Croazia, mare e cultura
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La travagliata storia della Croazia trova la sua sintesi proprio nella capitale Zagabria, per secoli costituita in realtà da due comunità indipendenti, sopra due basse colline separate da un fiumiciattolo: Kaptol era il centro del potere religioso, Gradec di quello laico e militare, in perenne contrasto tra di loro. Solo nell’Ottocento, grazie ai progetti urbanistici degli Asburgo, Zagabria si sviluppò verso sud con Donji Grad, dotandosi di tutto ciò che serviva a una moderna città dell’epoca. Nel secondo dopoguerra, infine, l’ulteriore espansione urbanistica, con gli anonimi quartieri di Novi Zagreb, ha portato la popolazione a un milione di abitanti. Oggi Zagabria si presenta come una città piacevole e ben organizzata, ricca di atmosfera nelle incantevoli piazzette della Città Vecchia e piena di gioia di vivere nelle animate serate estive, con i locali lungo Tkalciceva affollati di giovani.
Zagabria è anche un’ottima base per esplorare la Croazia interna, una regione lontana dal turismo di massa, che offre invece molti motivi di interesse: lo Zagorje è una distesa di colline punteggiate di villaggi e castelli, Samobor un delizioso paesino in mezzo ai boschi, Varadzin una cittadina dalle atmosfere asburgiche.
Il nostro soggiorno al mare ci ha confermato che l’isola di Rab è un vero paradiso per i bambini, grazie alle sue innumerevoli spiagge di sabbia, una rarità in Croazia. A San Marino l’immenso arenile, ad agosto affollato di bagnanti, è comunque piacevole. L’acqua si mantiene bassa per centinaia di metri offrendo ai piccoli la possibilità di starsene a mollo per ore. Dal paese poi si possono raggiungere le meravigliose spiagge della penisola di Lopar, in fondo a calette immerse in paesaggi incontaminati. È incredibile pensare che basti una decina di minuti in gommone per fuggire dalle folle dell’estate e tuffarsi in acque cristalline con tonalità da paese tropicale. L’isola inoltre non è priva di motivi di interesse culturale, concentrati nell’incantevole paese veneziano di Rab, disteso su un sottile promontorio e vegliato dalle guglie di quattro campanili. Anche durante lo spensierato soggiorno estivo, la storia ci ha comunque voluto ricordare le sue tragedie: durante la seconda guerra mondiale, sull’isola il fascismo italiano istituì un campo di sterminio, nel quale trovarono la morte migliaia di persone; nel carcere di Goli Otok, l’Isola Calva, Tito fece rinchiudere i suoi avversari stalinisti e anche in questo caso la durezza delle condizioni fece moltissime vittime. La visita a questi siti è un’esperienza toccante: il contrasto tra la spensieratezza dei bagnanti di oggi e il triste destino dei prigionieri del passato mi ha ricordato quanto debba ritenersi fortunata la nostra generazione. La natura, un tempo matrigna per l’implacabile sole estivo e la bora invernale, è diventata generosa dispensatrice di entusiasmanti bellezze.
Domenica 3 agosto: Zagabria
Per raggiungere Zagabria in auto da Roma decidiamo di viaggiare di notte, come già avevamo fatto in una precedente vacanza in Istria. Partiamo alle undici di sera, incontrando pochissimo traffico lungo il percorso autostradale fino a Trieste. Varcato il confine, acquistiamo la vignette per le autostrade slovene, accolti dal clima uggioso di una mattina nebbiosa. Superata Lubiana, passiamo in Croazia; Zagabria si trova poco oltre il confine e alle nove siamo già nell’appartamento prenotato su Internet. La signora Lidija ha organizzato tutto per e-mail; è in vacanza a Cres e le chiavi ci vengono consegnate dai genitori.
L’appartamento si trova nella Città Bassa lungo Vlaska, percorrendo la quale si raggiunge presto la cattedrale; le altissime guglie gemelle sembrano volerci dare il benvenuto in città. Subito prima di diventare pedonale, la strada si allarga in una piazzetta con la statua bronzea di August Senoa, poggiato su colonna per le affissioni sulla quale è incisa una sua poesia. La figura in una posizione molto naturale, come se un passante si fosse fermato un attimo a riposare, accompagnerà tutte le nostre passeggiate, tanto da farmi chiedere a Fabio “ma quel signore non si muove mai?”. Superata una stella a cinque punte con un blocco di granito che reca la data 1.7.2013, ingresso della Croazia nell’Unione Europea, la salita ci porta fino alla cattedrale di Santo Stefano.
In mezzo alla piazza, cuore del quartiere di Kaptol, sopra una colonna circondata in basso da quattro angeli, si leva alta la statua dorata di Maria con i lunghissimi capelli ondulati sparsi sulla veste. Una coppia di soldati in uniforme tradizionale si lascia fotografare impassibile insieme ai turisti. A fianco della cattedrale, un orologio è fermo alle ore 7:03 del 9 novembre 1880, il momento del tremendo terremoto che inflisse grave danni alla chiesa. L’aspetto attuale è dovuto alla successiva ricostruzione, opera degli architetti viennesi Friedrich von Schmidt e Hermann Bolle, che si concentrarono soprattutto sulle guglie neo-gotiche alte più di cento metri. Un cartello ricorda che durante il comunismo la chiesa cadde in uno stato di grave abbandono; in seguito, importanti lavori di restauro accompagnarono le visite di Giovanni Paolo II e Benedetto XV. Oggi un’esposizione a cielo aperto pone a confronto le colonne, i pinnacoli e i doccioni mangiati dall’erosione, con quelli nuovi, perfettamente levigati.
La cattedrale è circondata per tre lati dal complesso dell’arcivescovado, costruito sulle mura innalzate quando incombeva la minaccia dei turchi, delle quali si conservano alcune possenti torri. Facendo il giro nel cortile tra la cattedrale e l’arcivescovado si apprezzano architetture gotiche dall’aspetto più antico, rispetto alla facciata eccessivamente immacolata. L’interno a tre navate della chiesa è bruttino, in particolare il pavimento a mattonelle e gli enormi lampadari. Una grande parete reca un lungo testo in glagolitico e sopra le statue di un calvario. Dietro l’altare maggiore si trova la tomba di Alojzije Stepinac: sul catafalco è collocata l’effige distesa in abiti vescovili, accompagnata da bassorilievi di argento che ritraggono il corpo del defunto vegliato da vescovi e suore. Il capo della chiesa croata, dopo la seconda guerra mondiale, fu processato e condannato dai comunisti per “attività antinazionali”, trascorrendo cinque anni in prigione e il resto della vita praticamente agli arresti domiciliari. Dopo la sua morte nel 1960 è diventato per molti croati un martire e patriota, fino alla sua beatificazione da parte di Giovanni Paolo II durante la visita in Croazia nel 1998.
Dalla cattedrale raggiungiamo subito il colorato mercato di Dolac; la statua di una contadina con una cesta sulla testa sembra ricordare che ancora oggi sono in molti a venire dalla campagna per vendere i prodotti freschi. Dietro la piazza spunta la guglia della chiesa Sv. Marija, mentre in una vicina piazzetta bancarelle di fiori circondano la statua di Petrica Kerempuh, con la chitarra e un cappio al collo. Le avventure di questo imbroglione vagabondo, simbolo dell’umorismo sarcastico dei croati, sono raccontate nelle “Ballate di Petrica Kerempuh” di Miroslav Krleza. Nelle vie intorno affacciano le case barocche dei cittadini di Kaptol.
Proseguendo in discesa siamo a Tkalciceva, la via più animata della città, una successione ininterrotta di ristoranti, caffè e locali con tavolini all’aperto. La strada sorge sul letto coperto del torrente che separava Kaptol e Gradec. Le case, quasi tutte a un piano, sono piacevolmente tinteggiate con colori pastello, molte sormontate da tetti spioventi di tegole con abbaini. Un grande uovo di Pasqua, dipinto con un paesaggio rurale di contadini, rappresenta il nostro primo incontro con la pittura naif croata; un cartello spiega che altre uova di questo genere sono state installate in varie capitali mondiali.
Via Krvavi Most (Ponte di Sangue) ricorda nel nome il ponte che collegava Gradec e Kaptol, teatro spesso di sanguinosi scontri. Lungo la salita verso il villaggio rivale, una grande cravatta con i quadretti bianchi e rossi della bandiera croata ribadisce che la kravata è un’invenzione croata. Superata la statua di San Giorgio a cavallo, armato di una lunga lancia, sopra la figura del drago ucciso, si raggiunge la Kamenita Vrata (Porta di Pietra), ingresso orientale di Gradec. Nel Settecento un’icona della Vergine sopravvisse a un incendio disastroso e da allora le furono attribuiti poteri miracolosi. Nel portico buio numerose lapidi e candele evidenziano la devozione degli abitanti di Zagabria per questa immagine sacra.
Gradec è sicuramente il quartiere più affascinante di Zagabria, ricco di deliziose piazzette. Per prima raggiungiamo Jezuitski trg, fiancheggiata dal convento dei gesuiti, oggi utilizzato per mostre temporanee, e ornata dalla fontana del Pescatore, rappresentato nudo, con uno sguardo cattivo, mentre strozza un serpente dal quale zampilla l’acqua. Subito dopo sull’incantevole Katarinin trg si affaccia la bianca chiesa gesuita di Santa Caterina, della quale non potremo mai apprezzare l’interno barocco perché la troveremo sempre chiusa. Sulla piazza si trova anche il museo dei cuori infranti (che non visitiamo, rimanendo con il dubbio di conoscere cosa conterrà!), mentre da un angolo si accede a una terrazza che offre una splendida vista frontale sulle guglie della cattedrale e di Santa Maria. In fondo alla piazza, CirilMetodska conduce da un lato a Markov Trg, dall’altro alla torre e alla funicolare. Piazza San Marco è il cuore di Gradec, circondata dagli edifici del potere: il Sabor (parlamento) e il palazzo del Ban (un tempo sede del governatore asburgico, oggi del governo). La piazza ha sempre costituito il centro della politica; qui prestavano giuramento i governatori della Croazia, tradizione ripresa dal presidente Tudman. Nel 1573 il capo della rivolta contadina, Matija Gubec, fu giustiziato in una parodia di tali cerimonie, seduto su un trono e “incoronato” con un cerchio di acciaio rovente; il suo volto è raffigurato nell’angolo di una casa. La chiesa di San Marco, insolitamente collocata al centro della piazza, è uno dei simboli della città, grazie al vivace tetto spiovente di tegole smaltate che riproducono gli stemmi di Zagabria e della Croazia. Quello croato è diviso in tre parti corrispondenti alle regioni storiche del paese: la Croazia interna rappresentata dalla scacchiera rossa e bianca, la Dalmazia con tre teste di leone stilizzate e la Slavonia con la martora che corre tra due fiumi, la Sava e la Drava. La chiesa è un bianco edificio gotico, ricostruito più volte. Solo alcuni elementi, tra cui il bel portale meridionale, risalgono all’edificio del XIV secolo. Il campanile con cuspide barocca fu aggiunto nel Seicento. L’interno è chiuso e per oggi dobbiamo limitarci a dare un’occhiata dalla porta.
Davanti alla stazione superiore della funicolare si leva Kula Lotrscak, la Torre dei Ladri, residuo delle fortificazioni di Gradec. Il suo nome ricorda l’usanza di segnalare con una campana la chiusura delle porte cittadine per tenere fuori i ladri la notte; oggi invece, ogni giorno a mezzogiorno, da qui viene sparato un colpo di cannone. Tutti insieme, Giulio nella fascia con il papà e Fabio per mano con la mamma, saliamo la scala a chiocciola fino alla terrazza panoramica. Dalla cima si dominano i tetti rossi di Gradec, mentre sull’altro lato in lontananza si scorgono gli alti edifici di Novi Zagreb.
Concludiamo in bellezza la nostra passeggiata attraverso il cuore antico di Zagabria con Strossmartre, l’alberata via che parte dalla torre, così scherzosamente denominata unendo il nome del vescovo Strossmayer a quello della Montmartre parigina, per indicare la colonia di artisti che vi espone le sue opere. Ci sediamo ai tavolini di un caffè, apprezzando il panorama sulla città bassa; tra le chiome degli alberi spuntano svariati pupazzi colorati. Un fitto programma di eventi serali ravviva l’estate cittadina.
