In Costa Rica tra paradisi fiscali e naturali

Non so bene come iniziare, se l’esperienza è stata positiva da un lato, è stata abbastanza provante dall’altro. Un mese con me stessa, confrontarsi con posti e persone nuove, lontane, sconosciute. Confrontarsi con me stessa per così tanto tempo….inevitabile intraprendere un percorso diverso da quello convenzionale. E infatti, di...
Scritto da: elisagiuliani
in costa rica tra paradisi fiscali e naturali
Partenza il: 01/06/2004
Ritorno il: 01/07/2004
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Non so bene come iniziare, se l’esperienza è stata positiva da un lato, è stata abbastanza provante dall’altro. Un mese con me stessa, confrontarsi con posti e persone nuove, lontane, sconosciute. Confrontarsi con me stessa per così tanto tempo…Inevitabile intraprendere un percorso diverso da quello convenzionale. E infatti, di convenzionale c’è stato poco in questo viaggio, a partire dal fatto che non sono andata per turismo ma puramente per lavoro. Una ricerca assegnatami, sullo sviluppo industriale del Costa Rica. Io?!! Perché io?! Che di Costa Rica non so quasi niente? Non c’è stato niente da fare, i miei committenti avevano deciso. E quindi mi ritrovo sull’aereo Madrid-Miami-San José il 5 giugno 2004. Da sola, come da copione e per non smentire una già lunga tradizione…

Arrivata all’aeroporto di San José (la capitale) mi sento avvolgere da un caldo opprimente e umido. Sono circa le 6 de la tarde, l’ora del tramonto; da quelle parti siamo in inverno, e infatti nuvole nere, cupe all’orizzonte…Chiedo preoccupata al taxista: “ma qui piove sempre?”…(non avevo avuto molto tempo per studiare la situazione climatica…), e lui che mi dice…No solo il pomeriggio, la manana esta despejado. Bueno, dico io, meglio cosi. Almeno la mattina non piove…

Alloggio in un bel bed and breakfast – che consiglio vivamente (KAP’S Place, si trova nella Lonely Planet tra Pernottamenti a Prezzi Medi), arrivo e dormo. La mattina, mi alzo di buon ora…In Costa Rica amanece a las 5 de la mañana…E vado a procacciare cibo…Mi dirigo verso la Soda Isabel, a due cuadras (una cuadra corrisponde a un isolato o circa 100 mt) dal mio albergo. In Costa Rica le Soda sono una specie di barrini di quartiere dove ci si siede e si mangia. E dove c’è sempre un po’ di storia del posto, di solito sono posti vissuti, dove va la gente del luogo, del quartiere. Insomma, li si mangia prevalentemente gallo pinto, che non è altro che un piatto di riso e fagioli a cui si possono aggiungere a piacere uova, frutta, insalata etc. Questo si mangia per colazione. Ecco! Cosi inizia la l’avventura… Fatemi fare una breve introduzione…Di come vedo il Costa Rica – con i miei occhi ed in base alla mia valutazione personale ex post…Conosciuto come la Svizzera dell’America Latina per il suo progresso, ordine e giustizia, a differenza di altri paesi del Centro America, il Costa Rica gode da tempo di stabilità politica e macro-economica. Per alcuni considerato un modello di sviluppo dove approdano costantemente (in forma più o meno legale) nicaraguesi e colombiani in cerca di condizioni di vita migliori. Il Costa Rica è anche famoso per la sua alta biodiversità e per il rispetto delle sue bellezze naturali. E’ inoltre uno dei pochi paesi della Regione che ancora non ha privatizzato l’acqua, l’elettricità, il telefono…E dove l’istruzione e la sanità sono beni pubblici. Per tutte queste ragioni, il Costa Rica è anche un paese in via di estinzione. Preso di mira come paradiso a buon mercato dai “gringos”, gli irrefrenabili nordamericani, che riescono a fare affari anche se disconoscono le principali regole grammaticali della lingua del paese che stanno comprando a fette. Non importa, il biglietto verde abbatte tutte le barriere e così tra l’acquisto di un terreno e l’altro, fanno anche in tempo ad andare dal dentista (ebbene si, gli americani vanno dal medico in un paese in via di industrializzazione…Perché nel loro paese non se lo possono permettere…Così mi dice un’ospite dell’albergo dove alloggio…Venuta direttamente dal Texas per andare dal dentista e visto che c’era per farsi anche un lifting alle mani…). Ma non è solo questo, la politica di industrializzazione del paese ha puntato sull’attrazione delle multinazionali del settore dell’elettronica e degli apparati medici, garantendo laute agevolazioni fiscali. Le multinazionali nordamericane high tech si sono moltiplicate in Costa Rica, soprattutto a seguito dell’arrivo di INTEL. Queste imprese si localizzano all’interno delle cosiddette “Free Zones”, che ironicamente assomigliano più a delle carceri di sicurezza, che a delle Zone Libere. In effetti, il nome deriva dal fatto che le imprese che vi si stabiliscono possono importare ed esportare senza pagare le tasse…- e quindi sono libere…Da imposta…! Ma chiediamoci, perché tutto questo? Innanzitutto, perché attrarre le imprese straniere e non fargli pagare le tasse né di esportazione né di importazione? Beh…È una strategia di industrializzazione che può avere i suoi lati positivi nel lungo termine. Essendo specializzate in settori a medio-alta complessità tecnologica, queste imprese contribuiscono a formare una forza lavoro altamente qualificata in un tipo di produzione ad alto valore aggiunto. A differenza di altri paesi centroamericani che tendono ad offrire mano d’opera non specializzata a basso costo in produzioni a basso valore aggiunto (le famose maquiladoras nel tessile, per esempio), il Costa Rica offre fior fiore di risorse umane con alta formazione universitaria in settori tecnici: ingegneria elettronica, delle telecomunicazioni etc. (ovviamente formata attraverso un sistema di educazione pubblico…). E li offre a costi vantaggiosi. Ecco quindi che con questa politica ci si attende che con il tempo si generino due fenomeni considerati cruciali per lo sviluppo industriale di un paese: l’accumulazione di competenze tecnologiche (cioè che un giorno, si riesca a produrre conoscenza invece di importarla) e la formazione di legami produttivi con le imprese domestiche (cioè che un giorno le imprese del Costa Rica facciano sistema con quelle straniere e possa dunque generarsi quelli che un economista negli anni ‘50 definiva trickle down effects).

