Motociclisticamente cattolici musulmani ortodossi

Partiamo il 2 agosto 2005 da Carbonia in due, ma con la motociclistica compagnia della Suzuki TU 250 X di Emanuele. Arrivati a Cagliari ci imbarchiamo per Civitavecchia e la serata si chiude commentando il clima un po’ troppo rigido per agosto, saranno solo le prime avvisaglie. Trascorriamo la notte in ponte ma la nave è fulmine, torpedine,...
Scritto da: IgorEffe
motociclisticamente cattolici musulmani ortodossi
Partenza il: 02/08/2005
Ritorno il: 18/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Partiamo il 2 agosto 2005 da Carbonia in due, ma con la motociclistica compagnia della Suzuki TU 250 X di Emanuele. Arrivati a Cagliari ci imbarchiamo per Civitavecchia e la serata si chiude commentando il clima un po’ troppo rigido per agosto, saranno solo le prime avvisaglie. Trascorriamo la notte in ponte ma la nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia.

L’indomani ci svegliamo a Civitavecchia, sbarchiamo e impavidi puntiamo per il porto di Ancona, dopo pochi ckilometri siamo belli e costretti alla resa di fronte ad un bel temporale. Le pause-causa-pioggia saranno una costante per tutti i trecentocinquanta chilometri con i quali tagliamo in due l’italica penisola, il freddo un po’ ci scoraggia ma abbiamo comunque occasione di visitare Spoleto e Foligno, alle diciannove ci imbarchiamo sull’Adriatica versione della Tirrenia, se possibile pure peggiore di quella tirrena, seconda notte in ponte, ma ci sveglieremo a Split, o a Spalato secondo chi la legge.

La Tirrenia puzza di sudore di mare morto e ci porta nei balcani.

Il quattromattina sbarchiamo in terra di Croazia, a Spalato girottiamo un poco e ci imbarchiamo per Brac, vaghiamo per quest’isola veramente petrosa forse pure più di Itaca e delle varie Krk, Pag, Rab viste l’estate prima, troviamo paeselli costruiti con la pietra e Chiese cristiane pure, pochi abitanti, arriviamo a Bol dove c’è una spiaggia carina ma di pietre, fa parecchio freddo e non facciamo il bagno, torniamo al paesello di Supetar, ceniamo facciamo qualche giro per il centro, ritroviamo la Karlovacko dell’estate prima, e andiamo a piazzare tenda su un posto di pietra visto la mattina, la tempesta ci costringerà a spostare la tenda nel bel mezzo della notte cosicchè finiamo in una pietrosa proprietà privata. La mattina del cinque veniamo svegliati dal proprietario di quella terra di pietre, che ci strilla qualcosa in croato, noi usciamo “Where are you from?”, “Italy” “Italianski mafiosi!!! Sicilia, Calabria, mafiosi!!!”, “We’re Sardinnya’s people”, “Ohhh Sardinya very good cheese, and wine too!!”, si rilassa prendiamo la nostra roba e ce ne andiamo!! Al porto ci spiegano che può partire solo la nave per Spalato/Split, veloci come saette la prendiamo per un pelo.

Siamo nuovamente a Spalato e ci avventuriamo per la strada costiera, qui ci diamo cambi regolari alla guida, io imparai l’estate prima a guidare la moto e sebbene non abbia la patente credo proprio che mi spetti ad honorem per le condizioni avverse in cui ho guidato e le situazioni difficili che sono riuscito pur con inesperienza a superare motociclisticamente. La strada costiera la facciamo tutta sino a Makarska, le montagne si alzano direttamente dal mare e noi le superiamo, con strapiombi da vertigine e sventagliate da paura che fanno sbandare paurosamente il mezzo ad ogni curva, a trenta all’ora, ma le superiamo. Arriviamo a Makarska. La sera incredibilmente arriva addirittura un uragano!!!! La gente si tiene ai pali per la strada in scene apocalittiche, noi decidiamo di mangiare rispettivamente del pesce e della carne, il lungomare accoglie delle bellissime ragazze croate e germaniche, la notte troviamo alloggio in un appartamani, 15 euro a testa bella stanza con tv, e bel bagno pulito, di fianco alla spiaggia, una Signora di Salerno ci spiega che sta lì da una settimana con famiglia ed è stata al mare solo due volte per via della pioggia, l’indomani partirà, noi pure.

