Parigi: cimiteri, fogne, pulci

Parigi: cimiteri, fogne, pulci – da venerdì 31/12/04 a lunedì 10/1/05 Un buco in una tasca Continuo a disseminare oggetti nelle città visitate durante i miei viaggi. A Berlino (Pasqua 2003) stavo per perdere il mio coltello svizzero al Museo ebraico (l’ho recuperato, quella è stata solo una prova); a Londra (novembre-dicembre...
Scritto da: Maurizio Orange
parigi: cimiteri, fogne, pulci
Partenza il: 31/12/2004
Ritorno il: 10/01/2005
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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Parigi: cimiteri, fogne, pulci – da venerdì 31/12/04 a lunedì 10/1/05 Un buco in una tasca Continuo a disseminare oggetti nelle città visitate durante i miei viaggi. A Berlino (Pasqua 2003) stavo per perdere il mio coltello svizzero al Museo ebraico (l’ho recuperato, quella è stata solo una prova); a Londra (novembre-dicembre 2003) ho dimenticato il cappello in un pub; a Bruxelles (gennaio-febbraio 2004) ho perso un guanto (l’altro, ormai inutilizzabile, l’ho abbandonato nella metropolitana); a Lubiana (aprile 2004) è rimasto il mio ombrello. È il tributo al dio dei viaggi o al patrono dei viaggiatori. Avevo deciso di portare a Parigi una sciarpa rossa che uso di rado per poterla perdere, ma faceva caldo ed è rimasta in fondo allo zaino. Un buco in una tasca del piumino ha risolto la profezia facendomi smarrire una matita gialla.

Questo mi dà lo spunto per una riflessione. Un tempo programmavo i viaggi, accumulavo depliant degli Uffici Turistici, desideravo visitare ogni cosa delle città in cui andavo; successivamente, ho viaggiato senza prepararmi per niente, senza mappa, visitando quello che capitava. Per questo viaggio ho letto delle guide, ho cercato informazioni in Internet, ma ho deciso di vedere bene solo poche cose; se però mi imbattevo in qualcosa che mi incuriosiva, deviavo tranquillamente dal programma deciso. Un certo controllo va bene, ma è seguire l’imprevisto, l’ispirazione del momento, che mi sono sentito pronto ad accettare. Si pensa sempre che gli imprevisti debbano essere spiacevoli, ma siamo pronti ad accettare un imprevisto piacevole che ci fa deviare da ciò che abbiamo attentamente programmato? Cimiteri Perché visitare dei cimiteri? Ecco le mie ragioni.

Per avere un maggior contatto con la morte. Esistono dei modi positivi di considerare la morte: se consideriamo la morte come un monito, memento mori, allora il pensiero della morte ci comunica che non dobbiamo aspettare a realizzare ciò che desideriamo perché, da un momento all’altro, potrebbe succedere che non riusciamo più a farlo; pensare alla morte inoltre ci richiede di fare i conti con il modo in cui viviamo, di non lasciare situazioni o relazioni in sospeso perché, di nuovo, potremmo non avere l’opportunità di farlo in seguito. In questo modo, considerare la propria morte diventa (per me almeno) uno sprone per un vivere in modo più chiaro, leggero, legato al qui ed ora. Si tratta ovviamente di una riflessione sulla morte che ne tratta solo un aspetto, seppure per me importante, e non considera la morte legata al dolore della scomparsa di una persona cara, o alla sofferenza propria o altrui, o alla perdita di persone innocenti (giovani, buone, oppure incolpevoli).

Per avere un contatto con le personalità del passato. Questo concetto è stato espresso da Ugo Foscolo ne Dei sepolcri: “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”, ovvero le personalità del passato possono rappresentare dei modelli per il nostro agire. Capita che, interessati da uno scrittore, ne leggiamo la biografia per conoscerlo meglio; visitarne la tomba è un modo per entrare in contatto ancora di più con la fisicità, almeno con quello che ne rimane, della persona: è un fargli visita. Questa pratica è una sorta di culto di santi laici, dove i santi erano modelli di comportamento cristiano e i personaggi famosi sono modelli di un comportamento laico, che può essere la pratica artistica di un pittore, di uno scrittore, di un cantante, oppure l’attività sociale di un politico o di un rivoluzionario.