Per scendere a Donji Grad sfruttiamo la funicolare, che si proclama la più corta al mondo, con grande divertimento dei bambini. Percorriamo poi Ilica, votata allo shopping, fino a raggiungere Trg bana Jelacica, vero ombelico della città, caratterizzata dallo sferragliare degli innumerevoli tram.
La grande piazza, circondata da edifici classicheggianti e liberty, ma anche razionalisti, è intitolata a Josip Jelacic, ban della Croazia nell’Ottocento. La sua statua equestre fu rimossa nel 1947, perché considerata un pericoloso punto di riferimento per il nazionalismo croato. Dopo la caduta del comunismo è tornata al suo posto, ma con un diversa orientamento: nell’Ottocento Jelacic sguainava la spada ricurva verso l’Ungheria, all’epoca nemica della Croazia, mentre ora si rivolge verso sud in direzione della Serbia. Le vicende del ban sono indicative di una visione non sempre obiettiva della storia da parte dei croati, in particolare del loro ambiguo rapporto con l’Austria, come racconta Rebecca West nel suo libro “Black Lamb and Grey Falcon” (1941), per altro apertamente schierato con i serbi. Dopo la restaurazione del congresso di Vienna, si era sviluppato il movimento illirico, sostenitore del panslavismo e dell’affrancamento degli slavi del sud dall’impero asburgico. Il movimento, rifiutato da sloveni e serbi, rappresentò il rinascente nazionalismo croato; già il suo nome tuttavia indica un grave errore storico, poiché gli illiri, antenati degli attuali albanesi, a quei tempi erano considerati progenitori degli slavi. La corte asburgica in un primo momento sembrò appoggiare il desiderio croato di una maggiore autonomia, ma il suo unico scopo era quello di indebolire l’Ungheria considerata la minaccia più pericolosa. In questa situazione Josip Jelacic, sostenitore del partito nazionale, fu nominato ban della Croazia. Nel 1848 gli ungheresi si ribellarono contro l’impero, rifiutandosi di riconoscere ogni forma di autonomia alla Croazia, loro tradizionale possedimento. I croati finirono così per diventare lo strumento nelle mani degli Asburgo, aiutandoli a reprimere la rivolta ungherese. Qualche decennio più tardi, tuttavia, Francesco Giuseppe dovrà accettare la riorganizzazione dell’impero con la creazione della monarchia bicipite austro-ungherese; la Croazia sarà definita “una nazione con un territorio proprio”, ma di fatto ricadrà sotto il controllo ungherese, separata dalla Dalmazia amministrata dagli austriaci. Ironicamente la statua di Jelacic era stata inaugurata appena l’anno prima; è proprio curioso, come scrive Rebecca West, che la statua sia stata eretta per “commemorare una sconfitta ungherese al tempo in cui l’Ungheria dominava la Croazia”.
La giornata è stata molto impegnativa, dopo una notte trascorsa in auto; la sera ceniamo quindi a casa.
Lunedì 4 agosto: Zagorje
La regione dello Zagorje si estende a nord di Zagabria fino al confine sloveno ed è considerata una delle più affascinanti della Croazia interna, una distesa di colline coperte di boschi, punteggiata di villaggi e castelli.
Lasciata l’autostrada, che continua fino a Maribor in Slovenia, raggiungiamo per primo il paese di Klanjec, circondato da colline coperte di vigneti e dominato dalla cuspide della settecentesca chiesa francescana. Il turismo è del tutto assente: l’interno della chiesa dagli arredi rococò può essere solo sbirciato dalla porta, mentre la cripta (mausoleo della famiglia Erdody) e il museo dedicato ad Antun Augustincic, prolifico scultore croato, sono chiusi (quest’ultimo per il rifacimento del tetto).
Proseguendo per un’altra decina di chilometri raggiungiamo Kumrovec, trasformato in un villaggio museo. Josip Broz, meglio noto con il soprannome di Tito, nacque nel 1892 proprio in questo villaggio, settimo di quindici figli; suo padre era un piccolo proprietario croato, sua madre slovena. La casa natale fu trasformata in museo, quando ancora era in vita; oggi si presenta come un’immacolata abitazione coperta da un tetto spiovente di tegole. I suoi ambienti propongono arredi di fine Ottocento, con una piccola collezione di foto e cimeli. Di fianco alla casa, una statua di Augustincic ritrae il Maresciallo in abiti militari, pensoso con le mani dietro la schiena. La distesa di pannocchie, appese alle pareti di legno di un’abitazione, ribadisce l’ambientazione rurale. Le altre case del villaggio, bianchi edifici coperti da tetti di paglia o di tegole, consentono un’interessante immersione nelle atmosfere di un villaggio contadino del passato. La maggioranza è formata da due stanze da letto, ai lati di un piccolo ingresso con il forno. Alcune propongono esposizioni dedicate ai mestieri rurali, una ai licitarska srca, vistosi biscotti di panpepato a forma di cuore caratteristici dello Zagorje; una festa di nozze tradizionale è ricostruita con manichini in costume e tavoli pieni di cibo. Durante la visita, Giulio si diverte a sgambettare nei prati attraversati da un ruscello gorgogliante, davanti a un alto covone culminante in un palo coperto da una pentola, incuriosito da un gallo che circola liberamente; Fabio invece, prima è attratto dai frutti di un grande albero di mele, che cerca invano di cogliere, poi da una collezione di carrozze di pompieri.
Ripresa l’auto, per pranzo raggiungiamo un ristorante di campagna, Gresna Gorica, collocato sopra una collina con belle viste sul castello di Veliki Tabor. Tra i tavolini all’aperto sono sistemati giochi per bambini: una grande botte è stata trasformata in una casetta.
Il castello di Veliki Tabor, sopra una collina erbosa, è il più impressionante nello Zagorje, costruito nel XVI secolo dai Rattkay, una delle più potenti famiglie di proprietari terrieri della Croazia. Un anello compatto di torri semicircolari, bianche con tetti rossi a punta, circonda il mastio pentagonale tardo-gotico. La vasta corte è stata trasformata in stile rinascimentale, con l’aggiunta di tre ordini di gallerie che ricordano in qualche modo quelle del non lontano castello di Ptuj in Slovenia. Oggi è lunedì e gran parte degli interni sono chiusi; dalla corte possiamo comunque accedere a un ambiente con grandi botti e salire alle gallerie dei piani superiori. Una leggenda racconta che le notti di luna piena si possono ancora sentire i lamenti del fantasma di Veronika, una fanciulla di queste parti che conquistò il cuore del giovane nobile Friedrich di Celje, rovinando i piani matrimoniali del padre, conte di Hermann, che per questo la fece annegare come strega, murandone il corpo nelle mura di Veliki Tabor.
Ripreso il nostro itinerario attraverso lo Zagorje, mentre Fabio e Giulio dormono profondamente, raggiungiamo Pregrada, dominata dalla mole bianca e gialla della ottocentesca chiesa dell’Assunzione. Le due alte torri si stagliano sullo sfondo di una montagna boscosa. A Bezanec invece il castello neoclassico è diventato un albergo di lusso; sul suo sito web si racconta che era ridotto in condizioni pietose prima di essere restaurato da Sinisa Krizanec, “stilista autodidatta, imprenditore, investitore, mago di hotel e viaggi”, che la vigilia di Natale del 1990 inaugurò il primo hotel-castello della repubblica di Croazia. Non abbiamo tempo invece per visitare Krapina, nota per il cosiddetto “uomo di Krapina”, un uomo di Neanderthal vissuto nelle grotte di questa regione circa trentamila anni fa, al quale è dedicato un museo.
Martedì 5 agosto: Zagabria
La mattina, con la funicolare saliamo di nuovo a Gradec con l’intenzione di visitare i suoi numerosi musei, solo per scoprire che sono tutti chiusi perché oggi è festa. Si celebra la vittoria nella “guerra di indipendenza”: il 5 agosto 1995, nell’ambito dell’Operazione Tempesta, l’esercito croato conquistò la città di Knin ponendo fine alla repubblica di Krajina, l’entità serba che si era autoproclamata indipendente. Non ci resta quindi che completare la visita di Gradec, passeggiando attraverso le sue strade ricche di bei palazzi.
Riscendiamo quindi nella Città Bassa, appena in tempo per assistere in Trg bana Jelacica a una piccola parata di militari con divise tradizionali. A sud della piazza, si estende un’area pedonale, piena di negozi, ristoranti e caffè. Superata la facciata di vetro dell’albergo Dubrovnik, pieghiamo per Bogoviceva dove pranziamo al Bulldog, proprio di fronte a una grande sfera dorata che simboleggia il sole. Scoprirò più tardi che, sparsi per la città, sono stati collocati anche i pianeti del sistema solare, a distanze proporzionate gli uni dagli altri.
Dopo pranzo raggiungiamo l’animata Preradovicev Trg, con la grigia chiesa serbo ortodossa dall’interno tradizionalmente ricco di icone. Nel frattempo comincia a piovere e dobbiamo coprire i passeggini con i parapioggia. Fortunatamente scopriamo che il museo archeologico è aperto nonostante il giorno festivo e ne approfittiamo quindi per visitarlo, trovando anche un riparo dalla pioggia. La collezione si articola su tre piani e, mentre Giulio dorme tranquillo nel passeggino, devo cercare di interessare Fabio a quanto vede. Iniziamo dal piano più alto con la sezione preistorica. Le ceramiche decorate con motivi a serpentina e scacchi risalgono alla cultura di Vucedol (3000 a.C.), così chiamata dall’insediamento dell’età del rame scoperto vicino Vukovar. Il pezzo più famoso è la colomba di Vucedol, un vaso zoomorfo per liquidi con tre gambe, riprodotto sulle banconote da venti kuna. Curiosa anche la rappresentazione in miniatura di un tavolo e una sedia. Seguono le età del bronzo e del ferro con begli elmi. Un elmetto celtico risale invece al I sec. a.C. ed è stato ritrovato nel 2003 vicino Stara Gradiska, sulle rive della Sava: i paraorecchi presentano borchie con un piccolo volto umano, mentre la protezione per il collo è lavorata con incisioni a serpente. In un’apposita sala è conservata la Mummia di Zagabria, acquistata nell’Ottocento, come “souvenir” ad Alessandria in Egitto, da un ufficiale croato, insieme al sarcofago che la conteneva. Da un papiro in ieratico sepolto con la mummia sappiamo che si tratta di Nesi-hensu, moglie di Paher-hensu “sarto divino” di Tebe; il corpo era avvolto da un tessuto di lino sul quale è riportato un calendario liturgico etrusco. Il manoscritto, non più utilizzato per il suo scopo originale, fu tagliato a strisce per avvolgere il corpo mummificato. Si tratta della più lunga iscrizione etrusca mai ritrovata, in parte ancora da decifrare, datata al III sec. a.C.; è curioso che sia stata scoperta in Egitto e oggi sia conservata a Zagabria. Nella sezione egiziana sono esposti bei sarcofagi e un libro dei morti su fasce di lino di epoca tolemaica. Il secondo piano del museo è dedicato all’epoca greca e romana. S’inizia con una corposa collezione di vasi greci, proseguendo con il racconto della conquista e dell’urbanizzazione della Pannonia da parte dei romani, lo stabilirsi del limes dell’impero. Sono esposti vari elmetti di soldati, una riproduzione delle regioni croate presenti nella Tabula Peutingeriana, copia medievale di una mappa dell’impero romano del IV secolo attribuita al geografo Castorio.
Usciti dal museo, ci troviamo nel cuore di Donji grad. Secondo il progetto ottocentesco di Milan Lenuci, lo schema urbanistico a reticolo doveva essere interrotto da una serie di piazze giardino che avrebbero formato una grande U, il cosiddetto Ferro di Cavallo, attorno al quale dovevano disporsi i suntuosi palazzi delle istituzioni di una città moderna: teatri, gallerie, accademie e musei. Il progetto non fu mai completato del tutto e la base della U oggi è occupata dalla ferrovia. Zrinjevac è la prima delle tre piazze che formano il braccio orientale, occupata da un parco con tanto di gazebo per le bande musicali.
