Albania on the road…
Indice dei contenuti
Perché l’Albania? Ce l’hanno chiesto in tanti, anche mentre eravamo lì. E perché no? Ci siamo chiesti noi, che non amiamo i viaggi in cui si spegne il cervello e le località prese di mira dalle grandi rotte turistiche. Certo, l’Albania non è un paese semplice: meraviglie naturali convivono con imponenti scheletri di cemento armato, le strade in certi punti sono così brutte e piene di buche che ti viene da piangere, le indicazioni stradali sono talmente latitanti che in certi casi abbiamo trovato la direzione giusta orientandoci solo con la posizione del sole… Ma, da amanti sfegatati dei Balcani, avevamo bisogno di capire quale fosse l’anello di congiunzione tra gli stati dell’ex-Jugoslavia e la Grecia, e quindi bisognava partire.
Giorno 1
Levataccia alle 4 del mattino, autostrada Udine-Trieste, uscita a Basovizza, confine sloveno-confine croato (questo breve tratto in terra slovena è strada statale, quindi il bollino autostradale non è richiesto), ingresso in autostrada all’altezza di Fiume-Rijeka, giù fino all’attuale fine dell’autostrada in direzione Dubrovnik, ossia fino alla piana di Ploče, poi strada statale fino al confine con il Montenegro, e poi giù ancora fino all’ultimo paese costiero prima dell’ingresso in Albania: Ulcinj. Non lo sapevamo ancora, ma l’Albania comincia praticamente qui: a Ulcinj scritte bilingue in montenegrino e albanese e molti kosovari in vacanza, moschea sulla spiaggia e un bazar veramente molto molto balcanico. Sfiniti dal viaggio, prendiamo alloggio all’Hotel Albatros, palazzone di epoca jugoslava che degli antichi fasti ha mantenuto praticamente solo la hall. La camera che ci viene assegnata è piccola, vetusta e con una raccapricciante moquette per terra… Ma siamo stanchi morti e barattiamo i quasi 50 euro del pernottamento con una notte tranquilla sotto l’aria condizionata, il wifi nella hall e una rapida discesa nella spiaggia antistante l’hotel (che è munito, oltre alla piscina interna nel piano interrato, di spiaggia nudisti, spiaggia “tessili” e spiaggia per sole donne: per venire incontro, in un singolare pout-pourri di tutte le possibili abitudini balneari, a ogni tipo di clientela e ad ogni genere di “velo”).
Giorno 2
Partiamo di buon mattino in direzione confine, e cominciamo a prendere familiarità con la totale mancanza, in molti casi, di qualsiasi indicazione stradale: inforchiamo quella che crediamo essere la direzione giusta, ma ci infiliamo in una specie di canyon senza anima viva a cui chiedere indicazioni. Fino alla caduta del comunismo, i valichi di confine dell’Albania con gli stati confinanti si contavano sulle dita di una mano: ora ne sono stati aperti di nuovi, che spesso non figurano sulle carte stradali. Neanche quella che abbiamo comprato noi da un benzinaio a pochi chilometri dal confine riporta il valico che poi abbiamo effettivamente superato; è importante ricordare che le carte rintracciabili anche sul mercato italiano sono piuttosto imprecise, e spesso la posizione dei paesi sulla mappa o la classificazione delle strade potrebbe essere del tutto arbitraria. In ogni caso, il posto di confine “fantasma” si materializza davanti a noi poco prima del villaggio albanese di Muriqan: passiamo rapidamente dall’altra parte, ci fermiamo al primo chiosco per assicurare la macchina (la stragrande maggioranza delle assicurazioni italiane non copre