Per un interesse artistico verso la statuaria e le costruzioni funerarie. I cimiteri ottocenteschi parigini hanno statuarie interessanti, da un punto di vista artistico, culturale o antropologico.

Dalle foto che ho scattato delle tombe è uscita inaspettata anche una quarta categoria d’interesse. Ho fotografato molte tombe in rovina: tombe coperte di muschio verde brillante; tombe di famiglia dalle porte divorate dalla ruggine; tombe rifugio di gatti, con scatole riempite di paglia per la comodità degli animali e vassoio con il cibo; tombe scoperchiate, riempite di pattume e detriti. C’è qui il mio interesse per lo strano e l’inusuale, ma anche l’esemplificazione di una riflessione: se non c’è memoria e cura (familiare o pubblica) da parte dei posteri, nulla trattiene il tempo dal seguire il suo corso di distruzione e trasformazione (non è sufficiente la dicitura “Concession à perpétuité” incisa su molte tombe di famiglia per fermare questo processo).

A Parigi ci sono ventisei cimiteri; quelli più grandi e famosi sono Père-Lachaise, Montparnasse e Montmartre. Ho visitato i primi due.

Père-Lachaise (aperto dal 21 maggio 1804, il giorno del mio compleanno!). È il cimitero più conosciuto di Parigi, molto frequentato dai turisti. L’impressione che ho avuto è che al luogo sia venuta a mancare la sacralità, la sua funzione di commemorazione dei defunti: come per le chiese che si visitano solo per le caratteristiche artistiche (quindi laiche), piuttosto che per le caratteristiche spirituali.

Alcuni santi laici sepolti in questo cimitero. Ci sono fiori di ammiratori sulle tombe dei cantanti francesi Gilbert Becaud e Edith Piaf; sulla tomba di Oscar Wilde, accanto al nome, ci sono impronte di baci (la pietra ha assorbito il grasso del rossetto lasciando l’impronta della bocca); Marcel Proust ha fiori freschi e sassolini (è un’usanza ebraica mettere dei sassolini sulla tomba quando si va in visita ai defunti): due ragazze si scattavano una foto sulla tomba di Proust; la tomba di Amedeo Modigliani, sepolto con la compagna Jeanne Hébuterne che, incinta, alla morte di lui si suicidò gettandosi da una finestra, è una semplice lastra di pietra chiara, ma ricoperta di molti fiori e bigliettini. In questo cimitero c’è la tomba Jim Morrison, particolarmente amata dai giovani.

Mi è successo che un signore, dagli occhi sporgenti a pesce, mi chiamasse, chiedendomi se per caso stessi cercando la tomba di un certo compositore francese di valzer, il corrispondente francese di Strauss mi dice, che però nessuno nota. L’uomo ha in mano due copertine di cd per mostrarmi il valore del suo eroe musicale. La tomba del musicista è una semplice lastra di pietra scurita dal tempo, dalle scritte semi-cancellate, coperte di muschio. Lo ringrazio per la segnalazione e mentre me ne sto andando vedo che cerca di attirare altri turisti con lo stesso metodo; li chiama gentilmente chiedendo: “State forse cercando la tomba di…? È difficile da trovare: è qui, venite.” Ironicamente mi sono dimenticato il nome del musicista.

A Père-Lachaise c’è la tomba di Victor Noir (1848-1870), ucciso a 22 anni, attorno alla quale è nato un culto. La realistica statua in bronzo di un giovane morto disteso presenta, in un certo punto dei pantaloni, una prominenza molto espressiva; per questo è diventato un simbolo di virilità e fecondità: le donne devono toccare la punta del naso, la prominenza inguinale, la punta dei piedi (diventate lucide e brillanti) e mettere dei fiori nel cilindro a fianco del corpo, per incontrare un uomo entro l’anno, sposarsi, oppure per avere un bambino.

