Balcani occidentali on the road: un viaggio in moto attraverso 7 stati
Le moto sono pronte, cariche al punto giusto. L’itinerario è già fissato, così come tutti gli alloggi che ci ospiteranno nei prossimi dodici giorni. Siamo al preludio di un tour che ci porterà a toccare sette stati balcanici, con l’intento di assaporarne le strade e, anche se brevemente, le loro rispettive capitali.
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Diario di viaggio
Slovenia
Di primo mattino attraversiamo la città, accorgendoci dell’uscita dall’Italia solo perché le scritte su cartelli ed insegne diventano improvvisamente incomprensibili. Eccoci in Slovenia. Una bella statale tra le montagne ci guida a sudest fino ad incrociare l’autostrada verso Lubiana poco oltre Postojna. Il tempo non è dei migliori, coda di una forte perturbazione che nei giorni scorsi ha creato pesanti disagi nella zona, ingrossando corsi d’acqua ed allagando centri abitati. Ljubljana è molto gradevole, pulita e vivibile, dominata dall’alto da un castello medioevale. Il Ljubljanica, il fiume che la attraversa, è scuro come cioccolato a causa delle forti piogge, ma comunque da un senso di ariosità alla città. Il centro è caratterizzato dai vari ponti che lo attraversano, i più fotografati dei quali sono il Ponte dei Draghi, con i quattro mostri alati simbolo della città, ed il Ponte Triplo, strana unione di tre arcate che danno accesso alla città vecchia ed alle terrazze longofiume. Imperdibili il grande Mercato Centrale dove si trova ogni genere alimentare, la barocca Cattedrale di San Nicola e la grande piazza Mestni con i suoi edifici civici.
Lasciata la capitale slovena, imbocchiamo l’autostrada verso Zagabria e la percorriamo fino a Novo Mesto dove usciamo per guidare su strade normali. Facciamo tappa ad Otocec, adagiata sul fiume Krka ancora gonfio di placide acque e scavalcato da ponti in legno che, attraversandoli in moto, non danno questa gran tranquillità… Su un isolotto del fiume sorge un piccolo maniero che ci offre una breve sosta prima di proseguire verso Kostanjevica dove tra verdi colline visitiamo Forma Viva, un solitario museo all’aperto di arte contemporanea. Il nostro proseguire verso Zagabria è complicato da strade interrotte e deviazioni causa gli allagamenti, ma alla fine arriviamo alla frontiera, anch’essa senza controlli. Le bandiere sventolanti cambiano di poco ed eccoci in Croazia. Zagabria si presenta costellata di edifici in ristrutturazione, purtroppo molti dei quali sono le migliori attrattive della città. La capitale croata è divisa in due. La Città Alta, Gornji grad, è la parte più antica e si può raggiungere con la più piccola funicolare al mondo lunga solo sessantasei metri. Qui troviamo la Cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine con le sue svettanti guglie, la Chiesa di San Marco, dal colorito tetto con gli stemmi di Croazia, Dalmazia, Slavonia e l’emblema di Zagabria, ed il Dolac, il mercato agricolo all’aperto con i caratteristici ombrelloni rossi. Nella Città Bassa, Donji grad, si trovano musei, edifici pubblici e molte piazze, tra cui la pedonale Jelacic Square con al centro una pomposa statua equestre, luogo di incontri, relax e shopping.
Ripartiti verso sud, Slavonski Brod è la successiva sosta, scelta per spezzare in due i quattrocento chilometri verso Belgrado. L’autostrada è veloce ma piuttosto noiosa, per cui a circa sessanta chilometri dalla destinazione decidiamo di lasciarla per percorrere una parallela strada minore che corre fiancheggiata da un’ininterrotta fila di singole case, alcune delle quali con muri crivellati da fori di proiettile, evidenti tracce del burrascoso passato della zona. E questo è solo il primo dei vari ricordi della sanguinosa guerra scatenatasi negli stati dell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Slavonski Brod si trova sulla sponda nord del fiume Sava, al confine con la Bosnia-Erzegovina e, pur essendo un centro di sviluppo turistico, non ha particolari bellezze da offrire, ma la sistemazione in un piccolo cottage in collina ci dà la possibilità di conoscerne la tranquilla vita quotidiana.