Il sei ci svegliamo, montiamo i bagagli sulla moto, ci mangiamo un banana split e cappuccino e partiamo, fortissimamente partiamo, arriviamo a Metkovic, paesello di confine, preceduto da bellissimi laghi, e pranziamo, bistecca patatine e bella pivo/birra come tex willer, il locandiere della locanda alla quale ci accompagna un simpatico indigeno conosciuto in loco, mi chiama professore per tutta la durata del pranzo perché mi sforzo di tradurre il menù e di spiccicare qualcosa in serbo-croato, “che prende professore?”, “il conto professore??”, paghiamo e partiamo. Arrivati al confine, memore di quello italo-sloveno e poi croato pure, lo prendo un po’ sottogamba e mi metto a fare qualche foto molto stupidamente, il doganiere, che poi è un militare dell’esercito croato, s’incazza veramente, esce dal casotto e mi prende a urla croate, io non ci capisco nulla, ma non per questo son più tranquillo, cerco di chiedere scusa ma lui è imbufalito per le foto e chiama il suo superiore che per fortuna è una ragazza, molto più dialogante e parla l’inglese, mi spiega che devo cancellare le foto fatte al confine ed io lo faccio immediatamente, “I’m sorry”, “nema problema”, “hvala davjenia”, “davjenia” e partiamo, qualche centinaia di metri e troviamo la dogana bosniaca, qui nel senso contrario (per entrare in Croazia) una fila lunghissima, noi mostriamo i documenti ed entriamo in Bosnia in realtà molto intimoriti per il fatto della dogana, per le strade un po’ vecchiotte e per la sensazione di avere un po’ abbandonato l’occidente che si è pienamente conquistato la Croazia. Avremo tutto il tempo per cambiare idea.

Decidiamo di andare a Medjugorie, nella parte della Bosnia vicina alla Croazia ed abitata solamente da Cristiani croati che hanno fatto una bella mattanza di serbi-ortodossi e di musulmani ed ora sventolano ovunque le bandiere della Croazia con il simbolo degli Ustasci e sono molto amareggiati di essere separati dalla madre patria. A Medugorje hanno addirittura visto la Madonna e allora hanno fatto il paese con grande chiesa pacchiana al centro di una piazza dove ci saranno stati 40 gradi e ovunque statue sacre, cartoline, rosari, acqua santa, preti per la strada benediscono e i pullman da un parcheggio immenso scaricano ininterrottamente i fedeli, i papaboys cantano e si scambiano il cinque per la strada, gli edifici sono pieni di cristiani italiani, gli stessi che abbiamo incontrato in nave andata e ritorno, Emanuele avrà la barba da un mese, io, che sono poco ariano pure in inverno, sono mediamente abbronzato e con gli zaini sulle spalle tutti ci guardano quasi che fossimo intrusi, forse scambiandoci per mori, partiamo, fortissimamente partiamo.

In serata dopo aver attraversato svariati tratti montuosi arriviamo a Mostar, la prendiamo dall’alto e come scendiamo troviamo prima i cimiteri e poi la città.. Mostar è simbolo della guerra balcanica, della follia degli ex jugoslavi, abitata per 47% da musulmani, 40 cristiani croati, 13 ortodossi, è città veramente multiculturale e da matrimoni misti e da bellezza disarmante, la spinta dell’invasione ottomana con la riconquista cristiana e l’infiltrazione serba, quando l’amata rossa jugoslava (serba) tenta di impedire l’idipendenza bosniaca bombardando ininterrottamente le città maggiori, Mostar è difesa dai sui abitanti tutti, avrà il suo da fare Milosevic per portarsi dalla sua i serbi di Mostar, dopo un anno riesce pure Tudjiman con i Croati, i musulmani le prenderanno dalle montagne e dall’altra parte del fiume e i parchi delle moschee diventano cimiteri.

Entriamo a Mostar assolutamente incuriositi e ci troviamo di fronte una città abbastanza occidentale, un pò straniti chiediamo “gdje je centar” “here!!!!” (d-o-v-e è i-l c-e-n-t-r-o?) sempre più stupiti capiamo di essere nella parte cristiana della città dove le chiese hanno campanili alti quanto un palazzo di venti piani, in cemento armato e griglie alle finestre e dove le montagne intorno portano croci immense visibili da tutta la città ed illuminate la notte. Ci spostiamo sul fiume e ci sediamo in un bar (kafana) e prendiamo una birra (pivo). La Croazia è regno indiscusso della Karlovacko, che significa di Karlovak che è una città dell’interno, in Slovenia si beve la Lasko pivo, in Bosnia capiamo che regna la Sarajevsko, così lo impariamo presto presto, “dva piva tocena Sarajevska velika hvala” è una frase che torna sempre utile in Bosnia.

