Bali-lombok-gili
Camminiamo nelle vie di Kuta, atlantide dei surfisti. Kuta è una cittadina singolare, regno incontaminato per gli acquisti e tempio del turismo di massa. Le sue vie sono un’incessante catena di negozi colorati, di parei, di ciabatte, di artigianato, di vestiti…Che mi fanno rimpiangere l’avere lo zaino così pieno. A Kuta tutti vengono contagiati da una bulimia di acquisti, difficilmente si riesce ad esserne immuni…Io per prima ne subisco un attacco acuto, ma riesco a frenarmi, il viaggio è lungo e di occasioni per assecondare i miei istinti shoppinanti ce ne saranno tantissime! I marciapiedi brulicano di offerte agli dei, cestini fatti di palme con fiori, incensi, riso, biscotti, caramelle…Che alla mattina fanno bella mostra di se, ma con l’arrivo delle tenebre giacciono sfatti e pestati, pronti ad essere sostituiti la mattina seguente da donne dai dolci lineamenti che con grazia innata depongono le nuove offerte.
Il giorno seguente raggiungiamo la famosa spiaggia di Kuta, dove, folle di surfisti perlopiu’ australiani, con tatuaggi in vista, pettorali scolpiti e lunghi capelli bruciati dal sole, impavidi, sfidano onde gigantesche. La spiaggia è sovraffollata, di parei colorati adagiati sulla sabbia a mo’ di asciugamani, di belle ragazze bionde, di fustaccioni muscolosi, di venditori ambulanti che starnazzano le loro tiritere pro-acquisti…Il sole è coperto dalle nuvole, ma la sua intensità non è offuscata. Meglio coprirsi bene di crema solare, che già la pelle comincia ad irritarsi. La serata è dedicata alla ricerca di un’auto a noleggio. Qui vige il principio della contrattazione, quindi, qualsiasi tuo bisogno, va sapientemente contrattato. Alla fine scegliamo il miglior offerente, e domani, saremo pronti per trasferirci verso Ubud. La mattina seguente, la nostra jeep contrattata è pronta per essere farcita con i nostri zaini. Luca viene “eletto” autista e con sapiente maestria ci conduce fuori dalle intricate stradine di Kuta. Guidare in Indonesia presuppone due grandi capacità: sangue freddo ed attenzione costante. La conoscenza delle norme di circolazione è opzionale, dato che qui, sembrano tutti ignorarle. Quindi dimenticare che chi viene da destra ha sempre la precedenza è una buona abitudine da adottare.Ricordarsi di strombazzare sempre e comunque è una buona usanza. Mentre si guida, soprattutto in strade trafficate, è possibile subire attacchi da onde di motorini che ti arrivano contro, di fianco, dietro, ovunque, a velocità folle e con sferzo del pericolo, come branchi di piranha sembra ti vogliano sbranare. Insomma, l’impatto con le strade indonesiane, mi suscita una certa apprensione, un sovrasforzo di attenzione e di concentrazione per assistere un tuttavia tranquillissimo Luca, che, noncurante, si diverte a fare gli slalom tra motoveicoli impazziti e camion sovraccarichi. Nel primo pomeriggio, arriviamo ad Ubud. Troviamo alloggio in un bungalow spettacolare, una tipica costruzione balinese in muratura, immersa nel verde. Cerchiamo subito di prendere confidenza con il posto. A gesti ci facciamo capire da Wayan, il ragazzo che si prenderà cura di noi in questo alloggio. Rompiamo rapidamente il ghiaccio, e, nonostante lui non parli l’inglese, l’intesa c’è. Infatti la sera, lo carichiamo in macchina con noi, e ci facciamo accompagnare a Sanur, dove mangiamo un’ottimo pesce in riva al mare, e poi a Celuk, dove si sta svolgendo una cerimonia in un tempio. Wayan, sapientemente ci abbiglia, siamo un po’ ridicoli avvolti in questi parei e non riusciamo a terminare di ridere! Quando ci riprendiamo dalle risa, varchiamo la soglia del tempio. L’atmosfera è magica. L’aria è intrisa di odore d’incenso e di musiche assordanti, che comunque non rinnegano una certa armonia d’insieme. Sono sbalordita, mi sento rapita da questi riti finora sconosciuti, ma così coinvolgenti. C’è un via vai di donne, bellissime, abbigliate