senza una vera meta ma con l’unico obiettivo di scoprire angoli nuovi, lontani dalla calca. Dopo la lunga camminata decidiamo di fermarci in un parco lì vicino, ci accorgiamo poi di essere al Washington Park. Riprendiamo la metro verso l’Uppertown.

In questa settimana abbiamo camminato davvero tanto, e molte volte ci siamo ritrovati nei pressi del centro commerciale Macy’s, quello del film Miracolo sulla 34ª strada. All’interno potrete trovare una bellissima riproduzione delle principali scene del film con delle bambole. Dedichiamo ancora qualche ora alla visita di questo immenso centro commerciale (ogni volta scoprivamo reparti e piani nuovi).

Prima di tornare in hotel decidiamo di ripercorrere per l’ultima volta la 5th Avenue e di diventare, anche per un solo istante, Audrey Hepburn, visitando il negozio di Tiffany. Lì dove il lusso è sul polso di tutti e dove un elegante gentiluomo preme al tuo posto il numero del piano scelto in ascensore.

Dei ragazzi ci aprono la porta, “Goodbye”. Già, è ora di dire davvero “goodbye”. Riprendiamo le valigie, un taxi giallo ci attende. È ora di tornare a casa. Ma sappiamo già che questa non sarà la nostra ultima volta a New York.

A presto.

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