Serenità, armonia e rispetto sono i 3 ingredienti di un viaggio nel “paese più felice del mondo” (ma non è quello che ti aspetteresti)

Viaggio in un paese da favola
Scritto da: gggraziella
Partenza il: 07/10/2019
Ritorno il: 16/10/2019
Viaggiatori: 2
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Le nostre attenzioni al Bhutan le abbiamo rivolte fin dai primi anni 2000 quando cominciavano a comparire articoli relativi a questo paese così “diverso” e con ambizioni di attenzione all’ambiente e alle persone che parevano difficili da realizzare (un esempio particolare: le prime elezioni precedute da una prova generale di finte elezioni). Per quanto abbiamo visto il Bhutan ha vinto fino ad ora tutte le sfide ed auguriamo al suo popolo di poter continuare così molto a lungo! Il viaggio era sempre difficile da organizzare perché troppo complesso far coincidere le date dei festival con i voli e i giorni a nostra disposizione. Quest’anno, nel giro di neanche un mese, siamo riusciti a pensarlo e a compierlo! Grazie a Patrizia che ha scandagliato tutti i voli possibili ed a Margherita che ci ha meticolosamente seguiti. Grazie anche a Dawa che nei tristi giorni della pandemia ci ha ricontattati per esserci vicino informandosi e sostenendoci con “ please stay safe and God bless you”.

Diario di viaggio in Bhutan

Giorno 1 – Partenza da Milano

Volo Emirates 206 MXP/DXB 14,05/22,10. All’ultimo snodo prima della pista l’aereo fa ritorno ai posteggi per far scendere un passeggero e i suoi bagagli; durante la sosta avvisiamo Margherita del disguido, nel timore di perdere il volo successivo per Calcutta e di conseguenza anche quello per Paro (soprattutto considerato che la tratta per Paro non può essere riprotetta o rimborsata).

Giorno 2 – Arrivo in Bhutan (Paro)

All’arrivo ci affrettiamo a cambiare terminal, superati i controlli raggiungiamo la gate a imbarco già iniziato! Volo EK 570 DXB/CCU 02,05/08. A Calcutta, ritirati i bagagli e fatta dogana, troviamo Shyamal Das per fornirci l’assistenza che ci è stata offerta, al fine di facilitarci nelle formalità doganali verso il Bhutan. Volo Bhutan Airlines B3 715 CCU/PBH 15,00/16,40. Il volo è assolutamente tranquillo e l’atterraggio perfetto, nulla che giustifichi la fama di aeroporto tra i più pericolosi al mondo! Il cielo parzialmente coperto permette comunque prima una buona visuale sulla catena himalayana, poi un bellissimo sguardo sulle vallate rivestite di foreste e puntellate di villaggi con le casette dai tetti azzurri o verdi: come si stesse per entrare in una favola.

Si! sembra veramente di essere entrati in un paese delle fiabe: l’aeroporto è curatissimo, la pulizia è assoluta, gli edifici sono riccamente dipinti, ovunque campeggiano immagini della famiglia reale o di scenari idilliaci, fra i nastri su cui scorrono le valige sono riprodotti i principali dzong e paesaggi con fiori e piantine fresche! Ad accoglierci, porgendoci le tipiche sciarpine bianche di benvenuto ed una bella cartina turistica, c’è la nostra guida Dawa Tshering. L’autista (che naturalmente, come la guida, indossa il gho) si occupa dei bagagli e dopo un breve giro per la cittadina ci lascia nel centro di Paro. Partiamo subito per una passeggiata lungo le strade più caratteristiche. I negozi sono stipatissimi di merci di ogni tipo e molto affollati, anche perché gli spazi a disposizione della clientela sono minimi. Approfittiamo per entrare in uno di questi a cambiare euro in ngultrum (1 EUR = 0,011 BTN) e procurarci la sim (Bhutan Telecom).

Le case sono molto curate e riccamente decorate, dalle finestre spesso penzolano grandi ghirlande di peperoncini. Ci sono parecchie auto ma non c’è grande traffico; delle molte persone che popolano le strade buona parte indossano gli abiti tradizionali bhutanesi, pochi vestono all’occidentale ed alcuni abiti indiani. Una cosa che colpisce subito è la grande quantità di cani (tranquilli ed all’apparenza ben nutriti) che gironzolano o dormono ovunque; chiediamo alla guida come fanno ad avere le strade così pulite visto il numero incredibile di cani in circolazione e lui ci risponde che l’unico problema creato dai cani è l’abbaiare notturno. L’inglese di Dawa è buono il nostro invece è solo un ricordo, quindi per le parole meno comuni facciamo ricorso al traduttore: Dawa non si fa scappare la cosa ed il giorno successivo anche lui ha il traduttore italiano/inglese sul cellulare. Mentre cala la sera raggiungiamo il Yewong Eco Lodge nelle immediate vicinanze di Paro posto su un pendio digradante che permette una buona veduta sulla vallata sottostante. Il lodge è formato da diversi piccoli chalet (in stile bhutanese) sparpagliati fra piccoli orti e alberi da frutta con vialetti bordati da tageti, dalie, nasturzi, azalee e rose. Il personale che ci serve la cena ci informa con orgoglio che la frutta e la verdura sono di loro produzione; il dessert di piccole mele profumatissime con un cremina poco densa è squisito. La temperatura è fresca così per la notte accendiamo il riscaldamento.