Nella kafana conosciamo una ragazza alla quale chiediamo dove possiamo trovare una stanza (apartamani), lei chiama casa sua, e lì ci porta, conosce bene l’inglese e ci spiega che lei è scappata in olanda durante la guerra e lì vive tutt’ora, ci parla un poco di Mostar e ci chiede perché siamo lì, gli spieghiamo che stiamo visitando un pò tutti i balcani, che l’anno prima abbiamo visitato Croazia e Slovenia e quest’anno volevamo visitare Bosnia e Croazia del sud, che abbiamo letto tanto dei balcani e volevamo visitarli, lei risponde “volevate vedere se era tutto vero?? è tutto vero!”.

I suoi parenti-padroni di casa sono gentilissimi, ed assaggiamo il caffè, io chiedo “kafa Turko??”, “No! Bosniaski kafa!!”, insistono per mettere la moto nel loro terrazzino, gli scalini sono molto ripidi e miracolosamente si evita un capitombolo sotto gli occhi attenti di tutta la famiglia.

Doccetta e usciamo.

Andiamo nella città vecchia, nella parte musulmana dove pure abbiamo preso alloggio, ed è veramente bellissima pure al buio, pienissima di gente e musica altissima in ogni dove, ragazze bellissime dai pantaloni a vita bassa, edifici intorno al fiume ricostruiti illuminati, caffè/kafana in ogni angolo, ristoranti e discoteche all’aperto, dimenticati i segni della guerra che pure ci parevano evidenti al nostro ingresso a Mostar.

La mattina del sette agosto ci svegliamo a Mostar ed usciamo, muniti di mappa e dizionario visitiamo tutta la città, la moschea del centro è veramente molto bella, è pure la prima che visitiamo all’interno in assoluto, la guida ci spiega il rito in tutte le sue particolarità, i tappeti, rivolgiti alla mecca, nelle pareti “Allah è grande, Mohammed il suo profeta”, saliamo sul minareto, le scalette molto anguste, “sono arrivato?, sono a metà?” spunto fuori ed un muretto neanche di un metro mi separa da un volo su Mostar, mi colgono svariati svarioni!!! Scendiamo e visitiamo la biblioteca per gli studi islamici, la fontanella dove lavarsi mani, faccia, piedi prima della preghiera, il giardino della moschea è diventato cimitero “cimiteri musulmani uomini tutti uguali, due pietre una sulla testa una sui piedi, uomo sulla testa pietra a forma di turbante, se uomo è andato alla mecca è buon musulmano, ha decorazioni sul turbante se non le ha non è stato alla mecca”, a Mostar otto giardini sono diventati otto cimiteri, vedremo pure cimiteri tutt’intorno alla città. Questa moschea è stata distrutta dai cristiani la notte del 25 dicembre e ricostruita dopo la guerra, avremo modo di vedere come le date abbiano la loro importanza nelle distruzioni più simboliche pure a Sarajevo.

Visitiamo il Ponte Vecchio/Stari Most. Costruito tra il 1557 ed il 1566 dall’architetto ottomano Mimar Hajreddin e da artigiani della città a cui ha dato il nome, buttato nelle acque del Neretva nel 1993 a colpi di granate dall’esercito croato. Il simbolo della città, dell’incontro tra islam e cristianesimo, e del mito musulmano abbattuto, non per motivi militari ma per voler segnare la fine dell‘unità, è stato ricostruito dopo dieci anni con finanziamenti esteri e pure italiani ed oggi i ragazzi di Mostar si tuffano sul Neretva come hanno sempre fatto. Andiamo a visitare la casa turca e qui ci accontentiamo di una guida spagnola, quindi altre belle moschee, andiamo a visitare la sinagoga ma è stata distrutta e non c’è più, la chiesa ortodossa neppure, sono in costruzione.