Nella successiva Strossmayerov trg, oltre alla Galleria di Arte Moderna, si distingue la neorinascimentale Accademia Croata delle Arti e delle Scienze, fondata da Juraj Strossmayer. Il vescovo fu una figura di primo piano nella scena sociale e politica della Croazia ottocentesca; sostenitore della causa jugoslava, cioè dell’unificazione di tutti gli slavi del sud, ancora oggi è molto rispettato, nonostante tutto quello che è successo dopo; Rebecca West nel suo libro lo descrive con toni di grande ammirazione. La sua statua collocata di fronte all’edificio, opera di Ivan Mestrovic, presenta un’originale capigliatura con due alte ciocche ai lati della calvizie centrale. L’accademia è chiusa; non possiamo quindi ammirare la pregevole collezione di quadri e la Tavola di Baska, la più antica iscrizione in glagolitico, ritrovata nell’isola di Krk.
La terza piazza è intitolata al re croato Tomislav, sotto il quale lo stato croato medievale raggiunse la massima estensione, grazie a una serie di importanti successi militari sui popoli confinanti, tra cui gli ungheresi. Tomislav trasformò il principato in regno e nel 925 venne incoronato con la benedizione della Santa Sede. Il re è ricordato dalla statua equestre che si erge sul lato della neoclassica stazione ferroviaria. A nord incombe invece il monumentale Padiglione dell’Arte, dal caratteristico colore giallo canarino, amato dagli architetti asburgici dell’epoca. Oggi è utilizzato per mostre temporanee, ma fu realizzato in occasione dell’Esposizione Millenaria che si tenne nel 1896 a Budapest, utilizzando le moderne tecniche a ossatura metallica; ciò rese possibile lo smontaggio del padiglione, il suo trasporto in treno e il rimontaggio a Zagabria nell’attuale collocazione.
Dopo tanto camminare, per tornare in Trg bana Jelacica ricorriamo a un tram.
Mercoledì 6 agosto: Zagabria
La mattina torniamo a Gradec per visitare i musei che ieri erano chiusi. Iniziamo con il museo croato dell’arte naif, che ospita opere realizzate tra gli anni Trenta e Ottanta del Novecento, con particolare rilievo agli artisti della scuola di Hlebine. I quadri hanno colori vivaci, molti ritraggono villaggi sotto la neve che in qualche modo ricordano la pittura di Bruegel. Tra le opere esposte mi colpisce “Eclisse Solare” di Ivan Generalic, il primo artista dell’arte naif croata. L’evento naturale crea il panico: un gallo è sopra un albero, alcuni uomini procedono in processione, altri appaiono disperati. In “Guayana” di suo figlio Josip, le persone stese per terra hanno una siringa nel braccio, davanti a una foresta dalla quale fa capolino una scimmia con una banana in mano.
Oggi finalmente è aperta anche la chiesa di San Marco. L’interno a tre navate ha un aspetto antico e possente, come fosse una cripta, nonostante in realtà sia moderno. Grandi affreschi riproducono episodi del Nuovo e Antico Testamento: nella resurrezione di Lazzaro i personaggi in primo piano sono veramente imponenti. Agli altari sono collocate opere di Mestrovic: un Crocifisso al maggiore, una Madonna con Bambino e una Pietà ai laterali (in quest’ultima Maria ha il volto delicato).
Proseguendo il nostro giro, raggiungiamo proprio l’atelier di Mestrovic, ospitato nella casa dove il grande scultore e architetto croato visse per molti anni. L’esposizione comprende molte sue opere, a cominciare nell’atrio dalla nuda figura contorta della “Donna in Agonia”. Tra le statue più celebri “La Storia dei Croati” rappresenta una donna seduta che indossa un costume tradizionale e regge sulle ginocchia il libro della storia del popolo croato; per il volto lo scultore utilizzò sua madre come modello.
Completiamo il giro dei musei con quello dedicato a Zagabria, ospitato nel convento delle clarisse. Nella facciata le finestre al primo piano sono solo dipinte, a testimoniare l’isolamento delle suore dalla vita secolare. Stefania si sacrifica intrattenendo i bambini nel cortile, mentre io cerco di affrettare la visita della lunga e interessante esposizione che ricostruisce la storia della città dalle origini ai giorni nostri. Al piano terra spiccano le statue di Cristo e degli apostoli del portale della cattedrale, risalenti al XVII secolo e disposte secondo un arco. Al primo piano un grande plastico riproduce Gradec nell’Ottocento, mentre ampio spazio è dedicato alla vita cittadina in quel secolo, con una sala solo per il teatro; in un tiro al bersaglio si dovevano colpire dei quadretti dipinti. Seguono le vicende della prima guerra mondiale, i reggimenti croati inviati sui fronti orientale e italiano. La guerra iniziò con festose parate, ma finì in tragedia con la mancanza cibo e il razionamento del pane a Zagabria; nel 1918 una pagnotta costava sei corone e le scuole erano state trasformate in ospedali. Un cartello spiega che fra le due guerre, con la nascita della Jugoslavia, “la Croazia cessò di esistere come stato perdendo i propri diritti”, mostrando come l’odio per i cugini serbi abbia fatto rivalutare ai croati anche la lunga dominazione asburgica. Dopo la sezione dedicata alla seconda guerra mondiale, si passa alla recente guerra con i serbi. Un filmato racconta l’attacco missilistico della JNA (esercito del popolo jugoslavo), che nel 1991 colpì il palazzo del ban con lo scopo, si dice, di uccidere Tudman. La guerra riempì Zagabria di rifugiati. Nel 1994 la città fu visitata da papa Giovanni Paolo II.
Esaurito il bonus dei musei con i bambini, pranziamo alla konoba Didov San di fronte all’atelier di Mestrovic. Sarà il pasto migliore a Zagabria, a base di formaggio e carne con le verdure, concluso con un dolce di mele e noci e un caffè turco.
Dopo pranzo per raggiungere Trg bana Jelacica facciamo un ampio giro che ci consente di ammirare nuovamente gli scorci più belli di Gradec e Kaptol. Dalla piazza riprendiamo poi l’esplorazione della Città Bassa. Una statua di Tesla, seduto e pensoso, ricorda il grande fisico nato e cresciuto in Croazia, una delle poche figure che accomuna serbi e croati (forse perché tutta la sua carriera si svolse in America). Raggiungiamo poi il braccio occidentale del Ferro di Cavallo. Trg marsala Tita è dominata dal Teatro Nazionale Croato, grande costruzione neoclassica di fine Ottocento, tinteggiata di giallo. Di fronte si trova una delle opere più originali di Mestrovic, la “Sorgente di Vita”: figure nude, intrecciate in modo sensuale, stendono le mani attorno a un pozzo per raccogliere l’acqua della vita. Sull’altro lato della strada, davanti al rettorato dell’Università di Zagabria, la “Storia dei Croati” è una copia dell’originale osservato la mattina al museo.
Rinunciando alla visita di altri musei, intimiditi dalle loro dimensioni, proseguiamo sulle altre piazze del Ferro di Cavallo. Una statua ritrae Marko Marulic, il padre della letteratura croata, come fosse seduto sul prato per riposarsi, con i capelli divisi in due crocchie. In fondo si trova la Libreria Nazionale, oggi utilizzata come Archivio di Stato, il migliore esempio di arte noveau in città, con eccentrici elementi decorativi come i globi sorretti da civette. Concludiamo la nostra passeggiata con i giardini botanici, che coprono una parte della linea orizzontale della grande U, allietati da aiole fiorite e padiglioni. Dopo tanto camminare ne approfittiamo per rilassarci su una panchina e fare merenda.
Giovedì 7 agosto: Varadzin – Trakoscan
Varadzin, non lontana dal confine con l’Ungheria, è la città croata più ricca di ricordi asburgici, apprezzata per le sue architetture barocche e la passione per la musica classica, tanto da essere soprannominata la “piccola Vienna”. Nel Settecento per un breve periodo fu la capitale della Croazia, prima di essere devastata da un grande incendio.
Per raggiungerla da Zagabria, percorriamo l’autostrada diretta a Budapest. Il centro compatto è quasi tutto pedonalizzato. Le guide turistiche recitano che è percorso da persone in bicicletta e animato da una folta popolazione studentesca; oggi però, forse a causa del maltempo, in giro non si vede quasi nessuno. Subito ci immergiamo in un mondo di chiese e palazzi barocchi. Sulla piazza centrale, Trg Tomislava, si affaccia il municipio con l’alta torre dell’orologio che spunta dal tetto spiovente. Nei paraggi, la chiesa della Ascensione ha una facciata gesuita, tinteggiata di arancione; all’interno le candide pareti danno ancora più risalto al trionfo rococò del monumentale altare, intagliato e dorato. Sul lato opposto raggiungiamo la mole gialla della chiesa francescana di San Giovanni Battista. Davanti si trova una copia della statua di Grgur Ninski, opera del solito Ivan Mestrovic (l’originale è a Spalato). Nel X secolo Gregorio di Nona si oppose alle decisioni del papa di imporre l’uso della lingua latina nella liturgia. Il vescovo tradusse il messale del rito romano in lingua slava, adottando l’alfabeto glagolitico e la sua iniziativa costituì un importante passo per l’evoluzione della lingua croata, favorendo la diffusione nel cristianesimo. In un cortiletto dietro la chiesa una moltitudine di angioletti è ravvivata da luci che cambiano di continuo colore. Proseguiamo lungo la pedonale Kaciceva, fiancheggiata da nobili palazzetti, nei quali si sono insediati banche e uffici, con negozi e caffè al pianterreno. La giornata nuvolosa tuttavia rende tutto più grigio. Ai limiti dell’area pedonale, prima di Trg Slobode, spicca San Nicola, questa volta bianca e grigia, mentre verso il castello la chiesa delle orsoline, tinteggiata di rosa, leva alta la sua guglia barocca. La pioggia affretta la nostra scelta per il pranzo. La sala con volta a botte dello Zlatna Guska vuole ricreare un’ambientazione medievale, ma noi preferiamo i tavolini all’aperto affacciati su un parco.
Il Castello è la maggiore attrazione di Varadzin, una bianca struttura turrita, con tetti di tegole a punta, che si staglia sopra un prato verde, secondo l’immaginario tipico di un maniero romantico. Le sue origini risalgono al Cinquecento, quando incombeva la minaccia dei turchi, ma successivamente fu trasformato nella residenza nobiliare della famiglia Erdody, che governò queste terre per secoli. La costruzione si articola intorno a due corti: una prima quadrangolare con loggiato a tre ordini e pozzo nel mezzo, una seconda stretta e lunga nella quale l’ultimo piano è aperto su una veranda di legno. All’interno è ospitato un museo eterogeneo, con armi e arredi di varie epoche, ma Fabio è più interessato alle “tazze di legno” dei bagni, con un buco nel mezzo, che suscitano in lui grandi risate. Lasciando il castello, nella piazza di fronte spicca il palazzo Sermage, dalla curiosa facciata divisa in riquadri geometrici color arancio vivo; ospita una galleria d’arte che rinunciamo a visitare. Per completare la visita di Varadzin non ci resta che raggiungere in macchina il cimitero comunale, apprezzato per la bellezza dei suoi giardini, progettati a inizio Novecento come fossero quelli di un parco pubblico, con alberi e lunghi filari di alte siepi.
Lasciata Varadzin, raggiungiamo il castello di Trakoscan, già nella regione delle Zagorje. La fortezza fondata del XIII secolo, nel 1584 fu donata dagli Asburgo ai Draskovic, una delle più importanti e potenti famiglie croate, che la mantennero fino alla seconda guerra mondiale. Il castello si erge sopra su una scoscesa collina, affacciata su un lago artificiale in mezzo a un parco; la costruzione attuale è un’opera neogotica, voluta nell’Ottocento dal conte Juraj Draskovic. Oggi il castello ospita un museo, ma il gusto romantico è rimasto inalterato grazie agli arredi delle sale, alla collezioni di armi e trofei di caccia, ai ritratti di famiglia di dieci generazioni. Le pareti di una sala sono rivestite da tele che ritraggono le truppe fornite dai Draskovic nella guerra dei Sette Anni: in tutto sono raffigurati 821 soldati con caratteristiche uniformi, che farebbero la gioia di un collezionista di soldatini. Lo spettacolo più bello si gode comunque una volta scesi sulle rive del lago, con la candida costruzione merlata del castello sopra la verde collina che si specchia nelle acque. Anche i bambini sembrano apprezzare lo scenario da fiaba nella luce del tardo pomeriggio: tutti insieme ci sediamo su una panchina per ammirarlo con calma e fare merenda.
