Le perle del Lago Maggiore
È l’ora di pranzo e un bel piatto di pasta ‘alla lampara’ condito con pomodoro e una grattugiata di ricotta dura ci attende alla trattoria La Lampara. Il piatto non poteva chiamarsi diversamente visto che è la specialità del posto. Il servizio è veloce e alla mano, e il locale spartano dal buon rapporto qualità-prezzo. All’ora di pranzo è affollato di operai e questo è un buon segno quando si deve scegliere ristorante sconosciuto. Non affaccia sull’acqua ma in compenso è circondato da parcheggi, risultando così comodissimo per chi come noi si sposta in macchina.
Non potevamo scegliere una giornata migliore per partire per questa breve vacanza organizzata all’ultimo momento a causa del tempo incerto e dei nostri impegni, e vista la limpidezza dell’aria decidiamo a pancia piena di raggiungere i 1100 metri circa del Monte Sasso del Ferro. Se state pensando a una faticosa scarpinata vi sbagliate. In effetti il sentiero c’è ed è pure ben indicato, ma noi preferiamo salire a bordo dei piccoli bidoni verdi di ferro (usati al posto della classica cabinovia) e goderci il quarto d’ora di viaggio sino alla sommità. Man mano che si sale l’orizzonte aumenta pian piano e una volta in cima si resta entusiasmati dalla vista mozzafiato sul lago Maggiore, anche detto del Verbano, attorniato dalle dolci montagne delle prealpi foderate da boschi lussureggianti resi ancor più verdi dalle recenti piogge. Dietro di esse svettano le alte cime innevate delle Alpi e del maestoso Monte Rosa, mentre se si gira lo sguardo verso meridione compare il lago di Varese insieme agli altri laghetti del circondario e l’occhio si perde nell’infinità della pianura Padana. Paesaggio a parte, sulla stretta sommità del monte Sasso del Ferro si trovano un albergo, un ristorante e un bar, oltre agli immancabili giochi per bambini che il nostro Leonardo di diciassette mesi ha ampiamente sfruttato. Da qui ci si può pure lanciare con parapendii e deltaplani grazie al punto di lancio proteso verso il nulla: un brivido che lasciamo volentieri ad altri. Per tutte le informazioni sulla funivia consultate il sito internet: http://www.funiviedellagomaggiore.it.
Laveno dall’Eremo di Santa Caterina del Sasso, nostra prossima destinazione, dista poco meno di dieci chilometri da percorrere lungo la strada SP69 con qualche scorcio sul Verbano. Quando si giunge all’ampio parcheggio nulla lascia immaginare cosa si nasconde al termine dei 268 gradini di un percorso aggrappato alla parete verticale della scogliera che si getta nel lago. Volendo c’è anche un ascensore scavato nella roccia ma vale di certo la pena fare un po’ di fatica e giungere all’ingresso dell’Eremo godendosi il bel panorama e la sensazione di avvicinamento all’acqua sopra cui veleggiano silenziose barche a vela e sfilano traghetti carichi di turisti stranieri venuti fin qui ad ammirare le nostre perle italiane. Ad accogliere i pellegrini oltre al calore del sole particolarmente avvolgente, vi sono i dipinti della Sala Capitolare, o meglio ciò che rimane delle pitture eseguite in vari periodi storici. Di notevole impatto sono l’affresco del 1493 di S. Eligio intento a guarire un cavallo e il quadro raffigurante la crocefissione di Cristo con la Maddalena inginocchiata tra Maria Vergine e San Giovanni Evangelista. Entrambi hanno subito un minuzioso lavoro di restauro il quale li ha riportati agli antichi splendori. All’esterno della sala il grosso tronco di noce sostenuto da traverse e perforato da una vite di 353 centimetri costituisce il vecchio torchio da uve e da olive risalente agli anni a cavallo del 1700. Ci ricorda la semplice vita di un tempo e conserva la fatica fisica di quei monaci che stagione dopo stagione producevano vino e olio per il proprio sostentamento. Queste zone erano ricche di vigneti e oliveti e le persone per sopravvivere coltivavano la terra, di certo generosa visto il clima da riviera e la dolcezza delle sue colline.
