Bhutan il regno del Drago in moutainbike
22/02. Siamo partiti da Venezia alle 6:45 e via Zurigo arriviamo a Delhi il 23 alle 00:10.
Avevamo letto sulla guida Lonely Planet che : “l’arrivo a Delhi è un vero e proprio assalto ai cinque sensi, che intimidisce tutti quelli che giungono in questa città…..” Siamo dunque preparati al peggio. Prima di buttarci nella mischia controlliamo che tutto sia al suo posto: carte di credito, passaporti e contanti opportunamente nascosti e divisi tra tasche sotto la camicia e marsupio. Afferriamo gli zaini e le scatole con le biciclette e “coraggiosamente” usciamo, pronti a dribblare tra la folla per evitare il temuto attacco…. Invece, sarà perché siamo fortunati o che siamo abituati a viaggiare in Asia, l’aeroporto della capitale ci sembra come tanti altri, anzi, con meno procacciatori d’affari del solito. Dopo poco più di 10 minuti siamo fuori dall’aeroporto, dopo aver recuperato le nostre bici ed aver spiegato ai doganieri perplessi qual è il nostro progetto. Ci è venuto a prendere un tassista che ci ha portato all’ hotel Namaskar (Namaskarhotel@yahoo.Com). Il traffico per la città è ancora molto intenso, nonostante sia oramai mezzanotte passata e con le bici legate in qualche modo nel bagagliaio posteriore del taxi, arriviamo in hotel verso le due. La stanza che scegliamo è ovviamente la “suite de luxe”, per 400Rs (8 Euro): almeno questa ha delle finestre, un bagno con un microlavandino impraticabile e acqua calda a secchi. Dalla strada arrivano per tutta la notte i soliti latrati dei cani randagi e rumori di ogni genere. 23/02. Sveglia alle 8:00. Il proprietario dell’ hotel appena ci vede tenta , come previsto, di proporci il tour del Rajasthan, 15 giorni tutto compreso oppure un tour in cammello nel deserto e ci fa vedere album di foto con turisti dall’aria soddisfatta. Non serve a nulla dirgli che vogliamo andare in Sikkim e che abbiamo già i voli prenotati. Ci vuole almeno mezzora per scrollarselo di dosso , anche se sappiamo che al nostro rientro ricomincerà a proporci altri itinerari. Finalmente fuori in strada! Siamo nel centro di Delhi, nel quartiere di Paharganj. E’ presto, i negozi sono ancora chiusi e regna una calma apparente, lungo la strada solo mucche sacre. E’ domenica e preferiamo visitare i monumenti della città, perciò contrattiamo per salire su un autorisciò che ci porta alla moschea di Jama Masjid. Questa moschea è la più grande di Delhi e la più importante della zona, qua i mussulmani pregano il venerdì riempiendo il grande cortile dell’edificio.
Sempre in autorisciò andiamo a visitare il complesso del Qutb Minar, 15 km a sud della capitale, esempio di architettura afghana dove domina la torre alta 73 metri e la prima moschea costruita in India. Lungo la strada ci siamo fermati al Gandhi Memorial e al Parlamento. Rientriamo nel nostro quartiere che nel frattempo ha cambiato completamente aspetto: i negozi hanno aperto e in ogni angolo ci sono “venditori di tutto”, guide improvvisate, risciò a pedali e a motore che dribblando cercano di evitare la folla che riempie le strade, formando un autentico groviglio umano. Abbiamo fatto bene a lasciare, per ora, le bici in camera. Anche qui come in Nepal per sopravvivere al traffico sono necessarie tre cose: un buon clacson, buoni freni, e…buona fortuna. Le mucche sono le uniche che camminano tranquille, non curanti degli sforzi fatti per evitare di investirle. Moto, risciò, biciclette e mezzi di ogni genere si incrociano strombazzando per segnalare la propria presenza. Per riuscire a sopravvivere, dopo l’impatto iniziale, ci vuole un po’ di tempo. Quando si cammina, l’importante è seguire il flusso, evitando movimenti bruschi e fermate improvvise. Se si vuole attraversare una strada è buona regola imitare gli altri. Le immondizie della strada vengono continuamente spostate dai lati al centro per essere poi riportate nuovamente davanti ai negozi al passaggio del traffico. 