E questo è un aspetto. L’altro è: perché i gringos comprano pezzi di paradiso terrestre a meno di 20 dollari il metro quadro? Semplicemente perché la popolazione locale non ha potere d’acquisto e vende per comprarsi altri tipi di beni. O perché abbandona affascinanti zone rurali e si dirige verso le mille luci di San José, insomma per gli stessi motivi per cui a Castellina in Chianti oggi si parla prevalentemente inglese e all’Elba tedesco. Tutto il mondo è paese, ma si può imparare dagli errori? Beh! Si, io almeno, decidendo di non comprarmi un lotto di terra ai Caraibi!! Si i Caraibi, parliamo dei Caraibi. La parte più bella, per quanto mi riguarda. Ma non per i motivi che tutti vi aspettate…Non per l’acqua cristallina e la spiaggia bianca…Per quella dirigetevi verso il Pacifico, verso la penisola di Nicoya, Guanacaste, andate a Tamarindo, Montezuma, Samara, Playa del Coco… I Caraibi in Costa Rica sono diversi. Per dirlo con le parole di una famosa scrittrice costaricense (tica, come si direbbe li), Anacristina Rossi, la zona a sud di Limon è selvaggia, il colore del mare cambia costantemente, passando dal grigio al verde, al blu, cosi come il tempo, piove spesso a Cahuita, Puerto Viejo, Manzanillo, anche nella stagione secca … (la citazione non è testuale, il libro, La Loca de Gandoca (1991), non è più con me, l’ho regalato a una persona del luogo perché lo leggesse). Ed è proprio la sensazione che tutto sia lasciato al caso, che niente sia perfetto, che rende il posto incantevole. In realtà il posto era oggettivamente un paradiso ai miei occhi. Le piogge frequenti rendono la vegetazione rigogliosa, piante e fiori di mille tipi e colori arrivano al mare, spiagge di sabbia dorata o nera lunghissime e semi-deserte (almeno nella bassa stagione quando ci sono andata io). Vedrete prevalentemente scimmie, bradipi, iguana e tucani. Se siete fortunati, potete anche inciampare in un bradipo, come è successo a me…Non a torto li chiamano osos perezosos (orsi pigri) perché impiegano circa dieci minuti per attraversare una strada… Per darvi alcuni dettagli geografici sulla zona…Le principali località sono tre/quattro paesini sul mare a sud di Limon (un tempo Limon Town) verso la frontiera con Panama: la prima da nord è Cahuita, rilassato paesino di mare, da dove parte un bellissimo parco nazionale che si estende per qualche chilometro sulla costa sud. In cambio di un’offerta potete entrare nel parco e fare il bagno in mare, mentre le scimmie cara-blanca, vegliano dall’alto…(anni fa, il governo voleva mettere a pagamento l’entrata del parco ma gli abitanti del paese si opposero e cosi oggi si può entrare lasciando un ammontare proporzionale alle vostre finanze…). Fatto degno di nota di Cahuita è che qui risiede Walter “Gavitt” Ferguson, che con i suoi 84+ anni è uno dei personaggi di rilievo del panorama nazionale della musica calypso. E qui direi che diventa necessario menzionare la caratteristica storica e sociale della zona: l’800 si caratterizzò per una forte ondata migratoria di neri della Giamaica verso le coste a sud di Limon, attratti dalle opportunità di lavoro legate alla costruzione della ferrovia che collegava il Pacifico con il versante caraibico. Costruita la ferrovia, le popolazioni di colore rimasero a lavorare (praticamente nella condizione di schiavi) per le imprese bananiere – tipicamente nordamericane anche queste, tra cui la famosa United Fruit (oggi meglio conosciuta come Banana Chiquita). Tra un’avversità e l’altra queste popolazioni sono rimaste in queste zone, ad oggi abitate prevalentemente da neri e da indigeni (la zona di Talamanca era interamente popolata da indigeni, che, con l’arrivo dell’uomo bianco furono sterminati e costretti a rifugiarsi sulle montagne, nell’interno, dove ancora risiedono). Per un appassionante racconto della storia della zona, leggete Limon Blues (2002/2003) anche questo di Anacristina Rossi oppure Mamita Yunai di Carlos Luis Fallas. Se lo trovate, comprate Wa’apin man: La historia de la costa talamanqueña de Costa Rica, según sus protagonistas di Paula Palmer. To put a long story brief, dunque, qui non si parla solo spagnolo ma una specie di inglese adattato (immagino simile al il Patois – letto Path Wah – parlato in Giamaica: ad esempio water in Patois si dice wata) e il ritmo locale è scandito dalla calyspo music, musica folk originaria delle Antille. Oltre al reggae, ovviamente, e alla soca, anche questa di origine caraibica.