Montparnasse (aperto dal 25 luglio 1824). Questo cimitero è più tranquillo rispetto a Père-Lachaise; ci sono pure meno turisti. Di fronte alla tomba di Serge Gainsbourg, un cantante francese maledetto, ci sono un uomo e una donna trasandati con in mano una bottiglia di birra: sostano davanti al loro idolo (li vedrò giorni dopo, assieme, su una panchina appena fuori dal cimitero, con altre birre); sulla tomba: statuine, cavoli (!), biglietti della metro, fiori, bigliettini. C’è anche un funerale, con la coda di gente accanto alla fossa, ma i turisti (fortunatamente) girano al largo. Morte privata e morte pubblica a confronto. In questo funerale si celebra la morte di una persona, col dolore della perdita che comporta per chi lo conosceva; la morte pubblica è la morte di una personalità, che non comporta lo stesso dolore (anche se si vedono nei documentari le file di persone che piangevano al funerale di Stalin). Qui c’è la tomba di Charles Baudelaire, sepolto con l’odiato patrigno e l’amata madre: pur con fiori e bigliettini è una tomba ordinaria. La cosa mi stupisce: mi sembra chiara la ragione per visitare la tomba di Baudelaire (prendere ispirazione dal grande poeta), ma non trovo corrispondenza tra tomba e persona: ad un grande poeta dovrebbe corrispondere una bella tomba; non è così, ma almeno qui a Montparnasse hanno cercato di pareggiare i conti: c’è un cenotafio dedicato a Baudelaire dove lo scultore ha cercato di rappresentare alcune tematiche del poeta. Interessanti le affollatissime tombe degli ebrei poveri: sono almeno in diciotto ad essere sepolti nella stessa fossa, come segnalano delle piccole tabelle con i dati anagrafici; altre tabelle, su aste di ferro arrugginito, sono state aggiunte se non c’era più spazio sulla lastra tombale.

Musei, mercati, quartieri Musée des Égouts (Museo delle fogne di Parigi), Pont de l’Alma, Place de la Résistence, molto ben segnalato da un cartello. Il biglietto è di € 3,80, quindi conviene visitarlo solo se davvero interessati. Il museo è un pezzetto minuscolo delle fogne di Parigi (la fogna di Parigi ha 2.100 km. Di strutture percorribili) dove vengono mostrati alcuni attrezzi per la pulizia dei canali (vagone-paratoia, nave-paratoia da cinque tonnellate per i grandi collettori, grosse palle in legno per la pulizia di canali rotondi non percorribili) e c’è una mostra a pannelli sulla storia delle fogne di Parigi dall’epoca gallo-romana a oggi. All’entrata consegnano un depliant molto esaustivo nella lingua scelta, poi si scende giù. Per me è stato interessante immergermi in questo universo sotterraneo dove si vede sul fondo delle gallerie un fiume grigio e maleodorante, la fogna, che scorre tumultuoso sotto i ponticelli. Non poteva mancare un tributo ai consueti abitanti delle fogne: una piccola nicchia illuminata mostra dei ratti impagliati nell’ambiente fognario e all’uscita si vendono come souvenir, oltre che manifesti con vecchie incisioni dei canali, anche ratti di peluche e cartoline, una delle quali mostra una grossa pantegana sopra un tubo.