24/02. Giornata dedicata alla visita di Old Delhi, dove andiamo a piedi partendo dal nostro hotel. La città vecchia si estende in un groviglio di viuzze a ovest del Red Fort. La via principale è Chandni Chowk da cui partono infinite stradine piene di negozi di ogni genere, suddivise in zone a seconda della merce venduta. I gusti, gli odori e l’atmosfera che si respira sono sicuramente un’ esperienza indimenticabile. In qualunque momento della giornata c’è chi fa bollire, friggere o arrostire qualcosa da mangiare per attirare i passanti. Le strade sono vive, piene di gente e di musica. E’ quasi inutile cercare di orientarsi ed è naturale perdersi, attirati dalla varietà delle merci in vendita, compresi i barbieri, i pulisciorecchie, calzolai e dentisti che in strada espongono e “riparano” denti e dentiere. 25/02. Affittata una macchina con autista andiamo a visitare Agra, a 204 km da Delhi e circa 4-5 ore di macchina. Evitato il proprietario dell’ hotel, usciamo quasi furtivamente in strada alle 6 del mattino, non riusciamo invece ad evitare un altro venditore di tour del Rajasthan che a tutti i costi vuole farci salire sul suo autobus. Dopo più di mezz’ora arriva finalmente il nostro autista che non smentisce la consuetudine asiatica di considerare il tempo come qualcosa di poco importante. Visitiamo il Taj Mahal, mausoleo Moghul che viene descritto come il più stravagante monumento eretto per amore e divenuto il simbolo turistico dell’India. Sotto l’enorme cupola si trova la tomba della seconda moglie dell’imperatore, il quale fece erigere questo monumento in marmo bianco finemente lavorato per ricordare la propria amata prematuramente scomparsa. La visita continua con il Forte di Agra, costruzione di arenaria rossa del 16° secolo, prima struttura militare, poi palazzo e infine prigione dell’imperatore. 26/02. Non senza un certo coraggio, attraversiamo da soli una trafficata strada del centro di Delhi e assaliti da guide improvvisate e venditori di biglietti aerei, riusciamo ad arrivare indenni a Connaught Place, vasta rotatoria delimitata da una serie di edifici che rappresenta il centro commerciale della città. La nostra intenzione è quella di visitare l’emporio di stato e i vari mercatini. Non riusciamo però ad evitare, anche se consapevoli del pericolo, un lustrascarpe che, con una azione fulminea, riesce a lanciare sulle nostre scarpe della cacca per poi innocentemente proporsi per pulirle. Quando dietro di noi ci sentiamo dire :” sir, you have something on the shoes” è oramai troppo tardi, la scarpa è coperta di merda. Pensiamo che sia meglio mandarlo via e pulirci in qualche modo, altrimenti altri potrebbero seguire il suo esempio; con le scarpe troppo pulite siamo un vistoso obiettivo per altri lanci. Comunque, cacca a parte, ormai ci siamo abituati e ci muoviamo quasi tranquillamente in mezzo alla gente evitando senza troppe difficoltà i venditori e i procacciatori d’affari. Ci troviamo a nostro agio in questo disordine che ci sembra quasi normale. 27/02. Alle 7.30 con un taxi pre-pagato e con le bici legate in qualche modo sul portapacchi arriviamo all’aeroporto terminal-1 voli domestici. Non c’è modo di evitare i facchini improvvisati che si impossessano velocemente dei bagagli e che tu voglia o no ti accompagnano al check-in. Il volo parte in orario alle 10:10 , la compagnia aerea è la ottima Jetairways (avevamo già preso i biglietti in Italia con disappunto del proprietario dell’hotel che tra le altre cose possiede un ticketing-office). Arriviamo a Bagdogra alle 12.05 e ci viene a prendere Luis (Bhutan Tourism Services slg_jyotirai@sancharnet.In ) che ci accompagnerà nel nostro viaggio in Sikkim. Ci accoglie con un “namaste” regalandoci due sciarpe tibetane di benvenuto ( di cui ormai abbiamo una discreta collezione ) e ci sentiamo già a nostro agio. Luis è una persona con una grande cultura e conosce ( cosa abbastanza rara da queste parti ) molte cose del nostro paese. Con il suo aiuto riusciremo finalmente a capire qualcosa di più del buddismo e della sua complessa filosofia. All’aeroporto riempiono il