Visitiamo i viali della città, edifici ricostruiti, in costruzione e rasi al suolo, ognuno porta una targa che spiega quale governo/associazione umanitaria finanzierà la sua ricostruzione, piove e ci fermiamo in un kafana, arriva ora di cena e mangiamo un bel cevapcici. Il cevapcici è una pagnotta grande come metà piatto piano ricolma e straripante di salsicciotti e cipolla cruda, ha il pregio di farti ricordare inesorabilmente il gusto per buone 24 ore, cosi che ne basta uno al giorno e pare sempre che lo hai mangiato 5 minuti prima, noi proviamo per tre giorni consecutivi poi smettiamo.

Dopo cena ancora piove, poca gente in giro, ci fermiamo in un locale dove si balla e pure noi si balla, pure qui ragazze bellissime. Quando orami è molto tardi decidiamo di tornare a casa che ancora diluvia, ci avviamo verso casa di corsa, ma vuoi i sanpietrini lucidissimi, vuoi la pioggia, vuoi qualche birretta Emanuele è vittima di un rovinoso capitombolo, dal quale impiega dieci minuti buoni a riprendersi, io sono incapace di soccorrerlo per le risate, ma arriviamo a casa.

L’otto agosto freschi freschi abbandoniamo Mostar e ci dirigiamo verso Blagaj, un paesello ad una trentina di km dove si trova un ristorante consigliatoci da una amica che ha descritto fedelmente suo viaggio di Bosnia su internet. Mangiamo a due cm dal fiume delle ottime trote con verdure ed il ristoratore usa il fiume come fosse frigorifero, ci mette le bevande, è gentilissimo con noi, e ci saluta con molta amicizia, credo poco abituato ai turisti esteri e sicuramente trovando molto folkloristica la sistemazione nostra e dei bagagli sulla moto, pure i ragazzini del paese si avvicinano a guardarci ed il più grande di loro con fare saggio ci dice “What’s your name?!”. Partiamo per Sarajevo, fortissimamente partiamo!!! Costeggiamo il Neretva che ogni tanto si allarga in laghetti, il panorama è molto bello, molte moschee e molti cimiteri, la strada, la principale di Bosnia è buona non fosse per le due corsie e per i continui blocchi per lavori in corso che ci impediscono di mantenere una media di 60/80 km/h, fa pure moltissimo freddo, jeans, felpa e kway sono il massimo che possiamo indossare ma una volta ancora non è sufficiente, in serata arriviamo a Sarajevo, ci avviciniamo al Centar, “gdje je centar?”, ed iniziamo una veloce perlustrazione motociclistica, il parlamento completamente distrutto di fronte all’Holiday Inn è uno schiaffo, costeggiamo il fiume sulla Marsala Tita e troviamo la “i” di informazioni, il ragazzo parla inglese, non ha stanze ma ci consiglia di trovarci alloggio con garage se teniamo alla moto, troviamo altra “i”, questa volta in spagnolo ci trovano bella stanza alla Guest House Bistrik con garage! Arriviamo in qualche modo al nostro alloggio soprattutto grazie all’aiuto degli autoctoni e nel quartiere di bistrik, dal nostro alloggio pure molto bucolico con cani, polletti, ma pure australiane e francesi, si domina tutta Sarajevo, che si sviluppa in una conca e nei monti circostanti, capiamo l’estrema facilità con la quale i Serbi l’hanno tenuta sotto assedio per tre anni.

Ci laviamo ed alle otto, nella più importante delle cinque preghiere della giornata musulmana, i muezzin richiamano i fedeli, i minareti qui sono tantissimi e, più ancora che Mostar, la città tace in un canto per diversi minuti, noi pure ascoltiamo.

Usciamo per il centro a piedi, moltissimo freddo, girottiamo a casaccio e mangiamo il nostro bravo cevapcici, torniamo a casa non troppo tardi stanchi ed infreddoliti.

La mattina ci svegliamo abbastanza presto (per essere in vacanza si intende) e visitiamo, la antica chiesa ortodossa di Sant‘Arcangelo, Michail e Gavril costruita nel 1730, veramente particolare, e pure quella nuova. La torre dell’orologio Sahat Kula, che scandisce il tempo delle cinque preghiere giornaliere dei musulmani, costruita nel XVII sec. Ai tempi dell’impero ottomano e finita dopo l’occupazione austro-ungarica. L’immensa chiesa cattolica del centro, con imponenti dipinti di angeli che con spade infuocate cacciano o ridimensionano i mori, è stata distrutta con la guerra e ricostrtuita, Papa Giovanni Paolo II è stato a visitarla. Con due anni di ritardo. Ma ci è stato.