Venerdì 8 agosto: Samobor – Parco Samoborsko – Zagabria
A una ventina di chilometri da Zagabria, Samobor costituisce il luogo ideale per una gita fuori porta. Parcheggiata l’auto nei pressi del monastero francescano, raggiungiamo subito Trg Tomislava, l’allungata piazza centrale. Su un lato, sopra una collinetta oltre le acque del Gradna, si erge la chiesa parrocchiale, tinteggiata vivacemente di giallo canarino e coperta da un tetto spiovente di tegole; sull’altro lato, la linea di belle case dalle tinte sobrie è preceduta dai tavolini dei caffè. Il Gradna è scavalcato da una serie di ponti sottili, alcuni di legno, che formano begli scorci insieme alle case affacciate sulle acque argentate. Il centro piccolissimo ospita anche un paio di musei: il museo Marton è chiuso per lavori di restauro, il museo della città è ospitato nella casa ottocentesca del compositore Ferdinand Weisner, in passato luogo d’incontro del movimento illirico. Al suo interno ospita un’eterogenea collezione, ma ciò che attrae di più Fabio è il velocipede dalla grande ruota anteriore. Un plastico riproduce il castello medievale, oggi ridotto a una rovina che si scorge in mezzo ai boschi di una collina alla periferia di Samobor.
Tornati in piazza, mentre i bambini gustano i loro gelati, io assaggio la samoborska kremsnita una massa di crema vaniglia tra due strati di pasta sfoglia. Per pranzo raggiungiamo la collina di Anindol, coperta da fitti boschi e attraversata da una rete di sentieri. Il nostro percorso è molto breve: superata la cappella di Sant’Anna, ci fermiamo a un chiosco tra gli alberi per consumare i panini.
Subito a est di Samobor, verso il confine sloveno, si estende una regione di colline boscose protetta dal parco Samoborsko Gorje. Le possibilità di trekking sono numerose, ma con due bambini piccoli non possiamo certo sbizzarrirci. All’ufficio del turismo di Samobor ci consigliano un itinerario in auto, ma finiamo per perderci senza raggiungere i paesini segnalati, vagando comunque tra bei paesaggi boscosi.
Tornati a Zagabria, alle pendici del monte Medvednica raggiungiamo il cimitero di Mirogoj, disegnato nell’Ottocento da Hermann Bolle autore anche della cattedrale. L’ingresso principale è veramente imponente, con la cappella neoclassica dominata dall’alta cupola; l’alto muro di recinzione, coperto di edere e caratterizzato da una lunga successione di cupole verdi, sembra quello di una fortezza. Il cimitero è considerato uno dei più belli d’Europa, un Pantheon nazionale concepito come un parco pieno di composizioni monumentali e sculture; personalmente però gli preferisco quello di Leopoli in Ucraina, molto più intimo. Appena entrati, dietro la cappella, si trova la tomba di Tudman, una lastra lucida di marmo nero che reca solo la scritta “Franjo Tudman 1922-1999 Prvi Predsjednik Republike Hrvatske”. Il posto d’onore che gli è riservato dimostra come la sua controversa figura sia ancora amata in patria. Molte delle tombe più prestigiose si trovano sotto i portici ai lati dell’ingresso principale, opera di alcuni tra gli scultori croati più apprezzati. Mi colpisce in particolare la cruda rappresentazione dell’Angelo della Morte di Rudolf Valdec, uno scheletro avvolto in una veste con panneggi, sopra la scritta “Mors Liberatrix”.
In fondo al cimitero si trovano alcuni interessanti memoriali. Nella Tomba dei Guerrieri Caduti, la Pietà rappresenta una figura femminile che regge il corpo nudo di un caduto, con la figura in torsione. Un cartello ricorda che la storia della tomba è stata ricostruita in una tesi di dottorato, cento anni dopo l’inizio della prima guerra mondiale: il memoriale fu creato con lo scopo ammirevole di onorare i caduti di tutte le nazioni, raccolti in una sepoltura comune, ma nel 1994 il rinascente nazionalismo croato fece apporre alla base del monumento la scritta “In memoria dei soldati croati caduti nella prima guerra mondiale 1914-1918”. Un secondo memoriale, inaugurato nel 1994, ricorda le vittime croate del massacro di Bleiburg, villaggio austriaco vicino al confine con la Slovenia: la grande lastra in bronzo raffigura una lunga fila di uomini, donne e bambini che sembrano andare incontro al loro triste destino. Con la fine della seconda guerra mondiale, molti ustascia fuggirono dalla Croazia, portando con sé le proprie famiglie. Alla fuga verso i valichi austriaci si unirono serbi cetnici e sloveni domobranci, collaborazionisti delle forze d’invasione fascista e nazista. Al confine austriaco i profughi trovarono la strada bloccata dall’esercito britannico. La testa di una lunga colonna giunse nei pressi di Bleiburg, un villaggio minerario della Carinzia, dove stanziava da qualche giorno il comando della 38ª Brigata di fanteria britannica. Il comandante croato, generale Herencic, si recò a negoziare la resa dal comandante britannico, Patrick Scott. Il giovane generale iugoslavo Milan Basta, appena arrivato sul luogo con le truppe partigiane, pretese di presenziare ai colloqui, sostenendo che la colonna di armati e civili dovesse arrendersi a lui anziché agli inglesi. Scott lo appoggiò ed Herencic alla fine dovette darsi per vinto, dietro l’assicurazione che i prigionieri di guerra sarebbero stati trattati come tali. L’esatto svolgimento degli eventi successivo è incerto. I partigiani comunisti aprirono il fuoco sulla colonna nella vallata, ormai disarmata. Le vittime furono decine di migliaia.
Vagando per il cimitero non ci sfuggono alcune lapidi con scritte cirillico e quella in ebraico di Hosea Jacobi, rabino capo di Zagabria. Nel frattempo Stefania e i bambini devono subire l’assalto delle zanzare. Tornando in Italia scoprirò che nel cimitero sono sepolti altri personaggi illustri, che hanno segnato la storia della Croazia. Il grande campione di basket Drazen Petrovic si distinse anche nell’NBA americana, ma morì all’età di 28 anni in un incidente d’auto; il politico Stjepan Radic, tenace oppositore dell’egemonia serba nella prima Jugoslavia, morì nel 1928 in seguito alle ferite riportate nell’attentato di cui fu vittima a Belgrado, all’interno del parlamento, per mano di un deputato nazionalista montenegrino. Ci sfugge anche la “Voce delle Vittime Croate – Muro del Pianto”, dedicata alla vittime della recente guerra di indipendenza croata contro i serbi.
La sera ceniamo al Kerempuh, locale storico affacciato sulla piazza del mercato, dove gusto un’ottima pasta al tartufo. È venerdì sera: lungo Tkalciceva, bar, caffè e ristoranti sono affollatissimi. In un locale, la cantante e il chitarrista si esibiscono affacciati alle finestre del primo piano.
Sabato 9 agosto: Sljeme – Marija Bistrica
La città di Zagabria è dominata a nord dal massiccio del Medvednica, la montagna dell’Orso, che fornisce una popolare meta per un’escursione fuori porta. In auto raggiungiamo la cima più alta, Sljeme, a quota 1033 metri, percorrendo una strada piena di tornanti in mezzo ai boschi. La grande antenna della televisione, visibile da tutta la città, domina il paesaggio, ma il ristorante e la terrazza panoramica all’ultimo piano sono inaccessibili da decenni. L’area è ricoperta di boschi che nascondono alla vista la città, mentre sul lato opposto, dal ristorante sotto l’antenna, il panorama spazia ampio sulle colline dello Zagorje, punteggiate di paesi. Un cartello illustra le piste da sci percorribili in inverno; in estate si possono effettuare molte passeggiate, ma con due bambini piccoli le nostre possibilità sono limitate. Siamo un po’ incerti sul prosieguo della giornata. Per raggiungere la fortezza di Medvedgrad dovremmo ridiscendere verso la città per un’altra strada, ma il senso unico ci impedirebbe poi di tornare indietro e continuare verso l’altro versante del Medvednica, come intendiamo fare. Rinunciamo quindi alla sua visita, spostandoci invece in auto verso l’area della Nostra Signora di Sljeme. Un breve sentiero conduce fino alla cappella, costruita nel 1932 per commemorare il millenario della conversione della Croazia al cristianesimo. Curiosamente la torre campanaria è disposta di sbieco. Una discesa ci porta poi fino alla conca erbosa di Cinovnicka livada, d’inverno parte di un anello di sci di fondo ma ora utilizzata dagli escursionisti per un picnic. Stefania è preoccupata per la presenza delle zecche, segnalata sulla montagna, e quindi limitiamo la nostra sosta. I bambini non sembrano gradire più di tanto i giochi davanti al grande albergo dove abbiamo parcheggiato e per il pranzo decidiamo di fare ritorno all’antenna della televisione, viaggiando per un tratto contromano. Seduti ai tavolini di uno dei vari chioschi, gustiamo una bella grigliata (io scelgo salsicce e fagioli). Su un capanno di legno un cartello reca il simpatico simbolo di Sljeme: la montagna rappresentata come un pupazzo che regge sci e snowboard tra le mani, con una spruzzata di neve e l’antenna sulla testa.
Dopo pranzo affrontiamo la discesa sul versante del Medvednica opposto a Zagabria, già nella regione dello Zagorje. Nei paraggi sono segnalati alcuni paesini, ma le indicazioni spesso non sono chiare e una strada interrotta ci costringe a un lungo giro in mezzo alla campagna coltivata. Nel villaggio di Gornja Stubica ebbe origine la rivolta dei contadini del 1573: la popolazione esasperata dagli obblighi feudali e dalla prossimità del fronte di guerra tra Asburgo e Ottomani si sollevò sotto la guida di Matija Gubec. In prossimità del villaggio, il palazzo Orsic ospita un museo dedicato alla rivolta, ma i bambini dormono e ci limitiamo a una rapida occhiata al cortile con una statua di Petrica Kerempuh, identica a quella di Zagabria.
Proseguendo per un’altra decina di chilometri, raggiungiamo Marija Bistrica, sede di uno dei più importanti santuari mariani della Croazia. Lasciamo l’auto nel frutteto di una casa, sfruttato come parcheggio a pagamento dal proprietario per sbarcare il lunario. La chiesa di Santa Maria sorge su una collinetta al centro della cittadina. Il complesso risale all’Ottocento, quando fu ricostruito dopo un rovinoso incendio dall’architetto della cattedrale di Zagabria, Herman Bolle. Appena arrivati, la visione dal basso si presenta subito molto piacevole, un miscuglio di stili, sovrastato dalla guglia rossa e nera del campanile e dai tetti di tegole. Davanti alla facciata in pietra della chiesa con portico rinascimentale, è stato collocato un grande uovo di Pasqua; il dipinto naif riproduce proprio il santuario, in mezzo a verdi colline. Nella chiesa si conserva la veneratissima Madonna Nera: la statua di Maria con il Bambino, coperti da candide vesti, è collocata nell’altare centrale. Secondo la tradizione nel 1650 fu murata in una parete, per salvarla dai turchi, ma dopo 34 anni un fascio miracoloso di luce ne rivelò la presenza. La Madonna sopravvisse anche all’incendio del 1880 che distrusse quasi ogni altra cosa nella chiesa. Gruppi di pellegrini in processione percorrono cantando il porticato tutto intorno, per poi entrare in chiesa e uscirne camminando all’indietro; una coppia di sposi si fa immortalare sotto gli archi del porticato. Prima di lasciare Marija Bistrica ci affacciamo sul grande spiazzo all’aperto, sistemato in occasione della visita di Giovanni Paolo II nel 1998. Il papa è ricordato da una statua. Dietro un sentiero risale la verde collina del Calvario.
