Scrittori per Caso: Il cavallo di Leonardo, di Marco Caciolli
Iniziamo con la prefazione e l’inizio del primo capitolo. Buona lettura! IL CAVALLO DI LEONARDO Prefazione Naturalmente, un preziosissimo reperto archeologico. Tanto prezioso da mettere in moto colti e coraggiosi ricercatori universitari, appassionati esteti, raffinati collezionisti e avidi miliardari disposti a tutto pur di arricchire la loro collezione privata. Questi, in estrema sintesi, gli ingredienti del “Cavallo di Leonardo”, primo romanzo di un giovane scrittore fiorentino che dalla sua terra ha probabilmente avuto in preziosa eredità l’amore per la storia e per i tesori d’arte: perché proprio un maestoso cavallo, che Leonardo da Vinci avrebbe dovuto realizzare su commissione di Francesco Sforza, è l’oggetto del desiderio dei tanti personaggi che affollano le pagine del romanzo.
Oggetto di un desiderio disinteressato, nutrito di passione per l’arte come ponte, come mezzo di comunicazione tra le genti del passato e le genti del futuro, per Nico Costa, il giovane archeologo fiorentino (né poteva essere altrimenti) nonché novello Indiana Jones che si trova catapultato, nel volgere di poche ore, in un’avventura mozzafiato; oggetto di desiderio puro anche per gli amici di Nico Costa, dal ricco mercante d’arte Rufus Helgermayer che mette in moto tutta la vicenda alla bellissima Giulia, che presto diventa intrepida compagna d’amore e di avventure di Nico. Oggetto concupito, invece, da “Grizzly” Lequerque, ricco erede di una famiglia di stampo mafioso, noto per la voracità del suo stile di vita, che non arretra di fronte a nulla pur di impossessarsi del Cavallo.
Così, in una girandola di colpi di scena, la vicenda si snoda tra l’Italia, l’Egitto e il Mare del Nord, costellata di corse a perdifiato, attacchi di sorpresa, rapimenti, esplosioni: tutti gli elementi, insomma, che rendono ogni pagina un’avventura e una scoperta. Ed è un’avventura, per molti, mortale, mentre altri si trovano costantemente a rischio della vita: primo fra tutti Nico, che non esita a usare i muscoli oltre che il cervello per portare a termine l’impresa.
Impresa che, come si diceva, ha inizio in Italia nel 1980. La narrazione, però, comincia molto prima, esattamente nel 1815 nella piana di Waterloo. L’autore, infatti, mostra particolare predilezione per la creazione di grandi affreschi, l’orchestrazione di pagine corali in cui si muovono grandi masse di persone; ama arricchire le sue pagine di movimento e colore, di suoni e grida. L’occasione, quindi, era troppo ghiotta per resistere: ed eccoci davanti, immediatamente, una scena di grande respiro, dove lo strepito della battaglia si confonde con i pensieri di Wellington e quelli di Napoleone, entrambi tesi nel massimo sforzo, impegnati nella suprema prova della vita; e poi c’è un altro prologo, questa volta nel Mare del Nord: il transatlantico Regina, che tanta parte avrà nel romanzo, si inabissa nelle gelide acque col suo carico di passeggeri e… Con una comune valigetta, contenente le preziosissime indicazioni per arrivare al Cavallo.
La storia, quindi, parte da lontano. Solo dopo questi due intriganti capitoli – intriganti perché apparentemente slegati tra loro e invece carichi di indizi per il lettore accorto – la vicenda approda ai nostri giorni e si dipana nell’arco di pochi mesi. Sufficienti per condurre il protagonista i suoi amici dal torrido Egitto, dove tra l’altro l’equipe dei ricercatori vive una straordinaria esperienza di viaggio nel passato (suggestione collettiva? ipnosi? Il dibattito è aperto) nonché un terrificante scontro con i micidiali Turbanti, banda di predatori d’arte e di uomini, al Mare del Nord (con qualche altra tappa), dove il sottomarino Calliope sfida le profondità marine per trovare dapprima i resti del Regina – e qui la scena è davvero suggestiva – e poi…
Ma questo lo scoprirà il lettore. Ciò che si può segnalare senza nulla togliere alla suspence della lettura è che l’autore, oltre ad amare le visioni d’insieme, come si segnalava prima, mostra di saper cogliere con l’occhio della cinepresa più attenta anche i particolari minuti, le sfumature; e di saper tenere saldamente in mano le redini della trama, accompagnando i personaggi per un tratto, lasciandoli per poi riprenderli “in corso d’opera”, esattamente al punto in cui erano rimasti. Non solo. Facendoli vivere, sulla pagina, attraverso i loro dialoghi e le loro azioni, in modo che il lettore se li trova davanti come creature di carne e sangue, senza troppe mediazioni letterarie. Scelta quanto mai felice per un romanzo d’azione, che deve per l’appunto “svolgersi” sotto gli occhi del lettore quasi in presa diretta.
