Sulle ali del Drago Tonante
Apertosi al mondo esterno solamente negli anni ’70 e raggiunto da internet dal 2003, è un angolo del pianeta non ancora molto globalizzato che punta su un turismo d’elite disposto a spendere una tassa giornaliera piuttosto elevata, escludendo la possibilità di effettuare viaggi individuali (regola tuttavia che non viene applicata per i soli turisti di nazionalità indiana…). L’unica compagnia aerea al momento autorizzata ad atterrare in Bhutan è quella di bandiera (Druk Air), previo rilascio del visto d’ingresso.
Se tutto questo potrebbe scoraggiare il viaggio, dall’altra parte non fa che aumentare la curiosità di visitare un Paese che difende strenuamente le sue radici culturali da influenze esterne…
La vista dall’oblò è sempre più stupefacente, la catena innevata dell’Himalaya sbuca letteralmente dalle nuvole. Il cielo si fa sempre più terso e, dopo circa un’ora di volo da Calcutta, l’aereo si inserisce in una stretta vallata circondata da montagne boscose. Le ali sembrano, durante le virate, quasi toccare i fianchi scoscesi, infine l’atterraggio sull’assolata pista dell’aeroporto internazionale di Paro.
Siamo arrivati dunque nel regno del Drago Tonante… scendendo dalla scaletta dell’aereo ci si guarda intorno con una certa emozione. Il cielo è limpido, il sole accecante e l’aria secca e frizzante. L’edificio dell’aeroporto è in stile tradizionale, lo raggiungiamo a piedi e, dopo aver ritirato i bagagli, incontriamo la nostra guida, Sonam, ad attenderci all’uscita. Sonam è piacevolmente sorpreso nel vedere la nostra “giovane” età, in genere accompagna gruppi di turisti molto più anziani e mai gli era capitato di trovarsi solamente con una coppia. Passeremo con la sua piacevole compagnia gli 8 giorni del nostro viaggio in Bhutan, dedicato alla visita della sua parte occidentale.
Sonam parla un buon inglese, così come gran parte dei giovani che lo imparano a scuola: coloro che intendono proseguire gli studi infatti, utilizzano libri di testo in inglese in quanto non ne esistono versioni in drukpa (la lingua locale); nel corso del viaggio rimarremo sorpresi del buon livello linguistico di alcuni ragazzi, nonostante non abbiano mai varcato la frontiera del proprio Paese. Inoltre si utilizzano correntemente i numeri ed i termini tecnici di lingua inglese non esistendo equivalenti in lingua locale.
Paro è una cittadina minuscola, consiste di un’unica via principale costeggiata da piccoli edifici in stile tradizionale. Peperoncini rossi sono appesi alle graziose finestre di legno colorate e stesi sui tetti in lamiera per farli essiccare al sole. Domina l’imponente Dzong, una sorta di monastero-fortezza che attualmente costituisce un centro amministrativo oltre che sede del locale corpo monastico buddista. Attraversato il piccolo ponte coperto su un limpido torrente, iniziamo la salita per l’ingresso allo Dzong. Varcato l’ingresso, si apre un vasto cortile con al centro una robusta torre rettangolare dalle mura imbiancate a calce ed attraversate da una fenditura: si tratta delle conseguenze di un forte terremoto che ha colpito il Paese lo scorso mese di agosto e che ha provocato il crollo di numerosi antichi edifici. Anche diversi chorten (stupa) e il Museo Nazionale di Paro hanno subito dei danni.
Il passo di Chele La, a quasi 4000 metri, affascina con la sua aurea mistica. Centinaia di bandiere della preghiera ondeggiano al vento, con lo sfondo delle vette himalayane innevate. Raggiungiamo da qui il Monastero di Kila, percorrendo un sentiero nella foresta ed attraversando torrenti ghiacciati.
Visitiamo il tempio di Kichu Lakhang, il più antico del Bhutan, proprio mentre si svolge una suggestiva cerimonia per onorare la discesa del Buddha dal cielo, festività particolarmente sentita in tutto il Paese. All’esterno, due ali di folla raccolte sotto dei tendoni con variopinti abiti tradizionali, pregano assieme ai monaci con litanie ritmate da tamburi e trombe tibetane. Alcuni snocciolano dei rosari, altri fanno girare le ruote delle preghiere… non è la studiata scenografia di un film, ma la straordinaria e genuina espressione della religiosità dei locali. Particolarmente degni di nota sono gli interni, che ricordano moltissimo quelli dei templi tibetani per il meraviglioso stile dei dipinti e delle statue lignee, tra cui una del maestro Guru Rimpoche alta più di 5 metri ed impreziosita da uno sgargiante mantello di seta purpurea.
Il monumento più rappresentativo della Valle di Paro (o forse dell’intero Paese) è il monastero di Taktshang, noto come la “tana della tigre”, che si raggiunge con un faticoso trekking in salita di almeno 2 ore. Abbarbicato sulle rocce, dal monastero spazia una vista meravigliosa sulle foreste circostanti e riecheggia lo scroscio della vicina cascata oltre al sibilare del vento che scuote i filari delle bandiere delle preghiere. La legenda locale narra che, nella grotta custodita al suo interno, il maestro Guru Rimpoche a cavallo della sua tigre si sia soffermato a meditare per 3 mesi prima di affrontare e sconfiggere un demone della zona. In una delle cappelle principali, si conserva una preziosa statua del maestro che i Bhutanesi credono dotata del dono della parola.