Giorno 3 – Visita a Paro, Thimpu

thimpu

Facciamo abbondante colazione all’ora prenotata la sera precedente, poi passeggiamo nel vasto giardino-frutteto e coccoliamo una cagnetta col suo cucciolo dandogli i panini avanzati dal volo. Familiarizziamo anche con un ragazzo indiano (in cerca di clienti a cui fare da accompagnatore in lingua italiana, che conosce alla perfezione), ed una signora inglese infortunata ad un braccio, che attende di riunirsi al suo gruppo dopo che questo avrà ultimato il trekking. Dawa arriva con lieve ritardo, ci spiega che purtroppo durante la notte il nostro autista ha avuto un grave problema ed ora è ricoverato. Nell’attesa ci viene offerta della torta con tè e caffè. In poco tempo arriva l’auto con un nuovo autista e ci dirigiamo verso Paro. Non possiamo effettuare la prevista visita del Ta Dzong in quanto chiuso (per festa nazionale Timpu Tsechu) così ci dirigiamo subito verso il sottostante Rinpung Dzong.

Il tragitto è breve ma, come ovunque nel paese, permette di vedere le case ben curate e dipinte (scarpe ordinate all’ingresso e molti fiori in vasi o aiuole). Le risaie cominciano a biondeggiare e sono bordate da una infinità di variopinti e delicati fiori di cosmea. Quando scendiamo dall’auto Dawa indossa, sopra il gho, la kabney e ci spiega l’uso degli abiti tradizionali (che diventano obbligo quando si entra in luoghi pubblici), sia gli uomini che le donne (ma anche i bambini) così vestiti sono particolarmente eleganti e per nulla impacciati nelle varie attività. All’ingresso della fortezza ci sono almeno una quindicina di cani tranquillamente addormentati sugli scalini, negli angoli ed anche nel bel mezzo del cortile; alcuni operai puliscono, tolgono l’erba dalle fessure della pavimentazione e ridanno la calce alla parte bianca dei muri. Lo dzong ospita sia un quartiere monastico che uffici amministrativi e giudiziali del distretto di Paro.

Dawa ci spiega (ripetendo più e più volte fino ad avere la certezza che abbiamo capito) la storia, l’architettura, le funzioni ecc. Con pazienza riesce a farci memorizzare i personaggi, i simboli, le regole e la cultura della religione buddista Mahayana direttamente intrecciata con la storia stessa del Paese. In uno dei cortili della parte bassa dello dzong, che ospita 200 monaci, un gruppo di abili artigiani (l’equivalente delle nostre belle arti) sta restaurando con sottili pennelli le belle e coloratissime decorazioni del legno di un porticato, mentre un corpulento gallo razzola fra le loro latte di vernice e la struttura che ospita i ceri votivi accesi. Tutti i lavori (costruzione e gestione/mantenimento) relativi agli edifici pubblici e religiosi, alle strade, ai parchi ecc sono interamente gestiti dallo stato e, per quanto si può vedere, tutto funziona bene. La visita prosegue con la breve passeggiata che scende verso il vivace fiume Paro Chhu attraversabile sul ponte di legno coperto Nyamai Zam.

Riprendiamo l’auto per dirigerci verso Thimpu. La strada supera una vasta zona devastata dagli incendi dove proprio per questo si notano ancora meglio i viottoli che si inerpicano verso case o templi, ponti tibetani, campi di alte bandierine bianche (per i defunti), i simboli del buddismo e popolazione intenta alle sue attività. Giunti nella capitale, facciamo un giro nelle strade del centro e in una zona dove in occasione del festival sono stati allestiti parecchi stand di cibo e molti altri prodotti, nonché giochi (anche gonfiabili come scivoli ecc.) e intrattenimenti (c’è anche un mega schermo su cui sono proiettate le immagini del matrimonio reale in occasione dell’ottavo anniversario). Con qualche puntata nei negozi colmi di coloratissime stoffe, sciarpe, borsette, portafogli e altri souvenir, ci spingiamo fino ad uno degli incroci maggiormente affollati della capitale dove alcuni cani dormono beatamente incuranti delle auto che ovviamente li evitano. In tutto il Bhutan non esistono semafori, i posti e momenti più trafficati sono gestiti dalla polizia. La stragrande maggioranza della popolazione che incontriamo veste i costumi tradizionali. I palazzi sono tutti curati e dipinti in stile bhutanese. Per pranzo saliamo al 5° piano di un edificio del centro con bella vista su una parte della città.