nostro passaporto di timbri e timbrini ( alla fine del viaggio avremo consumato 5 pagine ). Gli indiani hanno una passione per la burocrazia , per le carte e per le ricevute; non perdono mai occasione per compilare moduli che nessuno leggerà mai e che non servono assolutamente a niente. In jeep partiamo per Ganktok capitale del Sikkim, 110 Km in circa 5 ore. Il Sikkim, regione a statuto autonomo dell’India, è stato indipendente fino al 1975. Per entrare in Sikkim è necessario un permesso ( facile da ottenere ) in cui vanno indicate tutte le tappe del viaggio . Prima di arrivare al confine attraversiamo una parte del West-Bengala, regione che rappresenta esattamente l’idea nostra dell’India. La strada è una sottile striscia d’asfalto con due fasce sterrate ai lati; camion che strombazzano e gente che corre indaffarata. Tutti trasportano tutto, dalla legna alle banane e spingono ogni sorta di carretti nel solito disordine. Le donne si notano per i loro colorati sari, al contrario degli uomini che portano camicie di tipo occidentale abbinate a quello che capita. Al check-point di confine tra West-Bengala e Sikkim ci aspettano altri moduli da compilare e altri timbri. La strada è sconnessa, a strapiombo e da brivido, specie quando si incrociano i camion che guidano come dei matti e più di una volta rischiamo l’incidente. Durante la stagione dei monsoni che inizia in maggio, le strade franano e nel periodo secco vengono ricostruite ogni anno. Poi la neve nei mesi successivi fa il resto. Il Sikkim è molto diverso dall’India vera e propria, più simile a certe parti del Nepal e ha come religione principale il buddismo. Il confine con il Nepal è vicinissimo (70 Km) e ci sono moltissimi emigrati, tanto che la lingua principale è proprio il nepalese. Ci sono anche molti profughi tibetani e campi di rifugiati in tutto il paese. La tentazione di attraversare il confine per raggiungere Kathmandu è forte; il nostro amico Ram ci ha invitati molte volte ma sappiamo che la situazione nel paese non è ancora sicura e poi non abbiamo tempo.
Gangtok, la capitale del Sikkim, non è un gran che: è costituita da un groviglio di palazzoni costruiti senza un piano regolatore. Ci sistemiamo in hotel (Hotel Anola) che è completamente vuoto, in città non ci sono altri turisti. Questa perfetta solitudine ci accompagnerà per tutto il viaggio in Sikkim, con hotel e ristoranti aperti solo per noi. Facciamo un giro per Gangtok e notiamo che i negozianti non sono stranamente interessati a noi, riusciamo a camminare senza difficoltà, senza che nessuno ci fermi per venderci o proporci qualcosa. Luis ci spiega che il Sikkim è molto ricco grazie alle grandi sovvenzioni statali e quindi il livello di vita medio è buono rispetto ai paesi confinanti. Mangiamo nel ristorante dell’ hotel che ha aperto per noi ed è completamente al buio fino al nostro arrivo. Ci presentano un menù ricchissimo per poi scoprire che, come è logico dal momento che siamo gli unici avventori, hanno solo due o tre cose: riso, riso con verdure, riso con carne e chapati. L’attesa è infinita, come sempre in India, e per pagare siamo costretti ad aspettare a lungo perché il proprietario deve preparare una ricevuta e non ha il resto. Risaliti in camera montiamo le bici (3 ore) e dato che l’hotel è vuoto danno una camera gratis anche alle bici.
28/02. Oggi iniziamo il nostro viaggio in bici. Con partenza alle 8:00 andiamo al monastero di Rumtek, residenza del Karmapa, capo dell’ordine dei berretti neri. Il complesso monastico è la copia del monastero tibetano di Tsurphu che abbiamo visitato l’anno scorso in Tibet. A differenza di quello che potrebbe sembrare c’è una forte lotta per la successione tra i vari ordini religiosi e all’interno dello stesso ordine; l’attuale karmapa da molti viene considerato un impostore. La reincarnazione precedente è infatti morta nel 1981 in circostanze misteriose e ha lasciato un testamento che forse è stato contraffatto. Alcuni soldati circondano il monastero per controllare la situazione.