Domenica 10 agosto: Zagabria – isola di Rab
Oggi inizia la seconda parte del nostro viaggio, dedicata a un soggiorno balneare nell’isola di Rab.
Lasciamo quindi Zagabria puntando verso Fiume, per poi proseguire lungo l’autostrada per Spalato che lasciamo raggiungendo il mare a Senj (Segna in italiano), dopo una discesa mozzafiato. La cittadina è dominata dalla fortezza costruita dagli uscocchi, una popolazione cristiana fuggita dai Balcani, a seguito dell’avanzata dei turchi, famosa non solo per la guerriglia contro gli ottomani ma anche per le operazioni di pirateria: dal loro quartier generale a Segna, organizzavano spedizioni di saccheggio, tanto che un detto popolare veneziano recitava “Possa Dio salvarci dalle mani di Segna”.
Proseguendo lungo la costa verso sud, il paesaggio diventa subito tipicamente dalmata con il mare blu costellato di isole, fino all’imbarco di Jablanac. La traversata verso Misnjak, sulla punta sud-orientale di Rab, dura appena un quarto d’ora. Per raggiungere San Marino, all’estremità opposta dell’isola, dobbiamo percorrere una ventina di chilometri. Il nostro appartamento si trova in una viuzza nella collina degli alberghi ed è formato da una cucina e due camere matrimoniali. Fabio avrà quindi a disposizione un letto a due piazze tutto per lui, mentre per Giulio c’è un lettino. Ci accolgono Mirko Paparic, che parla italiano, e sua moglie. Nella palazzina dove vivono, hanno ricavato cinque appartamenti in affitto. Praticamente tutte le case del paese sono affittate ai villeggianti, come anche nel resto dell’isola.
La sera raggiungiamo il lungomare, affacciato sulla spiaggia Paradiso, la più grande di Rab, lunga più di un chilometro e mezzo. L’ampio arenile si estende a semicerchio, protetto da un promontorio da un lato e dalla darsena dall’altro. Il paese è moderno, tutto orientato al turismo balneare; solo il nome ricorda che sarebbe stato il luogo di nascita di San Marino, uno scalpellino cristiano del quarto secolo che per scampare alle persecuzioni fuggì in Italia, sull’altra sponda dell’Adriatico, dove fondò il paese che sarebbe poi diventato la repubblica del monte Titano.
Lunedì 11 agosto: San Marino
Oggi ci concediamo una giornata di totale relax in spiaggia, senza spostamenti. La mattina la spiaggia Paradiso è già affollata di bagnanti. Gli ombrelloni comunque sono abbastanza distanti uno dall’altro concedendo un po’ di spazio; ne prendiamo uno per tutta la giornata. Fabio e Giulio si divertono un mondo sulla sabbia. L’acqua della baia è bassissima: per molte decine di metri è solo un velo e camminando si potrebbe raggiungere anche l’isolotto di fronte. Risulta quindi impossibile fare una nuotata, ma per i bambini piccoli (e per i pigroni) è un piacere starsene a mollo per ore. Certo l’affollamento di agosto produce i suoi effetti e nella sabbia non mancano le cicche.
Il pomeriggio la bassa marea ha fatto indietreggiare notevolmente il mare e la spiaggia è diventata molto più ampia, anche se la sabbia è melmosa e scavando una buca diventa nera come la pece. La sua compattezza consente di sbizzarrirsi nella costruzione di grandi castelli; molti tedeschi sono attrezzati con pale e nei prossimi giorni ammireremo vere “opere d’arte”.
La sera scopriamo che a fianco del nostro appartamento si trova una pensione con ristorante e inauguriamo la prima delle molte cene alla Dragica Gasthaus. La clientela è costituita per lo più da tedeschi; i bambini hanno a disposizione scivoli e altri giochi. Il cibo si rivelerà ottimo e abbondante, mentre la scelta del menù completo ci consentirà spesso un notevole risparmio.
Martedì 12 agosto: spiaggia Sahara
Il turismo di massa ormai ha invaso l’isola di Rab, ma alcune zone hanno mantenuto intatto il loro fascino naturale. La penisola di Lopar in particolare presenta tutta una serie di spiagge e calette, raggiungibili solo in barca oppure tramite sentieri. Dopo il bagno di folla di ieri a San Marino, decidiamo quindi di trascorrere una giornata nella spiaggia Sahara, una delle più apprezzate. Per riparare un minimo bambini e bagagli dal sole, acquistiamo una comodissima tenda pieghevole: si apre in un attimo, ma per richiuderla bisogna effettuare i movimenti giusti e ci metteremo un po’ ad imparali. Dal porticciolo all’estremità della baia di San Marino, una corsa in gommone ci offre la possibilità di ammirare dal mare l’affascinante costa frastagliata della penisola di Lopar. La prima fermata è alla spiaggia di Stolac, frequentata integralmente da nudisti. Raggiungiamo poi Sahara, dove l’acqua bassa non consente al gommone di scaricarci a riva: poco male, prendo Giulio in braccio dividendo le borse con Stefania e tutti insieme raggiungiamo la spiaggia camminando nell’acqua, con grande divertimento di Fabio. Lo scenario è magnifico: una lunga distesa di sabbia, in un’ampia insenatura che disegna un semicerchio, protetta verso terra da dune coperte da cespugli davanti a colline boscose. Al nostro arrivo siamo veramente in pochi, tra cui alcuni bagnanti senza costume poiché anche questa spiaggia è destinata ai naturisti. L’acqua, perfettamente trasparente, si mantiene bassa per decine di metri, ma è decisamente più fresca e piacevole di quella di San Marino, come anche la sabbia molto più fine.
La nostra giornata prosegue quindi tra giochi sulla sabbia e bagni in mare, dove guizzano molti pesciolini. Dopo il pranzo a base di panini, una vespa punge Fabio su una mano, rovinandoci la festa; per sicurezza decidiamo di telefonare al taxi-boat e farci venire a prendere in anticipo. Per fortuna la puntura non si rivela grave, come ci confermeranno al presidio medico di San Marino, ma Fabio si è preso un bello spavento. I giorni successivi, dietro mio suggerimento, all’avvicinarsi di ogni vespa si “trasformerà in una statua” per evitare nuove punture.
La sera decidiamo di andare a cena a Rab città, centro principale dell’isola dall’impronta decisamente veneziana. Prima, ci concediamo solo una breve passeggiata nella parte bassa del borgo antico, esteso su una stretta penisola. La via principale, accompagnata da palazzetti in pietra, è affollata di villeggianti; ripidi vicoli con scalinate salgono verso la parte alta. Al Labirinth per cena scelgo il piatto di pesce della casalinga, mentre Stefania opta per i calamari. I bambini apprezzano le tagliatelle agli scampi e gli spiedini di maiale, rimanendo tranquillamente seduti al tavolo nella terrazza.
Mercoledì 13 agosto: spiaggia Stolac – Sant’Eufemia (Rab) – Suha Punta
Dopo l’esperienza positiva di ieri, anche oggi scegliamo una spiaggia della penisola di Lopar. Questa volta però ci muoviamo in auto. La penisola infatti è attraversata da una stradina, dalla quale è possibile raggiungere a piedi le spiagge percorrendo sentieri di varia lunghezza. Uno dei più brevi è quello che porta alla spiaggia di Stolac. Infilato Giulio nella fascia, scendiamo verso il mare attraverso una sorta di scalinata naturale, raggiungendo un’incantevole caletta. La spiaggia è molto più piccola rispetto a Sahara e il paesaggio roccioso. Un cartello segnala che è riservata al FKK (“Frei korper kultur”, la cultura per il naturismo nata in Germania negli anni Venti del Novecento). Tutti i bagnanti infatti sono senza costume; non faccio in tempo a poggiare la borsa per terra che una tedesca grassona mi indica indignata il costume che ho indosso! Le chiedo un attimo di pazienza e mi sacrifico per la causa mettendomi nudo, mentre Stefania si limiterà al topless come altre donne. Lo scenario è molto bello: le acque assumono trasparenze e sfumature da laguna tropicale, mentre sullo sfondo, oltre il canale che separa Rab dalla terraferma, si erge l’imponente massiccio del Velebit (Alpi Bebie). Più tardi camminando nell’acqua raggiungerò l’isolotto giusto di fronte alla caletta, mentre una barca giungerà ad offrire ai nudisti il piacere di un gelato. Naturalmente mi diverto ad osservare le diverse tipologie della natura umana messa a nudo; non ci sono bellezze, ma molti grassoni di entrambi i sessi. I bagnanti sono quasi tutti tedeschi e intere famiglie si godono il mare in libertà. All’ora di pranzo lasciamo la spiaggia; la vista dall’alto offre uno scenario indimenticabile con il contrasto tra le bianche rocce e le acque cristalline dalle mille sfumature.
Il pomeriggio, dopo il meritato riposino casalingo del piccolo Giulio, torniamo verso Rab città, proseguendo lungo la strada per Kampor fino al monastero francescano di Sant’Eufemia. La chiesa ha una semplice facciata di blocchi di pietra. Per primo si accede al chiostro, un quadrato di blocchi regolari di pietra bianca con tre archi per lato e un pozzo nel mezzo. Un sarcofago reca rappresentazioni di angeli negli angoli e Maria con il Bambino nel mezzo. Sopra la chiesa di San Bernardino si scorge il campanile a vela con due campane. Nell’interno a navata unica si distingue la tribuna lignea con scene della vita di San Francesco; in una cappella con bifore in pietra, il crocifisso ligneo reca la cruda figura di Gesù coperto di sangue. Al complesso è annesso un piccolo museo, che ospita una collezione decisamente eterogenea. Una pergamena ricorda la fondazione del convento avvenuta ne 1436. La bella croce di Peter Car (XV secolo) rappresenta le stimmate di San Francesco con il santo sulla croce a braccia aperte. Un incunabolo proviene da Venezia (1473), mentre un antifonario su pergamena risale al XV secolo. Più insoliti, una tavoletta d’argilla con caratteri cuneiformi (chissà come sarà arrivata fino a qui) e una Torah. La cappella di Sant’Eufemia, incorporata nel museo, conserva il soffitto ligneo con la raffigurazione della santa che regge in mano la palma del martirio.
Proseguendo verso Kampor, deviamo nella penisola di Kalifront, una delle zone meglio preservate dell’isola. La strada asfaltata consente di raggiungere Suha Punta dove si trova un grande albergo, ma la penisola si allunga in mare ancora per una decina di chilometri, coperta da boschi e pinete e caratterizzata da una costa frastagliata che protegge incantevoli calette rocciose (così almeno recitano le guide). Noi tuttavia ci limitiamo a una breve passeggiata sul promontorio di Suha Punta. Il mare in burrasca si infrange contro le rocce (saranno le uniche onde che vedremo in tutto il viaggio), mentre scalette e colate di cemento agevolano l’accesso dei bagnanti al mare, come spesso accade in Croazia, per fortuna in questo caso in modo discreto. Forse in un futuro viaggio, quando i bambini saranno più grandi, potremo sfruttare la rete di sentieri ciclabili che attraversano la penisola e, dopo la sabbia di Lopar, godere le rocce di Kalifront. Ho letto in particolare che il bosco Dundo è stato riconosciuto da tempo come una rarità naturale, una delle distese boschive meglio preservate nel Mediterraneo: la distesa di lecci conserva anche splendidi esemplari di querce sempreverdi, che in alcuni casi raggiungono l’età di mille anni.
Giovedì 14 agosto: Rab
La mattina piove a diritto, costringendoci a rimanere a casa. Non è facile intrattenere Fabio e Giulio per tante ore. Dopo pranzo per fortuna il tempo migliora e possiamo dedicarci alla visita di Rab città, principale attrazione culturale dell’isola.