Bene, proseguendo nel viaggio, a sud di Cahuita, circa 30 minuti di autobus, si raggiunge Puerto Viejo; all’arrivo, dalla corriera, appare come un paesino dimenticato dal mondo ma appena si arriva ci si rende conto che è ben più turistico di Cahuita, più movimento, molti stranieri, soprattutto europei, turisti ma anche stanziali, tra cui qualche connazionale di quelli a cui ogni tanto vi sarà capitato di sentir dire… “ah, un giorno mollo tutto, vendo tutto e apro un ristorantino ai caraibi!”. Ecco! Proprio quelli li. Diversi l’hanno fatto per davvero! A giudicare dalle persone conosciute per strada, è anche abbastanza frequente incontrare pargoli neri con gli occhi azzurri o i capelli biondi…E per quello che mi hanno raccontato, non è raro che donne europee vadano in vacanza e ci rimangano, ammaliate dalla bellezza degli uomini rasta locali… A Puerto Viejo io andrei a fare colazione o pranzo alla Soda Luisa, sul mare, tra la fermata dell’autobus e la stazione di Polizia. Bevete il frullato di piña (ananas) o di fresa (fragola). Poi cercatevi una cabaña dove dormire e andate alla scoperta delle bellezze naturali locali! Andare a sud di Puerto Viejo è un percorso obbligato per quelli che arrivano fino a li. Lungo la costa, una strada asfaltata (più o meno) che percorre per circa 15 Km la tratta verso Manzanillo e Punta Mona. Se potete, fatelo in bici (le bici si affittano per pochi dollari a Puerto Viejo) ci impiegate un’ora ma vale la pena passare per la foresta e sentire la varietà di suoni che vi provengono. Rimarrete ammaliati. E inoltre, è anche un modo per fermare la modernità e tutelare l’ambiente, il traffico allontana gli animali. Oltre alla natura, alla vostra sinistra si susseguono spiagge da sogno. Gli amanti del surf si possono fermare anche dopo 3 o 4 Km a Punta Cocles, gli altri possono proseguire per Playa Chiquita o per la bellissima Punta Uva (chiamata cosi per la presenza degli alberi di uva, che fanno delle bacche simili ad un grappolo d’uva). Che ci sia il sole o la pioggia non importa, l’acqua caraibica è caldissima. State attenti alle correnti (soprattutto a Punta Cocles) ma concedetevi una nuotata prima di arrivare a Manzanillo. A Manzanillo entrate nel parco Gandoca ed esplorate liberamente (Ah, prima di andarci leggete La Loca de Gandoca!!). Di più non vi dico. Se potete, arrivate a Punta Mona e poi raccontatemi cosa avete visto, perché io avevo il bus di ritorno a San José alle 16… (…E…Se fossi in voi non mi porterei weed sulla via del ritorno: la polizia vi fermerà per fare il controllo del passaporto dopo Cahuita…Così per evitarvi problemi…). Ho un sogno: tornare a Puerto Viejo tra 15 anni e trovarlo come l’ho lasciato. Che il paese si sviluppi senza troppe esternalità negative, con il rispetto della semplicità e del patrimonio culturale di chi lo abita da generazioni.



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