Il 3 di marzo ci sarà il capodanno tibetano, il Losar, e fervono i preparativi. Ovunque ci sono monaci in preghiera e all’interno del monastero sono presenti doni di ogni genere. Lungo la strada i bambini ci vengono incontro incuriositi dalle bici e la gente è meravigliata: ci sentiamo osservati come se fossimo degli UFO! E pensare che, per non spaventare troppo i locali, abbiamo cercato di evitare l’abbigliamento appariscente, anche se comodo, che normalmente usano i ciclisti, rinunciando anche al casco. Le uniche cose che abbiamo deciso di portarci sono i guanti e i pantaloncini protettivi.
Lasciato il monastero visitiamo il Namgyal Institute Of Tibetology, centro di cultura tibetana e il monastero Do-Drul Gompa, sulla collina sopra Gangtok. Qui abbiamo la fortuna di incontrare la 12a reincarnazione del Guru Rimpoche (fondatore del Tibet e del Bhutan) che è in visita al monastero. Siamo però impuri e per assistere alla sua cerimonia dobbiamo aspettare la benedizione. Ci versano in mano del liquido giallo (cosa sarà??) che con la mano destra dobbiamo passarci sulla fronte e sulla testa (in realtà dovremmo berlo ma non è il caso!!). Inizia la celebrazione: i primi 10 minuti sono anche piacevoli e interessanti ma poi tutto si ripete sempre uguale, almeno per noi. Cerchiamo di trovare il modo di uscire (in tutto durerà 5 ore) senza offendere i presenti. Finalmente fuori! Di nuovo in sella per il monastero Enchey Gompa, posto su una collina vicino a Gangtok e la scuola professionale. Il governo paga il corso di studi di 3 anni ai bambini scolasticamente poco dotati e dà un contributo di 800 rupie (16 euro) alle famiglie che hanno un figlio a scuola. In questo modo si evita che i genitori mandino a lavorare nei campi i figli senza farli studiare.
01/03 Ore 8:00 si parte per il Phodong Monastery, 40 Km a nord di Gangtok. Arrivati al monastero i monaci ci invitano a mangiare con loro riso e interiora e siamo costretti ad accettare per non offenderli; nel piatto anche pezzi del sacco di iuta, sassolini ed altre cose non identificate. Proseguiamo per 4 Km fino al monastero di Labrang dove troviamo molti monaci-bambini che ci chiedono palle da cricket. Il cricket (sport di cui non conosciamo neanche le regole) è lo sport nazionale indiano, retaggio della colonizzazione inglese. Il tifo è simile al quello per il calcio in Italia. Tra l’altro in questi giorni ci sono i campionati mondiali di cricket in Sudafrica e l’India ha vinto la semifinale (si festeggia con canti e fuochi d’artificio: impossibile addormentarsi, o meglio lui ha dormito come un sasso e lei è rimasta sveglia tutta la notte). Al rientro facciamo una breve deviazione per il Phensong Monastery dove troviamo i monaci in festa per i preparativi del capodanno tibetano. Sono tutti molto cordiali e felici di vederci. 02/03. Ore 6:00 partenza per Pemayangtse, 112 Km in circa 10 ore. Visita del Pemayangtse Monastery. Arriviamo che è ormai sera a Pelling, paese costituito solo da hotel (tipo Nagarkot in Nepal). Da qui si ha una spendida vista sul Kangchendzonga, terza vetta più alta del mondo (8598 mt). Troviamo il solito hotel vuoto (Hotel Norbughang) e ci accolgono con le sciarpette di benvenuto. Visitiamo anche il poverissimo monastero di Sangachoeling, situato in una collina sopra il paese. Anche qui i monasteri sopravvivono grazie alle offerte dei fedeli e in particolare delle donazioni fatte dagli occidentali. Di conseguenza da una parte alcuni edifici religiosi, frequentati magari da Madonna e Richard Gere, vengono continuamente restaurati, e dall’altra altri edifici più antichi e belli come questo di Sangachoeling cadono in rovina. Dopo cena e usando una torcia cerchiamo di fare un giro per il paese, ma è troppo buio e rischiamo di perderci. Decidiamo quindi di rientrare in Hotel. 