Per sfruttare il tempo avanzato dalla mancata visita al Ta Dzong e rinunciando alla prevista breve passeggiata nel parco botanico Lamperi cogliamo al volo la proposta di Dawa per andare a vedere il Thimpu Tsechu fuori programma. L’autista ci lascia nelle immediate vicinanze del posto di controllo per l’accesso al Trashi Chhoedzong. L’edificio è costeggiato dalla bella fioritura di una lunga fila di ibisco di Siria e una larga aiuola di rose, dall’altro lato ci sono salici piangenti e prati che digradano verso il fiume Raidak mentre sulla sponda opposta si può vedere il palazzo del parlamento. Tutta la zona è un via-vai coloratissimo di gente con nei prati circostanti nutriti gruppi di bhutanesi che fanno pic-nic: una vera festa prima ancora di entrare al festival! All’ingresso del cortile dove si svolgono le danze veniamo indirizzati verso una parte elevata un po’ meno affollata e da cui si ha una buona visuale. Le forze dell’ordine sono molto numerose e tutte le gradinate che circondano il cortile sono gremite, il colpo d’occhio è incredibile! I turisti sono davvero pochi. Le danze spettacolari si susseguono e si alternano a riti e cortei di offerte, i personaggi che animano l’evento o passano a raccogliere offerte sono curiosi. Una manifestazione particolarmente intensa! Quando il nuvolo, dopo essersi trasformato in umidità, diventa pioggia e gli ombrelli impacciano i movimenti ripartiamo.

Durante i tragitti Dawa ci spiega molte cose dalle coltivazioni (riso, riso rosso, foreste), alle comunicazioni (poche strade per la forma del territorio e i terreni franosi, no ferrovie, spostamenti in aereo o elicottero), alla struttura governativa, alla crescita e modernizzazione del paese, ecc. Raggiungiamo il valico Dochu La (3100 m s.l.m.) nella nebbia e sostiamo per visitare i 108 stupa (fatti costruire dalla regina madre nel 2003 a commemorazione dei soldati butanesi morti durante gli scontri per debellare i campi di ribelli indiani nel sud del paese, anche se ancora oggi fonti indiane vorrebbero accollarsene i meriti). Scendendo a valle in alcuni tratti troviamo pioggia battente. Dopo la sistemazione all’hotel YT di Lobesa approfittiamo per una breve passeggiata nei dintorni. Mentre osserviamo la vita del paesino un’auto privata si accosta a noi: è Dawa che si offre per accompagnarci nel giro, lo rassicuriamo e proseguiamo senza di lui. È bello vedere un gruppetto di bambini giocare coi camioncini e, dopo aver condiviso fra di loro e con gli uccellini un sacchetto di snack, ritornare ciascuno per la sua strada verso casa spingendo il proprio “mezzo” prima che faccia buio. Per cena ci vengono servite verdure e carni ben cucinate oltre all’immancabile riso. Per la notte riscaldiamo l’ampia camera con la stufa elettrica a fungo.

Giorno 4 – Punakha

punakha

L’alba è rallegrata dal sole e dal canto degli uccellini che sul lungo balcone della nostra camera fanno festa con i dolci, residui del volo, sbriciolati. Dopo aver curiosato fra i fiori e gli alberi del cortile facciamo colazione che ci viene servita al tavolo ed è varia ed abbondante. Mentre attendiamo le portate calde anche qui un ragazzo indiano si fa avanti in cerca di clienti italiani da accompagnare ed anche lui ci lascia i recapiti per eventuali futuri viaggi (nostri o di amici e conoscenti) sia in Bhutan che in India. Partiamo in direzione di Punakha, dopo qualche chilometro di strada nel fondovalle svoltiamo in una strada minore per la visita prevista del villaggio di Talo (da dove provengono, come ci spiega Dawa, le 4 mogli del precedente re).

La strada si alza molto e offre continui bei panorami sia sulla vallata che sulle cime innevate all’orizzonte. Non ci accorgiamo della deviazione per Talo e ci ritroviamo in un altro paesino di montagna Nobgang; qui facciamo una bella passeggiata fra case, orti, vita rurale, punti panoramici, il tempio/dzong, la scuola e un minuscolo negozietto. Durante il ritorno scegliamo di non visitare più Talo ma di scendere subito verso il Punakha Dzong. Superata la cittadina sostiamo per le classiche foto in avvicinamento al bel palazzo che sorge sulla confluenza dei due fiumi Mo (femmina) e Pho (maschio). L’accesso allo dzong avviene attraverso il classico ponte in legno sul fiume Mo. Gli alberi di jacaranda sono sfioriti ma ci sono bellissimi cespugli di bouganville in piena fioritura. Saliamo le ripidissime scale (una parte delle quali può essere alzata per difesa) ed entriamo nei vari cortili, balconate, sale. Oltre ai tanti cani ci sono anche gatti sonnacchiosi, in centro ad un cortile c’è un chorten ed un albero di ficus della Bodhi, è tutto pulitissimo e le decorazioni molto curate. In un altro cortile molto raccolto e ricco di piante e fiori c’è il tempio in cui sono custodite le spoglie di una personalità religiosa ed un’altra reliquia, a questo tempio possono accedere, oltre ai due lama di guardia, unicamente il re e la massima autorità religiosa. Da una balconata si può anche vedere l’interno del tempio in cui è stato celebrato il matrimonio dell’attuale re (che, per amore e per vicinanza al popolo, ha rinunciato al diritto di avere più mogli).