in parei colorati che portano in testa cesti di offerte. Poi i bambini, nei lori vestiti tipici, che , con circospezione ci scrutano da testa a piedi. Descrivere la cerimonia non è un’impresa semplice. Avvengono piu’ cose contemporaneamente e alle quali non riesco a dare un senso preciso. In un angolo c’è un gruppo di persone vestite di bianco, sopra un’altare c’è una donna anziana che suona una campana, di fronte ad un altro altare pieno di fiori delle donne inginocchiate sembrano pregare, piu’ giu’, un uomo pianta delle marionette e canta a squarciagola, poi c’è il gruppo che suona il golem e un uomo mascherato che balla. Vicino all’entrata un vecchio gioca con un gruppo di bambini, una specie di tombola con i dadi…Insomma la confusione per me è tanta, ma il senso di tutte queste cose c’è sicuramente. Il mio terrore di essere considerata un’intrusa, svanisce quando vedo gli sguardi felici delle persone. Cercano l’occasione di entrare in contatto con me e, chi parla inglese, è ben felice di cercare di spiegarmi quello che sta succedendo. L’eccitazione per noi tre è alle stelle, l’esperienza che stiamo facendo è bellissima .
Un’impatto meno bello lo abbiamo invece all’alba, quando veniamo tutti e tre svegliati dai chicchirichì martellanti dei galli. Un’altra buona abitudine, quando si viaggia in Indonesia, è quella di fornirsi di tappi per le orecchie di buona qualità. Purtroppo gli Indonesiani, hanno il pessimo culto dell’allevamento dei galli. Li curano, li nutrono, li allevano, per preparali al cock fighting, una pratica triste e crudele, della quale parlero’ piu’ avanti. Ad ogni modo, non c’è casa che non abbia il suo gallo che canta e canta e canta a qualsiasi ora della notte, infrangendo qualsiasi fuso orario o levata del sole.
Il giorno dopo decidiamo di raggiungere Tanah Lot, il tempio dedicato agli dei marini. La posizione nella quale si trova è splendida. Sorge, maestoso, in un ritaglio di scogliera e, imponente domina il mare. Si dice che da qui è possibile scorgere anche tutti gli altri tempi marini (Ulu Watu e Rambut Siwi), seguendo l’orizzonte come un filo sottile. Pur essendo posizionato in uno scenario singolare, in realtà è una macchina attira turisti. Il percorso per raggiungerlo è centellinato al fine di ottimizzare lo “spellamento” delle masse di turisti accorsi fino a qui per godersi gli spettacolari tramonti da immortalare nei rullini fotografici. Noi ci arriviamo di mattina, quindi non ci imbattiamo in particolari riti consumistici, né ammiriamo i tanto decantati tramonti. Poco male, l’atmosfera consumistica che regna in questo angolo di Bali, non è quello che andiamo cercando. Torniamo ad Ubud per la sera, attraversando immense risaie dove le donne, ricurve, lavorano incessantemente. Domani ci sveglieremo presto (ma la sveglia non servirà- ci penseranno i galli), dobbiamo tornare a Kuta a prendere Lisa, Nicola e Serena che arriveranno dall’Italia per aggiungersi a noi in questa avventura. Dopo aver respirato per due giorni l’atmosfera rilassante e tranquilla di Ubud, tornare a Kuta è come una “doccia fredda”. Mi sembra ancora piu’ caotica e disordinata rispetto a come la ricordavo. Il traffico è indescrivibile. Luca, ci scarica in centro per assecondare alle nostre vanità: infatti io ed Annalisa decidiamo di andare a farci fare le treccine. Lui invece proseguirà fino a Denpasar, e pazientemente aspetterà l’arrivo degli altri tre. Così io ed Annalisa trascorriamo ore dentro ad un salone di parrucchiera, circondate da ragazze che ci lavorano in testa, intrecciando con infinita pazienza le ciocche dei nostri capelli. Quando l’opera è terminata, decidiamo di prendere la corriera che ci riporterà alla pace di Ubud. La corriera è un po’ malmessa, i sedili troppo stretti, troppo molleggiati, ma in men che non si dica arriviamo a destinazione. Luca e gli altri ancora non si vedono. Arriveranno