Dopo un romantico porticato impreziosito da archi e colonne con vista lago si giunge alla chiesa, cuore del luogo, stretta tra la roccia friabile e la tozza torre campanaria di 15 metri. A fondarla fu, stando alla leggenda, Alberto Besozzi poi diventato Beato. Secondo quanto tramandato di generazione in generazione il Besozzi apparteneva a una famiglia agiata ma l’avidità l’aveva spinto a praticare attività illecite come l’usura. Un giorno del 1170 mentre navigava sul Verbano insieme ad alcuni amici una tempesta lo travolse e, terrorizzato dal pensiero di non sopravvivere, invocò Santa Caterina d’Alessandria affinché lo miracolasse. Il miracolo avvenne e lui trovò rifugio sui massi dove ora sorge l’eremo mentre tutti gli altri membri dell’equipaggio perirono. Grato di essersi salvato volle contraccambiare la grazia raddrizzando la propria vita e insieme alla moglie benestante, e molto devota, decise di vivere in povertà e in preghiera. La vicenda di Alberto Besozzi cominciò a diffondersi, il luogo divenne meta di pellegrinaggio e un santuario nacque e s’ingrandì nei secoli. La sua storia tuttavia non fu sempre felice. Appartenne ai Domenicani e poi ai Carmelitani, fu chiuso più volte e cadde in rovina, finché nel 1970 divenne proprietà della Provincia di Varese che lo restaurò. Adesso ci si può sedere in silenzio sui muretti del porticato ascoltando il fluttuare delle onde contro la roccia mentre si guarda sfilare lenta una canoa, e trascorrere così qualche istante di raccoglimento.
Torniamo a parlare della chiesa, preceduta da un porticato rinascimentale e frutto dell’unione di tre cappelle costruite in epoche diverse. Per tale motivo l’aspetto è unico, articolato su una navata centrale e solo una più piccola laterale, eppure in grado di fondere fra loro i vari edifici sacri. Sul fondo sorge il Sacello di Santa Cristina, la parte più antica risalente al XII secolo che riproduce il sepolcro della Santa sul Monte Sinai, poi si trova la Cappella di Santa Maria Nova e infine quella di San Nicolao, patrono dei navigatori, costruita nel 1300. Gli affreschi sono vari e articolati, più e meno conservati, e testimoniano differenti epoche di realizzazione. Curioso sapere la vicenda della piccola Cappella dei Sassi chiamata così perché nel 1700 alcune grosse pietre si staccarono dalla friabile parete di roccia verticale e caddero sulla sua volta rimanendovi incastrati fino al 1910, quando precipitarono sul pavimento senza arrecare danni o feriti: un altro miracolo. La chiesa custodisce quello che per secoli è stato il vero motivo del pellegrinaggio, ovvero il corpo del Beato Alberto Besozzi ancora ben conservato in una teca. La visita dell’Eremo si è rivelata una gioia per gli occhi, grazie all’amenità del luogo, per l’anima, se si crede se ne avverte la sacralità, e la mente, per via della storia del sito. Per tutte le informazioni sull’Eremo consultate il sito internet al link: http://www.santacaterinadelsasso.com.
Dopo una giornata così intensa ci attende la tranquillità del bed and breakfast Il Rovere immerso nei boschi del piccolo comune di Gattico, poco distante da Arona. L’accoglienza di Alessandra, la proprietaria, è stata straordinaria. Il grande giardino pieno di giochi per bambini ha calamitato il nostro Leonardo e nell’appartamento di nuova costruzione abbiamo trovato una gradita zona giorno con tè, caffè, biscotti, bottiglie di acqua naturale e gasata, succhi, marmellate, yogurt e molto altro. Tutto era a nostra disposizione, e per la colazione del giorno successivo da consumarsi comodamente nell’appartamentino. Con molta discrezione Alessandra ci ha rifornito di brioches, muffin e dolci freschi rendendo molto piacevole la nostra permanenza. Eccovi il sito internet della struttura: http://www.bbilrovere.it.
Il secondo giorno di vacanza sul lago Maggiore è all’insegna del divertimento e della scoperta del Safari Park di Pomba (sito internet: www.safaripark.it/). Lo so, molti di voi storceranno il naso sentendo parlare di questi parchi perché di certo l’esperienza vissuta qui dentro non è paragonabile all’emozione di ammirare gli animali nel proprio habitat. Tuttavia volevamo mostrare per la prima volta a Leonardo che in natura non esistono solo cani, gatti, galline, mucche e cavalli. Non so cosa si ricorderà, forse nulla, eppure sono convinta che la sua mente avrà un nuovo stimolo e quando crescerà lo spronerò a viaggiare per vedere, conoscere e capire di persona gli ambienti di origine di questi eccezionali mammiferi.