Ultimata la visita dello dzong Dawa ci propone, fuori dal programma, una breve camminata per raggiungere un ponte tibetano che ovviamente accogliamo al volo. Il percorso di 1500 metri su strada sterrata inizialmente passa in prossimità di un campo di cremazione ed è fiancheggiata ed ombreggiata da gigantesche bouganville di molti colori, poi attraverso una scaletta, per superare le recinzioni “anti animali”, sale, fra arbusti e fichi d’india, fino al ponte. Il suspension bridge, lungo 160 metri, è abbellito da migliaia di bandierine in parte sbiadite e “ondeggia “ sull’impetuoso Pho Chhu. Sull’altra sponda sostiamo in un piccolo negozietto di bevande ed osserviamo abili artigiani intenti a costruire e dipingere una casa ed alcuni giovani monaci far girare un nuovissimo mulino di preghiera. Pranziamo a Punakha, i buffet offrono pietanze molto simili: verdure a vapore/fritte, carne, riso e piccole mele, ma tutto sempre buono.

Nel pomeriggio è prevista la visita del Tempio della Fertilità o Chimi Lhakhang. Dopo aver lasciato la macchina ci incamminiamo per il breve tratto di strada sterrata che conduce al tempio sulla collina. La stradina è fiancheggiata inizialmente da negozi e stand per turisti con prezzi assai elevati, poi all’interno del parco del tempio ci sono alcuni venditori con oggetti, soprattutto quelli tipici di questa zona, dai prezzi decisamente più abbordabili. Il tempio non è di grandi dimensioni, sono molto curiose le grondaie così come i dipinti/oggetti beneauguranti per la fertilità; altre curiosità sono l’album fotografico dei bambini nati (in tutto il mondo) a seguito di un pellegrinaggio dei genitori a questo tempio e le giovani coppie (anche occidentali) che si fanno dare la benedizione dai monaci. Visto che abbiamo ancora tempo a disposizione Dawa ci propone di visitare Bajothang. Prima di attraversare il fiume e raggiungere la cittadina facciamo una breve sosta per ammirare il grande dzong di Wangdue Phodrang in corso di ricostruzione dopo l’incendio che lo ha distrutto. Raggiunto il centro di Bajothang lasciamo l’auto per un bel giro. Nei giardinetti ci sono bambini che giocano ma anche anziani che pregano facendo girare il grande mulino di preghiera. La camminata continua per farci curiosare fra negozi, attività artigianali, supermercati ed il mercato della frutta e verdura: tutto assolutamente non turistico. A quest’ora i ragazzi escono dalle scuole ed è molto bello vederli nelle loro eleganti divise(con zaini, borsette termiche per il pasto e telefonini) incamminarsi a gruppetti verso i mezzi che li riporteranno alle loro case. Dawa ci dice che in Bhutan l’istruzione è completamente gratuita a tutti i livelli fino all’università e si studia l’inglese fin dai primi anni di scuola. Ci indica anche sul lato opposto della vallata un villaggio formato da un grande edificio con dietro numerose case, spiegandoci che si tratta di un ospedale con le case per i dipendenti; anche la sanità è completamente gratuita ed i cittadini non pagano tasse in quanto il governo reperisce le risorse dal turismo e dalla vendita dell’energia elettrica.

Giorno 5 – Gangtey 

gangtey

Fatta colazione partiamo mentre le nebbie mattutine lasciano spazio al sereno. Il trasferimento verso Gantey richiede alcune ore così durante il percorso Dawa ci racconta della sua famiglia, della vita dei bhutanesi, del lavoro, ecc., ci facciamo anche riferire dei trekking e di quando ha visto il papavero blu. Il paesaggio ricorda le nostre aspre valli alpine; via via le risaie a terrazza, le case sparse qua e la ed i villaggi si diradano lasciando lo spazio a verde e foreste. Immancabili i posti di vendita di frutta e verdura dei locali ed anche uomini e donne al lavoro per la manutenzione della strada. Poco oltre l’attraversamento del fiume su uno spuntone roccioso alcune scimmie si mettono in bella mostra per farsi fotografare. In alcuni tratti la strada è interessata da frane, in particolare in un punto si deve procedere a senso unico alternato cedendo la precedenza a grossi camion variopinti ed a mucche che camminano indisturbate. Sono frequenti i tratti con notevoli strapiombi. Sul ramo di un grande albero sono sedute un paio di scimmie cappuccino, ma appena ci fermiamo (seguiti da altri turisti) se ne vanno e vengono a guardarci attraverso le foglie restie a farsi fotografare. Sostiamo brevemente a Nubding e facciamo qualche passo per curiosare fra la gente nelle vie del paese. La strada continua a inerpicarsi fra fitta vegetazione, ora in particolare di giganteschi rododendri, anche dopo la deviazione fino a quando giungiamo al Lawala Pass (mt 3300). Al centro del piazzale sorge lo stupa, mentre su un lato ci sono alcuni stand dove è impossibile non acquistare le sciarpe di lana di baby yak. La vista sulle due valli è bellissima ma la parte alta delle montagne è coperta da bianchi nuvoloni. Anche qui come ovunque nel Bhutan la rete internet e dei cellulari è ottima.