dopo qualche ora, hanno tutti fatto l’en plein di perdita bagagli, e arrivano, esausti, sudati e stanchissimi alla ricerca di un letto dove riprendersi dal lungo viaggio. La mattina seguente, recuperate le forze, siamo tutti in piedi pronti per scoprire le strade di Ubud. Durante la notte hanno consegnato anche i bagagli, con enorme sollievo dei nostri compagni di viaggio. Prima tappa: Monkey Forest. Entriamo nella foresta di proprietà delle scimmie. Ci immergiamo nel verde che abbraccia templi e da’ospitalità a branchi di macachi. E’ quasi scioccante osservare queste scimmie e riconoscere in ogni loro gesto un atteggiamento umano. Le indicazioni che le guide forniscono parlano chiaro: non avvicinare le scimmie, e, soprattutto vigilare sui proprio averi. Questi esserini hanno sviluppato un’incredibile capacità al furto. Ovviamente cadiamo in fallo, un maschio particolarmente robusto si avventa su Annalisa, le ruba la bottiglia d’ acqua, la apre, e la beve, sotto i nostri sguardi attoniti. Poi proseguiamo in un sentiero che ci fa attraversare minuscoli agglomerati di case, dove si susseguono botteghe di scultori del legno e pittori. Attraversiamo campi coltivati pieni di spaventapasseri, mentre in cielo, aquiloni colorati volano alti. Il paesaggio è davvero bello, rilassante, verde e tranquillo. La gente è cordiale, sorride e ci saluta volentieri. Dopo qualche ora siamo di ritorno. Il giorno seguente ci aspetta una nuova esperienza, unica ed esaltante. Infatti raggiungiamo il paese di Banjar Kelodan Jampak Siring, dove ci sarà una spettacolare cremazione..In tanti mi hanno parlato della singolarità di queste cerimonie. Raggiungiamo la casa del defunto. Fuori da questa, imponente c’è un toro costruito di carta pesta e riccamente decorato, e una grande pira.Tanti uomini fanno le prove per sollevare e spostare questi baldacchini. Il cerimoniale è piuttosto complesso e dura tutta la giornata: il defunto viene lavato, benedetto e vestito all’interno della casa, tra gli sguardi di tutti i presenti ( io compresa!- spettacolo raccapricciante!), una volta pronto viene caricato nella pira. Poi gli uomini trasportano a braccia pira e toro, mentre il corteo che li precede suona musiche assordanti. Durante il tragitto, che va dalla casa del defunto, al posto dove avverrà la cremazione, la pira e il toro vengono girati e rigirati, questo con lo scopo di impedire ai demoni della morte il minimo orientamento. Si sa, per la religione Hindu, la reincarnazione è contemplata, quindi tutti gli espedienti sono buoni per evitare ai demoni di portarsi via per sempre l’anima del morto. Raggiunto il luogo della cremazione, il cadavere viene trasportato all’interno del toro, figura simbolica, che permette la reincarnazione. Poi a tutto viene dato fuoco. La giornata è lunga, è caldo, ma l’esperienza è davvero unica! Il giorno seguente prendiamo i bagagli perché domani un nuovo spostamento ci aspetta. Ce ne andremo verso Lombok, per poi approdare alle paradisiache Gili Islands.
Sveglia all’alba, prendiamo un pulmino che poi farà tappa nei vari alberghi. Alla fine del giro siamo in sovraccarico. Pressati e sudati arriviamo fino a Padangbai, dove attendiamo il fast ferry che ci condurrà a Lembar, nell’Isola di Lombok. Siamo un po’ in anticipo, per ingannare l’attesa facciamo colazione in un posto un po’ singolare, dove ogni cibaria offerta ha il nome di un calciatore italiano! Pazzesco in Indonesia il calcio italiano sembra essere lo sport nazionale. Non c’è giovane che non conosca a menadito la formazione della nazionale italiana. Non c’è giovane che non abbia scommesso un sacco di soldi sulla vincita dell’Italia contro la Corea, come ben noto oramai, perdendo miseramente la cifra…Ad ogni modo, quando i ragazzi indonesiani recepiscono che siamo italiani, iniziano l’insopportabile (per me) elencazione delle formazioni delle squadre di serie A.