Nella piazzetta vicina degli anziani giocano a schacchi e la piazza è il tavolo e cavallo re ecc. Son giganti, al centro della piazza un uomo nudo mantiene con le mani diverse immaginarie circonferenze circondato da colombe, sotto la statua in italiano: “L’uomo multiculturale costruirà il mondo”.

Visitiamo pure la Askenaska sinagoga del 1902 ed il museo ebraico di fianco, e passiamo per il centro con infinite bancarelle dove si lavora e vende il bronzo, arriva l’appetito e ci fermiamo in un simpatico forno del centro dove si può scegliere tra la Kromipirusa alle patate, la Sirnica al formaggio e la Zelijinika agli spinaci, noi bloccati nel dubbio le prendiamo tutte e le consumiamo con dell’ottimo yogurt come consigliatoci via rete.

Visitiamo il municipio Viciknica costruito nel 1892 su base dell’archittettura di Menluk del Cairo e Alhambra in Spagna. Oggi chiuso porta affissa una targa all’ingresso. “Il 25 dicembre dei delinquenti Serbi bruciarono la biblioteca e 2 due milioni di libri al suo interno”, chiediamo e ci spiegano che era divenuta la famosa biblioteca nazionale che tanto cercavamo, una delle più importanti in assoluto dove raccolti stavano libri dei sefarditi fuggiti dalla Spagna, di arabi, cristiani ed ortodossi, il sapere e l’aiuto degli altri, mandato in fumo la notte di natale.

Visitiamo il bazar Gavi Husrev begov bezistan del 1555.

La moschea di Beg e la Medresa, del 1537, 12 stanze ognuna con cupola e comignolo, una sorta di “casa dello studente” per gli studi islamici.

Si fa tardi e decidiamo di rincasare prima di cena, dopo una salita terribile incontriamo il nostro padrone di casa, che moltissimo socievole ci spiega di essere stato professore di matematica e fisica, che con la guerra ha smesso di insegnare ed ora sta in pensione, Emanuele gli spiega che lui sta tentando di divenire insegnante di storia e filosofia, dibattito sull’esattezza delle scienza, il professore non parla un’acca di inglese!!!! Benedetta lingua dei gesti.

Per cena andiamo alla Morica Han (cucina), costruita nel XVII sec., bellissima con tappeti fantastici, già visitata nel pomeriggio, oggi viene utilizzata per degustare tipici cibi della Bosnia, non mancheremo di rendere pieno onore alla cucina mangiando eccellenti leccornie, fine dei Cevapcici.

Girottiamo un po’ per il centro dove scopriamo che non possono essere serviti alcolici, si fa un po’ tardi e troviamo un locale strapieno di variegata gioventù, proprio di fronte all’hotel Europa distrutto. Un fantasma. I Serbi hanno bombardato tutti i principali Hotel per impedire che stampa e delegazioni internazionali potessero rimanere e testimoniare la carneficina. La musica incalza e colorati ragazzi come tarantolati si lanciano in frenetiche danze, cerchiamo di seguirli.

La mattina del dieci ci svegliamo ed andiamo a visitare le poste costruite nel 1914 dopo l’annessione all’impero Austro-ungarico, molto belle nel più classico stile asburgico come l’università di fianco, distrutte con la guerra sono state fedelmente ricostruite.

Visitiamo il Latinska Cuprija, il ponte dove il principe Francesco Ferdinando , giunto per inaugurare l’edificio delle poste, si congedò a seguito di una schioppettata di Gavilo Princip, un anarchico serbo. Una targa indica il punto esatto e noi riviviamo la storia, fu grande guerra.

Visitiamo pure il cimitero musulmano sulla collina vicina alla biblioteca.

Prendiamo il tram per spostarci nella città nuova dove sta il museo nazionale e immediatamente prendiamo una multa, abbiamo fatto i biglietti dall’autista ma dovevamo pure obliterarli.

