Alla scoperta della Mongolia

Dal Deserto del Gobi alla taiga siberiana, un viaggio nell'infinito
Scritto da: gio_4
alla scoperta della mongolia
Partenza il: 01/08/2015
Ritorno il: 15/08/2015
Viaggiatori: 8
Spesa: 3000 €
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L’estate scorsa abbiamo fatto un fantastico viaggio in Mongolia. In questo diario vorremmo raccontarvi la nostra avventura: prima gli aspetti pratici e organizzativi, che possono essere utili a chi vorrà fare la stessa esperienza, poi la descrizione dei posti magici che abbiamo visto.

Abbiamo fatto il viaggio in otto. Due famiglie di amici: quattro genitori e quattro ragazze/i dai 15 ai 21 anni. Quando abbiamo scelto la meta, sapevamo che, a differenza di tutti gli altri nostri viaggi, non avremmo potuto organizzarlo in autonomia: impossibile pensare di affittare un’automobile e guidarla da soli fuori dalle pochissime strade asfaltate. Non esistono indicazioni stradali e spesso non esistono neppure le strade: ci sono piste che una pioggia intensa o una tempesta di sabbia possono cancellare rapidamente.

Quindi ci siamo rivolti ad un tour operator italiano/mongolo e abbiamo noleggiato due Land Cruise con autisti (bravissimi!). Ci siamo fatti prenotare i campi ger per i pernottamenti, seguendo un itinerario che ci ha permesso di sfruttare al meglio le due settimane di tempo che avevamo a disposizione. Infatti, in tredici giorni siamo riusciti ad attraversare quasi tutta la Mongolia, percorrendola dalla capitale fino a sud, dove abbiamo raggiunto il deserto del Gobi, e poi risalendo verso nord fino alle zone dei laghi, al confine russo. Nella parte a nord avremmo preferito spendere meno tempo nelle cittadine (brutte e desolate) per guadagnare una giornata da trascorrere nei boschi, ma non è stato possibile effettuare questa modifica al programma prestabilito.

Abbiamo scelto di non farci accompagnare da una guida in quanto eravamo interessati soprattutto agli aspetti paesaggistici e naturalistici e per questi… basta guardarsi in giro. Inoltre in alcuni templi e nei musei della capitale ci sono guide locali ben preparate. Ci siamo documentati prima della partenza (guida Polaris per esempio) sia sulla storia del paese che sulle attuali abitudini di vita.

Moneta

La moneta è il tugrug, che non ha mercato fuori dalla Mongolia. Quindi bisogna portare gli euro e cambiarli in banca appena si arriva ad Ulan Bataar, in aeroporto. Tranne che nella capitale, quasi nessuno accetta la carta di credito, quindi bisogna regolarsi sui contanti a seconda dei pagamenti da effettuare. Al rientro si possono cambiare in aeroporto i tugrug avanzati.

Clima

Siamo stati molto fortunati per il clima perché abbiamo avuto un solo giorno di pioggia intensa, durante una tappa di trasferimento, e nel resto del viaggio sempre sole. Di giorno quindi abbiamo avuto un clima secco, come nelle nostre montagne in estate, mentre di notte più freddo. Nel deserto del Gobi la notte è stato sufficiente il piumino, che è presente in tutti i letti, mentre nel centro nord abbiamo sempre tenuto accesa la stufa nelle tende, almeno per buona parte della notte.

Per l’abbigliamento consigliamo quindi una giacca a vento e un pile pesante, oltre al classico abbigliamento a strati.

I mongoli

I mongoli sono gentilissimi. Abbiamo sempre incontrato persone estremamente disponibili, pronte ad aiutare e a cercare di soddisfare qualsiasi richiesta, nonostante la frequente difficoltà a comprendere la lingua. Non abbiamo mai avuto la sensazione di trovarci in situazioni sgradevoli o poco sicure, neppure nel black market, dove abbiamo girato accompagnati dai nostri autisti. Nella capitale abbiamo camminato con una guida e siamo rimasti nelle zone più centrali, ma anche qui ci siamo sentiti sempre tranquilli.