L’attesa scivola via, tra un paincake alla banana e un pinapple juice . Ordinatamente, assieme ad altri turisti, ci imbarchiamo in questa nave, che ha l’aspetto di un grande motoscafo allungato. Si parte, il modo ondoso che si deve sopportare all’interno è molto fastidioso. Si volteggia disordinatamente tra le onde, provocando sconquassi indicibili ai nostri poveri stomaci che stanno digerendo le banane mescolate al paincake. Dopo due ore tocchiamo terra. Siamo a Lembar e la terra continua ad ondeggiare sotto ai miei piedi. Mentre cerco di trovare un punto di riferimento preciso dove indirizzare il mio sguardo al fine di ritrovare l’equilibrio perduto, mi viene comunicato che un nuovo pulmino ci sta aspettando per continuare il viaggio. Carichiamo i bagagli e saliamo noi, ma poi arriva altra gente, che a loro volta carica altri bagagli e che poi sale, e poi altra gente ancora, che carica altri bagagli e poi sale…Siamo ammassati. Un pulmino da 6 posti ha almeno il doppio di passeggeri, ognuno con almeno uno zaino a carico. L’aria è irrespirabile, non abbiamo nemmeno il tempo di obiettare che chiudono il portellone e siamo in viaggio. Attraversiamo una Lombok verde, a volte un po’ squallida, decisamente meno turistica ed attrezzata di Bali. Scaliamo un monte popolato da scimmie, ansimiamo quando l’autista sembra addormentarsi sul volante di questo pulmino- mulo, caricato all’inverosimile che caparbiamente continua a macinare chilometri di asfalto rovente. Dopo piu’ di un’ora finalmente veniamo scaricati a Bengsal. Qui altra tappa inganna tempo-pro acquisto. Veniamo quasi assaliti da locali che cercano di venderci qualsiasi mercanzia, dalle collanine, all’autan, ai biglietti per il ritorno, al cibo. Poi con un cidomo, il tipico carrettino trainato da un mulo, veniamo trascinati al porticciolo d’imbarco. Le Gili Islands si stagliano di fronte a noi, ma, a quanto pare, nessuna barca sta attendendo il nostro arrivo…Luca va ad informarsi della situazione. Due le ipotesi: o aspettare una public boat, la barca che fa servizio di linea regolare tra le isole e Lombok, il cui prezzo è irrisorio, ma che non partirà prima di qualche ora, o affittare noi stessi un’imbarcazione, pagando tre volte il prezzo del biglietto, ma con la possibilità di partire subito. Una rapida occhiata e siamo tutti d’accordo. Prendiamo una barca che parta subito, siamo troppo sudati, troppo esausti per temporeggiare ulteriormente il nostro arrivo a Gili Trawangan. Saliamo in questa barca dai grandi bilancieri in bambu’.Ci sistemiamo e via, prediamo il volo solcando le onde come quasi a volare sul pelo dell’acqua. Di tanto in tanto una onda anomala ci investe e tra le risa cerchiamo di salvare i bagagli dal lavaggio forzato. Approdiamo in quest’Isola dalla sabbia bianca. Scendiamo rocambolescamente dalla barca che oscilla. Ovviamente io mi inciampo e cado in acqua. Normale-in queste azioni sono sempre particolarmente imbranata.