Thimphu, capitale del Bhutan a partire dal 1961, è il principale centro abitato del Paese. La sua popolazione è raddoppiata negli ultimi 10 anni, pertanto la periferia si ingrandisce sempre più con nuovi palazzi a diversi piani che cercano comunque di rispettare lo stile tradizionale. La città è nota per la completa assenza di semafori, pertanto il traffico continua sempre ad essere regolato da vigili in divisa.
Il centro della città non è particolarmente interessante e le principali attrazioni sono per lo più situate nei quartieri settentrionali, dove sorge l’ospedale di medicina tradizionale. In piccole sale sono esposte campioni delle erbe e dei minerali che vengono utilizzati per produrre i medicinali, molti sono i bhutanesi che si affidano alle cure tradizionali, efficaci seppur più lente nella cura delle patologie rispetto alla medicina occidentale. A breve distanza, la scuola di belle arti, dove giovani in divisa mantengono in vita l’artigianato tradizionale dell’intaglio del legno, della pittura e del ricamo. Particolarmente interessante è l’Heritage Folk Museum, un edificio costruito in legno e fango essiccato a tre piani, abitato fino a dieci anni fa da una famiglia nobiliare, che permette di avere un’idea precisa sullo stile di vita e degli oggetti di uso corrente presso alcune remote zone del paese.
Particolarmente imponente, lo Dzong di Thimphu non è situato in posizione sopraelevata rispetto alla città. Viene utilizzato dal re per svolgere l’attività di governo, per cui è accessibile per le visite esclusivamente nel pomeriggio. La sala del trono è un tripudio di affreschi ed elaborate decorazioni su cui vigilano imponenti statue del Bhudda sullo sfondo. Prima del tramonto, si svolge la suggestiva cerimonia dell’ammainabandiera: il drappo bicolore con l’effige del Drago Tonante viene accuratamente ripiegata ed un picchetto d’onore, preceduto da suonatori di trombe in abiti di seta sgargiante, la trasportano all’interno di un edificio.
La giovane coppia reale alloggia in un piccolo palazzo che è severamente vietato fotografare, non lontano dal parlamento, voluto dal giovane sovrano che ha indotto le prime elezioni libere nel Paese nel 2007.
Raggiungiamo la remota valle di Phobjikha dopo diverse ore di viaggio su una strada dissestata e piena di tornanti, dopo aver attraversato il suggestivo passo di Dochu La dove, su un’altura, sorge un chorten principale circondato da un centinaio di altri choerten minori per dimensione.
Quando arriviamo a Gangtey, è già buio e la cittadina è avvolta da un freddo pungente. Il nostro albergo in stile tradizionale ci accoglie in una piccola sala riscaldata, dove familiarizziamo con i pochi turisti americani e australiani che, come noi, attendono l’assegnazione delle stanze. La ragione che ci ha spinto ad arrivare sin qui è il Festival annuale delle gru dal collo nero, che si sarebbe tenuto l’indomani nel grande monastero proprio di fronte all’albergo. Nelle prime ore del mattino, attraversiamo la valle percorrendo un sentiero di circa 3 chilometri. Osserviamo le gru, in onore delle quali il Festival viene indetto, da un punto di osservazione piuttosto lontano. Gli uccelli si soffermano brevemente nella valle di Phobjikha e la loro partenza annuncerà l’arrivo dell’inverno. Per gli abitanti sarà allora tempo d’emigrare a loro volta in zone più temperate, in attesa di tornare con la bella stagione.
Il Festival (Tsechu) costituisce un’occasione imperdibile per assistere alle danze dei monaci in maschera assieme al pubblico locale, che raggiunge il monastero con ogni mezzo a disposizione vestito in abiti tradizionali coloratissimi. I monaci interpretano gli spiriti che da morti le persone saranno in grado di riconoscere nell’aldilà, muovendosi vorticosamente al ritmo dei piatti d’ottone, in un turbinio di sete e broccati variopinti. Altri monaci, nei loro tradizionali abiti amaranto, assistono assieme al pubblico alle evoluzioni dei danzatori dall’altro delle balconate di legno. Dopo diverse ore, la folla esce lentamente dal cortile per la pausa pranzo e per noi è tempo di rimetterci in marcia e di raggiunger la città di Punakha, ultima tappa del nostro affascinante itinerario.
Visitiamo Chimu Lakhang, noto come il tempio della fertilità, che raggiungiamo dopo una passeggiata di 30 minuti attraverso campi di risaie. Negli edifici che incrociamo lungo il percorso, sui muri sono dipinti dei grandi falli propiziatori, che hanno la funzione di respingere gli spiriti maligni…. strano se si considera che anche nell’antica Roma i simboli fallici venivano impiegati per identiche finalità.
La valle di Punakha si differenzia dalle altre località per il suo clima subtropicale e la rigogliosa vegetazione. Raggiungiamo dopo un ennesimo trekking in salita e dopo l’attraversamento di un traballante ponte tibetano metallico, un suggestivo chorten costruito negli anni ’90 su un’altura, per poi concludere le nostre visite nello Dzong di Punakha, senz’altro il più suggestivo tra quelli visitati. In questo luogo si svolgono le cerimonie d’incoronazione dei nuovi sovrani e qui è stato inoltre organizzato il banchetto di nozze in occasione del matrimonio del giovane re e della sua affascinante consorte, i cui volti ci sono ormai divenuti familiari perché esposti praticamente ovunque nel Paese. Vaghiamo tra gli edifici assolati ed i corridoi silenziosi, incrociando sporadicamente qualche monaco che rapidamente si dilegua con passo svelto all’interno degli edifici a cui non ci è consentito accedere… non si vorrebbe mai abbandonare la pace di questi luoghi incantevoli, ma anche questo viaggio, come un sogno, sta ormai per terminare e l’indomani è tempo di risvegliarsi altrove.