La valle di Phobjikha (3000 m s.l.m.) verso cui scendiamo è totalmente diversa: ha una larga zona centrale pianeggiante, priva di alberi, nella quale scorre il fiume paludoso presso cui svernano le gru dal collo nero; le sponde delle montagne digradano lievemente senza orridi e sono coltivate senza terrazzamenti. Visto che i lati della strada sono occupati dalle auto posteggiate, per un lungo tratto, chiediamo di proseguire a piedi per raggiungere il paesino ed il monastero di Gangtey. Lo tshechu richiama molti butanesi ed è una grande festa di colori: dagli abiti tradizionali bellissimi indossati proprio da tutti (compresi i bambini che camminano appena), ai numerosi stand in cui si vende di tutto (dal cibo alle borsette, dal pentolame ai giochi, ecc.), alle case molto ben tenute e pulite (anche quelle più vetuste) coi cortiletti ricchi di fiori (soprattutto rose e malvarose) quasi sempre delimitati da muretti in pietra o recinzioni in legno (valicabili con le curiose scalette). Una parte del monastero è in corso di ricostruzione a seguito di un crollo. L’atmosfera di questo festival è più rurale rispetto a quello di Thimphu.

All’ingresso del monastero ci sono controlli ma non particolarmente severi. Il cortile che ospita il festival non ha scalinate, i molti fedeli e i pochi turisti sono seduti in terra su stuoie di vario genere. Gli addetti alla sicurezza all’interno del cortile sono particolarmente attenti ma anche premurosi nel cercar di sistemare tutti al meglio. È ora di pranzo ed è molto curioso poter osservare i gruppi familiari di butanesi che consumano il loro pasto (riso, peperoni, frutta , ecc) attrezzati di tutto punto (con ciotole, cestini, thermos, ecc) mentre continuano ad assistere alle danze. Abbiamo il tempo di ammirare un paio di danze ovviamente spettacolari, poi usciamo e troviamo l’autista che ci aspetta per portarci al RXPO Gangtey lodge Green Resort per il pranzo. Dalla collinetta su cui sorge il monastero all’albergo (posto su un fianco della vallata) ci sono un paio di chilometri ma essendo strada sterrata di montagna, con un paio di piccoli guadi, richiede tempo. Pranziamo con ottime verdure a vapore, bietole in salsa, pomodori, riso rosso, carne e per dessert 2 sfere di riso caramellato in un miele molto liquido.

Velocemente prendiamo possesso della camera e torniamo per il resto del pomeriggio al festival. Esprimere l’esperienza di uno tsechu non è facile: la bellezza delle maschere e dei costumi, le acrobazie delle danze, i colori e la spontaneità della popolazione, le scenette di alcuni personaggi religiosi, i cortei delle offerte, la musica, i suoni dei lunghi corni tibetani sono indescrivibili. Per un po’ di tempo Dawa (dopo averci chiesto permesso) esce dal festival per passare la kabney all’autista (che ne è sprovvisto) e permettergli di assistere ad alcune danze. A pomeriggio inoltrato il cielo diventa minaccioso, molti bhutanesi vanno via così si può girare più facilmente in tutte le parti del cortile e del monastero e ci si può avvicinare ai monaci che danzano. Mentre viene bruciato molto incenso e la popolazione fa la fila per le offerte, alcune autorità lasciano il loro palco e si dirigono verso la scala su cui mi sono fermata (per un migliore colpo d’occhio); quando salgono si fermano a salutarmi, incuriosita aspetto che ridiscendano e li fotografo per farmi poi spiegare da Dawa che si tratta del capo dei lama del monastero e del 1° ministro del governo bhutanese. Fuori dal monastero si fanno notare i comportamenti dei bambini: le bambine eleganti con borsette ed a volte scarpe con i tacchi, i ragazzini vivacissimi tutti dotati di fucili e mitragliette si sparano pallini in gomma che poi vanno di corsa a recuperare!

Prima di rientrare facciamo ancora una breve camminata fra i tanti stand, sottostanti il monastero, alcuni dei quali sono adibiti a ristorante o bar ed a sale da gioco; poi il freddo che sta diventando pungente ci fa affrettare verso l’auto. Gran parte degli adulti ha labbra e denti arrossati: Dawa ci spiega che è molto diffusa la masticazione della noce di betel (doma) come digestivo; inoltre è diffuso anche l’uso di una gomma da masticare con un odore particolarmente forte. La cena in parte viene servita al tavolo ed in parte è a buffet (ottime le kewa datse cioè patate in salsa di formaggio), nel locale riscaldato da una grande stufa. La camera è bella ed accogliente ma il finestrotto del bagno è senza vetri (c’è solo una persiana e siamo ad oltre 3000 m di altitudine) per cui fa freddo ma siamo ben coperti e non accendiamo la stufa a legna.