03/03. Capodanno tibetano. Sveglia alle 5.30 per vedere il sorgere del sole sul Kangchendzonga, anche se siamo piuttosto pessimisti dopo l’esperienza di Nagarkot in Nepal, e invece stranamente il cielo è sereno e la vista è piuttosto buona. Proseguiamo per Yoksum passando per Khecheopari Lake. Lungo la strada incontriamo sempre molti bambini i quali fanno a gara per salire sulla bici e Marco ha il suo da fare per accontentare tutti. La gente ci saluta e rimaniamo senza fiato a forza di rispondere con hallo e namaste. L’ideale sarebbe correre senza mani sul manubrio per poter rispondere ai continui saluti congiungendo le mani. Una signora però si spaventa e scappa urlando terrorizzata dalla nostra presenza, tanto che ci dobbiamo allontanare in fretta. Il lago sacro di Khecheopari è circondato da bandiere di preghiera ed è molto suggestivo. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Yoksum che è stata la prima capitale del Sikkim, dove il primo re venne consacrato nel 1641 D.C. Da 3 Lama illuminati. Dormiamo nell’ Hotel Tashigang, un grandissimo e vuoto edificio sulla sommità della collina di Yoksum. Poche case e uno splendido panorama sul Kangchendzonga. Ci dicono che nei boschi dietro al villaggio vive addirittura lo Yeti. Di sera ci offrono la birra tibetana (chang) in contenitori naturali fatti di legno con una cannuccia di bambù più alta di noi e berla diventa davvero difficile, soprattutto per Silvia che ha la cannuccia più alta. Oltretutto il cameriere è imbranatissimo e ci rovescia il te addosso. 04/03. Visitiamo il Dubdi Monastery, primo monastero del Sikkim situato su una collina vicino a Yoksum e poi trascorriamo il resto della giornata a riposarci delle pedalate dei giorni precedenti in perfetto relax, anche se non rinunciamo ad un giro con la bici per il villaggio. In tutta l’India oramai il modo più comodo per comunicare con l’estero è spedire email dai numerosissimi punti internet disseminati in tutto il paese. I telefoni con linea internazionale invece sono ancora rari e la qualità del servizio è pessima. Anche nel villaggio sperduto di Yoksum è possibile inviare email; basta rivolgersi alla maestra del paese che gentilmente ci apre la scuola. Con nostro stupore ci troviamo di fronte ad una stanza con modernissimi computer, tutti connessi alla rete internet. Di sera ci invitano a mangiare in un ristorantino locale. L’unico problema è che per arrivarci dobbiamo usare la torcia perché è buio pesto e siamo inseguiti dai molti cani randagi.
05/03. In jeep proseguiamo per Kalimpong, 125 Km 6 ore. Lungo la strada visitiamo il monastero di Tashiding sulla cima di una collina fatta a forma di cuore con la vista del sacro monte Kangchendzonga. Superiamo il confine tra West Bengala e Sikkim previo timbro di uscita e siamo di nuovo in India. A Kalimpong andiamo al mercato del mercoledì, dove si incontrano tutti gli abitanti della regione. Visitiamo il chorten Thong-Wa-Rang-To e il Zangdog Pelri Phobrang Monastery. Pernottiamo all’ Hotel Park.
06/03. Ore 6 partenza per Phuentsholing, città di frontiera tra Bhutan e India. Ci vogliono circa 4-5 ore di macchina. Lungo la strada foriamo ma non è un problema. Montata la ruota di scorta, ci fermiamo dopo qualche chilometro al primo villaggio per riparare il foro. In India l’inventiva è tale che con un po’ di gomma e del fuoco riescono a riparare qualunque foratura in poco tempo. Riprendiamo il cammino e lungo la strada ci fermiamo in una delle tante piantagioni di tè. Il raccolto viene fatto prevalentemente da sole donne che camminando tra le grandi distese di cespugli di tè, selezionano le foglie migliori. Il maggior pericolo in questo lavoro è rappresentato dai serpenti velenosi come il cobra reale, il crotalo, il pitone e le vipere