Arriviamo al museo che descrive tutta la storia di Bosnia e tutte le guerre sostenute, un’infinità, dell’ultima ci sono le armi costruite a mano dai musulmani, tubi saldati ad una molla ed altre ingegnose soluzioni figlie della disperazione. L’ONU dopo gran riunione, gran consiglio, gran dibattito, prese gran decisione. Ci fu l’embargo delle armi per l’ex yugoslavia. I Serbi da tempo avevano in mano i territori yugoslavi dove le armi erano prodotte e venivano generosamente foraggiati dai fratelli Russi del buon Boris Elstin, donatore di libertà abilmente consigliato dalla gradazione alcolica. I Croati venivano fiancheggiati dall’occidente e dalla Germania in particolare, per le prepotenze serbe subite, ed un occhio sull’embargo si poteva chiudere. Quando l’Iran perse la pazienza ed inviò un aereo di armi ai musulmani con grande scandalo per l’ONU tutta, i serbi, che nel territorio spadroneggiavano impunemente, fermarono l’aereo e ammazzarono diversi caschi blu giusto per far capire chi comandava. L’Italia di fronte a tale confusione prese fermamente la posizione dalla storia consegnataci: “forse… ma… ora vediamo… i tempi non sono ancora maturi… non ci sono più le mezze stagioni…”, qualcuno lungimirante consigliò di cogliere occasione internazionale per spezzare finalmente le reni alla Grecia, non se ne fece nulla, ma forse è solo leggenda.

In tre anni di assedio sono morti 10.800 abitanti di Sarajevo e le tombe le trovi ovunque, in tutti i parchi dove bimbi e anziani passeggiano. E tutt’intorno alla città.

Nel giardino del museo troviamo elicotteri militari un po’ rovinati, statue di Tito smesse, ancora armi e pure una coppietta che fa all’amore.

Torniamo verso il centro, a piedi per non sbagliare, e passiamo di fronte all’Holiday Inn ed al palazzo del parlamento ancora più inquietante da vicino, qui i cecchini sparavano e dei signorotti benestanti pagavano qualche migliaia di euro per testare la mira da cacciatore sui poveracci che passavano.

Arriviamo ad un mastodontico edificio teatro-cinema-palazzo dello sport-città mercato dei tempi di Tito, costruttivismo sovietico, pochi fronzoli e moltissimo cemento armato. Sarajevo è sicuramente bellissima per appassionati di architettura, trovi moderni edifici in vetri che riflettono il giorno e ci vedi dentro la notte, edilizia popolare sovietica, poste asburgiche, edifici moreschi, e sedi di culto le più svariante le une di fianco alle altre. Passiamo la facoltà di filosofia che sta dentro ad una chiesa protestante del secolo scorso e torniamo verso casa.

Due chiacchiere con il professore ed andiamo a cenare all’Inat Kuca, di fianco al municipio. Quando quest’ultimo fu costruito alla fine del XIX sec. Furono distrutte le case che lì stavano, ed un proprietario pretese un sacchetto di diamanti e che la sua casa fosse ricostruita fedelmente dall’altra parte del fiume, così fu e l’Inat (=per forza) Kuca oggi è un bellissimo ristorante di specialità bosniache, noi mangiamo TUTTI (!!) questi cibi speziati sebbene addirittura sconsigliati dal cameriere. Pagheremo carissimo il giorno dopo. Arriviamo a fatica al locale tarantolato e poi a letto.

La mattina dell’undici agosto partiamo alla ricerca del tunnel di Sarajevo, scavato durante l’assedio sotto l’aeroporto per superare la cintura Serba, è stato scavato in 5 mesi ed ha permesso l’arrivo dell’elettricità e la fuga dei feriti, il passaggio di presidenti di nazioni in un traffico di 4000 persone in un giorno, proprio sotto l’aeroporto che doveva servire per portare gli aiuti umanitari alla città ma che i Serbi controllavano a loro beffardo piacimento infischiandosene dei caschi blu presenti. Si dice che i caschi blu chiedessero il pizzo agli abitanti di Sarajevo per il passaggio nel tunnel, non so se sia vero ma credo che Srebrenica e il patetico intervento in Bosnia in generale sia sufficiente per vergognarsi del cinico occidente. Il tunnel è diventato un museo, ma dopo svariate ricerche lo troviamo chiuso, ci inoltriamo allora nella repubblica Serba di Bosnia. Le paci di Dayton non consentirono di legittimare in alcun modo le conquiste della guerra, ma di fatto i serbi avevano fatto un bel repulisti di cristiani e musulmani nella zona e così la Bosnia è divenuta un paese federale da multietnico, da una parte la regione croato-musulmana così come era lo schieramento ad inizio guerra, sebbene come dimostra ampiamente la visita della zona l’evoluzione sarebbe stata ben differente, dall’altra parte la repubblica serba di bosnia dove noi ci addentravamo.. La prima sorpresa sono i cartelli stradali scritti in alfabeto cirillico, come cirillica ed assolutamente indecifrabile è tutta la regione, se non da Emanuele che conosce un po’ di greco antico, poi tanti militari di germania ed italiani che ci guardano pure stupiti. Dopo qualche ora siamo nel bel mezzo della natura, bellissima altresì verde più verde di tutte le alpi più alpine del mondo, ma prima e dopo l’asfalto è veramente dissestato dai cingolati, le gallerie scavate a mano nella pietra e la strada s’intreccia ad onirici fiumi blu dipinti di blu senza traccia di uomo alcuna e la moto traballa, ma avanziamo.