Giorno 6 – Gangtey nature trail

La nebbia si alza ma il correre veloce dei nuvoloni ci accompagnerà tutta la giornata. La camera ha una vista stupenda sulla vallata ricca di campi coltivati, tutti recintati con muretti in pietra (per non far entrare le mucche e gli altri animali liberi), puntellata di casette, circondata da foreste e sopra una collina domina il monastero proprio di fronte a noi. È una vera tavolozza di colori: il verde scuro delle foreste, il verde spento dei prati e delle zone incolte, il verde squillante dei campi di rape e patate, il marrone dei campi appena arati ed il rosa dei campi di grano saraceno in fiore.

Usciamo per un giro fra le case sparse vicine al lodge; qui la vita è quella tipica di montagna: lungo la strada in un angolo protetto da un recinto in legno troviamo Dawa che si sta lavando con l’acqua (gelida) di un ruscelletto incanalata in un tubo di plastica, al nostro ritorno al suo posto troviamo ragazze che lavano stoviglie. Dopo colazione con l’auto raggiungiamo la strada asfaltata dove inizia il “Gangtey nature trail” per la passeggiata naturalistica. Scendiamo attraverso un ripido prato (con l’erba rasata) puntellato di pini e fiancheggiato da un sentiero, attrezzato anche con scalini in legno, su cui stanno salendo molti gruppi di butanesi diretti allo tshechu. Il percorso prosegue lungo una strada sterrata fra case, coltivazioni, campi di bandierine e chorten; si attraversa un paio di volte (su assi e pietre) la scarsa acqua di un fiumiciattolo, per poi addentrarsi con un ampio sentiero erboso nella fitta pineta. Giunti al punto di osservazione delle gru (che arriveranno dal Tibet fra 2 o 3 settimane) sostiamo brevemente ad osservare la vallata, la vegetazione e l’ampia zona umida in cui ora pascolano mucche e cavalli. La passeggiata continua fra prati, arbusti, felci e rododendri fino ad una zona paludosa (facilmente percorribile grazie ad assi e blocchetti di cemento) piena di bellissimi fiorellini.

Raggiunto ormai il centro della valle di Phobjikha e oltrepassato un villaggio di case sparpagliate, entriamo (superando la recinzione in legno con le classiche scalette) nell’ampio cortile del Khewang lhakhang, oggi senza monaci in quanto sono tutti al festival. Percorrendo un ultimo tratto di strada sterrata arriviamo al posteggio dove ci attende l’autista. Al visitor center della black-necked crane cerchiamo di approfondire la conoscenza sulla gru del collo nero, guardiamo un video ed osserviamo anche Karma, un esemplare maschio che, trovato ferito ad un’ala, vive in un recinto sulle cui pareti sono stati posti degli specchi per farlo sentire meno solo. Per non perdere tempo a raggiungere il lodge pranziamo in un locale nei pressi del monastero di Gangtey. Dovrebbe essere un ristorante per bhutanesi, in realtà di bhutanesi ci sono solo guide ed autisti, il cibo è decisamente internazionale ma buono, è pulito anche se per andare in bagno occorre indossare ciabatte di plastica perché in terra c’è acqua e nelle sale ovviamente si entra scalzi. Il resto della giornata è ancora una bellissima full immersion nel festival. Oggi ci sono parecchi gruppi di turisti, tra cui 2 gruppi di italiani con i quali scambiamo alcune opinioni sul viaggio.

Giorno 7 – Dochu La, Thimphu

Prima di fare ritorno a Paro Dawa avrebbe voluto farci assistere al Tongdral (ostensione di un enorme thanka sacro, che avviene una sola volta all’anno l’ultimo giorno dello tshechu), purtroppo però le danze si sono protratte oltre il previsto e l’esposizione avverrà solo nel pomeriggio. Ripartiamo con ancora una breve sosta al passo Lawala (gli stand sono quasi tutti chiusi ed una venditrice ci spiega che le sue colleghe sono al festival) e subito dopo durante la discesa perché c’è un gruppo di circa 15 grossi yak al pascolo in un pezzo melmoso di foresta di rododendri fra i tornanti.

Durante il tragitto Dawa continua a darci informazioni sul Bhutan (prigioni, assenza di reati, forze armate, tv, cinema, tradizioni, famiglia reale); ci insegna alcuni vocaboli ed i colori della kabney; ci spiega anche che al di fuori della parte più turistica (Paro, Thimphu, Punakha) gli alberghi non sono attrezzati per accogliere guide ed autisti che devono sistemarsi in case private (come hanno fatto a Gangtey) e nell’estremo est del paese magari anche passare le notti in macchina. Facciamo brevi soste fotografiche da una cascata ricca d’acqua, nei pressi di curiosi cartelli stradali che invitano a non farsi cattivo karma investendo gli animali o per qualche scorcio particolare. Mentre saliamo verso il passo Dochu La incrociamo una jeep scoperta con militari dai berretti rossi e mitraglietta puntata in avanti, ci fermiamo, seguono 3 suv dai vetri oscurati: Dawa dice che è la famiglia reale al completo. Presso il Dochu la pass la sosta è breve perché anche questa volta è immerso nella fitta nebbia.