Medicine e vaccinazioni

Come certamente si legge quasi ovunque, fuori dalla capitale il servizio sanitario è praticamente inesistente, a parte qualche piccolo negozio di medicinali. Quindi è utile portarsi medicine per i disturbi più comuni e fare una assicurazione medica. Non ci sono vaccinazioni obbligatorie. L’ufficio d’igiene di Milano ci ha consigliato di fare l’antitifica e l’anti epatite A. Le abbiamo fatte entrambe e a posteriori siamo stati molto contenti di aver seguito tale consiglio.

Si legge in rete e su alcune guide che “è meglio non fare nulla”…Non sappiamo su che base scientifica si fondino tali consigli: noi abbiamo viaggiato in otto e tutti e otto abbiamo sofferto di disturbi gastro-intestinali, di intensità proporzionale a quanto mangiavamo. Non abbiamo mai consumato verdura cruda o latticini (che non sono quasi mai pastorizzati) e abbiamo sempre utilizzato acqua in bottiglia anche per lavare i denti. Nonostante queste precauzioni siamo stati tutti male in luoghi e tempi diversi, probabilmente per la scarsa igiene e per il modo di conservazione dei cibi, a cui non siamo abituati.

Cibo

I loro piatti consistono principalmente in carne (mucca, montone, yak) cucinata in vari modi e accompagnata da riso o patate. In alcuni market, nei centri più grandi, si possono trovare biscotti, cibi confezionati, della frutta e latte (forse) pastorizzato.

Da non dimenticare

Nel deserto del Gobi il sole è forte e quindi è bene ricordarsi una crema da sole adeguata, cappello o foulard e dei buoni occhiali da sole. Zampironi e spray anti insetti sono sicuramente utili la sera e la notte nelle ger, che spesso sono popolate da vari animaletti. Anche le normali candele sono molto utili sia per illuminare la tenda (quando tolgono la corrente) sia per allontanare gli insetti. Come protezione dagli insetti alcuni di noi hanno spesso usato il sacco-lenzuolo, anche se abbiamo sempre trovato la biancheria dei letti pulita, tranne che nell’albergo della capitale.

Bagni

Nei campi ger abbiamo sempre trovato i bagni (comuni) pulitissimi, le docce decorose (alcune con l’acqua calda, alcune con la luce, alcune con entrambe!).

I bagni pubblici in giro sono improponibili: buchi con tettoie e senza porta. Molto meglio abituarsi all’idea di un buon prato.

Alloggi

Abbiamo alloggiato quasi sempre in campi ger e quattro notti in alberghi/gesthouse. I campi ger sono come i nostri campeggi, dove, invece che nelle tende, si dorme nelle ger, con veri letti e una stufa al centro per le notti fredde.

I bagni e le docce sono in edifici separati mentre la colazione e la cena vengono serviti in ambienti comuni, che sono spesso costruzioni nello stile di una grande ger.

Direi che tra i campi dove abbiamo alloggiato, i migliori, per posizione e paesaggio circostante, sono stati sicuramente il Discovery II Ger Camp presso le dune del deserto a Khongoryn e il Khorgoo Ger Camp presso il vulcano Khorgoo.

Dal punto di vista dei servizi possiamo dire che sono stati più o meno tutti equivalenti. Per quanto riguarda gli alberghi, a Tsertserleg abbiamo dormito nella Fairfield Guesthouse, una guest house, carina, con un’atmosfera da ostello alternativo e soprattutto con una prima colazione molto consigliata! A Moron abbiamo alloggiato presso l’hotel 50/100. E’ un hotel piuttosto vecchiotto in stile sovietico trasandato ma con un buon ristorante. Probabilmente ci sono alberghi migliori: quello di fronte sembrava nettamente più nuovo.