volanti. Le lavoratrici non sembrano particolarmente preoccupate perché dicono che è abbastanza raro essere morsi, tanto che ci invitano a raggiungerle in mezzo alla vegetazione. La sensazione è quella di trovarci in un film tipo “Via col vento” tra le piantagioni di cotone. Siamo in Assam e la lingua parlata da queste parti è completamente diversa da quella della regione di Darjeeling, Luis fa non poca fatica a farsi capire. Questa regione dell’India, a causa di scontri tra le etnie locali, è potenzialmente pericolosa. Spesso le macchine vengono fermate e banditi armati e bendati tentano di estorcere denaro. Noi fortunatamente non abbiamo fatto brutti incontri. Alle 11.30 arriviamo in Bhutan dove ci aspetta Renzine, ragazzo bhutanese che ci accompagnerà nel nostro viaggio. Passata la dogana indiana dobbiamo aspettare 1 ora perché i bhutanesi compilino i documenti necessari per farci ottenere il visto. Abbiamo subito occasione di scontrarci con il modo di ragionare dei bhutanesi che sarà un grosso problema per tutto il viaggio. Abbiamo l’itinerario che ci ha mandato l’agenzia di Thimphu, ma la nostra guida non è stata assolutamente informata delle nostre richieste, di cosa vogliamo fare e soprattutto non sa nemmeno che faremo il viaggio in bici. Tutto questo lo mette immediatamente in crisi, perché non sa cosa deve fare e cerca di convincerci a cambiare itinerario. La situazione è alquanto imbarazzante anche perché non abbiamo alcuna intenzione di cambiare idea e la cosa è resa ancora più fastidiosa dal fatto che la tassa turistica in Bhutan è di 230 USD al giorno a testa e quindi, nel vero senso della parola, il tempo è denaro. Eppure ci siamo organizzati con largo anticipo appunto per evitare problemi di comprensione reciproca e l’agenzia bhutanese ci aveva assicurato che era tutto a posto, nonostante le nostre inusuali richieste. Di fronte all’evidente imbarazzo della guida, mentre l’autista è andato a cercare non si sa dove un portabagagli per le bici, capiamo che agitarci non serve a niente e cerchiamo di sorridere dicendo che non c’è problema. Dopo 3 ore di attesa (equivalenti in tassa turistica a circa 60 Euro a testa) finalmente ritorna l’autista con un portatagli montato sul tetto della macchina. La cosa assurda è che il mezzo a nostra disposizione può portare circa 15 persone e quindi sarebbe stato sufficiente mettere le bici dentro, magari togliendo la ruota davanti. Niente da fare, vogliono caricarle sul tetto ma non sono capaci (forse non hanno mai visto una mountain-bike!) e perdi più le vogliono mettere in piedi!! Finalmente dopo un’ora partiamo con le bici legate in un modo tale che per scaricarle ci vorranno almeno due ore! Nonostante tutto continuiamo a sorridere per cercare di far sentire a suo agio la guida, anche se vorremmo buttarla in fosso. In compenso ci sentiamo dire :” meno male che voi siete così tranquilli, non capisco perché questi turisti occidentali hanno sempre così tanta fretta, specialmente i tedeschi si arrabbiano per qualche minuto di ritardo…”. Almeno così ci consoliamo: non siamo gli unici malcapitati. Arriviamo a Thimphu, la capitale del Bhutan alle 21 (dopo 6 ore e 175 km). La strada è sconnessa, polverosa e trafficata da tantissimi camion indiani. Lungo il percorso gente del Nepal che lavora alla manutenzione stradale in condizioni pietose in mezzo al fumo dell’asfalto. Il Bhutan è un paese ricco grazie alla vendita di elettricità e alle continue sovvenzioni dei paesi occidentali. I bhutanesi evitano quindi i lavori faticosi, perché sanno che ci sono stranieri disposti per poche rupie a farli al posto loro e d’altro canto non sarebbero in grado di svolgerli ( da poco tempo a Thimphu è stata aperta una scuola che ha lo scopo di avvicinare i bhutanesi ai lavori manuali).