Arriviamo velocemente a Thimphu; per sgranchirci le gambe facciamo una passeggiata in centro e raggiungiamo il ristorante presso cui avevamo già pranzato all’andata. In questo come in tutti gli altri, alberghi compresi, campeggia la foto di gruppo del re con le maestranze particolarmente sorridenti, inoltre davvero molti butanesi portano sul petto una spilla raffigurante il re o la coppia reale. Parte del pomeriggio la dedichiamo alla visita del Buddha Dordenma l’infinita statua che sovrasta la città occupando l’intera collina. L’autista ci accompagna all’ingresso superiore dal quale si accede direttamente al tempio che si trova dentro la statua. All’interno ci sono fedeli in preghiera, nonostante questo però volgendo lo sguardo sulle 125.000 statue di Buddha sembra di essere alla corte di Re Mida. Sul piazzale antistante, proporzionato alle dimensioni della statua, e sulle incredibili scalinate è tutto un gioco di prospettiva per le fotografie. Sia la parte alta che la parte bassa della gigantesca costruzione offrono una splendida veduta sulla capitale con i 2 dzong, i monumenti, i palazzi che dopo aver occupato la parte centrale della valle si infilano nel verde delle piccole vallate laterali.

Scesi fino all’ingresso troviamo ad attenderci l’autista per fare ritorno a Paro e raggiungere il Kichu resort immerso in un bel giardino, con laghetti, di fianco al fiume.

Giorno 8 – Nido della Tigre

taktsang palphug
Il Nido della Tigre o Taktsang Palphug, simbolo del Bhutan

Colazione veloce a buffet poi si parte per il Nido della Tigre, il simbolo più conosciuto del Bhutan. Il tragitto in auto è breve, arrivati al posteggio ci sono ancora pochi veicoli ed anche i cavalli (a disposizione di chi vuole evitare di camminare per il primo tratto) stanno solo arrivando. Messe 2 bottigliette di acqua nello zainetto, superiamo le transenne di accesso dove è possibile acquistare i bastoni per la camminata. Dawa ci ha consigliato di partire presto per salire il primo tratto tranquilli senza avere molti turisti a cavallo da evitare ed a cui dover lasciare il passo. Oltre alla guida viene con noi anche l’autista “perché non si sa mai può capitare, ovviamente è già successo, di dover portare giù un turista sulle spalle”.

Taktsang Palphug
è visibile a strapiombo sulla vallata fin dall’inizio e per quasi tutto il percorso, il dislivello di circa 900 m è quasi sempre ombreggiato. Il sentiero si suddivide in percorsi che si intrecciano a volte ripidi, scoscesi e scivolosi oppure larghi e comodi, abbelliti da tanti fiorellini, fra vegetazione e milioni di bandierine. Si arriva ad uno spiazzo dove si fermano i cavalli in cui campeggia un grande mulino di preghiera (e molte bottiglie di plastica trasformate anch’esse in mulini), da qui un lastricato pianeggiante porta alla caffetteria che offre, fra una cornice di fiori (dalie, rose, gladioli ecc), la prima grande veduta sullo spettacolare monastero. Si sale ancora fino ad una costruzione religiosa da cui la vista sul monastero è davvero impressionante. Da qui il percorso si trasforma in scalinata, con ringhiera, prima in discesa fino ad una fresca e fragorosa cascatella poi in breve salita fino all’ingresso.

Tutto questo tratto è particolarmente esposto; letteralmente incastrati fra rocche e caverne ci sono altre piccole costruzioni. Il complesso, che è stato completamente ristrutturato da pochi anni, di notte è disabitato, i tanti addetti alla sicurezza e la ventina di monaci arrivano ogni mattina rispettivamente dal fondo valle e dai piccoli monasteri anch’essi abbarbicati nei dintorni. Posato tutto, compreso cellulare e macchina fotografica in ampie cassette, si passano i rigorosi controlli e si entra scarpe in mano. L’ambiente è freddo sia perché accaldati dalla salita sia perché la costruzione è ancora in ombra. Dawa ci fa visitare tutti gli 8 templi (collegati con ripide scalinate in pietra e balconate in legno) e ci spiega approfonditamente storia e religione, ci mostra anche la cella in cui è custodita la sacra scrittura che viene aperta una sola volta all’anno. Nonostante i molti turisti l’atmosfera è raccolta, i pellegrini si fermano a meditare e fare offerte (di denaro all’interno dei templi e di ceri in una costruzione esterna appositamente adibita), anche Dawa e l’autista si soffermano a pregare. Tutti i templi sono di dimensioni ridotte, hanno pavimenti in legno e le statue, gli arredi ed i dipinti sono ben curati; dalle finestre di quasi tutti la vista sulla valle è grandiosa. Durante la discesa ci fermiamo più e più volte a riguardare il fantastico edificio ora pienamente illuminato dal sole e facciamo ancora una sosta anche alla caffetteria.

