Albania
A dire il vero non abbiamo creduto molto ai racconti dei nostri amici, ma volendo fare comunque una vacanza nei Balcani, abbiamo deciso di andare in Albania. Dobbiamo ammetterlo: siamo partiti carichi di pregiudizi. Del resto dell’Albania sapevamo quello che la televisione ci aveva voluto mostrare. Partiamo per la terra delle aquile quando l’estate è quasi finita. C’imbarchiamo dal porto di Bari e la mattina dopo siamo a Durazzo. Quello che vediamo dal ponte della nave è più o meno quello che ci aspettavamo di vedere: navi in disuso, ammassi di rugine a destra e a manca. Anche il primo approccio con la città non ci dice nulla che non avessimo già immaginato. Ci fermiamo a fare rifornimento e al momento di pagare entriamo in contatto diretto con la realtà locale, che continuiamo a vedere distorta. Chiediamo di poter pagare in euro e il benzinaio accordandoci il pagamento c’informa sul cambio: 10 euro valgono 13 mila e 500 lek, ma al momento del resto ce ne dà soltanto il 10% di quello che ci aspettavamo di avere. Pensiamo che voglia truffarci. Ma siccome non si tratta di una cifra importante e poiché non siamo sicuri di aver capito bene facciamo finta che tutto sia ok. Non abbiamo ancora deciso quale zona visitare per prima, tra i nostri appunti ci sono almeno una decina di posti che vorremmo vedere. Intanto però, visto che soprattutto vogliamo sentirci in vacanza, non possiamo perderci l’opportunità di passare qualche ora in spiaggia. Via via che osserviamo le persone, il nostro atteggiamento difensivo comincia ad attenuarsi. Osserviamo le persone sulla spiaggia, i ragazzi, le donne – peraltro alcune veramente molto belle – le mamme i bambini. Tutto ci sembra famigliare. Cominciamo a sentirci in colpa per aver pensato male. Ci aspettavamo non so cosa, ma qui tutto è normale. Dopo una breve permanenza sulla spiaggia di Durazzo ci dirigiamo verso Tirana, pochi chilometri e siamo già nella capitale. Tirana è una città tranquilla, ordinata e ben lontana da quelle immagini che noi abbiamo in mente. Finalmente troviamo quell’ Albania che conosciamo. Una strada che è stata mostrata in televisione decine e decine di volte, la riconosciamo a colpo d’occhio. Fango, pozzanghere, polvere, sporcizia. Pensavamo che l’intera capitale fosse in queste condizioni. E invece no! Forse questa è l’unica strada della città ridotta così. Penso che sia stata la strada più fotografata e ripresa durante gli ultimi dissordini in Albania. La ragione è semplice: s trava proprio dietro l’albergo dove alloggiavano i giornalisti. Compriamo qualcosa da mangiare e qui comprendiamo il mistero del 10%: hanno cambiato da poco la vecchia moneta con quella pesante, ma ancora nel linguaggio comune si parla in vecchia moneta, mentre invece si intende quella nuova, però i vecchi soldi sono ancora in circolazione, peraltro hanno cambiato solo ce cifre e il disegno è rimasto quasi identico alle vecchie banconote. Insomma una bella confusione. Il benzianaio non ci ha truffato, siamo stati noi a pensare male. L’etimo di Tirana è Teheran, nome che le diete un generale turco all’inizio del 17° secolo quando la fondò. Tirana fu proclamata capitale solo nel 1920, alcuni degli edifici sono stati realizzati da architetti italiani, come la banca nazionale costruita nel 1937. Un po’ ovunque si costruiscono nuovi palazzi. Negli ultimi anni la popolazione della città si è quasi triplicata. Oggi ci vivono circa 500 mila persone. Man mano che andiamo in giro per la città ci convinciamo della buona qualità della vita e della tranquillità dei suoi abitanti. La gente ci sembra felice, e pare che non si senta per nulla stressata. La sera passiamo qualche ora in un bar del centro. L’indomani partiamo puntando a sud. Una pattuglia della polizia stradale ci ferma e approfittando della gentilezza di una simpaticissima e bella poliziotta chiediamo informazioni circa il nostro itinerario. La poliziotta parla bene la nostra lingua e ci dice che le piacerebbe visitare l’Italia, ma con i suoi 60 euro al mese di stipendio non può permettersi il viaggio – E poi aggiunge che comunque non le darebbero il visto per entrare in Italia. Siamo diretti a Berat. Facciamo un giro un po’ più lungo e attraversiamo un’ampia zona agricola. Arrivati a Berat ci fermiamo in bar per un caffè. All’interno c’è una macchina per l’espresso, ma ci sono problemi d’energia elettrica. Noi abbiamo una piccola caffettiera, sappiamo che qui non è tanto conosciuta, quindi facciamo sfoggio della nostra tecnologia. Il barista è incuriosito dal funzionamento della moka ma la moglie la conosce già, ci dice che ne ha vista una nel film “il commissario Cattani” supponiamo si tratti della piovra. Naturalmente ci chiedono se anche noi siamo mafiosi. Naturalmente rispondiamo di si, peraltro siamo anche siciliani: “certo che siamo mafiosi!” Quasi tutti gli italiani lo siamo. Berat, oggi sotto il patrocinio dell’Unescu, è un interessante sito turistico. E’ chiamata la città dalle mille finestre.