Serbia
Ripresa l’autostrada, in breve siamo a Lipovac, frontiera con la Serbia, la prima vera dogana che, pur essendo piuttosto frequentata da veicoli, di fatto sfiliamo senza grosse perdite di tempo con formalità snelle. Sempre in autostrada raggiungiamo Belgrado. L’ex capitale jugoslava, ora capitale serba, ad un primo impatto sembra vanagloriosa, decadente e trascurata, ma solo immergendosi tra le sue strade, gli ampi viali e gli austeri edifici rivela la sua bellezza. Il luogo più suggestivo è certamente rappresentato dalla Fortezza che sorge alla confluenza dei fiumi Sava e Danubio, con l’alta colonna su cui svetta la statua del Vincitore, ricordo del Primo Conflitto Mondiale, e da cui si gode uno spettacolare panorama. Nel centro storico si presentano palazzi, moschee e statue, segno delle varie dominazioni succedutesi. Non lontano dal centro città si trovano il Tempio di San Sava, la chiesa ortodossa più grande al mondo e la piazza Tersjie, su cui si staglia il pomposo Hotel Mosca. Una visita particolare merita anche Ulica Skadarlija, il quartiere bohémien di Belgrado, una strada in ciottoli su cui si affacciano basse case in mattoni rossi con pareti dipinte e tanti localini e botteghe che ricordano le vie di Parigi. Tra i tanti musei cittadini va ricordato quello dedicato a Nikola Tesla, scienziato di origine serba cui sono attribuite sensazionali scoperte ed i cui brevetti sono in parte tuttora custoditi presso gli archivi di CIA ed FBI.
Sotto una pioggia battente raggiungiamo Nis, antico ed importante crocevia tra l’Europa centrale e il l’Asia Minore, città natale dell’Imperatore romano Costantino e prima città serba a ribellarsi nel 1996 al governo di Miloševic, il politico accusato di crimini contro l’umanità per la pulizia etnica nei confronti dei musulmani serbi, bosniaci e kosovari. Da una grande piazza moderna, attraverso un ponte sul fiume Nisava, si accede alla Fortezza medioevale circondata da un grande fossato che, in caso di bisogno, veniva allagato. Oltre il grande portale, un vasto parco ospita una piccola moschea ed eventi musicali e feste, anche di richiamo internazionale. Poco fuori città si trova un edificio posto a protezione della Torre dei Teschi, in cui teschi umani sono stati incastonati nella sua struttura quale macabro monito alla popolazione durante la dominazione Turco-Ottomana della città.
Macedonia del Nord
È ormai ora di lasciare la Serbia per avviarci verso la Repubblica della Macedonia del Nord, destinazione Skopje, la capitale. L’autostrada corre fin oltre Leskovac lungo il corso meridionale del fiume Morava che ne muove l’andamento e si snoda a ridosso del confine kosovaro prima di giungere alla dogana. L’uscita dalla Serbia avviene senza verifiche mentre alla frontiera macedone vengono minuziosamente controllati i documenti nostri e delle moto. In breve eccoci a Skopje, annunciata dalla Croce del Millennio eretta sul vicino monte Vodno. Con i suoi sessantasei metri di altezza, è la seconda al mondo per dimensioni, visibile da ogni punto della città anche di notte. Skopje si sviluppa lungo il fiume Vardar, ed è una città inaspettatamente curiosa. La ricostruzione avvenuta dopo il tremendo terremoto del 1963 ha accentuato la sua bipolarità: da una parte la Plostad Makedonija, la grande e moderna piazza con la gigantesca statua equestre di Alessandro Magno, edifici multicolore ed enormi schermi pubblicitari a led. Oltre il Vardar, su diversi ponti costellati di statue e tra maestosi edifici con colonne marmoree, si accede all’Old Bazaar di epoca ottomana, il più grande dei Balcani dopo il Grand Bazaar di Istanbul. Nonostante la presenza di botteghe artigiane di tessuti, oggetti in legno ed oro, degli antichi Bagni turchi Daut Pascià e della stupenda moschea di Mustafa Pasha, il Bazaar ha perso il suo vero ed antico fascino ma lo stacco tra questa parte di Skopje e la fronteggiante città nuova rimane assolutamente sorprendente. Prima di ripartire, meritano uno sguardo la casa natale di Madre Teresa di Calcutta e la Fortezza di Kale sulla collina che domina il centro città, simbolo di Skopje, imponente complesso militare risalente ai tempi dell’imperatore Giustiniano. Oggi rimangono solo parti delle mura perimetrali e tre torri, ma la vista su Skopje è incomparabile.