07/03 Dopo la colazione visitiamo il Memorial Chorten, costruito in memoria dell’ultimo Re del Bhutan nel 1974, visitiamo poi il tempio Changangkha del 15° secolo. Proseguiamo poi per Sangyegang, punto panoramico da cui si può vedere tutta la valle. Ci fermiamo poi al Zilukha Nunnery e all’ ” Institute of Arts and Crafts”. La mattinata termina con il ” National Textile museum & the Folk heritage museum”. Come da programma avevamo richiesto di evitare ogni giorno le soste per il pranzo, che ci avrebbero fatto perdere troppo tempo e comunque di cenare sempre in ristoranti locali. Questo perché gli hotel sono normalmente lontani dai centri abitati e il turista finisce per rimanere isolato dalla vita di tutti i giorni. Per lo stesso motivo avevamo richiesto di dormire in case locali. Vista l’esperienza del giorno precedente e avendo capito che sarebbe stato difficile ottenere quanto previsto da programma, già nella prima mattinata avevamo iniziato a ripetere alla nostra guida quello che volevamo fare e che c’era ben scritto sul foglio che la sua agenzia gli aveva consegnato. Pensavamo che il nostro continuo ripetere avrebbe finalmente sfondato quel muro. Avremmo poi scoperto che questo modo di ragionare così diverso da quello di ogni altro paese è comune alla maggior parte dei bhutanesi ed è causato anche dall’isolamento in cui sono vissuti gli abitanti del Bhutan fino a 50 anni fa. Per quanto la situazione sia per noi difficile da affrontare, continuiamo a ripeterci che non è assolutamente giusto giudicare un modo differente di vivere. Gli indiani in particolare considerano i bhutanesi come degli allocchi da spremere in ogni modo. Questa ingenuità mista a onestà e assoluta mancanza di conoscenza del mondo esterno, rendono gli abitanti del regno del drago facili prede “dell’inventiva indiana”. Ad esempio i bhutanesi non scendono mai dalla macchina in territorio indiano, perché sanno che gli indiani, riconoscendo la targa (BT=scemo) e l’abbigliamento, li fermano e con ogni sorta di pretesto gli estorcono denaro (in mezzora di strada anche alla nostra guida hanno richiesto ed ottenuto l’equivalente di 40 euro!). Ritornando alla nostra seconda giornata in Bhutan, la guida ci porta a mangiare a pranzo in un ristorante locale, facendoci perdere almeno due preziosissime ore. Nel pomeriggio finalmente siamo liberi di girare per la capitale con le nostre bici. Visitiamo il mercato settimanale della verdura dove vengono tutti gli abitanti della valle e pedaliamo tra gli sguardi incuriositi della gente. Anche noi siamo meravigliati nel vedere i loro vestiti, uguali a quelli che portavano mille anni fa. Se non fosse per le poche macchine che circolano, sembrerebbe di essere in pieno medioevo. Unica capitale al mondo senza semafori e unica forse dove è impossibile perdersi. Infatti Thimphu ha solo una strada principale ed è veramente molto piccola per essere una capitale (circa 40.000 abitanti).
08/03. Dopo la colazione partiamo in bici per Punakha (77 km e circa 7 ore). Lungo la strada ci fermiamo al passo Dochula (3100m) per vedere le montagne dell’ Himalaya orientale ma siamo immersi nelle nuvole. Se non fosse per le moltissime bandiere di preghiera, il paesaggio sarebbe simile alle nostre alpi, con i pini e i cipressi. La definizione di “ultimo Tibet” ci sembra completamente fuori luogo, niente ci ricorda questo paese, ad iniziare dai panorami così diversi. Proseguiamo e in un villaggio ci vengono incontro alcuni bambini che vogliono provare le nostre bici. Arrivati vicino a Punakha, ci accordiamo per l’inevitabile pranzo: mentre preparano da mangiare, possiamo andare in giro per il paese. Arrivati in città, visitiamo il Punakha Dzong e ci sistemiamo in una casa locale, ospiti di una sorella di Renzine. Abbiamo vinto…. Per ora. La stanza che ci preparano è quella dedicata alla preghiera. Le coperte sono abbondanti anche perché non ci sono vetri ed è tutto aperto, considerato che siamo a 2300 mt e fa freddino di notte. La famiglia che ci ospita è ricca e la casa è molto grande, con due camere per dormire e la stanza da pranzo. Di sera mangiamo con loro. Il tipico pasto bhutanese (colazione,pranzo e cena ) è costituito da riso bianco o di qualità rossa con peperoncino e verdure. Tutta la famiglia siede per terra e con le mani lavora il riso a cui aggiunge il peperoncino fino a formare una pallina. A causa della religione buddista non è permesso uccidere animali e quindi la carne viene importata dall’India e poi essiccata. Nei ristoranti locali si trovano anche il daal bhat e i momo nepalesi e qualche piatto cinese come i tagliolini liofilizzati. Altro piatto caratteristico del Bhutan sono le patate lesse con formaggio e peperoncino (vero protagonista della cucina locale, viene anche mangiato da solo a pezzetti). In Bhutan l’uomo e la donna hanno gli stessi diritti e i costumi sessuali sono liberi. In pratica ognuno può vivere come crede e non è necessario sposarsi. In casa il marito e i figli aiutano la donna a cucinare e a fare i lavori domestici e tutti danno il loro contributo. I bambini sono molto amati ed è considerato positivo averne anche più di 10.