A Erdenet abbiamo dormito nel Gold Hotel: da tener presente che c’è una differenza enorme tra le camere al piano terra e quelle al primo piano totalmente ristrutturate. In caso fatevi cambiare camera. Invece l’Hotel Kharaa a Ulan Bataar èvivamente sconsigliato. Camere sporche (in due letti ci siamo fatti cambiare le lenzuola) e un servizio molto discutibile per il prezzo pagato (150 dollari per notte per una camera doppia). Abbiamo dormito due notti: la prima mattina la colazione è stata decisamente scarsa, la seconda mattina, essendo arrivato un altro gruppo di turisti, hanno allestito un ricco buffet!

Voli

Abbiamo scelto l’itinerario via Mosca perché il biglietto era più economico delle altre soluzioni. Quindi nella tratta Milano – Roma – Mosca abbiamo volato con Alitalia/ Aeroflot e da Mosca a Ulan Bataar con Miat, la linea aerea mongola. Questo ultimo è stato un volo eccellente, con un aereo nuovo e pulitissimo.

Ora lasciamo spazio alla magia dei luoghi nella descrizione dettagliata di Ilario.

Quel giorno il Creatore nella sua tavolozza dei colori per dipingere il mondo doveva disporre solo del verde e dell’azzurro. Li rese vivi e luminosi e li calò su un territorio ampio cui donò la prospettiva dell’infinito, talora arginata da profili lontani che ne dimensionassero la vastità. Poi vi collocò decine di milioni di cavalli, capre, yak e cammelli e una razza esigua ma forte di uomini amanti del vento e della libertà. Questa in estrema sintesi la Mongolia. Ma cominciamo con ordine.

1° giorno: Ulaanbatar – Kharkhorin

Abbandonata la capitale, vorticoso cantiere a cielo aperto che affianca grattacieli a residui del passato sovietico, ci dirigiamo verso Kharkhorin, l’antica Karakorum capitale dell’impero mongolo, e ci immergiamo velocemente in un dolce ambiente di praterie ondulate.

Cominciamo fin da subito a cogliere i tratti caratteristici del paesaggio mongolo. E non solo. Il primo pasto lo consumiamo presso una “trattoria” locale. Sopravviviamo con un piatto a base di pollo ma la “toilette” – una serie di fosse parzialmente aperte verso l’esterno – ci “inizia” a consuetudini un po’ lontane dalle nostrane.

La strada è asfaltata ma piena di buche. Finalmente raggiungiamo una bella piana nella quale sorge Kharkhorin. Domina con le sue mura intervallate da decine di stupa il complesso monastico di Erdene Zu. Il perimetro di cinta è la parte meglio conservata. All’interno vi sono alcuni templi ben conservati ma la maggior parte sono stati distrutti. È il primo contatto con il buddismo che sta vivendo una fase di forte rinascita dopo la caduta del comunismo. Avremo poi occasione di verificarlo meglio.

Di fatto nessuna traccia dell’antica Karakorum, effimero centro dell’impero, andata distrutta nel lontano 14° secolo. Bisogna visitare il museo per averne un’idea e iniziare a raccogliere qualche elemento sulle origini di questo popolo.

2° giorno: Kharkhorin – Ongii

Da Kharkhorin ci spostiamo verso Ongii. La competenza geografica dei nostri accompagnatori ci consente di attraversare direttamente la steppa lungo piste non segnate che talora sembrano immaginarie, create sul momento dall’auto su tappeti erbosi verso riferimenti astratti. Da soli non saremmo in grado di andare da nessuna parte. Non ci sono cartelli né potrebbe aiutare la carta.

Pranziamo in mezzo alla steppa con tanto di tavolo da picnic e seggiolini. Ma non siamo soli. Qua e là occhieggiano le bianche gher dei nomadi e gruppi di cavalli e di capre dal prezioso velo di kashmir fanno da contorno.