Essendo vicinissimo al b&b Il Rovere siamo una delle prime famiglie ad arrivare a Pombia e subito prendiamo posto sul trenino che compie il tour del parco. Il servizio è a pagamento, 2 euro a persona oltre al costo del biglietto d’ingresso, in alternativa si può utilizzare la propria automobile attenendosi a delle precise regole ma noi preferiamo goderci appieno l’esperienza senza preoccuparci della guida. Il giro comincia tra l’entusiasmo degli altri bambini più grandicelli attraversando la ‘savana’ dove pascolano indisturbate zebre, giraffe, antilopi, struzzi, gnu, dromedari. Il treno su ruote avanza lento consentendo ai passeggeri di scattare delle fotografie e di osservare con calma, così seminascosto in uno stagno intravediamo l’enorme testa di un ippopotamo e nella seconda recinzione ammiriamo il leone oziare accanto alla leonessa, e le tigri muoversi guardinghe. Usciti dalla zona protetta possiamo scendere dal nostro mezzo di trasporto nei pressi della grande voliera e rimaniamo subito rapiti dal colore degli occhi dei rapaci e dalla loro espressività. Incutono timore il grifone a dorso bianco, l’aquila di mare testa bianca e l’avvoltoio faccia bianca, mentre colpiscono le dimensioni del gufo reale e il candore della civetta delle nevi. Nell’area ‘far west’ è impossibile non ammirare la pacata imponenza del bue dei watussi e più avanti ci rallegriamo con i simpatici lemuri dalla lunga coda zebrata. Nel parco non mancano neppure un acquario, un rettilario e la casa degli insetti, un ampio viale con negozietti di souvenir, una tavola calda self service e tanti giochi di cui alcuni liberi e altri a pagamento. Abbiamo inoltre apprezzato gli spettacoli organizzati nell’arena romana con protagonisti gli stupendi destrieri spagnoli e i leoni marini. Insomma, una giornata straripante di emozioni all’insegna degli animali e del divertimento, piena di cose da fare e da vedere di cui non siamo rimasti delusi, Leonardo compreso!
Dopo un breve passaggio in appartamento, partiamo alla volta di Arona, una graziosa cittadina in provincia di Novara adagiata sulla sponda piemontese del lago Maggiore. I simboli di Arona sono due: la Rocca e la statua di San Carlo. Visitiamo prima i resti di quella che fu una fortezza militare costruita durante l’impero romano, poi passata di mano in mano ai signori di Milano, quindi distrutta e ricostruita dai Visconti. Questi ultimi nel 1493 la cedettero ai Borromeo i quali ne rafforzarono le mura e proprio qui il 2 ottobre 1538 nacque San Carlo Borromeo. Secoli dopo Napoleone decise di radere al suolo la rocca e così il lembo di terra accovacciato su uno sperone di roccia alto più di 100 metri fu destinato a uso agricolo fino al 1970, quando i Borromeo lo donarono al Comune. Bisogna aspettare il 2011 per la riqualifica della zona che ha portato alla creazione di un bel parco dove passeggiare e dal quale ammirare da un lato i resti delle torri e degli edifici del castello, e dall’altro il panorama sul basso Verbano. Riusciamo a scorgere persino il punto dove sorge l’Eremo di Santa Caterina, un rettangolo di roccia bianca tra il verde scuro della vegetazione, e la cima del Sasso del Ferro. Sotto di noi i tetti rossi delle case di Arona si raggruppano attorno alla chiesa e sulla riva opposta spicca la ben mantenuta rocca di Angera. Un panorama davvero suggestivo baciato dall’ultimo sole della sera.
Se si viene ad Arona è d’obbligo salire in cima al Sacro Monte per lanciare anche solo un’occhiata da lontano, come abbiamo fatto noi dato il tardo orario e la chiusura dei cancelli, alla statua di San Carlo Borromeo. Per la sua altezza totale di 35 metri è chiamata bonariamente sancarlone, e in effetti la sagoma del beato costruita con lastre di rame e poggiata sopra dei blocchi di pietra non passa certo inosservata.
Canonizzato dopo soli 25 anni dalla morte avvenuta nel 1584, San Carlo è considerato uno dei maggiori riformatori della chiesa del XVI secolo e il cugino, Federico Borromeo, ne volle celebrare la grandezza costruendo quindici cappelle, una chiesa e un enorme scultura. Se le ultime due furono realizzate, di cappelle ne esistono soltanto tre ma il cardinale Federico può comunque sentirsi soddisfatto del proprio operato visto il numero di pellegrini che ancora oggi giungono fin qui a pregare San Carlo.