Nel corso dei suoi 2 mila e 400 anni di storia la città è stata tra le più importanti e popolose dell’Albania. Facciamo un giro nell’incantevole centro storico e rimaniamo sorpresi dalla cura con cui viene conservato.
Proseguendo la nostra marcia verso sud, entriamo nel cuore agricolo dell’Albania. Sulla strada incontriamo continuamente pozzi di petrolio. Ma le pompe sono quasi tutte ferme, poi ci dicono che il petrolio è finito, ma se il governo lo volesse saprebbe come fare per estrarne ancora. Comunque qualche pompa funziona. Arriviamo a Gjirokaster, città dell’Albania meridionale fondata dai veneziani, particolarmente interessante per gli aspetti storici e architettonici.
Facciamo una passeggiata nella città vecchia e guardiamo le case con dei caratteristici tetti ricoperti con grosse lastre di pietra. Il centro è pieno di vita e la gente è allegra. Un po’ ovunque ci sono uomini con mazzette di banconote. Si tratta di cambiavaluta. Chiediamo le quotazioni e ci confermano 135 Lek per un euro. Un violinista per 100 lek ci suona un celebre brano, anzi due: uno lo sceglierà lui e uno noi. Girocaster subì l’occupazione italiana dal 39 al 41 e quando l’Italia firmò l’armistizio con gli alleati, centinaia di nostri soldati si salvarono grazie all’aiuto degli abitanti di questa città che li nascosero alle sanguinarie truppe del Furer. Girocaster è anche la città dove nel 1908 nacque Enver Hoxha: il dittatore che, negli oltre 40 anni di regime, fu un po’ filo-sovietico e un po’ filo-cinese col risultato che tenne l’Albania isolata dal resto del mondo. La piazza principale della città ospitava una sua statua che nel 91 dopo la caduta del regime venne abbattuta dagli abitanti. Visitiamo la fortezza medievale di Agirocastro, qui conosciamo una turista albanese che vive in Italia. Chiacchieriamo un po’ con lei e ci dice che purtroppo a causa di alcuni albanesi che vivono all’estero la sua terra si è fatta una cattiva e immeritata fama nel mondo. Qui secondo una leggenda locale, in un solitario castello viveva una principessa molto amata dai suoi sudditi, e quando i turchi s’impadronirono della città, la principessa prese in braccio la sua bambina e si buttò da un precipizio e nel punto dove cadde sgorgò una sorgente che ancora spumeggia come bianco latte. Il popolo ritenne che quelle dense e bianche spume siano il latte della principessa che continua a nutrire la sua bambina. Oggi le donne che hanno difficoltà ad allattare immergono il busto in questa acqua. Ma il custode del castello ci dice che è solo una favola e che in realtà non esiste nulla di tutto ciò. Lasciamo Gijrokastrer e ci dirigiamo verso il mare. Attraversiamo una zona montuosa del sud dell’Albania. Sulla strada verso Sarande, solo per caso, scopriamo un posto fantastico. Gli albanesi lo chiamano L’OCCHIO AZZURRO, paghiamo una modesta somma ed entriamo in questa riserva naturale. Sappiamo soltanto che si tratta di un posto che merita una visita. Il paesaggio è incantevole, ma poi più avanti scopriamo qualcosa d’inestimabile bellezza: un’immensa sorgente d’acqua cristallina circondata da un paesaggio mozzafiato. Purtroppo, però, veniamo a conoscenza anche di una notizia che se risponde al vero c’è il rischio che tutto questo sparisca. Una persona, che ha l’aria di sapere quello che dice, c’informa che c’è in atto un accordo con una regione italiana, la Puglia ci dice, che vorrebbe costruire un acquedotto e portare il prezioso liquido sull’altra sponda dell’Adriatico. Sarebbe la fine di questo paradiso. Percorriamo la strada che costeggia il fiume che nasce dall’occhio blu e arriviamo a Sarande, importante centro turistico del sud dell’Albania quasi al confine con la Grecia. Siamo nei primi di Settembre e Sarande è ancora affollata di turisti. Si tratta soprattutto d’albanesi che durante l’anno vivono nelle zone montuose della regione. La graziosa località non è ancora stata scoperta dai turisti stranieri, anche se sembra essere già pronta ad ospitarli. Sulla costa albanese arrivano le onde di una radio locale italiana alla quale mandiamo un’sms. Passiamo qui la notte e la mattina dopo ci dirigiamo ancora a sud. La nostra meta di oggi è Butrinti. Ma strada facendo ci fermiamo in una incantevole baia. E’ proprio qui che sfocia il fiume che nasce dalla sorgente dell’Occhio Blu. Anche questo sparirà con la sorgente se sarà portato a compimento l’insano progetto di costruire l’acquedotto tra l’Albania e l’Italia.