Un nugolo di ragazzini ci attornia proponendoci questo o quel bungalow. Ma noi vogliamo scegliere liberamente. Io e Luca ci sistemiamo sotto ad una palma, teniamo d’occhio gli zaini, mentre Lisa ed Annalisa prendono direzione ovest, e Nicola e Serena direzione est, tutti alla ricerca di un alloggio e pronti a contrattare per strappare l’offerta migliore. Dopo un’oretta sono tutti di ritorno e si fa il punto della situazione. A quanto pare Nicola e Serena sono riusciti a strappare il prezzo migliore, per tre bungalow vicini. Contrattiamo un passaggio con un cidomo e arriviamo a destinazione. Effettivamente i bungalows non sono per niente male. Sembrano delle palafitte, tutti in paglia, e l’arredamento è in bambu’. La spiaggia è a meno di 50 mt. A quest’ora del pomeriggio l’acqua è quasi completamente ritirata, scoprendo un’immensa distesa di coralli morti e di barriera corallina, dove su piccole pozze d’acqua piccoli pesciolini continuano a nuotare. Il paesaggio è selvaggio: una lunghissima distesa di sabbia bianca e coralli, palme, l’oceano, l’isola di Gili Meno di fronte a noi, il sole, immensa palla di fuoco arroventata che lentamente sparisce all’orizzonte. Non c’è che dire, sembra di essere fuori dal mondo! Ripreseci dal viaggio estenuante, la sera ci incamminiamo verso il “centro” dell’Isola, dove, ai margini di una piccola stradina lastricata, sorgono ristoranti e bar. Luca, che anche qui c’è gia’ stato, ci propone di andare a fare una scorpacciata di pesce dal suo vecchio amico Lucky Man. Ce lo presenta, contrattiamo un pochino, e i nostri stomaci vengono abbondantemente rifocillati con una mega cena a base di barracuda, red snipe, calamari ecc, per una cifra veramente irrisoria. Una cosa positiva dell’Indonesia è lo stile di vita estremamente economico che offre. Tutto, se contrattato con un certo criterio, ha prezzi che in Italia possiamo sognare. Percio’ risulta possibile mangiare dell’ottimo pesce per 2/3 euro, acquistare qualsiasi cosa pagando come minimo 3 o 4 volte in meno del prezzo praticato in Italia. Se poi piace (come ad esempio a me) la cucina indonesiana, con pochissimi spiccioli è possibile mangiare nasi goren o mie goreng o altri intrugli speziati. Inutile negare, che le mangiate che affrontiamo durante questa vacanza, sono fenomenali, alla faccia di diete o restrizioni alimentari… Il giorno dopo, io Lisa ed Annalisa, come intrepide Indiana Jones, ci avventuriamo alla scoperta dei segreti dell’Isola. Percorriamo sentieri intervallati da splendide baie incontaminate e vegetazione selvaggia. “Circumnavighiamo” a piedi l’isola e dopo poco piu’ di un’ora abbiamo fatto il giro completo. L’isola è veramente un piccolo paradiso, turisticizzata quel che basta per conferirle ancora un aspetto barbaro, vanta la totale assenza di auto. La quiete regalata dal rumore del mare, è guastata di tanto in tanto dal rumore dei i generatori che pompano corrente. Non esiste acqua potabile, e la costa è regalata ai turisti, mentre, all’interno dell’isola, sorge il piccolo villaggio mussulmano, con la moschea, che saltuariamente ricorda la sua presenza facendo trasportare dal vento i suoni delle preghiere. Insomma, il meritato relax, è finalmente arrivato. Il luogo ideale dove “staccare la spina” e dimenticarsi di come si accende un computer o un telefono cellulare (anche se nell’isola sono presenti vari internet cafè, unici fili di contatto con la “civiltà”).