l’Albania, così si è costretti a stipulare un’assicurazione in loco, operazione che ci è costata tre minuti e 27 euro per 15 giorni di copertura) e proseguiamo alla volta di Tirana, nostra prima meta. La strada che dal confine porta alla capitale è in ottime condizioni, i paesaggi sono molto belli e decidiamo di fare una piccola tappa a Lezha, luogo in cui è sepolto l’eroe nazionale Skanderbeg. In realtà, come ci spiega in buon italiano la giovane guida una volta giunti ai resti della cattedrale di San Nicola, in cui si trova la tomba, le spoglie di Skanderbeg non ci sono perché furono trafugate dai turchi alcuni anni dopo la sua morte. Lezha non offre altre attrattive, quindi approfittiamo della presenza di un cambiavalute e poi proseguiamo il nostro viaggio verso Tirana. Entriamo in città senza nemmeno accorgercene (i cartelli stradali non sono sempre diffusi, però quando ci sono sono sorprendenti: in questa zona sono del tutto identici a quelli italiani, stessi colori, stesse dimensioni, stessi caratteri!) e ci dirigiamo verso il centro. La nostra permanenza a Tirana sarà piuttosto breve: giusto il tempo di visitare piazza Skanderbeg, il museo di Storia nazionale (niente aria condizionata, quindi consiglio la visita nei mesi torridi solo a chi fosse veramente interessato), capatina alla Piramide che doveva essere il mausoleo di Enver Hoxha (ridotta in pessime condizioni), rapido pranzo e poi torniamo sui nostri passi, direzione Kruja. Kruja, famosa per aver dato i natali a Skanderbeg, ha un bel centro antico sulla sommità della collina: c’è un bazar, le rovine di un antico castello e uno strepitoso museo etnografico, ospitato in una casa di epoca ottomana. Ho visto molte case ottomane in giro per i Balcani ma questa, per bellezza e ricchezza delle suppellettili che vi sono conservate, le batte tutte. Incontriamo una giovane guida che ci spiega tutte le sale in perfetto italiano. Ci accorgiamo presto che è inutile tentare un approccio con la popolazione locale in inglese: l’italiano, escluso forse il sud del paese, è universalmente conosciuto e anche nel più sperduto paesino abbiamo comunicato con l’oste di turno nella nostra lingua. Non visitiamo il museo Skanderbeg, ospitato in quello che è l’edificio più imponente di tutta la zona alta, una sorta di castello palesemente moderno (e palesemente brutto!) che domina la collina; ci spingiamo invece più giù del museo etnografico, verso la Teqe dei Dollma, luogo sacro della setta Bektashi, un ordine islamico. Il custode, che conosce veramente non più di venti parole di italiano ma si fa capire benissimo, ci conduce a visitare la teqe, una sorta di piccola moschea, e l’hammam che sorge poco distante, bellissimo ma totalmente abbandonato, tanto che dobbiamo farci luce con i fiammiferi per riuscire a vedere qualcosa all’interno. Prendiamo alloggio all’Hotel Panorama, che si trova proprio di fronte all’imbocco del bazar. Le camere standard costano 30 euro, ma vista la notte precedente decidiamo di rimediare salendo nella parte nuova dell’albergo, dove un’enorme stanza con aria condizionata, terrazzo privato e box doccia (scopriremo poi che i box doccia, ma anche le semplici tende da doccia, non sono molto diffusi!) ci costa 40 euro: il prezzo più alto che pagheremo in Albania per una stanza doppia! Il wifi è presente, anche in camera, ma risulta essere incompatibile con i nostri smartphone.