Musei della medicina. Ci sono cinque musei della medicina a Parigi; visitandone uno, viene consegnato un pass per uno sconto sul biglietto degli altri. Il Musée d’Histoire de la Médecine, Université Descartes, 12, rue de l’Ecole de Médecine è situato nell’Università di medicina in un bellissimo salone, un tempo sede della biblioteca. Ha pezzi particolari: un manichino anatomico in legno molto bello di Felice Fontana del 1799; attrezzi chirurgici dall’aspetto cruento, come lunghi cateteri con alla sommità una pinza e un trapano, da inserire nell’uretra del pene per arrivare a frantumare i calcoli della vescica, grossi come sassi di 5-7cm.: era doloroso solo vederli. Il Musée Dupuytren, Centre Universitarie des Cordeliers, 15-21, rue de l’Ecole de Médecine, è dall’altra parte della strada rispetto al primo museo. Questo è un museo di anatomia patologica fondato nel 1835 dal Professor Dupuytren. Non è molto frequentato. Si entra in un ufficio, si attraversa un’altra stanza usata come ufficio e archivio, dove già si vedono i primi reperti (lo scheletro deformato di una piccola donna), per poi essere ammessi nella sala del museo: uno stanzone con scaffali grigi colmi di mostruosità. All’entrata, sopra uno scaffale, c’è una parata di scheletri di bambini dai crani deformi, a seguire, cere anatomiche settecentesche che mostrano tumori deturpanti al viso e ai genitali (le cere sono realistiche perché colorate e con la tipica trasparenza della pelle). Dentro le teche degli scaffali, vasi con organi dai tessuti tumorali (di fatto poco riconoscibili per un profano), poi una sezione di mostruosità sotto formaldeide: feti dalla testa deforme (grossa, schiacciata), gemelli siamesi (anche di animali). Ho preferito non fare foto, e ho scritto un lungo commento alla collezione, nel libro degli ospiti. Ciò che veniva presentato era davvero terribile, ma aveva uno scopo, anche se ora datato e inutile: l’insegnamento e la catalogazione medica. La collezione può essere ora oggetto di curiosità morbosa (che in parte sento anch’io: la curiosità verso lo strano, l’inusuale), oppure dare, come è stato per me che mi sono trattenuto dallo scattare delle foto, un senso di pietà e rispetto: quelle povere creature deformi facevano pensare, oltre la maschera esteriore della deformità, alla sofferenza derivata da quella strana condizione di scherzo della natura. Seppure mi piacciano le mostruosità dei film horror, quelle del museo erano diverse: erano resti di dolorose storie vere. Vengono in mente The Elephant Man di David Lynch, storia vera di uomo deformato nell’intero corpo da una rara malattia, e Freaks, di Tod Browning.

Musée national des Artes asiatiques Guimet, 6, place d’Iena e con lo stesso biglietto, ma ad una diversa entrata Pantheon buddista, 19, avenue d’Iena (che però era chiuso). Il biglietto comprende anche un’utile audio guida nella propria lingua. Il bellissimo museo copre tutta l’arte asiatica, ma la mia preferita è l’arte buddista kmer della Cambogia. Nel museo ci sono alcune teste di Buddha in meditazione (in cui è ritratto presumibilmente il re Jayavarman VII) che hanno una espressione dolcissima: le labbra accennano un lieve sorriso, le palpebre sono socchiuse, il viso è disteso, tranquillo ed emana una grande serenità.

Musée Carnavalet, 23, rue de Sévigné (Marais), è gratuito e tratta della storia di Parigi. Non mi è piaciuto eccezionalmente. Interessante è la parte sulla Rivoluzione Francese. C’è la lettera che Robespierre stava scrivendo prima di essere arrestato (27 luglio 1794, il 9 Termidoro) firmata solo “Ro” perché mentre la scriveva erano venuti ad arrestarlo; sulla lettera ci sono delle macchie di sangue, probabilmente sue, perché un giovane agente gli sparò e gli ruppe la mascella. L’agente si chiamava Charles André Merda (sì Merda!). C’è un modellino della fortezza della Bastiglia fatto con una pietra della fortezza; ne sono stati fatti vari come souvenir dell’evento.

Musée Dapper, 35, rue Valéry, museo di arte africana; in realtà le due sale del museo ospitano mostre sul tema, questa volta c’era una mostra sui segni sul corpo (scarnificazioni, tatuaggi, ecc.) nelle varie culture. Ho pagato € 5,00 il biglietto alla mostra e nella caffetteria del museo, per un caffè lungo, € 4,00 (il caffè a Parigi è carissimo: € 1,60 in piedi, dai € 2,40 in su se seduto).