09/03. I nostri amici ci prestano i loro migliori abiti perché oggi dobbiamo andare a vedere il festival ed è meglio vestirsi in modo consono. Le donne portano il kira formato da una tunica di colore vivace lunga fino ai piedi e bloccata all’altezza della vita da una cintura di stoffa. Sopra a questa si indossa una giacca di seta . Gli uomini portano il gho, un lungo abito che piegato all’indietro e bloccato con una cintura arriva al ginocchio. Calzettoni di tipo scozzese di colore scuro completano il tutto. Il festival di Punakha dura 5 giorni duranti i quali si susseguono preghiere e danze in maschera. I monaci indossano abiti raffiguranti divinità e danzano. La festa è molto importante per la gente del posto che accorre da tutta la regione sfoggiando gli abiti migliori. Incontriamo anche alcune donne laya con il loro caratteristico cappello conico,appartenenti ad un’etnia che vive a più di 3000 mt di altezza.Nel pomeriggio dopo esserci cambiati i vestiti proseguiamo in mountain-bike per il Khamsum Yule Namgyel monastery, il villaggio di Wangdi Phodrang e Tashithang a 23 km da Punakha. Rientriamo in città verso sera.
10/03 Dopo la colazione ritorniamo alla fortezza per vedere altre danze a cui partecipa anche il cognato di Renzine. Proseguiamo con le biciclette per il passo Dochula, fermandoci per il pranzo in un villaggio deserto perché tutti gli abitanti sono al festival. Renzine decide quindi, visto che anche il ristorante è chiuso, di improvvisarsi cuoco e ci dà da mangiare brodo avanzato con uova e tagliolini utilizzando la cucina del locale.Sul passo di Dochula nevica e quindi scendiamo in fretta. Lungo la strada alcune persone ci fermano perché vogliono acquistare le nostre bici, ma Renzine gli dice che le comprerà lui.
In tarda serata arriviamo a Paro, seconda città del Bhutan che ospita l’aeroporto internazionale.
11/03 Dopo la colazione proseguiamo per Ramthangkha e saliamo a piedi fino al Taktsang, monastero costruito vicino alla grotta in cui meditò il Guru Rimpoche arrivato dal Tibet, uno dei più venerati luoghi sacri buddisti al mondo. Visitiamo poi la valle di Paro, dove le facciate delle abitazioni sono decorate con affreschi raffiguranti l’organo sessuale maschile a protezione degli spiriti maligni. Le case sono fatte in terra battuta e gli infissi sono di legno finemente lavorato. Rientrati a Paro, visitiamo il National Museum con la sua grande collezione di francobolli (la produzione di francobolli in Bhutan rappresenta una grande fonte di reddito). In città, come in tutto il resto del paese, mancano completamente negozi di souvenir e articoli per turisti. Nessuno ti ferma per cercare di vendere qualcosa. 12/03. Purtroppo questa settimana l’unico aereo che parte da Paro va a Bangkok e quindi siamo costretti a rientrare in India da Phuentsholing dove arriviamo in tarda serata. Renzine compra le nostre 2 mountain-bike e per nostra fortuna stabilisce lui il prezzo. Abituati infatti agli altri paesi asiatici in cui i prezzi sono bassissimi e tutto si contratta, noi avremmo sicuramente proposto un prezzo più basso. In Bhutan invece sono ricchi e appena hanno qualche soldo in mano lo spendono perché dicono che la vita è breve ed è giusto divertirsi. Spesso i negozi e i locali sono chiusi: i proprietari preferiscono andare in vacanza a spendere quanto guadagnato e lasciano ai dipendenti la gestione del locale.
13/03. Alle 6.30 partiamo per Bagdogra (3-4 ore di macchina ) dopo aver collezionato un’altra serie di timbri alla dogana indiana. L’aereo (volo Bagdogra- Dheli delle 12.35) fa sosta in Assam e quindi i controlli antiterrorismo sono severissimi. Ci perquisiscono 2 volte e il bagaglio a mano viene ispezionato rovesciando lo zaino e controllando ogni cosa nei minimi dettagli. Le batterie , comprese anche quelle della macchina fotografica, non sono ammesse e vengono sequestrate. Arriviamo in orario a Delhi dove con un taxi prepagato raggiungiamo l’hotel Namaskar.
15/04 Ore 02 del mattino aereo per Zurigo.