Giorno 3
Ripartiamo, direzione Durazzo. La città ha un interessante anfiteatro, ma non pensate al Colosseo, o all’Arena di Verona: gran parte del sito deve essere ancora messo in luce, quindi risulta leggibile solo una metà della struttura, il resto si trova sotto le case. C’è un tratto di mura antiche ben conservato e qualche altra testimonianza archeologica, oltre ad alcuni monumenti che celebrano la resistenza albanese contro l’invasione dell’Italia fascista a ridosso della seconda guerra mondiale. Il lungomare, bisogna ammetterlo, è piuttosto triste. Ci dirigiamo così verso il sito archeologico di Apollonia, nei pressi della città di Fier, non senza esserci persi tra le periferie di Durazzo per la completa mancanza di segnaletica. La strada tra Durazzo e Fier è molto buona, praticamente un’autostrada. Bisogna però dire che il panorama è piuttosto deprimente: un’interminabile varietà di scheletri di palazzoni nella desolazione più assoluta. Arriviamo a Fier, e imbocchiamo nuovamente una strada senza indicazioni: proviamo ad orientarci con i soliti mezzi (bussola, direzione del sole…) e riusciamo a prendere la strada per Apollonia, che si trova dopo il villaggio di Dermenas (e non prima, come riportava la nostra cartina!). Ancora qualche chilometro di strada ridotta maluccio, e arriviamo al parco archeologico: c’è un Odeon (piccolo teatro) e alcuni i resti tra cui spiccano quelli della Stoà, ma soprattutto una bella chiesa e un monastero bizantino in cui è ospitato un piccolo ma ben strutturato museo archeologico. In quel momento c’era in visita una delegazione dell’Unesco, con tanto di guardie del corpo e troupe televisive al seguito. Ora, se dovessi dare un consiglio spassionato a chi non è un maniaco dell’archeologia (perché io un po’ lo sono e quindi non faccio testo), credo che non consiglierei la visita. I resti archeologici sono interessanti, la chiesa come dicevo è molto bella, il museo è piccolo ma piuttosto ricco, ma non dovete pensare a rovine imponenti stile Fori Imperiali a Roma. Inoltre, la strada non è affatto in buone condizioni, e quella che sulla carta può sembrare una piccola deviazione in realtà diventa una piccola odissea tra le buche dell’asfalto.
Torniamo sui nostri passi (dopo aver mangiato nel piccolo ristorante dell’area archeologica) e riprendiamo la strada in direzione Berati. Ora, il tratto di strada che congiunge Fier a Berati è in condizioni veramente pessime: buche ovunque e spesso l’asfalto manca del tutto, forse anche a causa dei camion che passano in continuazione carichi di ghiaia. Vivamente sconsigliata. Se vi trovate a Fier, riprendete l’autostrada in direzione Lushnja e raggiungete Berati da lì, oppure – se avete la fortuna di trovare l’indicazione – svoltate prima di arrivare a Lushnja verso il villaggio di Fieri i Ri, e da lì proseguite. Berati, però, vale la fatica del viaggio. Le sue case bianche abbarbicate sui fianchi delle colline ci riappacificano con l’Albania… Prendiamo una stanza all’Hotel Mangalemi, ospitato in una di queste case tradizionali: la stanza (piccola ma molto carina, con terrazzino, aria condizionata, wifi e prima colazione a buffet) costa 30 euro. Ci inerpichiamo subito sulla salita che porta alla cittadella (scopriremo, una volta arrivati in cima, che ci si poteva andare in macchina… Consiglio questa alternativa, non solo perché il tratto è piuttosto ripido, ma perché le pietre di cui è lastricata la strada sono molto scivolose e la discesa non è per niente agevole!). La cittadella è ancora abitata e conserva, oltre alle case tradizionali, alcune bellissime chiese, purtroppo chiuse, e il Museo Nazionale di Onufri, ottima occasione per vedere la chiesa dell’Assunzione che lo ospita. Dal castello si gode di un panorama mozzafiato su tutta la valle. Concludiamo la giornata con lauta cena sul terrazzo dell’albergo, con nota di colore data dalla presenza di un maxischermo su cui viene trasmessa Italia-Germania, semifinale degli europei. La vittoria dell’Italia è resa ancora più piacevole dai festeggiamenti degli albanesi (fuochi d’artificio e caroselli per strada) e dalla delusione della consistente tavolata di tedeschi che cenava proprio davanti a noi!