Albania
Ci muoviamo da Skopje verso ovest fino a Gostivar, dove l’autostrada termina lasciandoci su una bella statale che seguiamo a sud fino a Struga, proprio ai margini del lago di Ohrida, tagliato in due dal confine tra Macedonia del Nord e Albania. Ne seguiamo la sponda occidentale fino alla dogana di Radozda che superiamo senza troppe verifiche. Subito entrati in territorio albanese dobbiamo fare le assicurazioni per i mezzi, dato che l’Albania non è compresa tra gli Stati coperti dalle nostre compagnie assicurative. La statale verso Elbasan è piuttosto trafficata ma molto bella e ci regala ottimi panorami. Curiosamente pare che gli albanesi facciano gara a chi ha la Mercedes più grossa e pulita e per questo sono aiutati dai tanti autolavaggi incontrati tra il confine e la capitale, numerosi come le cupole di cemento dei bunker sotterranei antiatomici costruiti durante la dittatura di Hoxha, sparsi ovunque nella campagna. Con gli ultimi chilometri entriamo in Tirana, accorgendoci subito del traffico caotico e disordinato della città. L’approccio alla capitale albanese va certamente fatto partendo dalla grande piazza Scanderbeg con la statua dell’eroe locale che sconfisse gli Ottomani. Proprio a ridosso si trova un’antica moschea sopravvissuta alla distruzione ad opera del regime comunista alla fine degli anni sessanta. A pochi passi dalla piazza si trovano la Torre dell’Orologio, uno dei simboli della città, e la splendida moschea Et’hem Bey con la grande cupola ed i quattro minareti, la più bella di tutta l’Albania. Camminando tra le vie di Tirana, non possono mancare un’occhiata alla cattedrale ortodossa della Resurrezione di Cristo, con l’alto campanile dorato, una visita al Bunk’Art 2, un bunker trasformato in museo (l’altro, il Bunk’Art 1, molto più imponente, si trova in periferia) ed una salita alla moderna Piramide Hoxha, realizzata come mausoleo del dittatore ed oggi ottimo punto panoramico per godere della vista su tutta la città.
Il nostro viaggio prosegue verso nord su una statale costipata da un traffico pazzesco. È una domenica mattina di sole ed un milione di Mercedes luccicanti si muove verso la costa mediterranea. La coda sulla strada è lunga decine di chilometri, a tratti in pigro movimento, a volte completamente ferma. Con le moto riusciamo a superare lentamente e cautamente la colonna fino a raggiungerne l’apice, accorgendoci che a creare il tutto era il corteo di un matrimonio. Arriviamo a Shkoder (Scutari), città ricca di storia e cultura alla quale purtroppo non possiamo dedicare una visita ma che ci dà la possibilità di assaporare eccellenti trote, cucinate ed affumicate in molti modi. Costeggiato l’omonimo lago, il più grande dei Balcani ed anch’esso tagliato in due dal confine tra Albania e Montenegro, saliamo poi fino a Hani Hotit, il posto di frontiera.
Montenegro
Dopo i necessari controlli doganali, riprendiamo la marcia verso Podgorica, la sesta capitale del nostro tour. Il Montenegro si rivela subito molto bello, con un verde territorio montuoso ricco di corsi d’acqua e vigneti. Podgorica è una quieta città a cavallo tra il passato comunista e la voglia di rinnovarsi, impreziosita dalla presenza dei due fiumi Moraca e Ribnica. Anche qui troviamo una parte nuova con la grande piazza della Repubblica, dove le famiglie si ritrovano la sera per far giocare i figli tra una semplice fontana e l’Hard Rock Café, e poco distante una zona ricca di locali, ristorantini e birrerie, affollata di giovani. Il confine tra la nuova e la vecchia Podgorica è l’immancabile Torre dell’orologio. La Old Town, pur non essendo chiaramente definibile in quanto “sparsa” in diversi punti della città, ospita moschee, case basse e colorate, orti, fiori ed alberi di vite e dove a volte si incontrano ancora vecchie automobili russe. I punti più suggestivi sono la Fortezza ed il ponte Ribnica, entrambi presso il luogo di unione tra i due fiumi cittadini. Un particolare cenno meritano il Millennium Bridge, uno dei simboli della Podgorica moderna chiaramente ispirato alle opere di Calatrava, il vicino Moscow Bridge e la Cattedrale ortodossa della Resurrezione, una delle più imponenti dei Balcani, con sette diverse croci sul tetto.