Rientrati a Paro, pranziamo a buffet in un solito ristorante per turisti. Il tempo a disposizione ci permettere di aggiungere al programma un paio di visite su iniziativa di Dawa. Cominciamo con la vista dall’alto dell’aeroporto col Rinpung dzong e poi due passi per vedere Drukgyal dzong, il secondo dzong di Paro, non visitabile perché in corso di restauro. Il pomeriggio continua con la prevista visita ad una fattoria tradizionale. È una tipica casa di campagna con molti fiori (rose, zinnie, anemoni giapponesi), i mulini di preghiera incastonati nei muri, finestre e parti in legno ben decorate, ghirlande di peperoncini appese e molti altri messi a seccare sui tetti. Rinunciamo al bagno in acqua profumata da fiori e scaldata da pietre roventi ma accettiamo molto volentieri una lezione di tiro con l’arco (sport nazionale) da parte di Dawa e dell’autista: dopo un po’ di esercizio tentiamo una partita dal risultato ovviamente scontato!

Giorno 9 – Calcutta e la tomba di Madre Teresa

tomba di madre teresaLa tomba di Madre Teresa a Calcutta/Kolkata

Giunti in aeroporto arriva il momento difficile: salutare due ottimi compagni di viaggio, sia l’autista che soprattutto la guida sono stati infatti sempre assolutamente disponibili, attenti, premurosi ma anche simpatici e gioiosi. Volo B3 714 PBH/CCU (di cui con anticipo di 1 giorno è stato preavvisato il ritardo di 1 h della partenza) 14,10/14,50 con cielo sereno e vista assolutamente spettacolare sulla catena himalayiana. Ultimati i controlli per il secondo ingresso in India troviamo nuovamente Shyamal Das che ci fornisce una cartina del Bengala e ci chiede cosa intendiamo visitare di Calcutta, ovviamente sia lui che l’autista parlano perfettamente l’inglese. Fissiamo un mini tour e partiamo. La prima tappa è il tempio jainista Shwetambur, costruito nel 1867 con mosaici fatti di marmi bianchi e vetri colorati e, nella parte interna, anche di piccoli specchi. Il giro nella città continua con l’autista che sa ben destreggiarsi nel caos fra tuc-tuc, risciò, carretti trainati da biciclette, carri carichi di pesanti sacchi tirati da uomini, bus sgangherati ed auto.

Per un certo tratto seguiamo anche una specie di processione con una statua della dea Durga posta su un camioncino traboccante di uomini. Una parte della città è particolarmente degradata con gente che mangia, lava panni e stoviglie, si lava e dorme sui marciapiedi, fra cibo abbandonato e rifiuti. Ci fermiamo per una camminata, nel quartiere Kumartuli dove in una infinità di laboratori vengono costruite le statue (in questo periodo della dea Kali) con un processo che va dall’impagliatura, al rivestimento di terracotta fino alla colorazione. Il caldo umido è pesante, i laboratori generalmente sono puliti ma lungo i vicoli abbondano scarti di lavorazione e immondizia con rigagnoli di acqua sporca ai lati. Proseguiamo nella parte inglese della città ordinata, pulita, senza clacson assordanti.

Sostiamo brevemente di fronte ai palazzi principali, facciamo una passeggiata nei pressi del Victoria Memorial e lungo una strada con tante enormi carrozze. Poi ci avviamo verso la Mother House. La casa di Santa Madre Teresa di Calcutta spicca fra gli altri edifici in quanto pulita ed ordinata. L’atmosfera è raccolta, serena, silenziosa; nel cortiletto in cima ad una ripida scala si può vedere la cameretta di Madre Teresa, al piano terreno visitiamo un piccolo museo in cui è raccontata la sua vita e le opere. Di fianco c’è la cappella dove da un lato è in corso la celebrazione della messa, a cui partecipano una ventina di suore ed alcuni altri fedeli, mentre dall’altro lato c’è la tomba di Madre Teresa ornata da fiori e lumini. Prima di unirsi alla celebrazione una suora si inginocchia chinandosi sulla tomba a pregare. Le suore non accettano offerte, c’è solo una cassetta nella cappella tra l’altro poco visibile perché posta dietro alla porta. È un’esperienza emozionante; uscendo una suora che sta lavando dei panni in una bacinella in un angolo del cortile ci chiede con un immenso sorriso se abbiamo preso i depliant e la suora all’ingresso ci da un paio di medagliette chiedendoci da dove veniamo.

Giunti al Pride Plaza Hotel la guida ci prenota la colazione da asporto in quanto partiremo prima dell’apertura del buffet.

Giorno 10 – Rientro in Italia

Volo EK571 CCU/DXB 9,45/13,10. Infine volo EK0091 DXB/MXP 15,45/20,30 con aereo quasi vuoto e possibilità di dormire allungati.

Kadinche Bhutan questo è stato veramente un viaggio nel paese delle favole!

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view of taktshang monastery on the mountain in paro, bhutan

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gangantey monastery is a well known monastery in the phobjika valley of bhutan.

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