Giorno 4
Concludiamo la visita di Berati visitando il museo etnografico (molto bello) e la zona di Gorica, che si trova al di là del ponte sul fiume Osumi. Proseguiamo quindi il nostro viaggio avvicinandoci lentamente al mare. Non rifacciamo la strada dell’andata per raggiungere Fier, preferiamo allungare un po’ il viaggio secondo l’itinerario alternativo precedentemente descritto al fine di conservare gli ammortizzatori della povera Mégane… Prima di dirigerci verso Valona e la costa, facciamo una deviazione verso il sito archeologico di Byllis, cui si giunge per mezzo di una strada abbastanza buona attraversando un territorio costellato da pozzi di petrolio (in gran parte dismessi). Byllis sorge su una collina e ha imponenti resti di basiliche paleocristiane, mura, quartieri residenziali e un teatro, che sfruttava il pendio per ospitare i sedili destinati al pubblico. Le basiliche avrebbero degli splendidi pavimenti mosaicati, ma purtroppo non sono accessibili ai visitatori: in questo caso, come in quello del battistero di Butrinto, ricoprire i mosaici antichi di uno spesso strato di sabbia sembra essere l’unico modo per difenderli dalle intemperie; purtroppo ciò impedisce anche la loro fruizione da parte dei viaggiatori. Il sito, a giudicare dalla quantità dei resti archeologici e dalla sua bellissima posizione, avrebbe molte potenzialità dal punto di vista turistico, ma il fatto che sia così lontano dalle direttrici principali e la (inevitabile) trascuratezza in cui si trova sicuramente non giovano, e quindi mi sentirei di sconsigliare, per ora, questa deviazione per visitarlo. E’ chiaro che se le condizioni del sito dovessero migliorare, e me lo auguro di tutto cuore, diventerebbe un luogo davvero molto interessante. Pranziamo nel piccolo ristorante che si trova accanto all’ingresso del sito e poi ci dirigiamo verso Valona. Attraversiamo gli ampi viali della città e costeggiamo la sua lunga spiaggia, convinti di fermarci per la notte nella zona di Oricum, in fondo alla baia. Poi ci facciamo tentare dalla descrizione della guida (abbiamo utilizzato la guida dell’Albania della Bradt in edizione italiana, comprata nel 2011 e, a quanto ci hanno detto, già fuori commercio) che indica il successivo tratto di costa, quello tra il passo di Llogoraja e Saranda, come il più bello di tutta l’Albania, e affrontiamo le montagne. La strada, bisogna dirlo, qui migliora decisamente: è ampia e lo strato d’asfalto, finalmente, ha un’uniformità accettabile. Saliamo quindi fino al passo e poi cominciamo la discesa verso la costa, in direzione di Dhermi. Davanti ai nostri occhi si apre lo Ionio, le prime isole greche, la costa montuosa dell’Albania, e soprattutto cominciamo a intravedere le spiagge: lunghe strisce di ciottoli bianchi che contrastano con il mare azzurrissimo che le lambisce. Il panorama è davvero molto bello, e più ci avviciniamo alle spiagge, scendendo lungo i tornanti, più ci rendiamo conto della bellezza della costa. La spiaggia fino a Dhermi è del tutto “disabitata”; purtroppo non riusciamo ad avvicinarci fino alla riva perché il sentiero per raggiungerla non è asfaltato, ci vorrebbe un fuoristrada per essere sicuri di uscirne indenni! La strada corre ampia e liscia, ma non si avvicina mai alla costa: i villaggi costieri hanno una loro “discesa” dalla strada principale, e noi cominciamo ad essere stanchi e senza troppa voglia di esplorare a fondo i territorio. Siccome Dhermi viene descritta come una specie di “Rimini d’Albania” e noi in genere non amiamo posti troppo “trendy” e affollati, decidiamo di fermarci a Himare, alcuni chilometri più a sud. Il villaggio è piccolo e sembra abbastanza tranquillo, c’è una meravigliosa spiaggia con il mare cristallino proprio di fronte e la stanza che ci viene offerta dall’Hotel Gjoka, con aria condizionata e terrazzo privato direttamente sul mare, al favoloso prezzo di 20 euro a notte ci