Louvre. Sono andato al Louvre solo perché la prima domenica del mese è gratis. Il Louvre è enorme, ci si stufa a vederlo tutto. Ho visitato solo la sezione della pittura fiamminga, tedesca e dei Paesi Bassi; ho visto anche i George de la Tour.

Chiesa di Saint-Sulpice. Il libro di Dan Brown, Il codice da Vinci, l’ha resa famosa e fatto sì che nella chiesa ci fosse un cartoncino con una precisazione polemica. Si spiega che le lettere sui rosoni del transetto, P e S, sono le iniziali dei santi Paul e Sulpice, e non del Priorato di Sion; si spiega inoltre che la meridiana (obelisco-gnomone, lente sul rosone e nastro graduato nel pavimento) non è, come dice il libro, un simbolo del Priorato di Sion, ma semplicemente uno strumento scientifico per calcolare la Pasqua (uno strumento simile c’è anche nella basilica di San Petronio a Bologna).

Mercati delle pulci e Mercati alimentari Non mi sono mai piaciuti i mercati fino a poco tempo fa. Ora trovo interessante andare a curiosare nei mercatini delle pulci alla ricerca di qualcosa di usato a poco prezzo: trovo che il valore degli oggetti usati stia nella relazione che hanno avuto con le persone, e quindi nell’essere impregnati di memorie, di storia, di esperienze. Ci sono quattro mercati delle pulci a Parigi (ne ho visti due): Aligre (vicino all’ostello) e Montreuil. Aligre è al centro della place d’Aligre, contornato da un bel mercato alimentare, da un vicino mercato alimentare coperto e da negozi per lo più arabi (macelleria, caffè, pasticceria arabi). Il mercato delle pulci è piccolo, il mercato alimentare è più interessante. Montreuil è invece un enorme mercato delle pulci che si snoda lungo le strade vicino alla Porte de Montreuil (nella guida Lonely Planet si dice che ha 500 bancarelle), molto interessante. I mercati alimentari che ho visto sono stati Aligre, Bastille, Avenue du Président Wilson (vicino al museo Guimet): mi hanno colpito tutti per la ricchezza festosa di frutta, pani e dolci, formaggi, crostacei (Bastille), carni (in tutti, montagne di polli allo spiedo), e banchi con cibi cinesi (Président Wilson), arabi, pitas e hummos (Président Wilson). Erano molto affollati di parigini e senza tanti turisti (bisogna però controllare sulla guida quando sono aperti).

Il quartiere del Marais Vecchio quartiere ebraico e pure quartiere gay, con molti locali gay dove trentenni dal corpo snello e dal viso liscio, in abiti sportivi alla moda, ridono, scherzano e mangiano a coppiette o in gruppi. La via ebraica tipica del quartiere è rue des Rosier, dove ci sono due belle e costose boulangeries kasher (minimo € 2,90 al pezzo), ristorantini con pita falafel da asporto (€ 3,50-4,00) dal personale molto brigativo, e Jo Goldenberg un ristorante-gastronomia kasher, dal personale gentile, aperto dal 1920.

Place des Vosges (Marais). La piazza mi ha fatto molta impressione: così regolare e simmetrica mi suggeriva l’idea della razionalità, dove tutto è serenamente sotto controllo, naturalmente ordinato. Attorno alla piazza, oltre la strada che la circonda, ci sono palazzi tutti uguali, dai tetti scuri di ardesia (credo) e dai muri di mattoni rosso tenue e pietra chiara. Una cancellata nera racchiude la piazza, e dentro: alberi in duplice fila dalle fronde squadrate, quattro fontane, al centro una statua equestre. Di asimmetrico ci sono solamente dei moderni giochi per bambini, accettabili, visto la presenza di due grandi vasche di sabbia (di nuovo simmetriche) per altri giochi infantili.