Lo spazio si dilata coperto da un cielo turbinoso che regala con colonne d’acqua e correnti in quota sfumature cromatiche altamente suggestive. Foriamo. E così i drivers ci concedono due passi mentre cambiano il pneumatico. Un vento improvviso ci copre di polvere e toglie ogni visibilità. Avevo letto di tempeste impreviste nel deserto del Gobi. Ma il Gobi è ancora lontano…

Lasciamo l’alta steppa e scendiamo verso Ongii, un’oasi protetta da modeste colline rocciose adagiata lungo l’omonimo fiume. Come il giorno precedente – e come la maggior parte dei futuri – dormiamo in un campo gher. Le tende dei nomadi adattate ai turisti ci accolgono.

3° giorno: Ongii- Bayanzag

Visitiamo di primo mattino i resti del monastero di Ongii. Qui il comunismo ha cancellato quasi tutto e il piccolo tempio restaurato è la traccia del sentimento religioso in ripresa con la libertà acquisita dai russi nel 91. Varcate le colline, si apre una piana sconfinata e semidesertica. In alcuni punti rilievi sgretolati dall’erosione diffondono tonalità rossastre di sapore western. Lo scenario varia e rimane sempre immenso. Talora aperto a 180° senza confini, talora perimetrato da contorni lontani di catene montuose. Ecco un gruppo di cammelli annunciare l’ingresso nel Gobi. Sono domestici ma, in linea con lo spirito del luogo, si autogestiscono in piena autonomia. I fuoristrada saettano sul terreno poco petroso e spesso si muovono in parallelo a distanza di qualche centinaio di metri, contaminati dal senso di libertà che domina ogni sensazione.

Le accese rupi di Bayanzag si profilano all’orizzonte. Arriviamo abbastanza presto al campo. Tanto da avere il tempo di pranzare e recarsi a visitare le rupi. Colori, pinnacoli e scorci spettacolari ci riportano alla memoria le fantastiche bizzarrie morfologiche dello Utah. Ma il terreno ricco di reperti fossili di dinosauri ci regala anche uno spazio da piccoli paleontologi. Così ci ritroviamo a ripulire con attenzione e grande emozione un resto fossilizzato di protoceratopo. Almeno così decifriamo l’inglese poco esperto del nostro driver. Magari con il protoceratopo c’entra poco. Resta la sicurezza di un contatto reale con un mondo scomparso.

Torniamo per il tramonto a piedi – dal campo circa un paio di chilometri. Le pareti fiammeggianti andrebbero viste da un’altra prospettiva. Ci accontentiamo così come pasteggiano contente le zanzare che affrettano il nostro ritorno…

4° giorno: Bayanzag – Khongorin

Ci addentriamo nel cuore del deserto del Gobi dirigendosi verso le gole di Yolim. Dopo qualche decina di chilometri approdiamo su uno spalto da cui si gode una bella vista sulle montagne… Sotto ci attira un luccichio. Con incredulità vediamo che si tratta di ruspe e di presse. I cinesi – cosi ci dicono – stanno costruendo una strada all’interno del parco per collegare una miniera di carbone. La vorace macchina cinese alla perenne ricerca di energia avanza senza scrupoli. Speriamo che la Mongolia sappia tutelare il proprio patrimonio. Francamente ci resta più di qualche dubbio.

A piedi ci addentriamo nelle gole. Per incanto un angolo alpino si apre dinanzi a noi. Prati verdeggianti, ruscelli, fino a raggiungere uno stretto imbuto. Superato sulla destra l’usuale mucchio di sassi con qualche pezzo di sciarpa azzurra proiettato verso il cielo – un ovoo – (un mongolo ci ringrazia per il rispetto del loro credo che impone il giro in senso orario), arriviamo in uno dei punti più angusti e oscuri. Come annunciato – ci credevo poco – un angolo di inverno intatto: neve ghiacciata in pieno deserto!

Rientriamo per proseguire. I nostri esperti autisti – meglio guide – ci fanno percorrere una pista alternativa che seguendo un ruscello e insinuandosi in un’altra gola supera le montagne e riemerge sul tavolato. La meta del giorno è la zona di khonghorin, l’area di erg più vasta del Gobi lunga circa 140 chilometri e larga da 4 a 6.