convince a fermarci, e stavolta per due giorni, finalmente. Possiamo così apprezzare la buona cucina del ristorante in fondo al lungomare, dotato di wifi libero e forno a legna (azzardo la pizza, cosa che all’estero non faccio mai, e devo dire che è buona!), i localini con i tavoli a un passo dalla spiaggia in cui si serve dell’ottimo ouzo (l’influenza della Grecia, in questa parte del territorio, è notevole), e soprattutto la spiaggia e lo splendido mare. Unico inconveniente, il fatto che l’albergo (ma ce ne siamo accorti, a nostre spese, solo la seconda notte) sia vicinissimo ad una discoteca, che ci “delizia” con brani techno mixati (malamente) fino alle 3.45 del mattino, ad un volume che in Italia avrebbe scatenato le ire dell’intero villaggio… Sembrava che il dj fosse sul nostro terrazzo! Consiglio caldamente di non rinunciare all’albergo per questo, ma di partire con una buona scorta di tappi per le orecchie!
Giorno 6
Dopo la giornata di riposo (giorno 5) siamo pronti a riprendere il nostro viaggio in direzione sud, verso la zona di Saranda. La costa è molto bella, la città abbastanza grande e abbastanza cementificata, ma non sgradevole e (come scopriremo quella sera) con un bel lungomare e buoni ristoranti. Il nostro desiderio di pace notturna, soprattutto alla luce della notte passata, nostro malgrado, in compagnia del dj di Himare, ci spinge però ancora più a sud, nel villaggio di Ksamil. Qui prendiamo alloggio all’Hotel Artur, in un’insenatura alle porte del villaggio, dove per 35 euro ci accaparriamo un’altra bella stanza vista mare, con prima colazione, aria condizionata, terrazzo, sdraio e ombrellone nella piccola spiaggia antistante e l’assicurazione che la discoteca adiacente a mezzanotte chiude i battenti, e comunque non è rumorosa (e così sarà, per fortuna!). Partiamo subito alla volta di Butrinto, l’area archeologica più importante dell’Albania, che si trova a pochi chilometri da lì. Butrinto vale assolutamente la visita: anche se la sua attrattiva maggiore, ossia il mosaico del battistero, giace sotto uno spesso strato di ghiaia ed è quindi inaccessibile, tutta l’area, patrimonio Unesco come Berati e Argirocastro, è un continuo susseguirsi di imponenti resti archeologici che portano testimonianza delle varie epoche passate: dalle gigantesche mura illiriche al teatro e alle terme romane, alla basilica paleocristiana, alle torri veneziane, al castello che ospita il museo in cima alla collina. Il tutto inserito in un contesto naturalistico veramente molto bello e (finalmente) curato in maniera adeguata. Dopo la visita, che occupa almeno un paio d’ore, decidiamo di proseguire con l’esplorazione del territorio per riservare la successiva giornata di permanenza a Ksamil interamente al mare. Raggiungiamo così l’Occhio Blu, una sorgente che si trova all’interno di un parco, sulla strada che da Finiq conduce alla strada principale per Argirocastro. La sorgente, che sgorga da una sorta di laghetto profondissimo (l’esplorazione, per ora, si è fermata a 50 metri di profondità), ha dei colori incredibilmente intensi, che vanno dal blu all’azzurro chiaro, ed è veramente suggestiva. Approfittiamo per fermarci a pranzo nel ristorante che sorge sul fiume originato dalla sorgente, dove ci viene servita un’ottima trota. Rientriamo poi all’albergo per cenare a Saranda, e ritentare la sorte con il bancomat. Avevamo già tentato a Valona di prelevare contante, ma l’iter era stato piuttosto faticoso. Il nostro bancomat non è stato accettato da nessuno sportello automatico che riportasse il simbolo del circuito Maestro, né nelle banche locali né nelle banche internazionali (Raffeisen, Pro Credit, Intesa San Paolo). Abbiamo ovviato a quello che poteva essere un grosso problema riuscendo a prelevare con la carta di credito, sia a Valona sia a Saranda, a due sportelli bancomat di banche locali che riportavano il simbolo del circuito Visa.