La città vecchia si estende su un sottile promontorio, dominato dalle guglie di quattro campanili come un veliero che solca il mare. Fiorente già in epoca romana e bizantina, Rab nel Medioevo divenne un prospero comune indipendente, per poi cadere sotto un secolare dominio veneziano. Ancora oggi ha mantenuto intatto il fascino delle atmosfere passate, nonostante l’assalto del turismo di massa estivo. Lasciata l’auto al costoso parcheggio sul lungomare del porto turistico, nei giardini ci accoglie subito la statua di un partigiano armato di fucile. Trg Sevetog Kristofara è il punto di accesso al centro storico. L’ampia piazza con i tavolini dei caffè è dominata dall’alto bastione della torre Gagliardi, costruita dai veneziani per difendere il promontorio dagli attacchi di terra; sul lato opposto si apre sul porto turistico. La statua di bronzo, che raffigura un uomo nell’atto di trasformarsi in un vegetale, non è certo all’altezza dell’Apollo e Dafne del Bernini, ma ricorda un’antica leggenda. Il giovane Kalifront si innamorò della pastorella Draga, consacrata a Diana; fuggendo da lui, la fanciulla invocò l’aiuto della dea, che la tramutò in una statua di pietra e punì Kalifront costringendolo a piantare alberi. Con l’infittirsi del bosco Kalifront divenne sempre più simile a un vegetale che a un essere umano e alla fine si fuse con il bosco che ancora oggi copre la penisola a lui intitolata.
Dalla piazza inizia Srednja, il corso cittadino affollato dai villeggianti a passeggio e costellato di negozi e gelaterie. Le architetture sono rimaste quelle tradizionali: case con le persiane, nobili palazzetti in pietra e passaggi coperti ad arco. Subito si distingue la mole del palazzo Dominis Nimira, luogo di nascita dello studioso Marcus Antonius de Dominis, arcivescovo di Spalato, che per le sue idee finì i suoi giorni a Roma rinchiuso a Castel Sant’Angelo (il suo corpo fu cremato a Campo de’ Fiori, dove qualche anno prima era stato arso vivo Giordano Bruno). La sua figura è ricordata dal busto davanti alla cappella di Sant’Antonio da Padova, di fianco al palazzo. In una viuzza laterale mi colpisce il bassorilievo nella lunetta di un portale, con due putti alati che reggono festoni (la corte cui da accesso è tutta occupata da negozi). Proseguendo lungo Srednja, sulla destra stretti vicoli o ripide scalinate tagliano il promontorio verso la parte alta. Noi però proseguiamo dritti, fino alla piazzetta occupata da una grande loggia veneziana, che quasi nasconde la piccola chiesa gotica di San Nicola, sede di una galleria d’arte. Gli spazi sono molto stretti e se si non si alzasse lo sguardo potrebbe persino sfuggire la torre dell’orologio. L’arco sotto la torre conduce alla piazza del Municipio, aperta sul porto, nella quale spicca il palazzo del Rettore con una bifora ricca di rilievi rinascimentali e un balcone retto da tre mensole con leoni (dalle fauci aperte, socchiuse e chiuse).
Oltre la piazza sorge la parte più antica della città, costruita sul sito dell’antico insediamento illirico e romano. Si raggiunge così la punta racchiusa dalle mura; nel giardinetto, la statua di San Marino con martello e scalpello è un regalo della piccola repubblica, copia di un’analoga statua che si trova sul monte Titano. Usciamo un attimo dalle mura, per dare un’occhiata all’imponete nave da crociera ormeggiata alla banchina. Dalla piazzetta una stradina in salita conduce alla parte alte di Rab, consentendoci di evitare le scale, opportunità a noi molto gradita visto che Fabio e Giulio oggi viaggiano entrambi in passeggino. Subito incrociamo la chiesetta di Sant’Antonio Abate. Nella semplicissima facciata il campanile a vela ha perso una delle due campane; l’interno ha un’insolita abside a volta con una statua lignea dipinta di Sant’Antonio, fiancheggiata da dipinti di San Teodoro con armatura e San Cristoforo, inconfondibile per il bambino che porta sulle spalle. Proseguendo la salita, raggiungiamo la parte più alta di Rab, affacciata a picco sul mare, dal lato opposto al porto. Dal belvedere a fianco della cattedrale la vista si apre sulla verdeggiante penisola di Frkanj, sede di uno dei primi centri nudisti aperti in Europa. Nel 1936 fu visitata con grande scandalo dal re inglese Edoardo VIII, durante il suo breve regno, accompagnato dalla futura moglie, la divorziata americana Wallis Simpson. Una rustica statua bronzea ritrae San Cristoforo che porta sulle spalle il bambino, santo a me particolarmente simpatico perché protettore dei viaggiatori. Nel 1075 il patrono di Rab salvò la città dai normanni, rimandando su di loro le frecce che avevano scagliato contro le mura cittadine, e ancora oggi il nove maggio si festeggia il Giorno della Vittoria.
Raggiungiamo quindi la cattedrale romanica di Santa Maria la Grande, dalla facciata semplice ma raffinata, formata da file di grandi blocchi in pietra bianca e rosa; i due livelli di archi ciechi sono interrotti dal portale centrale, sormontato da una lunetta con Pietà. L’orientazione verso ponente è esaltata dalla luce del pomeriggio. All’interno gli stalli del coro sono pesantemente intagliati, mentre le due cappelle ai lati della centrale sono chiuse da balaustre con San Pietro e San Paolo da un lato e due angeli che reggono una colonna dall’altro. Nel piccolo tesoro due oggetti in particolare attirano l’attenzione: le piastrelle smaltate su oro di un altare portatile del XII sec. con raffigurazioni degli apostoli e un reliquario bizantino, contenente il teschio di San Cristoforo, che riproduce sui lati episodi del martirio (in una scena un soldato romano scaglia una freccia contro il santo legato ma Dio la ferma con una mano, in un’altra compaiono un soldato con uno spadone, il santo decapitato e la mano di Dio che sembra volerlo chiamare a se). Dentro il reliquario il teschio con una corona di pietre preziose ha un aspetto decisamente macabro.
La grande torre campanaria romanica del XII secolo è sicuramente il campanile più bello di Rab: si leva isolata a ventisei metri di altezza lungo la via Alta, con quattro ordini di finestre, coppie di monofore, bifore e trifore, fino alle quadrifore dell’ultimo livello. Sulla terrazza la piramide finale è sormontata dalla croce. Decido di scalarlo insieme a Fabio; subito la bigliettaia mi raccomanda di fare attenzione. Superate una serie di ripide scale a pioli, per arrivare in cima infatti bisogna arrampicarsi su un paio di vertiginose scale metalliche sospese nel vuoto. Gli spazi sono molto stretti e chi sale deve alternarsi con chi scende. Fabio è coraggioso e bravissimo, sempre attento a dare la manina al papà. Attraversato un minuscolo passaggio sbuchiamo nella terrazza, dalla quale il panorama è impressionante. Sul lato della punta incombono due colossi: la cattedrale medievale e la nave da crociera dei tempi moderni. Dietro, in mare l’isolotto di Sveti Juraj è collegato da un lungo molo alla costa. Sotto di noi si stende il manto di tegole della città antica; il mare è di un blu intenso. La visione mi da un po’ di vertigine, ma non sembra preoccupare Fabio che saluta mamma e fratellino che ci guardano dalla strada in basso.
Terminata la visita del campanile, riprendiamo a percorrere la via Alta, tra atmosfere antiche che fanno da contraltare al trionfo dei commerci moderni nella parte bassa. Trg Slobode è una deliziosa piazzetta affacciata sull’acqua, occupata nel mezzo da una grande quercia sotto la quale una ragazza suona il flauto. Lungo la via si incrociano altri tre campanili. La chiesa di Sant’Andrea, dalla bianca facciata, esibisce una semplice torre in pietra; il campanile di San Giustino ha un aspetto completamente diverso, tinteggiato di rosa e sormontato da un bulbo che ricorda la mitra di un vescovo. Il quarto campanile appartiene a San Giovanni Evangelista e ricorda quello di Sant’Andrea. La basilica, ridotta ormai a una rovina, a quest’ora è chiusa, per cui ne rimandiamo la visita a un’altra occasione, come anche quella del successivo lapidario.
All’altezza della torre Gagliardi, saliamo su un tratto delle mura medievali godendo un meraviglioso scorcio sulla città alta con i quattro campanili in fila. Sul lato opposto si estende il parco Komrcar, creato nell’Ottocento e considerato uno dei più belli in Dalmazia, ma è troppo tardi per percorrerne i vialetti.
Venerdì 15 agosto: spiaggia Ciganka – Lopar
Ormai è tempo di tornare a godere le bellezze naturalistiche della penisola di Lopar, cambiando di nuovo spiaggia. Dal paese di Lopar, sul lato opposto della penisola rispetto a San Marino, la stradina che la attraversa tutta conduce rapidamente al parcheggio per Ciganka. Percorso un breve sentiero, molto meno scosceso rispetto a quello di Stolac, siamo tra i primi a raggiungere la spiaggia; più tardi arriveranno molti altri villeggianti, ma saremo sempre lontani dai livelli di guardia di San Marino. Anche questa volta il paesaggio di roccia e sabbia si presenta affascinante: l’insenatura copre tre quarti di un cerchio, chiusa a sinistra da una punta che si protende nel mare. Di fronte l’isola di San Gregorio mostra il suo versante verde, mentre dietro si ergono i monti della costa dalmata. Nelle basse acque qualcuno ha formato un circolo di pietre, consentendo a Fabio e Giulio di divertirsi a giocare nella “piscina”.
A metà mattinata convinco Fabio ad accompagnarmi in una passeggiata fino alla punta. Superate alcune minuscole calette tra costoni rocciosi, nelle quali si sono annidati vari nudisti, ci troviamo di fronte a un piccolo istmo marcato da pietre, che collega la terra a un isolotto. Il fondale bassissimo consente di passare facilmente dall’altra parte; per Fabio non ci sono problemi, anche perché indossa un paio di scarpette da scoglio, mentre io mi tolgo le scarpe aperte da trekking e proseguo scalzo. L’attraversamento “avventuroso” diverte moltissimo Fabio. Sull’isolotto la vegetazione è formata solo da bassi cespugli, tra i quali guizzano veloci le lucertole e volteggiano le farfalle. Caricato Fabio sulle spalle lo porto fino alla punta, dalla quale la vista si apre su un ampio tratto di mare. Scherzando, ci affrettiamo a rientrare per non rimanere bloccati dall’avanzare della marea.
Dopo il riposino casalingo di Giulio, la sera torniamo a Lopar. Il paese sorge su un lato di una profonda insenatura ed è molto più tranquillo di San Marino, anche perché privo di spiaggia. Dal molo dove attraccano i traghetti per l’isola di Krk, una banchina in cemento consente una piacevole passeggiata lungo il mare, costeggiando una verde pineta. Alcuni cartelli illustrano l’origine delle varie formazioni rocciose, ricordandoci che siamo in un parco geologico. In mare un grande masso, tutto lavorato dall’erosione, costituisce un bel colpo d’occhio. Per cena scegliamo il Feral sul lungomare; con Stefania divido un ricchissimo piatto di pesce. Durante la cena un magnifico tramonto accende di rosso mare e cielo.
Sabato 16 agosto: Supetarska Draga
Oggi abbiamo in programma una gita all’isola di Krk, raggiungibile in traghetto da Lopar. Per essere sicuri di imbarcarci con l’auto, già ieri abbiamo acquistato il biglietto. La mattina, un’ora prima della partenza, ci accodiamo alla fila per l’imbarco che si estende per tutto il lungomare di Lopar. Dopo un po’ scopriamo però che possono essere imbarcate solo settanta auto e chi è in fila senza biglietto può tranquillamente acquistarlo all’ultimo momento! Le operazioni vanno per le lunghe, poiché oggi è sabato giorno di partenze ed arrivi; alla fine dopo una lunga attesa saremo i terzi tra gli esclusi. Una gestione veramente assurda! Il traghetto successivo parte solo dopo alcune ore e, visto che vogliamo tornare indietro in giornata e la traversata dura un’ora e mezzo, decidiamo di rinviare la gita, facendoci rimborsare il biglietto.
La disavventura ci ha fatto perdere mezza mattinata e non ci resta che tornare alla spiaggia di San Marino. Ormai abbiamo la nostra tenda e rinunciamo quindi a prendere un ombrellone, anche perché la bassa marea concede molto spazio.
