Dal buddhismo ad alta quota alla dea Kali, ovvero Bhutan-Sikkim-Kolkata

Scritto da: biba1966
dal buddhismo ad alta quota alla dea kali, ovvero bhutan-sikkim-kolkata
Partenza il: 02/10/2011
Ritorno il: 23/10/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Abbiamo scoperto pochi giorni fa che – secondo la Lonely Planet – il Bhutan è una delle mete imperdibili del 2012. Abbiamo scoperto la scorsa estate che andare in Bhutan è molto costoso, ma abbiamo anche scoperto al ritorno che è impossibile pentirsene. Abbiamo scoperto poco prima di partire che la zona era stata devastata da un terremoto di notevoli dimensioni. Abbiamo scoperto dopo aver prenotato che i giorni del nostro soggiorno coincidevano con le celebrazioni del matrimonio reale bhutanese. Abbiamo scoperto che il Bhutan è l’unico paese senza Pil ma col più poetico e romantico Fil (felicità interna lorda).

Ma la scoperta più grande è stato l’atterraggio a Paro: il piccolo aereo si incunea virando nella vallata, le ali sfiorano le montagne e l’aeroporto è un’incantevole dimora bhutanese con prato e fiori. Sogniamo o siam desti? Bhè… d’altra parte questa è la sensazione che ci ha accompagnato per tutti gli otto giorni trascorsi in Bhutan, un po’ sospesi fra sogno, magia, realtà, peperoncini, momo e riso rosso. Un paradiso di tradizione e cultura. Donne, uomini e bambini, tutti sempre sorridenti, cordiali, timidi. Vestiti con i loro abiti tradizionali, ti sfiorano senza infastidirti, pronti però a chiacchierare, scherzare al minimo accenno e rivedersi curiosi nella foto da poco scattata. Templi impareggiabili, paesaggi mozzafiato e festival magnifici: un arcobaleno di colori e allegria.

Il percorso scelto in Bhutan è quello classico, arricchito dalle visite ai numerosi festival religiosi nei monasteri dove la gente si raccoglie per assistere ai balli tradizionali in un clima di spensieratezza e allegria: più che a una cerimonia sembra di assistere a una gita domenicale con picnic, bambini che corrono e giocano. La prima cosa che facciamo – appena scesi dall’aereo – con i nostri due angeli custodi (guida e autista – Kharma e Dorgee) è andare al Rinpung Dzong di Paro, dove assistiamo al primo dei tanti festival. Non sappiamo dove guardare: il monastero? I danzatori con le tipiche maschere di cartapesta? O le persone? L’impatto è da ubriacatura! Il pomeriggio è dedicato alla fortezza (o meglio ai suoi resti), il tempio Druk Choeling con un grande Buddha del futuro e una tranquilla passeggiata per la strada (l’unica) di Paro. Il giorno dopo visitiamo il Monastero di Taktsang: per raggiungerlo camminiamo per circa due ore e ad ogni passo ti chiedi come cavolo hanno fatto a costruirlo, visto che sembra nascere dalle rocce a strapiombo e non ci sono ovviamente strade! La spiegazione è presto detta: una tigre ha trasportato in volo tutto, monaci, materiale, suppellettili… facile no? Il fatto è che è così sorprendente che quasi quasi ci credi….

Iniziamo i lunghi trasferimenti in auto accompagnati da un bellissimo paesaggio: terrazzamenti di un verde intenso, pini, abeti, e fiumi dalle acque turchesi.

Ci rituffiamo nei colori e nelle danze con il festival di Wangue Prodrang e di Tamshing Goempa: i nostri occhi sono catturati da tutto quello che ci sfila intorno, mi ripeterò ma assistere a queste cerimonie è veramente unico. Tra un festival e l’altro, non mancano le soste agli altri monasteri e paesi che incontriamo per strada: da Trongsa dove assistiamo alla preghiera del mattino con i monaci in fila che suonano il tamburo, andiamo nella valle di Bhumtang con i monasteri di Kurje, Jampey e Jakar Dzong. Breve passeggiata tra i boschi verso il Burning Lake, che non è un lago vero e proprio, ma un fiume che scendendo forma una piccola vasca d’acqua, ovviamente sacra. Abbandoniamo la valle di Bhumtang e ripercorriamo a ritroso la strada già fatta fermandoci a vedere dall’alto della collina il monastero di Wangdue Prodrang: vederlo da lontano, alla confluenza dei due fiumi, arroccato sulla piccola collinetta ha un fascino particolare. Poi ci fermiamo fra risaie e campi di grano al monastero di Chimi Lakhang, ovvero il tempio della fertilità. Il luogo è molto sacro, ma essere benedetti da un monaco con un fallo in legno di dimensioni che farebbero impallidire chiunque, è un po’ imbarazzante…D’altro canto, sulle pareti delle case di tutti i villaggi ammiriamo simpatici “piselli” colorati, augurio di fertilità e prosperità, privi di doppi sensi volgari o falsamente morbosi. La giornata si conclude in bellezza al Monastero di Punakha, rimesso a lucido in occasione delle nozze reali che avverranno tra pochissimi giorni. Uno splendore assoluto.