Prese le vesti di “esploratori”, ci avventuriamo alla scoperta delle altre isole. Con una barchetta raggiungiamo la vicina Gili Meno. Questa è decisamente piu’ selvaggia e forse ancor piu’ bella di Trawangan. Lunghissime spiagge candide e mare cristallino. Ci regaliamo un po’ di snorkelling, andando a spiare i pesci, i coralli colorati e le tartarughe! Gli sbalzi di marea sono repentini. Il mare cresce e decresce a velocità incredibile. Infatti, in men che non si dica, il mare si ritira, quindi l’impresa di tornare a Trawangan si fa un po’ difficile. I poveri uomini del gruppo, capitanati dal proprietario della barca, faticano non poco per portare la barca in mare aperto, sollevandola a braccia con anche il dolce carico di noi donne sopra! Le serate procedono tra feste in spiaggia e mangiate di pesce. Le cose vanno proprio bene, troppo bene, e infatti una sera il patatrac. L’insidia non si nascondeva nei fondali marini, né tantomeno in cespugli selvaggi, non era rappresentata da animali tropicali, né da punture di insetti infetti…Ebbene sì, io e Luca, gli esperti backpakers del gruppo, ci ritroviamo immobilizzati a letto grazie ad una pizza ai frutti di mare avariata! Insomma, noi, che dovevamo elargire pillole di saggezza ai viaggiatori novelli, ci ritroviamo K.O. Con un’intossicazione alimentare. Trascorriamo così un nottata turnata da corse disperate in bagno, e da una costante febbricciola che ci deabilita per qualche giorno. Ciononostante, il nostro spirito avventuriero ci fa visitare anche Gili Air, altro scorcio paradisiaco di questo fazzoletto di sabbie indonesiane. Trascorriamo così una settimana cullati dal “dolce far niente”, curando l’abbronzatura e cercando di pianificare il resto del viaggio. Il viaggio di ritorno verso Bali, si prospetta ancora piu’ faticoso e lungo rispetto a quello di andata. Infatti, preparati dalla precedente esperienza, abbandoniamo l’idea di affidarci al fast ferry (tanto al porto poi ci avrebbero comunicato che il fast ferry è in avaria da alcuni giorni, quindi il ferry normale è l’unica soluzione), ma di pianificare, tappa dopo tappa gli spostamenti. Da Gili Trawangan, riusciamo a prendere la public boat che ci porta a Bengsal. Da qui saliamo in una jeep, che a ritroso, percorrerà la via dell’andata. A Lembar, l’unica alternativa è lo slow ferry, e quindi ci sorbiamo quasi 6 ore sul ponte di questa enorme nave, facendoci rosolare e grigliare da raggi ultravioletti che violentano letteralmente il candore delle nostre pelli. Per finire, da Padangbai prendiamo un pulmino e ritroviamo la via di Ubud. Troviamo un nuovo alloggio, ancora piu’ economico e carino, in una via secondaria di Ubud. Cerchiamo di riprenderci dal viaggio distruttivo. Siamo tutti ustionati e sfoggiamo un colorito rosso fosforescente. Ritroviamo la quiete per un paio di giorni e poi noleggiamo un jeppone e ci avventuriamo alla scoperta dell’estrema costa orientale di Bali . Prima tappa: Amed. Consumiamo chilometri di strade dissestate, attraversiamo scenari bellissimi, sbagliamo strada un paio di volte, e poi, finalmente, approdiamo in quest’angolo di una Bali diversa, dove le spiagge sono nere e le costruzioni meno europee. Ci sistemiamo in tre piccoli bungalows un po’ spartani. Il paesaggio è collinare e i panorami sono spettacolari.Le spiagge poi sono troppo caratteristiche. Infatti, verso sera, vengono invase dalle barche variopinte (jukung) dei pescatori che le arenano nella sabbia scura. Davanti abbiamo Lombok, e alle spalle il Gunung Agung, un rilievo montuoso. Il giorno seguente andiamo a Tulamben, la cui grande attrattiva è il relitto sommerso di un cargo americano, il Liberty. Questo relitto si trova a circa 50 mt dalla costa ed è lungo piu’ di 100 mt. Affittiamo pinne e maschere e ci immergiamo alla scoperta di questo pezzo di storia. E’ una sensazione esaltante nuotare sopra ai resti di questa nave: sono ancora ben visibili i resti dei cannoni, oramai incrostati da coralli colorati. I pesci tropicali sono diventati i nuovi inquilini di questa ex nave da guerra, e nuotano indisturbati tra la carcassa. Mentre rientriamo ad Amed, ci imbattiamo in una folla colorata e rumorosa di