Per la cena decidiamo di scendere sul lungolago al ristorante pizzeria da Aldo (sito internet: http://www.aldopizzeria.it/) situato all’inizio della zona a traffico limitato e molto comodo da raggiungere a piedi essendo a due passi dai parcheggi pubblici di piazza Gorizia. Gustare un’ottima cena seduti ai tavolini esterni dislocati in piazza del Popolo direttamente sull’acqua e con una vista magnifica sulla rocca di Angera è stato meraviglioso, e anche romantico se tralasciamo il fatto che nostro figlio si è completamente imbrattato col pomodoro di una pizza margherita.
La passeggiata serale sul lungolago illuminato dalla luce arancione dei lampioni è un must per concludere al meglio la serata e assaporare il fascino ‘dell’Arona notturna.
Dopo un sonno ristoratore e lo splendido sole dei giorni precedenti ci svegliamo con un cielo solcato da compatte nuvole grigie che non preannunciano nulla di buono. Il meteo in effetti prevedeva peggioramenti eppure speravamo si sbagliasse. L’allegria tuttavia non ci abbandona e arriviamo nella bella, e costosa, cittadella di Stresa speranzosi di trascorrere senza pioggia qualche ora indimenticabile sulle isolette del lago Maggiore.
Appena giunti al parcheggio del porticciolo ci procuriamo i biglietti per usufruire del trasporto a tutte le tre isole al costo di 15 euro a persona (bimbo escluso). Non si tratta di traghetti bensì di piccole imbarcazioni della capienza di 30/40 persone che garantiscono il servizio di navigazione ogni ora.
In pochi minuti siamo sull’Isola Madre dove decidiamo di acquistare il biglietto d’ingresso cumulativo che, al costo di 25 euro a persona, comprende gli accessi anche al palazzo e giardino dell’Isola Bella e alla Rocca di Angera. Oltrepassato il cancello veniamo subito fagocitati dalla lussureggiante vegetazione del parco e dalla miriade di colori delle tantissime specie floreali coltivate da giardinieri esperti. Un cortile ghiaioso abbellito da una vasca piena di ninfee conduce all’antica dimora, e se l’esterno appare consumato dall’implacabile susseguirsi delle stagioni, l’interno col sontuoso arredamento proveniente da varie ville dei Borromeo ci trasporta nella vita del XVI e XVII secolo. Scopriamo così la stanza del collezionista in cui spiccano bambole e quadretti, quella delle marionette per teatro dove i pupazzi rappresentano personaggi buffi e allegri, e il teatrino chiamato inferno con la scenografia degli inferi. Ammiriamo i mobili in stile impero e il servizio da tavola in porcellana viennese della sala da pranzo, poi lo studio con scrittoio il cui prezioso mobilio è intarsiato in avorio. La visita è resa ancor più piacevole dalle grandi finestre che regalano splendidi scorci del Verbano.
All’esterno è davvero un piacere perdersi nel grande parco all’inglese attraversato da viali e stretti sentieri e popolato da coloratissimi uccelli. Lì fuori si guarda con rispetto e soggezione il maestoso cipresso del cashmir, simbolo dell’isola, arrivato fin qui sotto forma di minuscoli semi nel 1862 dalla regione dell’Himalaya. Il fatto di aver attecchito ed essere cresciuto maestoso nel centro del lago Maggiore è un miracolo, reso ancor più importante se si pensa che è una specie in via d’estinzione. Per questi motivi quando la notte del 28 giugno 2006 una devastante tromba d’aria lo ha abbattuto, molti uomini si sono mobilitati per salvarlo. L’impresa è riuscita. Rimesso in posizione verticale e interrate le radici, l’immenso albero ha continuato a vivere e, se pur imbrigliato e sostenuto da grossi cavi, ancora oggi è possibile ammirarlo.