Giungiamo alla capitale Thimpu per visitarla in lungo e in largo: memorial chorten (bello fermarsi a vedere la moltitudine di persone che girano intorno pregando), Changangkha Lakhang, scuola di artigianato, national library, parco naturale all’avvistamento del takin (buffo animale simbolo del Bhutan) e perlustrazione cittadina con tanto di vigile che dirige il traffico (l’unico in tutto il Bhutan, praticamente un’istituzione). E’ arrivato il momento di avvicinarci al confine nella confusionaria città di Puentsholing con conseguente brusco cambiamento climatico (caldo afoso umido appiccicaticcio) e paesaggistico. Attraversiamo il Gate of Bhutan, salutiamo a malincuore questo paese e ritroviamo improvvisamente la nostra cara vecchia India. Sempre uguale, caotica, maleodorante, colorata, che ci osserva con i suoi imperscrutabili occhi neri. Il viaggio inizia tra piantagioni di riso e thè, e poi salire salire salire dentro la nebbia fino ad arrivare alla famosa Darjeeling. La nebbia copre il panorama himalayano (ma sembra sia sempre così). Non so perché ma noi ci aspettavamo una sonnacchiosa cittadina montana e invece regna la solita confusione e rumore indiani. Prendere o lasciare e allora ci tuffiamo nelle vie del mercato cercando di capire la differenza fra le tante varietà di thè proposte nei negozi: non siamo cultori di questa bevanda e quindi siamo sconvolti dal vederne alcuni che costano anche 33 € l’etto!! Immancabile la sveglia all’alba per vedere gli 8000, che nonostante nubi e nebbia bengalese, sbucano illuminati dai raggi del sole. La “location” è come sempre assurda e kitsch: locale chiuso con grande vetrata e tante sedie allineate, pochi occidentali e turisti indiani coperti all’inverosimile per paura del freddo! Segue passeggiata dentro le piantagioni di thè, che ci sono piaciute veramente tanto e visita del tibetan refugee che ci lascia un po’ di amaro in bocca… Dopo pranzo saliamo sul mitico toy train, tragitto Darjeeling-Ghum e ritorno: scendiamo pieni di carbone ovunque ma divertiti. Abbandoniamo il West Bengala ed entriamo nell’antico regno del Sikkim attraverso campi terrazzati coltivati a riso e thè thè thè thè thè thè. Entrare in Sikkim è abbandonare il caos, il suono incessante dei clacson (a Gangtok è proibito!) e le baracche sulla strada. Rimane il verde della vegetazione e le nuvole che ci nascondono il range himalayano. Dopo Rabdentse, antica capitale reale del Sikkim, visitiamo il monastero di Pemayangtse, di colore celeste, con tre piani di sale, dipinti e raffigurazioni insolite: ci sono anche scheletri! All’ultimo piano la ricostruzione della dimora celeste di Guru Rimpoche. Il terremoto ha fatto qualche piccola crepa ma tutto sommato ci sono pochi danni (alla faccia della coppia milanese incontrata in Bhutan che ci aveva preannunciato disastri e paesaggi apocalittici, praticamente tutto distrutto e raso al suolo!) Seguono Pelling e dintorni: lago sacro, Youksum, monasteri, cascate e soprattutto assaggio del Tombga (bevanda locale un po’ alcolica ottenuta dalla fermentazione del miglio con aggiunta di acqua calda al momento, bevuta in contenitori e cannucce di legno (che compreremo poi al mercato) e del cibo tipico sikkimese piccantissimo. Attraverso continui saliscendi (molto sali molto scendi) immersi in paesaggi idilliaci andiamo a Martham, anticamera di Rumtek, monastero della setta buddista del cappello nero (tempestato di rubini, ma che non si può vedere altrimenti vola via…). Visita ad Emchey monastery prima di raggiungere Gangtok, odierna capitale del Sikkim: viale pedonale, panchine, insolita assenza del suono incessante e continuo del clacson, cani al guinzaglio… siamo in India? Emozione: prendiamo la cabinovia, che è ovviamente l’attrazione del luogo. La zona è famosa per i vivai da dove si esportano fiori in tutto il mondo (orchidee e cactus come “specialità”) e noi li visitiamo incantati. Finalmente l’ultima mattina il Kangchendzonga (8586 metri) si fa vedere in tutto il suo splendore… ma Kalimpong ci aspetta con il suo kitschissimo tempio indu rosa confetto e il bazaar. Treno notturno per Kolkata con coraggioso pranzo al ristorante della stazione (va beh, chiamiamolo pure ristorante, ma il pollo al curry era okay) . Finalmente arriva il treno: sfilano le carrozze di terza classe, quelle con le sbarre alla finestra e senza vetri, poi arrivano le nostre di seconda classe, corridoio e cuccette ai lati chiuse da tendine; andirivieni incessante di venditori di qualunque cosa puoi immaginare di vendibile in un treno e anche di più. Beh…questa esperienza effettivamente ci mancava! Arriviamo a Kolkata alle sei di mattina, riusciamo ad uscire dalla bolgia infernale della stazione di Howra e andiamo in hotel a cambiarci. Dopo colazione la città ci aspetta e la giriamo tutta in metropolitana: il luogo più pulito, silenzioso e sicuro della città, insieme al New Market. Poche ore per una doverosa visita al tempio della Dea Khali, dove un bramino ci impartisce tutte le benedizioni possibili, al quartiere degli scultori di statue, a BBD Bagh, al quartiere musulmano e al coloniale Victorial Memorial, luogo di celati incontri amorosi tra coppiette di fidanzati.

Che dire? Ormai per noi non è una novità: arrivederci India e “Kusuzanpo-la” agli amici bhutanesi.

P.s. abbiamo prenotato tutto con www.indiahotelreview.com che si è avvalsa in Bhutan di Gawaling Tour & Trek (www.gawaling.com) ed in Sikkim/West Bengala di Thinlay Namgyal (www.iexplorehimalaya.in).



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