Dalla capitale montenegrina ci inoltriamo nel Paese salendo lungo una bella strada che costeggia il fiume Zeta. Poco prima di Niksic prendiamo una stretta e tortuosa deviazione che ci porterà al monastero ortodosso di Ostrog, il più importante luogo di pellegrinaggio del Montenegro. Incastonato nella parete rocciosa, può essere raggiunto sia in moto (per i meno ispirati) sia a piedi seguendo l’antica e faticosa via dei pellegrini. Ripresa la strada principale, continuiamo a nord tra le montagne. Oltre Pluzine, ad oltre 1500 metri di altitudine, incrociamo il corso del fiume Drina che superiamo su un moderno e svettante ponte proprio nel punto in cui forma il lago Trnovacko tra spettacolari pareti a picco. Immediatamente dopo il ponte, una stretta deviazione a destra si infila letteralmente in un oscuro tunnel scavato nella montagna ed inizia a salire rapidamente. È la prima di una serie di buie gallerie che conducono ad est inoltrandosi nel Durmitor, il Parco Nazionale che racchiude l’omonimo massiccio montuoso con cime oltre i duemila metri, laghi glaciali, orsi, lupi ed aquile, di cui fa anche parte lo spettacolare canyon del fiume Tara, il secondo più profondo al mondo dopo il Grand Canyon americano ed il più grande serbatoio di acqua potabile d’Europa. La strada è stretta, serpeggiante e magnifica e si snoda tra un vasto altipiano ed imponenti scenari montani, con boschi di centenari pini neri, di conifere e di cedri. Giungiamo dopo ore di impegnativa ma entusiasmante guida a Zabljak, tappa odierna e centro nevralgico per chi vuole esplorare il parco. Cittadina anonima che offre semplici sistemazioni alberghiere e servizi turistici, è l’insediamento urbano più alto dei Balcani con i suoi 1450 metri di altitudine.
Ci muoviamo da Zabljak verso est. Grandiosi panorami naturali ci accompagnano fino al ponte ad archi sul canyon del Tara, tanto spettacolare quanto inquietante visto lo stato del cemento con cui è fatto… Realizzato negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, ha avuto un importante ruolo strategico e militare durante il conflitto. Proseguiamo poi fino a Pljevlja, sempre godendoci il percorso, dove imbocchiamo una strada minore tra i boschi verso nordovest, impegnativa, stretta, rovinata, sporca e disabitata. Lo sperduto confine di Metaljka si materializza all’improvviso. I due solitari doganieri montenegrini sembrano sorpresi di sentire rumore di motori. Uno di loro continua a farsi i fatti propri al cellulare mentre l’altro si dà un’aria ufficiale controllando tutti i documenti, ma poi ci augura buon viaggio con un breve sorriso.
Bosnia-Erzegovina
La successiva sperduta dogana bosniaca ci lascia passare senza nemmeno fermarci. Un’altra ventina di chilometri difficili fino a Gorazde e finalmente riecco la statale. La Bosnia-Erzegovina è uno stato “strano”. Quale eredità della guerra, condivide il 50% del proprio territorio con la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, a sua volta divisa in tre aree site ai confini con Serbia, Montenegro e Croazia, ben riconoscibili da cartelli e bandiere. La sua popolazione tuttora mantiene etnie, religioni e culture molto diverse tra loro. Trent’anni fa sono state alla base di un sanguinoso conflitto, per cui sembra quasi incomprensibile come facciano oggi a convivere. Ad Ustipraca prendiamo a sinistra e guidiamo spediti lungo una bella strada fino a Sarajevo, l’ultima capitale del nostro viaggio, accompagnati nei chilometri finali da un fastidioso quanto imprevisto temporale. Il colpo d’occhio sul canyon all’ingresso dell’abitato è veramente incantevole, preludio alla bellezza della città.
Sarajevo è viva, vivace ed interessante, nonostante trattenga forti ricordi della guerra che l’ha vista coinvolta in prima persona. Vagando tra le vie del centro, tanti sono gli edifici che portano ancora evidenti segni dei bombardamenti cui è stata sottoposta durante i quattro anni di assedio da parte dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. I buchi lasciati dai colpi di mortaio sono chiamati le Rose di Sarajevo ed uno di questi si trova nel mercato Pijaca Markale, teatro di due massacri che provocarono oltre centro morti e duecento feriti, il secondo dei quali fu l’episodio che giustificò l’intervento della NATO nel conflitto. Oggi nel mercato si continua a trovare ottima frutta e verdura, ma passeggiando tra le bancarelle si nota un piccolo foro nel pavimento circondato da macchie rosse, a simboleggiare il sangue versato, con all’interno una bomba di mortaio. Normalmente il tempo a nostra disposizione nelle città non ci permette, purtroppo, di dedicarci ai musei, ma qui, proprio nel centro di Sarajevo, troviamo un’oretta per una visita alla Galerjia 11/07/95, un’agghiacciante finestra multimediale sul genocidio di Sebrenica messo in atto dal generale serbo-bosniaco Mladic come pulizia etnica nei confronti della popolazione musulmana.