Giorno 7
Dedichiamo un’altra giornata piena al mare. Ksamil ha delle spiagge veramente notevoli e un mare spettacolare; il villaggio, invece, non è quello ci si potrebbe aspettare da un posto con così tante potenzialità turistiche. Risulta infatti essere un agglomerato di case e alberghi sparsi un po’ ovunque, come sparsi un po’ ovunque sono non solo i soliti scheletri di palazzi, ma addirittura edifici in costruzione visibilmente inclinati, come se le colonne portanti avessero ceduto. Internet ci ha aiutato a scoprire l’arcano: quei palazzi erano edifici abusivi che sono stati fatti parzialmente demolire dalle autorità, lasciando però le macerie in loco; in certi casi lo scheletro del palazzo è praticamente intero, ma risulta molto inclinato rispetto al terreno perché le colonne sono state fatte saltare con l’esplosivo. Il tutto dà un tono un po’ surreale al panorama, con le spiagge, il mare, i ristorantini sulla costa e in lontananza questa fila di ecomostri in agonia.
Giorno 8
Siamo pronti a riprendere la strada verso il luogo che ospiterà la nostra ultima notte in Albania: Argirocastro. Risaliamo a Saranda, poi Finiq, poi scendiamo sulla strada “di lusso” (larga, asfalto ottimo, grande abbondanza di cartelli stradali) che viene dal confine greco. Il centro storico di Argirocastro è incantevole, con le case antiche dal tetto di pietra, il castello, le moschee; sembra esserci una maggiore varietà costruttiva rispetto a Berati, le case sono tutte diverse, alcune molto grandi e simili a castelli. Prendiamo alloggio a B&B Kotoni, dove per 25 euro troviamo una graziosa stanza in una casa tradizionale, prima colazione, caffè e biscotti di benvenuto, wifi, aria condizionata e una affabile gestrice che parla un ottimo inglese. Partiamo subito alla scoperta della città e ci imbattiamo nella prima casa tradizionale; purtroppo non ci siamo segnati il nome, ma si trova molto vicino al B&B, scendendo per la viuzza che si trova proprio di fronte e proseguendo verso il museo etnografico: la casa è piuttosto grande e si trova sulla destra della strada, e durante il regime era diventata anch’essa un museo. Qui abbiamo la fortuna di incontrare un giovane architetto che si trova sul posto per dei lavori di restauro e che si offre di farci da guida (in ottimo inglese): ci conduce così alla scoperta di questa incredibile casa-fortezza, piena di stratagemmi difensivi e costruttivi, bunker, botole, passaggi segreti e una splendida zona estiva, all’ultimo piano, arricchita da un grande salone per le cerimonie con bellissimi vetri e un notevole soffitto intarsiato. Dopo questa lunga ed esauriente visita ci dirigiamo al castello, che sorge alla sommità della collina su cui è “distesa” Argirocastro. Anche qui, come a Berati, c’è la possibilità di arrivarci in macchina, ma in un attacco di masochismo decidiamo di sfidare la salita e soprattutto il caldo soffocante del primo pomeriggio. Il castello è un complesso maestoso, all’ingresso enormi volte di pietra disegnano gli spazi bui e umidi delle gallerie in cui sono esposti pezzi d’artiglieria pesante risalenti al secolo scorso. L’annesso museo delle armi è più interessante per gli spazi che lo ospitano che per la collezione: si tratta infatti di locali adibiti a carcere fino agli anni ’60 e utilizzati a tale scopo dagli occupanti italiani e tedeschi durante la seconda guerra, e in seguito dal regime comunista. L’ala con le celle fa veramente venire i brividi… Usciti all’aperto nel grande piazzale, dopo la visita al caccia militare americano che il regime si vantava di aver abbattuto (più probabilmente era stato vittima di un’avaria), arriviamo fino alla torre dell’orologio, punto più estremo del castello. Passiamo il pomeriggio a girovagare tra le stradine, la città è incantevole e la nostra visita si conclude al ristorante Kujtim, che ci aveva già ospitato a pranzo.
