Alla scoperta del Tènèrè
A bordo dei fuoristrada ci dirigiamo su asfalto verso la frontiera algerina percorrendo la strada che porta verso la città santa di Kairouan, di Gafsa, Tozeur e Nefta. Per poi attraversare Touggourt, Ourgla, Hassi Messaud – importante centro petrolifero -, Hassi bel Guebbeur, In Amenas, Illizi e Djanet. Ad accompagnare la nostra “carovana” verso l’ingresso in Niger – dopo l’incontro con i giardini ed i palmeti di Djanet, la suggestiva “perla del Tassili” incastonata in una dolcissima falesia – sono gli spazi immensi del Tafassasset e la famosa pista balisata Berliet. Ai margini del Plateau di Djado, l’aosi di Chirfa, un vecchio forte abbandonato a ridosso di due palmeti,ci da il benvenuto ufficiale in terra nigerina. Dopo poco più di cinque chilometri, raggiungiamo il barrage militare per il controllo di passaporti e di documenti. Ad attenderci ci sono militari nigerini con tanto di fucile e l’ordine di sparare a tutto quello che vedono. Almeno era così sino a poco tempo fa… Ma non c’è da preoccuparsi. Abdou, uno di loro, ci spiega che sino a qualche mese fa i ribelli della zona depredavano i turisti dei loro fuoristrada per poi utilizzarli negli scontri con i militari. Ora per fortuna, la situazione sembra essere tornata alla normalità. Mentre ci controllano i passaporti, chiacchieriamo con alcuni di loro sino a quando “Jou” e Amadou, due giovani soldati del 24° BIA, ci aiutano nel rifornirci di acqua da un pozzo. Da Chirfa ci allontaniamo attraverso piccole dune irregolari sulle quali si rispecchiano giochi di luce ed incantevoli arabeschi di sabbia: ad attenderci sono ora i resti delle antiche città fortificate di Djado e di Djaba, splendide testimonianze di vie carovaniere verso le saline di Bilma. Il vecchio villaggio di Djado, dall’alto delle sue rovine, è circondato da un silenzio assoluto. Non c’è traccia di presenza umana. Si dice che tutti i supoi abitanti abbiano abbandonato il fortino per fuggire ad un’epidemia di malaria. Ma da agosto ad ottobre, durante il periodo di raccolta dei datteri, il villaggio di zeribe (la capanne di paglia e di giunco) torna ad essere popolato. Dieci chilometri più a nord – costruita nel bel mezzo di un palmeto – ecco apparire Djaba, con le sue splendide mura rossastre, uno dei più bei luoghi del Sahara. La si scorge all’improvviso dall’alto di una duna e descrivere ciò che si prova nel vederla è come spiegare a chi non è mai stato nel deserto i bagliori color arancio dei tramonti, le dune colore dell’oro e gli orizzonti che sembrano così vicini quando invece sono più lontani di quanto si possa immaginare. Ma per incontrare il vero Niger bisogna raggiungere Dirkou. E’ davvero quello che si dice un posto ai confini del mondo. Il villaggio del mitico Papà D’Jerome – con i muri delle case e delle botteghe d’un bianco sorprendente su cui spiccano insegne color turchese – offre di tutto. O quasi: pane fresco, carne di montone cotta alla brace, datteri. In terra, su vecchie coperte, si trovano anche vestiti. E non importa se di scarpa te ne serve una sola: l’altra la comprerà qualcun’altro. Non bisogna stupirsi. D’altronde, c’est l’Afrique…Ma Dirkou non è solo questo. Rifornire di gasolio i fuoristrada rende bene l’idea di come qui la vita trascorra più lenta che mai. Sempre ammesso che di gasolio ce ne sia e te lo vogliano vendere. E’ il rifornimento vero e proprio a lasciare quasi senza parole:rotolando, da un angolo nascosto del paese, arrivano ad uno ad uno i fusti di gasolio. Per mezza giornata è un continuo muoversi di taniche, tubi e attrezzature, circondati da uomini, donne e bambini che ci osservano incuriositi.Per ore e ore, come se il tempo si fosse fermato. Ma alla fine il rifornimento è completato e si può ripartire. Per una delle tappe più impegnative: l’attraversamento nord/sud del Grand Erg de Bilma dove cordoni di dune ci sbarrano il passaggio. All’orizzonte ecco apparirci l’oasi abbandonata di Dibella con palmeti e “hassi”, unici pozzi d’acqua in questo immenso mare di sabbia. Dopo aver incontrato e scambiato qualche parola in francese con una famiglia di nomadi, ripartiamo. Ci attendono “fech-fech”, tratti di sabbia bianca polverosa, montagne nere dalle guglie merlettate e interminabili “gassi” – stretti corridoi fra le dune -tra i quali cerchiamo un passaggio possibile per i nostri fuoristrada. Ai piedi di un’importante cresta rocciosa, ecco Zoo Baba, la prima oasi di Kaour, dove troviamo un altro pozzo d’acqua fresca all’ombra di grosse palme. Le dune in cui ci si imbatte all’uscita dal piccolo villaggio, dove vivono ancora alcune famiglie, sono davvero impegnative sino a quando, pian piano, le vediamo svanire nel nulla. Ci addentriamo nell’Erg du Tènèrè, dove finalmente riusciamo ad avvistare anche qualche gazzella che corre veloce come il vento e quell’inguaribile curioso del fennec, la volpe sahariana dalle grandi orecchie. Un vero spettacolo. Raggiungiamo poi l’oasi di Fachi, uno dei più interessanti siti del deserto nigerino. Da tutti i punti di vista: paesaggio, architettura, saline e carovane. Fachi è il punto di sosta dell’Azalai, la mitica carovana del sale che ancora oggi trasporta il prezioso minerale fra le saline di Bilma e Agadez. Lo scenario che ci attende visitando il vecchio villaggio, incastonato fra le splendide saline, lascia senza respiro. I colori sembrano quelli dalla tavolozza di un pittore.
Fra dune, deserti di sabbia e piani rocciosi – allestendo campi tendati e riparando fuoristrada – abbiamo trascorso splendide giornate. Anche se con grande malinconia, il ritorno ormai ci attende. Ma prima di lasciare il Sahara nigerino alla volta di Djanet, Hassi bel Guebbeur, El Oued – la città dalle “mille cupole” – sino alla frontiera algerino-tunisina, c’è una tappa alla quale chi si avventura nel Tènèrè non può certo rinunciare: quella con l’Arbre Perdù. Una vecchia acacia solitaria che, secondo la tradizione, deve essere dissetata con acqua fresca da chi si trova a passare per quelle parti. Neanche fosse un percorso così abituale…All’ombra dell’albero riposano le ceneri di Thierry Sabine, ideatore della “Paris-Dakar”, la corsa più pazza del mondo. Dopo la tradizionale foto ricordo,ripercorriamo la strada che, chilometro dopo chilometro, ci riporta verso la civiltà…Intravediamo l’asfalto. Ma un istante prima di raggiungerlo, vorremmo scendere dal fuoristrada e tornare indietro. A fare gasolio a Dirkou o a passeggiare fra le rovine dei vecchi forti abbandonati. Anche in mezzo ad una tempesta di sabbia. Mal d’Africa? Non è certo difficile rispondere.
Inch’Allah, Sahara.