Salutiamo l’isola Madre quando una leggera pioggerella comincia a cadere sulla superficie dell’acqua senza tuttavia turbarne la tranquillità. Ad attenderci sulla vicinissima Isola dei Pescatori c’è il ristorante pizzeria La Rondine (sito internet: http://www.pizzerialarondine.it/ dove apprezziamo un ottimo piatto di pesce. Questa lingua di terra gettata nel Verbano è la più piccola delle tre e rappresenta un romantico punto di sosta tra la visita di un palazzo e l’altro, una frivola evasione per la gioia del palato. L’isola infatti è prettamente commerciale e pullula di ristorantini vista lago, di negozietti di souvenir e prodotti di artigianato affacciati sullo stretto selciato che la taglia in due o sui corti viottoli laterali protetti dalle volte o dalle grondaie. L’unico elemento che ricorda l’antica attività lavorativa degli abitanti, e quindi le sue origini, sono le reti da pesca colorate appese sull’angolo di una vecchia casa in sasso. Attenzione: merita comunque una sosta soprattutto per il pranzo o la cena, perché stando qui ci si dimentica del resto del mondo.
Ultima delle Borromee in ordine di visita è l’Isola Bella e, come preannunciato dal nome, lo splendore del palazzo e dei giardini comincia a riempire gli occhi quando ancora si è sul traghetto per poi esplodere una volta scesi a terra.
Attratti come le api al miele iniziamo la visita degli interni e subito la Galleria dei quadri ci abbaglia con i suoi 130 dipinti. Sono talmente tanti e così vicini gli uni agli altri da creare una certa confusione e forse sminuirne la bellezza, sebbene non si discuta sul valore di ogni singolo pezzo. La sala delle alcove, chiamata così per via dei due letti affiancati e separati solo da balaustre riccamente decorate e intagliate, appare un po’ strana perché sembra ci sia uno specchio che riflette e raddoppia lo spazio. E’ anche detta della regina, in ricordo del soggiorno della regina Maria Cristina di Savoia assieme al marito re di Sardegna Carlo Felice. Nella villa non poteva certo mancare la Stanza del Trono e quella della musica, e curiosa è la Sala delle medaglie che rappresentano alcuni fatti della vita di San Carlo Borromeo. Lo sfarzo massimo però lo si raggiunge nel Salone. Si tratta dello spazio più grande della dimora, superando i tre piani di altezza, e in esso quattro pilastri sorreggono la cupola abbellita da decori e colori tenui. Nel centro del salone spicca il plastico dell’isola Bella realizzato, pensate un po’, nel 1812 da un semplice cameriere. Al termine della visita del piano nobile ci accorgiamo che il filo conduttore del palazzo sono le pitture e gli intarsi in legno, i soffitti decorati a stucco, ma soprattutto l’onnipresente vista verso il lago incorniciata dalle grandi finestre.
Una scala conduce al livello inferiore e al teatrino dove sono esposte alcune delle marionette appartenenti alla ricca collezione dei Borromeo, nonché delle scenografie utilizzate durante gli spettacoli casalinghi. Una manciata di passi e si aprono le porte dell’Appartamento delle Grotte. Trattasi di sei stanze riproducenti l’esotico mondo dei fondali marini grazie all’accostamento cromatico formato dai sassi, il tufo, il carbone, la lava, i frammenti di marmo e la mica incollati su soffitti e pareti. L’atmosfera oceanica viene amplificata dallo stucco plasmato in conchiglie, sirene, ninfee, pesci e tartarughe, mentre sui pavimenti i ciottoli di fiume disegnano scene araldiche, stemmi e simboli, creando un ambiente davvero unico e suggestivo. Pare di essere catapultati nella favola della Sirenetta: qui i sogni e la fantasia regnano sovrani.
La sontuosa Galleria con gli Arazzi fiamminghi del XVI secolo, sui quali gli animali simboleggiano vizi e virtù dell’uomo, guida il visitatore nell’altrettanto sfarzoso parco cominciando dall’Atrio di Diana. La statua della dea della caccia sorveglia il cortile nel mezzo di una fontana e al di sotto di eleganti archi e balaustre. Dietro di essa due rampe di scale conducono in ‘paradiso’, ovvero ai giardini all’italiana in stile barocco sistemati su più livelli che formano diverse terrazze sul lago e dominati dalla meravigliosa grotta aperta impreziosita da sculture, obelischi e grandi conchiglie. Si rimarrebbe per ore a guardarla tanta è la sua leggiadra bellezza e in effetti girovaghiamo un bel po’ tra i viali lanciando spesso un’occhiata verso l’alto, senza mai stancarci del panorama. Vi segnalo il sito internet dedicato alle tre isole Borromee (Madre, dei Pescatori, Bella) e alla Rocca d’Angera: http://www.isoleborromee.it.