Giorno 9
Partiamo presto da Argirocastro perché la nostra intenzione è di passare la notte a Ohrid, sul lago omonimo, sponda macedone. Ci imbarchiamo quindi nell’impresa di arrivarci via Permeti, Leskoviku, Erseka e Korça. Alcuni diari di viaggio che avevamo letto dicevano che la strada era abbastanza percorribile e la guida Bradt dell’Albania parlava di paesaggi spettacolari. Ora, il paesaggio fino a Permeti è effettivamente molto bello: alte montagne in stile dolomitico, valli, un bel fiume cristallino e diversi villaggi con abbondanza di muli, pecore, vacche al pascolo, contadini intenti a fare fieno e un mondo che sembra essere quello delle nostre campagne cinquant’anni fa. Abbiamo anche potuto osservare l’ipnotico volo di un’aquila che ha volteggiato diversi minuti sopra le nostre teste. Ma, a partire dalla confluenza con la strada per il confine greco, il paesaggio si fa decisamente meno interessante; i villaggi scarseggiano, la zona è deserta e i panorami non sono così ricchi e variegati. Il manto stradale, poi, peggiora e le indicazioni scarseggiano. Arriviamo a Korça dopo quasi 6 ore di viaggio e, non contenti, ci dirigiamo verso Voskopoja, a circa 20 km da Korça: i primi otto, bisogna dirlo, su una strada impossibile… Voskopoja aveva destato la nostra curiosità perché fino alla fine del ‘700 era la città più grande di tutti di Balcani: poi, una serie di incendi e devastazioni l’avevano ridotta ad una città-fantasma, abitata oggi da pochissime centinaia di persone. A testimoniare gli antichi fasti sono rimaste alcune grandi chiese (una decina delle 24 originarie), le strade, lastricate (ormai molto malamente) in pietra e le case, palesemente costruite con materiali di recupero. Il posto è veramente interessante, e alcuni piccoli passi sono stati fatti per accogliere i turisti (indicazioni delle chiese, un cartello esplicativo nella piazza principale), ma le strade del villaggio sono veramente difficili da percorrere e tutte le chiese a cui ci siamo avvicinati erano chiuse. La chiesa di San Nicola ha degli splendidi affreschi sotto un portico, ma l’esposizione agli agenti atmosferici e ai vandali li sta inevitabilmente deteriorando. Rientriamo a Korça che, superata l’enorme centrale termoelettrica in dismissione, si rivela gradevole e tranquilla, e decidiamo di premiare la nostra Mégane con una meritata sosta presso uno degli innumerevoli lavazh (lavaggi) che incontriamo lungo la strada. Consigliamo vivamente di approfittarne… per 200 lek (poco più di 1,50€) forniscono un servizio di tutto rispetto: lavaggio a mano comprensivo di interno portiere e vetri interni, lucidatura e asciugatura. Con la macchina tornata splendente proseguiamo il nostro viaggio sull’ottima strada che ci conduce a Pogradeci, e da lì al confine macedone sul lago di Ohrid, passando per il villaggio di Tushemisht. Qui salutiamo l’ultimo bunker e l’intera Albania, e passato il confine facciamo rotta verso la cittadina di Ohrid. La prima cosa che salta all’occhio in Macedonia, bisogna dirlo, sono le strade… Non dover più fare attenzione a eventuali buche o tombini mancanti sulla carreggiata è un vero sollievo! Ohrid, patrimonio dell’umanità Unesco, è molto interessante da visitare: ha un centro storico molto bello con case tipiche simili a quelle di Berati, i resti di alcune basiliche bizantine, un animatissimo bazar moderno e un’imponente moschea. Ceniamo sul lago (ma proprio sul lago: la terrazza del ristorante è adagiata sull’acqua e l’unico tavolo rimasto, che ci viene assegnato, causa piccole onde ci provoca qualche pediluvio non previsto e, a dirla tutta, poco gradevole!) e poi rientriamo nella stanza che un affittacamere locale ci ha proposto mentre girovagavamo per la parte nuova della città (20 euro, bagno privato, wi-fi, senza condizionatore ma non ce n’era bisogno).