Poco dopo la vediamo in lontananza e poi l’affianchiamo per lungo tempo. Il paesaggio è da fiaba. Una lunga valle contornata da montagne e da questa lunga cresta dorata che si erge per centinaia di metri verso l’alto.

Un terreno talora sabbioso, talora punteggiato di sparuti pianticine. Quel che basta per non dimenticare il verde e per alimentare un po’ di cavalli e quindi le immancabili ger all’orizzonte.

Poco prima di Khongorin l’ambiente diventa surreale e ci obbliga a una sosta. E’ il tratto forse più spettacolare dell’intero viaggio. Il parco di Guvarsaikhan è un gioiello di rara bellezza e il Gobi, che molti definiscono inospitale, evidentemente indossa il vestito della festa.

Al campo prendiamo i cammelli e ci addentriamo nelle dune alle calde luci del tardo pomeriggio.

5° giorno: khongoryn – Ongii

​Ci attende la salita delle dune più alte. Un muro di circa 200 metri. Sfruttando le analogie con la neve cerchiamo il sopravento. Ma la sabbia non è dura e la salita piuttosto faticosa. La lunga dorsale d’ocra perfetto si allunga verso est. A sud tavolati e montagne, verso il confine cinese, e la cosiddetta Mongolia esterna. A nord montagne dai fianchi pennellati dall’erosione. Gustiamo il panorama il più a lungo possibile e poi ci lanciamo in una discesa fatta di salti e, per i più giovani, di capriole. Ci vuole un po’ di tempo per liberarsi da tutta la sabbia. In ogni caso grande soddisfazione ed entusiasmo sia per le splendide viste che per la prestazione sportiva.

Attraversiamo il tavolato e per un passo le montagne fino a riportarci sulla via verso Ongy, già percorsa. I rari villaggi, come Mandaloovo sono agglomerati di tende, qualche casa e qualche resto – soprattutto gli edifici pubblici – di matrice chiaramente sovietica. Curiosamente le gher e le case tutte protette da steccati. Nella steppa non è necessaria la privacy… ma in “città”…

6° giorno: Ongii – Tseserleg

Si parte verso nord-ovest. Riattraversiamo le splendide steppe tra Ongy e Kharkhorin. Man mano che proseguiamo si incrementa la presenza di gher e soprattutto di animali. Oltre 40 milioni di cavalli, capre, pecore, yak e cammelli popolano queste lande sconfinate. Riuniti in gruppi omogenei, talora mescolati, scorazzano per la prateria e spesso ci costringono a fermarci per farli transitare. I cavalli sono i veri protagonisti della steppa e quando li vediamo correre con le criniere al vento ne sembrano incarnare lo spirito più autentico. I mongoli, pur ancora innamorati del loro tradizionale compagno, stanno cedendo al “fascino” delle moto cinesi. Gliele vendono per qualche centinaio di euro e le usano finchè funzionano. Non è raro vedere interi gruppi familiari – fino a 5 persone – a bordo di questi nuovi mezzi.

Ne approfittiamo per visitare una famiglia nomade. La ger all’interno è abbastanza accogliente, ovviamente con solo l’essenziale ma non manca ovviamente il televisore. Sappiamo che ci costerà un assaggio di latte fermentato di giumenta- il tradizionale airag. Vale però la pena affrontare la prova per cogliere qualche autentico momento della loro ospitalità e del loro modo di vivere.

Pranzo nella trattoria di una piccola località. Sopra una decina di pali infissi nel terreno, altrettante aquile a riposo ci danno il benvenuto. Il cielo è popolato da diverse specie di falchi, avvoltoi e rapaci.