Un’ultima cosa. Gli appassionati del genere sentimentale non resteranno delusi: naturalmente, c’è anche una storia d’amore…
Bianca Cerulli CAPITOLO I 17 giugno 1815 Waterloo Da una piccola altura sulla piana di Waterloo il duca di Wellington scrutava all’orizzonte il cielo nuvoloso con un’espressione accigliata e pensierosa; non si sentiva tranquillo e la sua mente lavorava incessantemente per scacciare i brutti presagi che gli si paravano davanti come fantasmi.
Riandava col pensiero agli avvenimenti dei giorni passati, alla minaccia che l’Imperatore Francese rappresentava per il mondo intero adesso che era nuovamente alla guida di quel suo esercito fino ad allora imbattuto; una rabbia gli saliva fino al petto, stringendolo in una morsa che non lo faceva quasi respirare.
Sarebbe lui riuscito dove tanti avevano fallito? Era possibile vincere Napoleone? Come si sarebbe dovuto comportare sul campo di battaglia? Quale tattica avrebbe dovuto adottare? Scrollò la testa esausto: la tensione nervosa delle ultime ore stava diventando insopportabile. Aveva assolutamente bisogno di riposo, ma era consapevole anche che avrebbe dovuto sfruttare ogni minuto prima dell’arrivo delle truppe nemiche per organizzare il suo esercito.
Sapeva infatti che generale Blucher era già stato sconfitto dai Francesi nei pressi di Ligny e per questo pregava che la ritirata avvenisse senza intoppi per permettere all’esercito prussiano di unirsi in tempo alle sue truppe: la superiorità numerica poteva essere l’arma decisiva.
Guardò un’ultima volta in lontananza verso quei nuvoloni neri che non preannunciavano niente di buono, si voltò e avvolgendosi nel suo mantello, si avviò verso l’accampamento sperando in cuor suo che non cominciasse a piovere.
Nello stesso momento, diversi chilometri più a sud, l’armata francese al comando di Napoleone, marciava a tappe forzate verso Waterloo, dopo aver spedito un contingente di 32000 uomini, comandati dal maresciallo Grouchy, all’inseguimento di Blucher, per impedirgli di raggiungere Wellington.
L’idea di Napoleone era geniale nella sua semplicità: dividere i due eserciti per poi sconfiggerli uno alla volta.
Dopo un giorno e mezzo di marce estenuanti i Francesi raggiunsero verso sera la campagna di Waterloo e posero l’accampamento nei pressi di una fattoria; l’umore tra i soldati non era dei migliori: erano stanchi, provati dalle marce e dalle battaglie dei giorni passati, dalle dure prove che avevano affrontato, dalla scarsità di cibo e dalle intemperie; a tutto questo si aggiungeva la tensione per l’imminente battaglia contro delle truppe mercenarie ben addestrate.
Venne preparato un pasto frugale in un’atmosfera silenziosa, che fu rotta soltanto dal rumore improvviso della pioggia che cominciò a cadere violentemente; perfino Napoleone era esausto, ma sul suo volto si leggeva un’espressione serena. Riunì i suoi generali all’interno della fattoria per dettare le ultime disposizioni, risolvere eventuali problemi e risollevare il morale a quegli uomini stanchi che lo avevano seguito in tante battaglie.
“Se vi atterrete scrupolosamente ai miei ordini, domani dormiremo a Bruxelles; sarà uno scontro semplice e veloce: Wellington non ha la nostra esperienza, potete dormire tranquilli” furono le ultime parole che gli uscirono di bocca. I comandanti non risposero: tutti erano attanagliati da un sentimento di paura e di angoscia, ma avrebbero seguito il loro Imperatore fino alla morte. La loro incrollabile fiducia in quell’uomo era sconfinata e il suo ottimismo, anche nelle situazioni più difficili, non faceva altro che aumentarla.
Quando spuntò il sole, all’alba del 18 giugno, in una atmosfera soffocante, lo spettacolo che si mostrava nella piana di Waterloo era da mozzare il fiato: l’uno di fronte all’altro i due eserciti si scrutavano: 140000 uomini riempivano pochi chilometri quadrati di terreno fangoso, con i muscoli pronti a scattare al minimo segno di movimento. 68000 Inglesi e 72000 Francesi in uno scontro che avrebbe deciso le sorti della storia.
(continua) La Redazione