Overland Italia Australia: attraverso la Mongolia
Comprata una SIM card e cambiati un po’ di soldi, ho preso il bus per Karakorum, l’antica capitale dell’impero mongolo. Sul bus c’erano contadini che nei loro migliori abiti tradizionali rientravano a casa pieni di bagagli. La guesthouse di Gaya a Karakorum era deliziosa: un insieme di tradizionali ger mongole con un piccolo edificio dove ci si riuniva per mangiare e scambiare due chiacchiere. Le ger sono tradizionali abitazioni costruite su uno scheletro di legno e con una copertura di feltro che possono essere smontate in poche ore. Alla guesthouse ho incrociato viaggiatori interessanti: una coppia di francesi in viaggio per due anni per raccogliere testimonianze sulle culture locali, un giapponese partito a gennaio e che ancora non sapeva dove andare e se mai sarebbe tornato e così via.
Il giorno dopo salendo la sovrastante collina, ho ammirato l’insieme della vallata e la statua della tartaruga che marcava uno dei punti cardinali dell’enorme impero. Un passaggio mi ha portato a sette chilometri di distanza presso una famiglia nomade. Osservandoli ho cominciato a capire meglio la cultura nomade della steppa che se non fosse per i pannelli solari che portano energia e quindi indubbie migliorie, sarebbe ancora immutata da secoli. Uno dei cardini di questa cultura è l’ospitalità, perché in un ambiente ostile non si sopravvive senza l’aiuto altrui in caso di necessità. Al ritorno, una camminata nella steppa di un paio di ore ascoltando i Linkin park, mi ha regalato una sensazione di libertà meravigliosa!
Il giorno dopo mi sono unito a un gruppo che andava nella valle dell’Oklon per un giro a cavallo di quattro giorni. Il disagio per le sei ore di viaggio sulla pista è stato mitigato dai paesaggi e dalla imponente cascata nata da una spaccatura geologica del terreno. È apparsa una Mongolia con paesaggi favolosi, con spazi di una tale ampiezza che trasmettono un senso d’irreperibilità mai provato. Una vita bucolica che nasconde una realtà difficile. Condizioni sanitarie, difficoltà d’istruzione, duro lavoro, clima inclemente, fragilità economica, isolamento, ecco i contraltari della vita nomade. Di conseguenza molti giovani cercano fortuna a Ulan Bator per poi confrontarsi con realtà difficili e spesso diventare emarginati.
Al monastero di Erdene Zuu ho assistito alla suggestiva cerimonia dei monaci che recitavano sutra buddisti accompagnati dai canti dei fedeli. Il tempio è racchiuso in un recinto di mura di quattrocento metri di lato. Le purghe staliniste del 1937 hanno sterminato il 3% della popolazione mongola, colpendo duro pure qui e sono rimasti solo tre templi a ricordare le glorie del passato. Interessante pure la visita del piccolo museo storico, sui popoli Unni, Turchi e Mongoli! La distruzione della capitale da parte delle truppe Manciu dopo la caduta della dinastia mongola, non ha lasciato nessuna traccia: una “delenda Cartago” asiatica. Al ritorno a Ulan Bator sono partito con Bagart, l’autista che mi avrebbe accompagnato per i successivi quattro giorni di full immersion nella steppa. Rifornimento di cibarie e bombole gas e ci siamo diretti al National Park di Khustayn luogo di reintroduzione dei cavalli selvaggi di razza originaria mongola. Sono riuscito ad avvicinarli su per una collina e mi ha coinvolto sentire i richiami dei cervi dai boschi contigui. Così come la visita nel mezzo del nulla di un sito di sepoltura degli aristocratici delle tribù Turciche che nel VI secolo dominavano la regione.
Per la notte abbiamo trovato ospitalità presso famiglie nomadi. La prima ci ha accolto con una ciotola di latte crudo, che per senso di rispetto ho accettata. Ne avrei pagato le conseguenze in nottata! Quando mi avevano mostrato a qualche centinaia di metri, la baracca costruita intorno a un buco per le necessità corporali, avevo sperato di non doverla utilizzare, invece è stata una notte di passione con frequenti visite mentre i cani abbaiavano come folli. La mattina dopo i padroni a mie domande sul perché dicevano wolfs! I giorni successivi sono passati in una trance di stupore, in giro tra spazi immensi, branchi di animali selvaggi e ogni tanto gruppi di ger. Molto bello un lago alla base di una montagna con paesaggi lunari e branchi di cavalli che correvano bradi. Il punto più a sud lo abbiamo raggiungo ai margini del deserto dei Gobi dove iniziavano le dune e all’orizzonte si ergevano montagne in un clima secco tipo Yemen. Per pranzo scaldavamo un po’ di acqua e mangiavano noodle liofilizzati. Comunicando a livello basilare, perché l’autista non parlava inglese; mi restava più tempo per riflettere e per disintossicarmi di emozioni negative.
L’ultimo giorno al Terelj, durante un’escursione a cavallo ho ammirato i colori meravigliosi dell’autunno nella taiga. Ora qui a Ulan Bator il tempo è cambiato e siamo a meno nove. Domani, faro una visita alla locale sede di “SOS village children” nel quadro della mia raccolta fondi e poi partenza per la Cina con tanti dubbi sulla lingua, biglietti dei treni, dove dormire. ATM, internet. Insomma il sale dell’avventura. Voi non dimenticate però di contribuire alla raccolta fondi e di condividere la mia pagina FB!