Verso Tseserleg riusciamo a vivere la parte terminale di un Naadam locale – in realtà una sorta di allenamento della scuola del posto. La caratteristica corsa di cavalli è riservata ai bambini. Una prova di coraggio e di resistenza, oggi “addolcita” rispetto al passato. Incredibili i volti grintosi di questi piccoli “atleti” impegnati a superare 6 chilometri. Orgogliosi li osservano adulti e anziani nei loro costumi tradizionali. In questo sembra sopravvivere lo spirito di Gengis e non meraviglia l’epopea di cui furono protagonisti.

Ripartiamo. Non ci sfuggono sui crinali delle colline i primi alberi. Annunciano l’imminenza del nord , con le sue foreste di conifere e l’approssimarsi della taiga siberiana

7° giorno: Tseserleg – Tsagaan nur

E’ un tappa non lunga. Così possiamo vedere con calma il monastero/museo locale e raggiungere – finalmente su buona strada asfaltata – il parco di Tsaagan. Il protagonista è il vulcano Khorgo. La zona è una delle più frequentate dai turisti mongoli. La salita a piedi al cratere richiede una mezz’oretta. Bel panorama, ricco di colori, anche se non è uno e posti che ci colpisce più intensamente.

Ci colpiscono purtroppo i rifiuti abbandonati anche all’interno del cratere , considerato luogo sacro. Ne abbiamo notati tanti – vetro di vodka e bottiglie di plastica – lungo le piste nella steppa e poi dispersi dal vento. E’ un problema che il governo dovrebbe cercare di affrontare. Gli spazi sono immensi ma l’aumento del tenore di vita e – purtroppo – una totale mancanza di senso civico in questo ambito rischiano di compromettere l’integrità di questo bellissimo territorio.

Passiamo la notte in una valle densa di atmosfera. E’ piena estate. I nomadi, dopo aver ricondotto gli animali nelle vicinanza della gher, godono fino a tardi il tepore – anche se di notte la temperatura scende fin verso lo zero – e i cani in lontananza dialogano rumorosamente per l’intera notte.

8° giorno: Tsagaan Nur – Moron

Si parte di buon mattino. Ci attendono piste non facili in una zona montuosa per raggiungere il centro di Moron. Lo spettacolo del lago Bianco ci rammenta scenari da grande nord e la molteplicità di “stupa” sciamani sulle rive testimonia l’intensità del rapporto mistico con la natura.

La pista si snoda attraverso boschi, colli, vallate, angoli deliziosi di natura più simili alle nostre montagne e profondità che ci riportano alle vastità proprie degli altopiani asiatici. Superiamo diversi passi di poco superiori ai 2000 metri. Siamo oramai provati dalle diverse ore quotidiane passate in auto con continui sobbalzi. Nonostante ciò ancora vogliosi di fermarsi a contemplare e cercare di memorizzare il paesaggio circostante vario e altamente suggestivo. Moron non è dissimile da altre cittadine. Nel nord e nei centri urbani sempre più casette di legno dai tetti colorati. Anche così ci si aiuta a dimenticare il grigiore comunista.

9° giorno: Moron – Lago Khovsgol

E’ il luogo più amato dai mongoli. Alcuni la chiamano la Svizzera mongola. Un lago lungo oltre cento chilometri di acqua cristallina, potabile. Intorno montagne coperte di boschi e lontano a nord la catena del Sayan che segna il confine con la Russia siberiana.

Qui i mongoli placano nella contemplazione delle acque del lago ogni turbamento. Indubbiamente un luogo splendido dove anche riposare e fare una bella passeggiata a piedi piuttosto che a cavallo. Non riusciamo a organizzare un giro sulle vicine montagne immaginando il panorama mozzafiato che sicuramente regalano. Forse una maggiore analogia con i nostri ambienti, forse la crescente stanchezza non creano però l’effetto di altri luoghi. E’ comunque il coronamento di un percorso geografico e non solo che ci ha portati dalla natura grandiosa e solitaria del sud semi-desertico al verde immenso delle steppe centrali per finire ai confini della taiga siberiana.