Questa zona di mare, quasi al confine con la Grecia è di un’incantevole bellezza. Arriviamo nel parco archeologico di Butrinti, per fortuna la zona è sotto la tutela dell’Unescu.
Qui per la prima volta incontriamo turisti stranieri. Inglesi e tedeschi. Una leggenda tramandata da Virgilio narra che a fondare Butrinti sia stato Eleno terzo marito di Andromaca con l’aiuto di un gruppo di profughi troiani. La storia invece ci dice che a fondare la città siano stati i Corciresi nel 6° secolo avanti cristo. Conquistata dai romani fu luogo di villeggiatura per i patrizi. In seguito fu bizantina e successivamente veneziana e infine, nel 1820, fu distrutta dai turchi. Lasciata Butrinti, con una zattera attraversiamo l’omonimo lago e ci dirigiamo verso il confine con la Grecia. Sulla carta c’è segnata una frontiera, vorremmo d’are un’occhiata al di la del confine. Ci fermiamo per chiedere informazioni in un piccolo villaggio. Abbiamo problemi di comunicazione, riusciamo a comprendere che è difficile passare il confine, ma non riusciamo a capire il motivo. Intanto si è fatta l’ora di pranzo e c’intratteniamo nella piccola taverna del villaggio. Dopo il pranzo partiamo per il confine greco, un ragazzo si offre di farci da guida in cambio di una piccola mancia. Accettiamo e ci facciamo precedere da lui. Arrivati nei pressi della dogana la nostra guida si congeda e ci dice che comunque secondo lui non ci faranno passare. Infatti aveva ragione, ma almeno adesso sappiamo perchè: la frontiera è semplicemente aperta al traffico pedonale e non a quello delle auto. Non ci resta che tornare indietro. Siamo diretti a Valona, l’unica strada esistente attraversa un’alta catena montuosa. In basso sulla spiaggia c’è una serie di bunker trasformati in campeggio turistico. Per paura di un’invasione Hoxha ne fece costruire oltre 700 mila lungo tutti i confini. Passiamo qui la notte e l’indomani proseguiamo verso nord. Attraversiamo luoghi veramente spettacolari, piccoli villaggi senza tempo: potremmo essere in un lontano passato o nel futuro. Qui nulla sembra essere definito. Solo qualche monumento di stile sovietico ci ricorda il recente passato di questo popolo. Giunti a Valona facciamo un giro nella città. Secondo le nostre informazioni Valona dovrebbe essere la peggiore città dell’Albania, ma a noi non ci da’ questa impressione. Anzi, a parte qualche strada periferica, la città ci sembra ben curata. Adesso torneremo nuovamente verso Nord e saliremo fino a Shkoder. Prima di sera vogliamo arrivare a destinazione. Ci arriviamo che è ancora abbastanza presto per fare un giro per la città. Notiamo una certa differenza con le città del sud. Abbiamo la sensazione che qui la gente vada di fretta. Passiamo a Shkoder la notte e l’indomani dedichiamo la mattinata alla visita della città. Shkoder è situata sulle rive dell’omonimo lago ed è circondata dai fiumi Drinassa, Kiri e Bojana. La città è stata la culla della cultura albanese. Qui nel 16° secolo fu aperta la prima tipografia di tutta l’Albania. Dopo numerosi assedi da parte dei turchi, la città fu ceduta ai veneziani che insieme agli albanesi opposero una lunga resistenza, ma nel 1479 cadde comunque in mano turca. Gli abitanti di Shkoder, come del resto molti albanesi, hanno un legame particolare con l’Italia. Una leggenda legata a questa città, narra che il 25 aprile del 467, nel corso di un violento scontro con i turchi, l’immagine della Madonna di Shkoder, patrona dell’Albania, fu presa dagli angeli che attraversarono l’Adriatico e la portarono a Genazzano nel Lazio. Le numerose chiese, sopravvissute alle distruzioni o alla trasformazione in moschee, da parte dei turchi, testimoniano la fede cristiana di questa gente. Lasciamo Shkoder e ci spingiamo ancora a nord. La destinazione è Tefi. Tefi è un piccolo villaggio sulle montagne. Le zone montane abitate dai leggendari guerrieri Malsor hanno avuto, rispetto al resto dell’Albania, una storia a parte. Il territorio impervio e l’audacia della popolazione, quasi interamente cristiana, hanno tenuto lontani i turchi. Da Shkoder a Tefi occorrono cinque ore di macchina, ma ne vale la pena. Durante il viaggio si gode di un paesaggio e ineguagliabile bellezza. Bisogna comunque fare molta attenzione, la strada, stretta sconnessa è priva di qualsiasi protezione laterale e non permette distrazioni, e non è facile resistere alla forte attrazione che suscita l’eccezionale panorama.