Torniamo sulla terra ferma e concediamo ai nostri occhi di concludere la giornata nel lusso passeggiando sulla riva del Verbano che accoglie gli alberghi a quattro/cinque stelle del borgo di Stresa. C’e l’imbarazzo della scelta ma l’apoteosi della pomposità si raggiunge davanti al Grand hotel des Iles Borromees inaugurato il 21 marzo 1863 e ancora oggi, dopo più di 150 anni, simbolo del lago Maggiore.
Torniamo alla realtà cenando al ristorante della catena Roadhouse nella zona commerciale di Castelletto sopra Ticino vicinissimo al bed and breakfast. Non è certo da paragonare all’alta cucina che gusteranno gli ospiti del Grand hotel ma siamo qui tutti e tre insieme, uniti e in armonia, ed è questo quello che conta.
Le ultime ore di questa breve vacanza a cavallo tra Lombardia e Piemonte le trascorriamo alla Rocca di Angera. L’imponente maniero appare possente e inespugnabile, adagiato su una collina calcarea il cui fianco rivolto al lago risulta verticale e privo di vegetazione, e per il resto attorniato da un fitto bosco. Dal 1449 appartiene alla famiglia Borromeo eppure le sue massicce mura risalgono al XII secolo. Se guardandola dalla dirimpettaia rocca di Arona la si vede in tutta la propria grandiosità, da vicino l’occhio non riesce ad abbracciarla per intero e deve indugiare su ognuno dei cinque corpi di fabbrica che la compongono, costruiti in epoche diverse. Tra l’alta Torre Castellana e la tozza Torre di Giovanni Visconti del XIV secolo si sviluppa l’Ala Viscontea del XIII secolo con l’affrescata Sala della Giustizia. Chiudono il maniero l’Ala Scaligera e l’Ala dei Borromeo, ultima in ordine di tempo.
Ci sentiamo infinitamente piccoli e indifesi sotto l’arco di accesso, mentre un senso di protezione ci avvolge una volta giunti nel cortile interno, dove sulla sinistra si è subito attratti dal grande torchio del 1600, secondo per dimensioni in Lombardia e molto simile nel funzionamento a quello conservato nell’Eremo di Santa Caterina del Sasso. A una delle estremità della grossa trave orizzontale s’incunea una vite di regolazione con quattro fori nei quali venivano inserite delle aste in legno che ne consentivano la rotazione. In tal modo la trave, poggiata su un’intelaiatura in legno nell’altro estremo, poteva abbassarsi e pigiare le uve, il cui succo era raccolto nella vasca in pietra.
Le sale della rocca accolgono dal 1988 il Museo della Bambolo e del Giocattolo. Il nucleo dell’esposizione è costituito dalle bambole collezionate dalla Principessa Bona Borromeo Arese, e per la loro quantità e qualità rappresentano una delle raccolte più importanti d’Europa. Ammirando i diversi materiali di cui si compongono: legno, cartapesta, cera e porcellana, insieme agli abiti e agli accessori, si compie un viaggio nella storia di questo oggetto tanto amato dalle bambine di ogni età (perché in fondo ognuna di noi conserva il suo lato fanciullesco), partendo dal 1750 fino ai giorni nostri. Tra loro spiccano le meravigliose bambole francesi con la testa di pregiata e bianchissima porcellana biscuit e bocca chiusa. C’è spazio anche per i maschietti nell’area dedicata al Giocattolo. Ed ecco perciò comparire animali, fattorie, casette, macchine e treni in miniatura, poi ancora le creature fantastiche che popolano il mondo dei sogni e per concludere i primi automi. Insomma, in questo museo dei balocchi non manca proprio nulla, e se i nostri figli guardano con curiosità certi oggetti desiderando di diventare grandi in fretta, noi adulti siamo travolti dalla nostalgia e dall’irrealizzabile desiderio di tornare bambini.
Lasciamo la malinconia all’interno, chiudendo per bene le pesanti porte in legno, e ci tuffiamo nel ricco Giardino medievale all’ombra della rocca. Qui le piante da frutto crescono assieme a quelle ornamentali e le specie esotiche si mischiano agli arbusti locali, non manca nemmeno un pozzo, e il tutto cresce in armonia su un praticello verde tagliato all’inglese.
Questo è l’ultimo degli indimenticabili scorci vissuti sul lago Maggiore: tante bellezze e molte emozioni in un’unica breve vacanza.