10° giorno: lago khovsgol – Moron

Mattino dedicato a una lunga passeggiata nonostante il tempo bruttarello. Partenza nel pomeriggio per Moron. A causa di problemi con una delle due jeep impieghiamo parecchio tempo. Arriviamo comunque presto a Moron dove visitiamo il mercato locale. Nulla di interessante.

11° giorno: Moron – Erdenet

Inizia il lungo ritorno a Ulaanbatar. Il tempo piovoso non aiuta a cogliere le bellezze di questo tratto. Una buona strada asfaltata che consente di raggiungere abbastanza rapidamente la brutta cittadina di Erdenet, ove permane qualche traccia della colonizzazione russa. Ci ritroviamo nel primo pomeriggio già sistemati in un hotel. Ripianificando il viaggio opteremmo per una modifica che consenta di passare almeno 2 notti in una stessa località. Khovsgol piuttosto che il Gobi. Le cittadine mongole non offrono molti elementi di interesse o distrazione.

12° giorno: Erdenet – Ulaanbatar

Il giorno del rientro. Ha piovuto e le piste sono infangate. La prevista escursione fino al monastero di Amarbayagalant – il più vivo della Mongolia – sembra compromessa. Insistiamo un po’. I nostri autisti decidono di provare. Ci inoltriamo nella steppa non senza difficoltà assieme a un vero esercito di mongoli motorizzati. Dalle auto ai camioncini con dentro gher, famigliola e tanto di caprette.

Non lo sapevamo. È una tre giorni di feste sacre attorno al tempio. Una vera e propria tendopoli si sta organizzando. Riusciamo così a cogliere un autentico momento di festa e di preghiera dei monaci con i caratteristici strumenti e le iterative litanie. Un segno di devozione del popolo tornato alla pratica del buddismo. È una bella esperienza che unita ai superamento delle difficoltà viarie – restiamo anche impantanati un paio di volte – ravviva l’ultimo pezzo del nostro percorso e ci offre un esperienza diretta di cultura e modo di vivere di questo popolo teso a riaffermare identità e storia dopo la parentesi del dominio sovietico.

14° giorno: Ulaanbaatar

Siamo provati e vogliosi soprattutto di tornare alle consuetudini culinarie nostrane. La capitale è una cosa a sé. Sicuramente non bella, vive una colossale trasformazione. Accanto a ruderi e buche improvvise sul marciapiede, vede crescere di giorno i giorno nuovi palazzi e grattacieli. Il modello è quello “occidentale” mediato dai cinesi. Qualche museo interessante, in particolare per comprendere qualcosa in più della storia e della cultura mongola. I resti, anche pregevoli, del palazzo dell’ultimo monarca, sempre più inglobati da palazzoni e reclame, mentre nei giardini annessi un gruppo di studenti evoluti gioca con un drone, ci danno un’idea della via che si prospetta e dei suoi rischi.

Da qui si prepara infatti la prossima storia della Mongolia che grazie a giacimenti/materie prime sta vivendo un momento di euforia e di spinta all’urbanizzazione. Speriamo abbia la forza di rispettare le proprie tradizioni e la fortuna di trovare un equilibrio con l’incalzante voglia di modernità.

La Mongolia forse non ha luoghi “estremi” o di bellezza “sconvolgente” ma un ambiente costante di bellezza mediamente elevata e altissima suggestione, fatta di più elementi armoniosamente conviventi che non possono non affascinare profondamente e lasciare un ricordo destinato a sedimentarsi nel tempo.

Una sorta di Eden, uno spazio sconfinato in cui natura, uomini e animali sembrano aver trovato un esclusivo e magico equilibrio all’insegna della libertà.

Per qualsiasi altra informazione o curiosità… scriveteci!

Stefania e Ilario, Marina e Francesco.

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Alla scoperta della Mongolia: dal deserto del Gobi alla taiga siberiana

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Alla scoperta della Mongolia: dal deserto del Gobi alla taiga siberiana



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    Ciao,Posso chiedervi i contatti del tour operator che avete usato?Grazie, Andrea"
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