In questa regione lo studioso Lek Dukagini raccolse in un volume IL CANUN (il codice della montagna) un complesso di norme che regolavano i rapporti fra gli abitanti della regione. La sua applicazione rimase in vigore tra le popolazioni montane fino alla proclamazione dell’indipendenza dell’Albania nel 1912, ma ancora oggi se ne tiene conto come codice d’onore. Col Kanun viene applicata la parità di diritti fra uomo e donna. Il disonore non si paga con denaro ma con spargimento di sangue o col perdono.
La casa dell’Albanese è di dio e dell’ospite. Si perdona l’offesa fatta al padre, al fratello e perfino ai cugini, ma l’offesa fatta all’ospite non si perdona mai. Il Kanun prevedeva anche LA BESA: (la tregua) E’ legge mandare un mediatore a chiedere una tregua ed è un dovere concederla. Una besa collettiva fu proclamata nel 1878 e nel corso dei 18 mesi stabiliti, in Albania non si registrò alcun reato, nonostante il paese rimase senza alcun tipo di governo per tutto quel tempo. Man mano che ci avviciniamo al piccolo villaggio di Tefi, il paesaggio è sempre più incantevole. Nel pomeriggio arriviamo nella piccola valle di Tefi. Per i ragazzini del villaggio il nostro arrivo diventa occasione di festa. Ci indicano le zone più belle da visitare, ognuno di loro vorrebbe farcene vedere una. S’informano sulla nostra religione e ci accompagnano a vedere la piccola chiesa del villaggio. Molti di loro hanno fatto la cresima quest’anno. Qui conosciamo Ghiorg. Lui conosce qualche parola d’inglese; ci annuncia che lo sta imparando perchè un giorno andrà in America. Ghiorg ci fa da guida e ci accompagna alla Katarakta. Una cascata ad un’ora di marcia dal villaggio. Poi Ghiorg c’invita a casa sua e ci fa conoscere la propria famiglia. Vive con le sue due sorelle Cristina e Violetta. I loro genitori lavorano a Shkoder e in inverno anche loro andranno a vivere in città. Diventiamo subito amici e non ci lasciano più partire, ci obbligano a restare lì per la notte. Noi per ricambiare l’ospitalità cuciniamo per loro spaghetti. E’ la prima volta che Ghiorg mangia gli spaghetti, anzi ci assicura che non li aveva mai visti prima. La mattina quando ci svegliamo ci sembra d’essere all’interno di una favola. Violetta e Cristina stanno mungendo le mucche. Violetta ci dice orgogliosa che hanno 25 pecore e 6 mucche. Naturalmente una colazione col latte appena munto è un lusso che non potevamo farci sfuggire. Ci chiedono di rimanere ancora qualche giorno da loro, ma purtroppo la vacanza in Albania per noi è finita. Ghiorg e Cristina ci accompagnano alla macchina. Con un nodo in gola lasciamo i nostri stupendi nuovi amici e quelle meravigliose montagne, ma abbiamo promesso a loro, e anche a noi stessi, che ci ritorneremo la prossima primavera. Questo viaggio ci ha fatto veramente bene, abbiamo capito che fino ad ora abbiamo vissuto solo di pregiudizi. Speriamo che gli albanesi sapranno perdonarci.