Il pomeriggio raggiungiamo in auto Supetarska Draga, altra località rivierasca in fondo a una profonda insenatura, caratterizzata da un’ampia marina. In zona è segnalata l’abbazia di San Pietro, ma non riusciamo ad individuarla anche se proseguiamo fino all’abitato sul lato opposto della baia. Chiedendo indicazioni, scopriamo che l’abbazia si trova verso l’interno, in mezzo alla campagna, raggiungibile con una piccola deviazione dalla strada per Rab. Dell’antico monastero benedettino, oggi sopravvive solo la chiesa di San Pietro che si presenta perfetta per i restauri. La costruzione in blocchi di pietra bianca ha una semplice facciata romanica, nella quale pochi elementi conferiscono linee aggraziate: tre alte finestre, la lunetta sopra il portale racchiusa da due archi concentrici sormontati da un triangolo. Il basso campanile sembra piuttosto una torre monca; la “cella” non è altro che una loggia con il tetto di legno da cui pendono due campane diseguali (la più grande è la più antica della Dalmazia, fusa nel 1290 dal monaco Luca di Venezia). L’interno della chiesa, candidamente bianco, presenta tre strette navate ed ha un aspetto rustico nonostante i restauri, in particolare le colonne con i capitelli. Tornati all’esterno, la luce del tardo pomeriggio allieta la facciata rivolta a ponente. Mentre Giulio sgambetta nel prato che profuma di mentuccia e Fabio corre tutto intorno, sopraggiungono i fedeli per la messa.
Domenica 17 agosto: gita a Sveti Grgur e Goli Otok
Giornata dedicata a una gita in barca alle isole di Sveti Grgur e Goli Otok. La nostra scelta è caduta sul glass catamaran, attrezzato con un fondo trasparente per consentire la visione sottomarina. L’esperienza è molto gradita a Fabio e Giulio, come a tutti i bambini, anche se in realtà non si vede che qualche pesce e le soste per la visione fanno ballare il catamarano provocando in molti il mal di mare. Lasciato il porto di San Marino, costeggiamo tutta la costa delle penisola di Lopar, ammirando la successione di spiagge e calette fino alla punta di Ciganka, per poi puntare verso San Gregorio. L’isola, in gran parte ricoperta da una vegetazione sempreverde, nel dopoguerra per molti anni ha ospitato un carcere femminile, mentre oggi è un’oasi naturale disabitata, frequentata da una colonia di daini (ma non riusciremo a vederne). L’avvicinamento è spettacolare con acque meravigliosamente cristalline. Mentre Fabio e Stefania smaltiscono il mal di mare, visito gli edifici del carcere, immersi in una pineta. Tutto cade in rovina: molti tetti sono crollati, la vegetazione ha preso di nuovo il sopravvento sull’opera dell’uomo. A fianco dell’approdo ci rilassiamo nella spiaggia di sassolini bianchi, con il mare che in pochi metri dalla riva cambia quattro tonalità: dal giallo al turchese, dal blu all’azzurro.
Lasciando l’isola, sul pendio di una brulla collina si nota inconfondibile la scritta Tito realizzata con le pietre. Aggirata una punta rocciosa, vegliata da un bunker quasi completamente mimetizzato, passiamo sull’altro versante dell’isola, caratterizzato dallo splendido contrasto tra il bianco delle pareti a picco e il blu intenso del mare. Oltre il braccio di mare si distingue la siluette rocciosa dell’isola di Prvic.
Puntiamo poi verso Goli Otok; come dice il nome, l’isola Calva è priva di vegetazione, condannando in passato i suoi prigionieri a un destino ancora più crudele delle donne rinchiuse a Sveti Grgur. Nota come l’Alcatraz croata, dopo la seconda guerra mondiale ospitò i detenuti politici avversari del regime di Tito, in particolare i comunisti rimasti fedeli a Stalin dopo la rottura con l’Unione Sovietica. I prigionieri erano soggetti a un durissimo trattamento di torture e lavori forzati, tanto che molti tra i sedicimila reclusi passati per l’isola vi trovarono la morte. La maggioranza dei prigionieri in realtà era costituita da figure minori, accusati da amici o colleghi di avere parlato male in privato del regime. Il ruolo di Goli Otok nelle purghe anti-staliniste fu riconosciuto solo negli anni ottanta del Novecento, dopo la morte di Tito.
Sbarcati sull’isola, un trenino trainato da un trattore è a disposizione degli escursionisti, apprezzato oltre che dai bambini anche dagli adulti per trovare rifugio dal sole implacabile. Durante il giro si passa davanti ai vari edifici del complesso penale: la grande cisterna per raccogliere l’acqua (oggi completamente vuota), l’ospedale, le celle di rigore, le baracche della mensa in fondo a una magnifica caletta. Lo spettacolo offerto dalla natura, ammirato dal trenino, è bellissimo, ma per i prigionieri il sole d’estate e la bora d’inverno dovevano essere implacabili. Solo il loro duro lavoro riuscì a creare qualche area boschiva, nell’isola prima completamente nuda. Terminato il giro, percorriamo un tratto di lungomare; lo squallore dei cadenti edifici in cemento contrasta con l’azzurro del mare. Un filmato proiettato nel piccolo museo racconta la storia della prigione, inquadrandola nel periodo storico del dopoguerra con le tensioni tra Tito e Stalin. Una foto ingiallita mostra uomini disposti in un grande cerchio intorno a una stella comunista a cinque punte, con le baracche sullo sfondo.
Lunedì 18 agosto: spiaggia Sahara
Il soggiorno a Sahara, bruscamente interrotto dalla puntura della vespa, ci ha lasciato il desiderio di tornare alla magnifica spiaggia. Ripetiamo quindi l’esperienza con il taxi boat, godendoci un’altra giornata di mare in mezzo alla natura. Al nostro arrivo la spiaggia deserta ci fa dimenticare le folle di un agosto balneare. Con Fabio faccio solo una breve passeggiata, risalendo il costone roccioso che abbraccia la baia per godere la sua visione da un’altra angolazione. Per il resto ci concediamo una giornata di totale riposo, tra acque cristalline e sabbia finissima.
Martedì 19 agosto: isola di Krk
Oggi abbiamo in programma l’escursione a Krk rimandata qualche giorno prima. L’italiana Veglia è l’isola più grande di tutto l’Adriatico, nella sua punta settentrionale collegata da un ponte alla costa vicino Fiume. Dopo l’esperienza passata, ci rechiamo con grande anticipo al molo d’imbarco di Lopar: questa volta siamo i secondi della fila, anche perché oggi non è giorno di partenze. La traversata dura un’ora e mezzo, sotto un cielo grigio, nell’ultimo tratto attraverso il braccio di mare che separa le isole di Cres e Krk.
Dall’attracco di Valbiska, in mezzo al nulla, raggiungiamo rapidamente Krk città, principale insediamento dell’isola, al centro della costa occidentale. Il tempo migliora, consentendoci di ammirare le architetture veneziane allietate dal sole. La nostra visita inizia dalla parte alta della città murata. La piazza dei Monaci Glagolitici è da sempre luogo di santuari, tanto da essere chiamata il “Piccolo Vaticano”; oggi presenta un insolito connubio tra le antiche architetture delle chiese e il bianco edificio modernista che occupa un intero lato. Il monastero francescano risale al XII sec.; il suo semplice chiostro ha pareti tinteggiate di giallo, pilastri di pietra e un pozzo nel mezzo, mentre la chiesa del XV sec. presenta un’unica navata coperta da un soffitto di legno a due spioventi, con un pulpito ligneo decorato da scene intarsiate. Su un altro lato della piazza la facciata della Nostra Signora della Salute è costituita unicamente dalla torre campanaria culminante con una piramide, mentre l’interno dall’aspetto moderno presenta di antico solo le eterogenee colonne romane.
Dalla piazza ripide e affascinanti stradine acciottolate, spesso coperte da archi, scendono verso il mare. Superata Strossmayera, il corso cittadino pieno di negozietti, raggiungiamo l’area della cattedrale dalla curiosa “stratificazione architettonica”. In una piazzetta si leva l’alto campanile romanico di San Quirino, con una cuspide a cipolla aggiunta nel Settecento sormontata da un angelo con tromba. La basilica è un edificio a due livelli dei sec. X-XI. Una scalinata consente di accedere dal campanile alla chiesa superiore, che oggi ospita un museo di arte sacra. Le opera più interessanti sono la Trasfigurazione di Maria, una pala d’altare in argento, magnifica opera di un orefice veneziano per l’ultimo duca di Krk, e il polittico di Santa Lucia attribuito a Paolo Veneziano, raffigurante le scene dei vari tentativi di martirizzare la santa. Un leone di San Marco ricorda la dominazione veneziana. L’accesso alla cattedrale dell’Assunzione è veramente originale: una ripida scalinata dal museo. Nell’interno a tre navate due amboni gemelli di marmo bianco e rosa, hanno un leggio formato da un angelo che regge un libro, mentre la balaustra in basso reca un toro alato in uno e un angelo con un libro tra le mani nell’altro. Terminata la visita e usciti di nuovo dal museo e dal campanile, cerco di orientarmi tra le varie architetture, confuso dalla mancanza di una facciata della cattedrale; nel basso portico che collega la cattedrale a San Quirino, l’accesso alla chiesa inferiore è chiuso. Superato il fianco della cattedrale, raggiungiamo il Kastel, residenza medievale dei Frankopani. La loro storia inizia con Dujmo I, al quale i veneziani nel XII secolo affidarono il controllo dell’isola, che i successori trasformarono in un feudo ereditario, esteso anche sulla terraferma e di fatto autonomo da Venezia. Nel 1480 Ivan VII, ultimo duca di Krk, fu sconfitto dagli ungheresi e l’isola tornò sotto il controllo dei veneziani. Del castello originario sopravvive la poderosa torre quadrata, mentre quella cilindrica è di epoca veneziana. Dalla corte è possibile scalarle entrambe, ma per me e Fabio è un’impresa semplice dopo l’esperienza di Rab. Dall’alto si apprezza molto meglio l’architettura della cattedrale.
In un vicoletto scopriamo una delle curiosità di Krk, un mosaico romano del terzo secolo conservato in un caffè. Il personaggio principale suona il flauto: ha corpo umano, sulla testa corna che sembrano chele e gambe che terminano in lunghe code di pesce. Ci ricorda che sotto i romani Curicum fu una fiorente città, protetta da forti mura. A pochi passi, pranziamo all’Andreja. Il servizio è lentissimo, forse perché ci siamo sistemati sul retro anziché sulla piazza principale, ma alla fine il mio surlica sa kulasom (pasta lunga al gulash, tipica di Krk) è gustoso (non altrettanto il pesto per i bambini pieno di panna).
Riprendiamo le nostre esplorazioni da Vela Placa, subito entro le mura dal lato aperto verso il mare. La piazzetta è circondata da basse case con persiane e tinte delicate; la torre medievale ha un curioso orologio con ventiquattro ore, mentre al centro la cisterna esagonale di marmo, oltre al bassorilievo con San Quirino in abiti vescovili, presenta una lunga iscrizione in italiano (“picciola iscrittione”), apposta dai vigliesani per ringraziare il provveditore dell’isola Angelo Gradonico per la sua opera di pacificazione. Su una casa una lapide mostra falce e martello dentro una stella, uno dei pochissimi segni sopravissuti all’epoca comunista. Dalla piazza ha inizio Strossmayera, lo stretto corso cittadino. All’esterno delle mura, nelle quali è stata inserita un’ara funeraria romana con i volti di un uomo e una donna, si apre Trg Bana Jelacica, fulcro cittadino affacciato sul piccolo ma affollato porto. Ormai non ci resta che una breve passeggiata sul molo e poi la faticosa risalita verso la città alta spingendo i passeggini.
In auto raggiungiamo Punat, situata in un ampia e protetta baia a sud di Krk, parcheggiando proprio davanti alla grande marina apprezzata dai velisti. Nell’isolotto di Kosliun (Cassione) subito di fronte, in mezzo a un fitto bosco sorge un monastero francescano. Mancano pochi minuti alle cinque e il barcaiolo ci avverte che i frati da qualche tempo hanno deciso di anticipare la chiusura proprio a quest’ora. Insieme a un’altra famiglia decidiamo comunque di farci traghettare sull’isola, dove il guardiano cede alle nostre insistenze e decide di concederci la visita. Al molo ci accoglie una statua di San Francesco che ammansisce il lupo; il museo è chiuso e così passiamo subito al chiostro di pietra, sul quale in un angolo si affaccia la chiesa del monastero. Nel semplice interno, una navata unica coperta da soffitto ligneo, spicca sull’arco intorno all’abside il grande affresco del Giudizio Universale. Percorrendo brevi sentieri nel bosco gettiamo un’occhiata a un paio di minuscole cappelle affrescate. Durante la traversata di ritorno il barcaiolo cede il timone a Fabio, che si diverte un mondo a governare la barca.