persone. Parcheggiamo l’auto e andiamo a vedere che sta succedendo. Capitiamo nel bel mezzo di un cock fighting, la lotta dei galli. Il fragore delle persone è altissimo. Il mio grado di orrore indicibile. Rimango sgomenta, rattristata, schifata da questa pratica, che sarà pure antica, ma al pari, è anche estremamente crudele. I galli vengono fatti combattere in una piccola arena. Alle zampe vengono legate delle lame affilate, così, ad ogni salto, il gallo avversario potrà ferire l’altro. La lotta dura lo spazio di alcuni minuti, che subito il sangue scorre sul terreno. Il gallo agonizzante, ancora in vita, viene squartato e tagliato, e dato in dono al patrone del gallo vincitore. Questa cruenta attività è condita da un fiorente giro di scommesse. Gli uomini sono in fermento con le puntate e maneggiano nervosamente mazzette di banconote. Mi sento male, ma voglio restare per assaggiare anche il lato violento di questa cultura. Trascorriamo la serata in spiaggia. Dopo aver mangiato in un piccolo locale sulla spiaggia, facciamo conoscenza con alcuni ragazzi del luogo che ci invitano ad una festa in spiaggia. Attorno ad un falo’, sono radunati tanti ragazzi che,a squarciagola cantano canzoni kecak. L’atmosfera è molto coinvolgente. Tra un sorso di arak (distillato di riso) e un altro ci ritroviamo a danzare intorno al fuoco e ad accompagnare i canti di questi ragazzi! Decidiamo di spostarci verso Lovina, vecchio centro turistico, ora soppiantato da Kuta e Nusa Dua. Attraversiamo una trafficata Singaraja e già ci troviamo a Lovina, che poi non è che un’agglomerato di piccoli villaggi. Troviamo riposo in un albergo che è una meraviglia, primo per la qualità della struttura e la bellezza dell’ubicazione, secondo per il prezzo stracciatissimo che riusciamo a spuntare. Anche qui la spiaggia, come ad Amed, è di origine vulcanica, e quindi nera. Questo luogo è famoso soprattutto per gli avvistamenti dei delfini. Un classico, per chi arriva qui, è la gita all’alba per osservare i delfini, attrattiva allettante alla quale non ci sottraiamo. Infatti il simbolo di Lovina, è proprio quello del delfino, la cui stata in cemento gigante è posizionata sulla piazza centrale della cittadina. Una mattina, all’alba, raggiungiamo la spiaggia, e con dei pescatori solchiamo un mare piatto e di un blu intenso. I delfini non tardano a farsi avvistare. Sono tantissimi ed ordinatamente nuotano lentamente. Li seguiamo in silenzio per non disturbarli. Il cuore mi batte forte, è uno spettacolo indimenticabile. A volte ho come l’impressione che la nostra presenza li disturbi, si immergono per un po’, ma poi ritornano a nuotare a pelo d’acqua, facendosi ammirare in tutta la loro bellezza.
Da qui visitiamo anche il Pura Besatik, l’enorme complesso di templi che si trova sul monte Gunung Agung, a 1000 mt di altezza. Gli ultimi giorni ci vedono arrivare a Gilimanuk dove dedichiamo una visita al parco nazionale, che ospita strane specie di animali e piante secolari. La nostra avventura è oramai agli sgoccioli. Ritorniamo ad Ubud per riconsegnare l’auto, e il giorno seguente ritorniamo a Kuta, dove, finalmente, diamo sfogo ai nostri bisogni consumistici. Entriamo ed usciamo da mille negozi, la febbre della contrattazione è alle stelle. Acquistiamo di tutto e di piu’, conduciamo ferree contrattazioni, siamo oramai commercianti provetti. Trascorriamo nottate di divertimento nelle discoteche, dove balliamo ed ammiriamo bellissimi esemplari di giovani vacanzieri. Che dire, tutti abbiamo un “groppo in gola”, cerchiamo di non pensare all’imminente partenza… Le prime vittime del rientro forzato sono Annalisa e Lisa, che all’alba caricano i loro zaini in spalla e si preparano a salutare questo luogo incantevole. Poi ci salutano, con meno tristezza Sere e Nico, dato che la loro vacanza proseguirà in Tailandia. Luca invece non partirà. Rimarrà qui a tempo indeterminato. Allora, quando arriva il mio turno, con tanta malinconia lo saluto e mi appresto a solcare le migliaia di chilometri di cielo che mi separano dall’Italia. Sono triste, ripenso a questa che è stata un’esperienza indimenticabile. Ho la tentazione di fare in modo di perdere l’aereo ..Ma poi…