Nella città vecchia si trovano a breve distanza tra loro edifici religiosi diversificati, tra cui la Moschea dell’Imperatore, considerata tra le più belle dei Balcani, la Cattedrale ortodossa della natività di Gesù, con una Rosa di Sarajevo proprio nell’area antistante l’ingresso, la Cattedrale cattolica del sacro Cuore, con le due torri campanarie gemelle e la grande Sinagoga Aschenazita. Dalla piazza centrale Bašcaršija, l’antico mercato con una bella fontana, partono la Ferhadija, via pedonale con negozi, ristoranti e caffè, ed una ripida strada che sale alle Fortezze Bianca e Gialla, punti panoramici. Il fiume Miljacka scorre nella città, scavalcato da diversi ponti, il più famoso dei quali è il Ponte Latino con quattro arcate in pietra, luogo dell’attentato del 1914 all’Arciduca austriaco Francesco Ferdinando che scatenò la Prima Guerra Mondiale. Nelle vicinanze sorge anche la Biblioteca Nazionale, semidistrutta durante l’assedio, che vide morire sotto il tiro dei cecchini tanti Vigili del Fuoco e volontari accorsi per salvare i manoscritti. Ancor oggi lungo il fiume corre l’Ulica Zmaja od Bosne, il Viale dei Cecchini dove i tiratori serbi, appostati sulle colline circostanti o sui palazzi, sparavano sulla popolazione. Per tentare di sottrarsi ai colpi, la gente correva sui ponti o camminava lungo il viale facendosi coprire dai mezzi dell’ONU. Chi invece la percorreva in auto, lo faceva ad almeno 120 km/h, velocità che pare desse una minima garanzia di non essere centrati. Ma non sempre funzionava.
La statale che porta verso Mostar è tortuosa ma scorrevole. Oltre Konic, nei pressi del lago Jablanicko, decidiamo di avventurarci su una strada parallela che sale sempre più stretta e contorta, diventando poi sterrata. Passiamo tra solitarie case con persone che ci guardano sorprese, mentre a tratti lo spettacolo del lago sottostante cerca di distrarci. L’asfalto poco dopo riprende e in breve scendiamo a Ostrozac attraversando un bellissimo ponte. A Jablanica la strada statale segue il corso del fiume Neretva e ci conduce a Mostar. La sua fama è legata allo Stari Most, il celebre ponte ottomano ad arco distrutto nel 1993 dai bombardamenti croati, simbolo della città. Il ponte, ricostruito nel 2004, attraversa il corso del Neretva, fiume che per decenni ha diviso la zona croata e cristiana della città da quella bosniaca e musulmana. A pochi passi dal più famoso ponte, si trova il Ponte Storto, un piccolo ponte in pietra bianca sul torrente Radobolja, considerato il più antico monumento architettonico ottomano della zona. Nella parte musulmana di Mostar si trovano stradine lastricate di ciottoli con centinaia di botteghe come in un bazar orientale. Le moschee si mescolano con i fabbricati più moderni, alcuni dei quali con le profonde ferite dei bombardamenti. Una visita merita la moschea di Koski Mehmed Paša del XVII secolo, danneggiata durante la guerra e poi ricostruita nel suo aspetto originario. Mostar è un magnifico borgo e lo sarebbe ancor di più se fosse più genuino e non soffocato dai richiami per i turisti che la invadono. Troppi ristorantini, locali e negozietti tutti uguali dove la folla dei visitatori è più attratta da cianfrusaglie, false antichità e souvenir pacchiani che non dagli edifici storici nascosti dalle mercanzie e dalle insegne pubblicitarie. Troppi.
Ripartiti da Mostar, scendiamo verso sudest per raggiungere il Monastero derviscio di Blagaj, una confraternita ascetica lontana dai beni materiali simile ai Frati mendicanti, incastonato nella roccia carsica proprio sulle acque blu della sorgente del fiume Buna. Ripresa la bella statale che corre lungo il Neretva, facciamo un breve passaggio da Medjugorje prima di portarci sulla costa dove di fatto il nostro tour finisce tra gli alberghi carissimi e le spiagge affollate della Croazia.
Game over.