10°, 11° e 12° giorno
Sono stati dedicati al viaggio di ritorno: da Ohrid a Skopje per una breve visita (ci torneremo, perché la capitale della Macedonia è veramente curiosa!), poi confine serbo, su fino a Belgrado (quasi tutta autostrada, il viaggio non è stato troppo massacrante) per passare la notte a Novi Sad, città spettacolare che consiglio caldamente di visitare. Abbiamo pernottato all’Hotel Veliki (44 euro a notte, siamo stati fortunati perché ci hanno assegnato un appartamentino all’ultimo piano, veramente delizioso: inclusa la colazione a buffet, wi-fi, aria condizionata), indirizzati lì dal vicino Hotel Fontana, posto ottimo in cui fermarsi almeno a mangiare nel caso non avessero stanze. Il giorno dopo partenza per il confine croato, attraversamento dell’intera Slavonia fino a Zagabria, poi discesa verso Fiume-Rijeka. Da lì avremmo potuto arrivare tranquillamente a Udine nel tardo pomeriggio rifacendo la strada dell’andata, ma abbiamo pernottato a Ičići, sulla riviera di Opatija, ospiti di alcuni amici, rientrando così il giorno successivo.
Tentando di dare un giudizio finale al viaggio, potrei dire che l’Albania è un luogo che ha rivelato molte sorprese. Alcune positive: per esempio, potersi lasciare alle spalle gli stereotipi sulla pericolosità dei luoghi e della gente. Mai, ma veramente mai ci siamo sentiti in pericolo, anzi: in certi posti (mi viene in mente soprattutto Argirocastro) la cortesia e la disponibilità delle persone è stata veramente esemplare. La parte sud del paese è davvero molto bella e vale la visita: la costa tra Valona e il confine greco, il sito di Butrinto, le città di Argirocastro e Berati, l’Occhio Blu sono luoghi di grande bellezza. Per contro, è chiaro che il paese versa in una situazione non comparabile con quella dell’Italia, e nemmeno con quella dei paesi confinanti: molte infrastrutture, a partire dalle strade, si trovano in pessime condizioni e il continuo scempio del paesaggio per la presenza costante di quelli che noi abbiamo soprannominato “ecomostri” (strutture di palazzi in costruzione, molto più spesso abbandonate) non giova certo a rendere il panorama gradevole. Le potenzialità dei luoghi però saltano agli occhi, e ci auguriamo che si diffonda di più la cura per le cose antiche (Apollonia e Byllis potrebbero essere sfruttate molto di più dal punto di vista turistico) e che le zone già turistiche non vengano lasciate in mano alla cementificazione, più di quanto già non lo siano. Impossibile non enumerare tra gli aspetti positivi il costo di un viaggio in Albania: per 12 giorni, dormendo sempre in albergo, pranzo e cena sempre al ristorante, ingressi ai musei, carburante, ogni extra possibile abbiamo speso meno di 1000 euro in due persone. Difficile fare la stessa cosa in altri paesi d’Europa…