Ormai non ci resta molto tempo prima del traghetto di ritorno per Rab, decidiamo comunque di fare una puntata fino a Baska nell’estremità sud dell’isola. La strada sale attraverso paesaggi boscosi che si rivelano una piacevole sorpresa. Baska invece è la classica località tutta votata al turismo balneare: in un’ampia baia, la lunga ma stretta spiaggia e la passeggiata pedonale subito dietro sono affollate di bagnanti e ci fanno apprezzare ancora di più la nostra San Marino.
Mercoledì 20 agosto: Mundanje – Rab
Dopo l’intensa giornata di ieri a Krk, ci concediamo una mattina di tutto riposo a San Marino, apprezzando la comodità di una spiaggia a pochi passi da casa. Il vasto arenile offre ampi spazi ai bambini che si divertono a correre e sgambettare avanti e indietro, giocando con la sabbia e sguazzando nell’acqua.
I monti Kamejak formano la dorsale di Rab, proteggendo il versante occidentale dalla fredda bora e così, mentre il lato verso la costa dalmata è completamente privo di vegetazione, il resto dell’isola è ricco di verde, con distese di ulivi e vigneti. Il pomeriggio, dal paese di Mundanje imbocchiamo una stradina in salita che ci porta fino alle antenne sopra lo Strazac, la cima più alta dell’isola con i suoi 410 metri. In un arso paesaggio di rocce bianche, la vista spazia meravigliosa sulla costa dalmata, con le isole di Goli Otok, Sveti Grgur e Prvic, dietro la quale si scorge Krk con Baska. Lo spettacolo è mozzafiato. Durante la discesa, la stradina ripidissima e senza protezioni verso il baratro da le vertigini. La visione si apre sul lato adriatico, con l’inconfondibile fisionomia del paese di Rab, allungato sul promontorio. Nuvoloni neri avanzano minacciosi dal mare e tutte le barche stanno facendo ritorno in porto, tracciando strisce di spuma nel blu intenso delle acque.
Tornati di nuovo a Rab, passeggiamo per i vialetti del parco Komrcar, in mezzo a pini piegati dalla forza del vento e scorci a picco sul mare. Raggiungiamo poi la chiesetta di San Cristoforo, appena entro le mura. Al suo interno il piccolo lapidario copre secoli di storia, a partire dalle prime vestigia cristiane tardo romane, soffermandosi sull’opera di Andrija Alesi (Andrea Alessi) autore nel Quattrocento di magnifiche cappelle nelle chiese di Rab, decorate con gli stemmi delle ricche famiglie dell’epoca. Proseguiamo poi la passeggiata lungo la via Alta, fino alle rovine della basilica di San Giovanni Evangelista. La prima costruzione risale al VI-VII secolo, ma la chiesa fu abbandonata nell’Ottocento ed oggi si presenta come un’affascinate rovina: nel prato le tre navate sono marcate da monconi di colonne con qualche capitello, mentre nell’abside è stato rialzato il giro di colonne e archi del deambulatorio, unico esempio di questo genere in Croazia. L’alta torre campanaria, completamente restaurata, è una semplice struttura con tre livelli di monofore disuguali, sormontati da un quarto con una bifora di finestre rettangolari. Improvvisamente spunta uno squarcio di sole, accendendo le rovine sullo sfondo di nuvole color pece. Terminata la visita, proseguendo sulla via Alta, la visione delle chiese inondate di giallo dal sole basso sull’orizzonte assume tratti di magia.
Giovedì 21 agosto: Cimitero sloveno (Kampor)
Dopo una mattinata in spiaggia a San Marino, il pomeriggio raggiungiamo il Cimitero delle Vittime del Fascismo, poco prima di Kampor. All’ingresso un cartello racconta che durante la seconda guerra mondiale in questa località fu istituito dagli occupatori fascisti italiani un campo di sterminio. Vi furono rinchiusi 15.000 sloveni, croati ed ebrei, molti dei quali vi trovarono la morte. Per l’alto numero di vittime slovene, il sito è noto popolarmente come cimitero sloveno. I prigionieri vivevano ammucchiati in piccole tende in mezzo al fango; solo più tardi furono realizzate delle baracche, ma per molti era ormai troppo tardi. Durante l’inverso morirono 4.500 persone, per il freddo, la fame, la mancanza di acqua e le malattie infettive. Dopo l’Armistizio dell’otto settembre, il campo fu liberato dall’azione congiunta dei deportati e della popolazione locale. Molti dei sopravissuti si unirono ai partigiani, prima dell’arrivo dei tedeschi sull’isola. Una foto impressionante mostra bambini ridotti a pelle e ossa; tra le varie targhe mi colpisce quella dell’associazione partigiani di Trento.
Nel cimitero non ci sono croci: sotto i cipressi, le tombe disposte in lunghe file sono numerate, ma per la maggior parte anonime. Alla fine del percorso si erge un obelisco di pietra bianca e dietro una grande placca con l’elenco delle 1488 vittime di cui si conosce il nome, ciascuno preceduto da una stella comunista e seguito dalla data di nascita. Sotto una volta di pietra, un grande mosaico colorato raffigura due personaggi scheletrici, sullo sfondo di raffigurazioni entro riquadri tra le quali molte lupe (allusione a Roma?) ma anche casette e fabbriche.
Per cena raggiungiamo Rab, dove alla Kaldamac Konoba consumiamo un’altro pasto a base di pesce.
Venerdì 22 agosto: spiagge Ciganka e Sturic
Per la nostra ultima giornata di mare torniamo a Ciganka. La mattina siamo i primi a raggiungere la spiaggia, con i bambini un po’ delusi di trovare la “loro piscina di sassi” sommersa dall’alta marea. Gli effetti del ferragosto si avvertono nei secchi pieni di spazzatura, ma poco più tardi sopraggiunge la barca dei netturbini che a mani nude provvedono a portare via tutto. Questa volta, con Fabio decido di esplorare la costa a destra della spiaggia. Salendo su un costone più alto la vista è subito magnifica; una barca è attraccata all’isolotto di fronte. Proseguiamo la passeggiata fino a un’altra spiaggia di sabbia, Sturic, divisa in due sezioni e anche questa volta collocata in fondo a una profonda insenatura. Fabio si dimostra un bravo esploratore: immortaliamo la nostra impresa con qualche autoscatto, mentre papà si impegna, tornati a casa, a conferirgli la medaglia del viaggiatore.
Per il resto della mattinata, ci rilassiamo tutti insieme a mollo, anche se la pioggia della notte ha reso l’acqua torbida, impedendoci per la prima volta di vedere il fondale. Facciamo conoscenza con una famiglia italiana, la piccola Giulia ha due anni. Alloggiano a Lopar, mentre la settimana precedente sono stati a Dugi Otok, a nord delle Kornati, per un soggiorno molto più spartano.
La sera, per la nostra ultima cena del viaggio, non possiamo che tornare alla fedele Dragica Gasthaus, chiudendo in bellezza con calamari fritti per Stefania e zuppa di fagioli seguita da branzino per me.
Sabato 23 agosto/Domenica 24 agosto: San Marino – Roma
La nostra vacanza volge al termine. La mattina piove a dirotto; con Giulio ci mettiamo alla finestra ad ammirare le saette che guizzano nel cielo. Finalmente all’ora di pranzo il tempo migliora e posso caricare i bagagli in macchina. Anche per il ritorno vogliamo viaggiare di notte, ma anticipiamo la partenza al pomeriggio preoccupati per le possibili code. All’imbarco del traghetto infatti la fila si allunga per cinque chilometri e l’attesa durerà più di due ore. Alla fine sbuca il sole, come a volerci salutare con un’ultima meravigliosa visione sulle pietrose distese del versante orientale di Rab e gli alti monti della costa dalmata.
L’attraversamento è rapidissimo, ma sul ponte del traghetto il vento spira forte. Fabio si lamenta per il mal di pancia e risaliti in macchina vomita. Appena sbarcati, parcheggiamo quindi al molo; Fabio è pallidissimo, pensiamo a un colpo di freddo. Il suo seggiolino è pieno di vomito: dobbiamo smontarlo e lavarlo tutto. Le operazioni vanno per le lunghe, mentre Fabio vomita ancora un paio di volte. Alla fine sembra stare meglio e, ingurgitati rapidamente due panini, cedo il volante a Stefania sedendomi sul sedile posteriore tra i due bambini, pronto a intervenire con una grande busta. Il tempo nel frattempo è di nuovo peggiorato e si scatena una vera bufera di pioggia. Fabio si lamenta, ma poi si addormenta. Stefania procede con cautela sulla strada costiera piena di curve e inondata dall’acqua, ma ciononostante anch’io comincio ad accusare nausea e mal di pancia. Superata Senj, dove nemmeno questa volta possiamo fare tappa, torno alla guida. Aggirando Fiume, raggiungiamo l’autostrada per Zagabria e poi quella per Lubiana. All’ultimo casello prima del confine sloveno la fila è lunga ma scorrevole. Subito dopo però ci aspetta un’altra brutta sorpresa: le auto sono incolonnate per imboccare l’uscita verso la statale che porta in Slovenia e poi in Italia. Sono tutti italiani di ritorno dalle vacanze. Dopo una decina di minuti fermi in coda, ricordando l’analoga esperienza di ritorno dall’Istria quando la fila iniziava molto più avanti, cominciamo a temere che l’attesa possa durare per ore; i bambini per fortuna dormono tranquilli. Decidiamo quindi di provare un percorso alternativo, dirigendoci verso Postumia per raggiungere l’autostrada. Il traffico scompare immediatamente, ma l’itinerario attraverso paesini di collina si rivela più lungo del previsto. All’una di notte siamo a Postumia ma la segnaletica ci inganna e imbocchiamo l’autostrada nella direzione sbagliata, verso Zagabria. Al casello il chiosco per acquistare la vignette è chiuso e non ci sono distributori automatici. Non ci resta quindi che entrare in autostrada senza pagare. Poco dopo possiamo comunque acquistare la vignette a un benzinaio, dove ci rassicurano che non ci sono problemi per il fatto che l’abbiamo presa in ritardo. Per invertire il senso di marcia ci servono due tentativi, con uscite e rientri sull’autostrada. Nel frattempo si scatena un nuovo nubifragio.
Al posto di confine tra Italia e Slovenia non ci sono controlli (tornato a casa, scoprirò che la Slovenia fa parte dell’area Schengen mentre la Croazia ancora no). Passati in Italia, i nostri problemi con il traffico sono finiti, ma subito ne iniziano altri: appena cedo la guida a Stefania comincio a sentirmi male e alla fine dobbiamo fermarci. Nel supermercato di Rab, dove ieri abbiamo la spesa, faceva un gran caldo e i frigoriferi non sembravano raffreddati a sufficienza. I miei guai sono iniziati dopo che ho mangiato i panini con prosciutto e formaggio acquistati proprio lì; devono essere stati proprio loro a far stare male me e Fabio, anche se Stefania per il momento sembra immune. L’aria fresca mi rimette un po’ in sesto. L’unica soluzione, per evitare la nausea e proseguire, è rimettermi alla guida. Pian piano comincio a stare meglio, ma la stanchezza si fa sentire e ci fermiamo spesso per riposarci. Dopo Firenze, all’alba i bambini si svegliano e cedo la guida a Stefania, che nel frattempo comincia anche lei ad accusare problemi. Alle dieci del mattino, diciotto ore (!!) dopo la partenza da San Marino, giungiamo finalmente a casa a Roma. Fabio si è ripreso del tutto grazie alla dormita, mentre io e Stefania siamo distrutti. Ci vengono in soccorso i nonni, che intrattengono i bambini mentre noi ci riposiamo un’oretta.