Ci fermiamo in una piazzola e si avvicinano dei militari italiani che ci chiedono che facciamo, gli spieghiamo che puntiamo Dubrovnick e ci dicono che saremmo dovuti passare da Mostar, ma noi ci siamo gia passati e tiriamo dritto.

Passiamo per Trnovo e puntiamo Foca, ma prima massima attenzione a deviazione con cartello per Dubrovnik da Brod, che poi è tutto scritto in cirillico e saperlo ti serve a poco.

Per la strada incontriamo paeselli con pochissime case bucoliche, galline libere, mucche che impediscono il passaggio, contadini che prendono il fresco sotto gli alberi e gli operai, che devono rimettere in piedi le strade, pure al fresco sotto gli alberi, tutti seguono i ritmi della natura, delle stagioni e di nessun’ altro. Impariamo a conoscere le targhe della vicina Serbia, sin’ora mai viste, il viaggio è un’odissea, si viaggia a trenta all’ora per le condizioni della strada devastata dai mezzi pesanti e le continue interruzioni, una deviazione ci costringe a percorrere una stradina bianca in mezzo alla foresta nera, che ci pare infinita, chilometri e chilometri ed ogni macchina, pochissime in realtà, viene da noi fermata e per sapere dove Dubrovnik stia, pronunciamo “gdje je dubrovnik”, le facce ci fanno capire che l’impresa non è delle più semplici. Ma avanziamo. Ad ogni incrocio si ripete la stessa scena per i cartelli stradali inconprensibili, non riusciamo a trovare alcun bar o market, ma avanziamo, finchè alle tre del pomeriggio arriviamo al parco di Sutjeska dove avevamo deciso di dormire. E’ bombardato in tutti i suoi edifici e del campeggio preannunciato non c’è traccia, il market invece c’è, ha del pane, della salsiccia, qualche scatoletta, fanta, coca cola e poco altro di essenziale, pure la commessa parla solo il serbo, e quando le faccio leggere delle parole dal dizionario perché non riesco a pronunciarle non riesce a leggerle evidentemente perché non in cirillico, è l’unico market incontrato in tutta la strada. Ma avanziamo. Ancora mucche, laghetti dove fare bagno, contadini, operai, cani e polletti, ogni paese ha il suo cimitero musulmano abbandonato alla sterpaglia, ma nessuna moschea da Sarajevo. Ci troviamo a Gacko, paese che stona, e ci vogliono dieci minuti di serrati colloqui con indigena per capire dove siamo: fuorirotta! Passiamo per Bileka e per Mosko dove ci fermiamo ad un bar per rinfrescarci, un girarrosto a vento tiene infilzato un immenso agnello e tutti aspettano la cena osservandolo, quindi Trebinje.

A serata inoltrata superiamo la frontiera bosniaca dove i gendarmi sono molto sorridenti, neppure un chilometro e siamo sul mare, qui la Croazia ha vinto tutta la costa che fiancheggia la Bosnia, dieci minuti e siamo a Dubrovnick bellissima al tramonto, prima di entrarci cerchiamo un posticino dove piantare tenda, sul mare tutti gli alberghi sono ancora bombardati, ripieghiamo su un campeggio, a Kupavi, nei pressi di Cilipi, 10 euro, per due, siamo stanchissimi, mangiamo risotto ai frutti di mare, insalata e andiamo a letto. Giornata forse la più faticosa.