Al di sopra di questo ordine c’era però quel giorno un cielo inquietante di nuvole bianche e grigio chiaro, disposte a piccole onde, come nella carta marmorizzata veneziana. Ondate di nubi partivano da un lato della piazza e avanzavano lentamente, al disotto di un cielo sereno che si intravedeva negli squarci lasciati dalle nuvole; si muovevano da un angolo di cielo azzurro ad un fosco baratro temporalesco grigio: mute, inesorabili, come un branco di animali senza altra coscienza se non del loro stesso movimento. Sopra la razionalità della piazza, il fato capriccioso del cielo.

Alloggio, cibi, shopping L’Auberge international des Jeunes, 10, rue Trousseau è un bell’ostello nelle vicinanze di Place de la Bastille. I dintorni sono molto meno cari del caratteristico Marais. Le stanze sono accettabili e pure i letti a castello. Ho dormito in una camera con bagno (da 4 letti) e in un’altra senza bagno (da 3 letti). La colazione è compresa nel prezzo: solo € 13,00. Chiaramente non è il Grand Hotel, ma è veramente economico, il personale è simpatico, è aperto 24 ore su 24, e i dintorni sono interessanti e poco cari. Particolarmente piene di ristorantini rue de Lappe e rue du Foubourg St. Antoine.

Un posticino simpatico dove mangiare una o due zuppe, tra una varietà di sei zuppe ogni giorno diverse (anche per asporto, € 5-6 a zuppa) è La bar à soupes, 33 Rue de Charonne, www.Lebarasoupes.Com, tra l’ostello e Place de la Bastille. Ci sono andato una sera e ho chiacchierato tutto il tempo con Christophe, un simpaticissimo cameriere che parla un ottimo inglese, e con la sorridente proprietaria. Da non perdere, per la simpatia familiare, la casalinga bontà delle zuppe, il prezzo contenuto.

Nell’ostello ho conosciuto Karolis, un ragazzo lituano di Kaunas, che fa l’aiuto cuoco in Inghilterra (sosteneva che le ragazze della sua città sono bellissime, mentre le inglese orribili). L’ultima sera della sua permanenza a Parigi siamo andati nella sala da tè Salon de the Chicca, Rue Saint Sabin, 7 tel 014357181 (vicino a Place de la Bastille). Il posto è caldo, la luce soffusa, ha pareti color prugna scuro e divanetti, sgabelli, tavolini bassi. La ragazza che ci serve è un’araba molto attraente: alta, corpo bellissimo, capelli e occhi scuri, sorriso splendente. Ordiniamo due tè alla menta in due teiere in metallo (€ 5,00 l’uno) e un narghilè in due (€ 8,00): il profumo da fumare, all’odore di mela, dura talmente tanto che ci stufiamo di fumarlo. Sia io che Karolis sia rilassatissimi, e la serata scorre parlottando, guardando la gente che entra ed esce, o sognando la cameriera.

Patati patata, Rue de Lappe, 51. € 5-6 per una patatona enorme al forno, farcita con ripieni a scelta: un pasto completo ad ottimo prezzo. Il localino ha dodici posti. Sto mangiando, quando arriva un plotone di dieci assistenti Alpitur, con i loro vestiti azzurro intenso (un giovane uomo e nove ragazze), che riempiono il locale: due coppie che erano sedute se ne vanno per lasciare posto, io rimango perché ero entrato da poco. Scambiamo due parole, da bravi italiani all’estero.

Due bellissimi negozi di gioielleria strana e relativamente poco costosa nel Marais: Sydney Carron, 37, rue des Archives, gioielli moderni di design in argento (da € 25,00); Metal pointu’s, 19, rue des Francs Bourgeois, (ma ci sono anche altri negozi), gioielli in metallo brunito dal design particolare (da € 30,00).

Conclusione Non c’è una conclusione. Ho prenotato un volo Ryanair per ritornare a Parigi il 1 luglio 2005. À suivre…



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