Ci svegliamo ed entriamo a Dubrovnick, la mattina la trascorriamo in una spiaggia petrosa, quindi inizia a piovere ed andiamo a visitare la città, pranziamo pure con dei panini che ormai prepariamo con grandissima maestria, facciamo il giro di tutta la fortificazione, la città è veramente bella, ma è pienissima di turisti, in particolare italiani che schiamazzano senza pietà, noi ci eravamo abituati alla pace ed andiamo via, puntiamo Sabbioncella, ma inizia a piovere forte e ripieghiamo opportunisticamente per il primo paesello che troviamo, Slano, che nelle carte non esiste, pochissime case tutte affittate a turisti, noi piazziamo tenda sotto un pino a due metri dal mare ed andiamo a comprare qualcosa per la cena nel market, bar, ristorante, affitta-barche-pattini del paese. Un turista padano con nostalgica memoria coloniale, forse memore di qualche film educativo, si rivolge alla proprietaria croato-parlante “domani venire miei amici di italia quanto pagare barca tutto giorno per miei amici di italia”. Questi dialoghi pietosi sono una costante della costa croata, per fortuna i croati spesso parlano pure inglese, tedesco e italiano, pure se coniugato all’infinito.

Tuoni, fulmini e diluvio per tutta la notte ma la tenda tiene.

Il tredici ci svegliamo e partiamo, attraversiamo tutta sabbioncella, facciamo qualche bagnetto ristoratore e nel pomeriggio ci imbarchiamo per l’isola di Korcula, che perlustriamo alla ricerca di un posticino dove mettere tenda, lo troviamo in fretta e ci caliamo in gitarella nel paese di Korcula, in una vacanza anni luce differente dal quella di soli due giorni prima, Korcula è molto carina e turistica, noi ci refrigeriamo e godiamo la serata, parliamo con dei turisti Milanesi arrivati addirittura per mezzo di barca a vela e con il cameriere del bar che corregge degli errori nel nostro croato-base e ci insegna qualcosa di nuovo. Quando è parecchio tardi andiamo a montare la tenda nel posto prestabilito sotto il faro della moto con abilissima destrezza.

Ci svegliamo ed attraversiamo tutta l’isola di Korcula sino a Vela Luka dove dovremmo prendere il traghetto per Hvar. Arriviamo presto e troviamo belli scoglietti in una insenatura per fare bagno e nuotare, alle tre andiamo a mangiare qualcosa ma quando secondo noi si è fatta ora di imbarcarci scopriamo che non esiste traghetto per Hvar così ritorniamo precipitosamente a Korcula, qui ci dicono che il traghetto per Hvar è appena partito, e che il successivo sarà dopo tre giorni.

Cerchiamo un campeggio e passiamo la seconda serata a Korcula, questa volta pure in locale danzante. Ci svegliamo alle 8 e mezza ed andiamo a prendere il traghetto che ci porta a Drvenik sulla terra ferma sulla costa, qui ne prendiamo un altro che ci porta nell’isola di Hvar ma a Sucuraj, dalla parte opposta al paesello di Hvar, cosicchè dobbiamo attraversarla tutta sotto un brutto vento. Le curve sembrano disegnate contro leggi di natura ed il viaggio ci mette alla frusta.

Quando arriviamo, come da accordi, incontriamo delle amiche che in realtà ci aspettavano per la sera prima, inizia a piovere e gentilissime ci accolgono a casa loro, la sera usciamo ed andiamo a mangiare abbondanti grigliate di pesce e bere vino bianco, poi stiamo in giro per Hvar, che ha bellissimo lungomare, torniamo molto tardi.

Con qualche ora di sonno ci mettiamo in marcia per Starigrado e prendiamo il traghetto per Spalato dove, una volta arrivati cerchiamo un bel parco per rifarci delle ore di sonno perse, ma la pioggia ci costringe a ripiegare in un bar.

La sera ci imbarchiamo per Ancona, la nave Tirrenia-della-parte-Adriatica pullula di fedeli di ritorno da Medjugorje, ma noi ci addormentiamo. Arrivati ad Ancona ci accoglie una bellissima giornata, forse la quarta in diciassette giorni di viaggio(!!!!), arriviamo a Viterbo, molto bella, la visitiamo e ci addormentiamo in un parco, al risveglio partiamo per Civitavecchia dove ci imbarchiamo nuovamente.

La nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia.

Ci risvegliamo in Sardegna. Dopo 2000 km.

Federico igoreffe78@hotmail.Com 02/08/2005 18/08/2005



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