Parliamo con Martino di gastronomia
Samira: Martino, iniziamo subito con una curiosità: Turisti per Cibo è il tuo quinto libro sul cibo e il terzo scritto insieme a Pat e Syusy. In questi giorni poi hai aggiornato l’area Cucina del nostro sito pubblicando tantissime nuove ricette dal mondo… Non è che hai in mente di aprire un ristorante? Martino: Non proprio, ma devo confessare che c’è una sorpresa che bolle in pentola per la prossima primavera… Ovviamente ha a che fare con il cibo! Intanto la nostra stagista Alessandra ha pubblicato molte nuove ricette dal mondo assaggiate e proposte dai Turisti per Caso, visitate l’area Cucina.
Samira: Turisti per Cibo e Golosi per Caso raccontano il tuo lungo giro in Italia sulle tracce dei prodotti tipici. Da nord a sud, passando per le isole, ti è mai capitato di trovare lo stesso piatto tipico in due regioni diverse? Martino: Sono profondamente convinto che in Italia, più che di cucina regionale, si debba parlare di “cucina di pianerottolo”: affacciandosi da due porte vicine, infatti, si scopre facilmente che uno stesso piatto è preparato in due modi diversi! Questa estrema personalizzazione della cucina è una cosa che ho notato dappertutto nel mio viaggio lungo lo stivale. Al punto che difficilmente si rivendica la paternità di un piatto… Tanto ognuno è convinto che sia il suo quello vero! Secondo me è giusto che sia così, perché i piatti di famiglia sono delle fotografie, dei veri e propri pezzi di identità.
Samira: Nei libri che hai scritto con Pat e Syusy c’è anche il confronto gastronomico tra Italia e resto del mondo. Qual è secondo te il popolo più orgoglioso della propria cucina? Martino: E’ difficile a dirsi perché, sia a livello nazionale che internazionale, non c’è popolo che non sia orgoglioso della propria cucina, considerata ovunque parte integrante dell’identità e espressione diretta della propria storia. Almeno è questo che mi è parso di constatare viaggiando. Poi, è vero, ci sono popoli più o meno agguerriti, alcuni quasi sciovinisti. I francesi, per esempio, sono molto orgogliosi della propria identità gastronomica, perché hanno avuto per molto tempo il primato mondiale della cucina: lì, in Francia, è nata la gastronomia moderna e il concetto di ristorazione come oggi lo intendiamo, precisamente al ristorante Procope a Saint Germaine de Prés. Sempre lì è nata anche la cucina intenazionale. Poi, però, il primato è passato all’Italia, che ha alzato la testa dopo aver rivestito a lungo il ruolo di Cenerentola. Oggi, la nostra cucina è riconosciuta ovunque come la migliore del mondo e noi stessi, pur dall’interno del nostro masochismo, stiamo iniziando ad abituarci al ruolo di leadership. Poi ci sono i paesi che si vergognano un po’ della propria cucina, tipo gli inglesi che – si sa – non è che brillino in questo campo. Posto che a mio parere c’è qualcosa di buono ovunque, un’autocritica è sempre uno stimolo a migliorare… Anche la cucina inglese oggi sta emergendo, per lo stimolo alla ricerca e all’innovazione: ad esempio si distinguono nelle “cucine tematiche”, come quella alle erbe. Dappertutto quindi bisogna sempre tenere d’occhio il cambiamento!
Samira: A proposito di evoluzioni e cambiamenti, ci sono alcuni popoli intrappolati nell’esatto opposto: i luoghi comuni. Vedi i cinesi “mangiatori di riso”, o gli italiani “mangiatori di pasta”. Te la senti di smentirli ufficialmente? Martino: Noi abbiamo una cucina mediterranea a base di carboidrati, questo è evidente, così come i giapponesi sono specialisti nel crudo e i cinesi mangiano molto riso perché lo coltivano in modo intensivo… Ma non ci si può fermare a questo! Il luogo comune è sempre riduttivo, anche se spesso appoggia su una remota verità. Un noto luogo comune battezza la cucina inglese come la peggiore del mondo, ma io non sono d’accordo: la cucina peggiore a mio parere è quella statunitense! Se si esclude il melting pot delle cucine multietniche, si limita a cibi precotti e surgelati, innaffiati di salse coprenti comprate al supermercato…
Samira: A proposito di differenze tra le nazioni, parliamo di cucina e convivialità. C’è un modo diverso di mangiare in posti diversi e il modo “italiano” è molto legato al piacere di stare a tavola, ancora lontano dalla mentalità del mordi e fuggi… Cosa ne pensi? Martino: Qualche tempo fa ho letto un articolo su un giornale inglese che diceva “gli italiani che strana gente, mangiano ancora tutti insieme”. A noi può sembrare incredibile, ma nel mondo anglosassone mangiano insieme in media una volta alla settimana e si stupiscono del fatto che – in Italia – si tende invece a fare un pasto conviviale almeno una volta al giorno. Lì al massimo succede la domenica, ma è più un’eccezione che una regola: durante la settimana il primo che arriva a casa guarda cosa c’è nel frigorifero e mangia! L’articolo continuava dicendo che gli italiani non comunicano con i bigliettini attaccati sul frigo, ma le cose che si devono dire se le dicono direttamente a tavola. E pare che siamo anche più loquaci proprio in virtù di questa abitudine! In realtà da qualche tempo anche da noi è dilagato il malcostume di guardare la tv a tavola, ma almeno si è tutti insieme, mentre gli americani si mettono sul divano con un vassoio sulle ginocchia e mangiano; ed è facile che i figli vadano in camera loro a vedere e mangiare qualcos’altro.
Samira: Quale dieta è la più bilanciata, a tuo parere, e dunque la migliore? Martino: Noi abbiamo la fortuna di avere stampati nei nostri cromosomi i principi della dieta mediterranea, che è indubbiamente la migliore, senza paragoni. La dieta mediterranea infatti non è carnivora: la carne rossa è poco presente e questo è un bene. Anche per un onnivoro è sufficiente mangiare carne rossa una volta alla settimana, le donne in età fertile anche due per la perdita di ferro mensile. Viceversa la dieta mediterranea è ricca di pesce, quasi una panacea. Tra l’altro, ora sappiamo che è vero l’effetto benefico dell’omega3, come è vera la regola dei cinque pasti al giorno con frutta e verdura, tanto quanto il discorso dei punti ORAC da accumulare in una giornata.
Samira: Cosa sono questi punti ORAC? Martino: Sono delle unità da raggiungere ogni giorno per mettere il corpo in condizione di combattere i radicali liberi. La necessità quotidiana si aggira intorno alle 5000 unità, contenute soprattutto nella frutta nera: mirtilli, uva nera, more. È sufficiente per esempio un bicchiere di succo d’uva al giorno per raggiungere le 5000 unità, mentre una porzione di 100 grammi di susine ne fa raggiungere 2000. Queste unità sono presenti anche nella verdura scura come spinaci, bietole e tutte le crocifere (quindi l’intera famiglia dei cavoli). Questo tipo di alimentazione garantisce un’azione anti-aging e antiossidante. Teniamo presente che noi siamo fortunati: tutti gli alimenti che ho citato fanno parte della nostra dieta e non dobbiamo andare a cercarli altrove.
Samira: Neanche importarli perché sono cibi di produzione locale… Martino: Sull’igiene dell’alimentazione ci sono alcune regole d’oro: la prima è mangiare sempre cibi di stagione. Con questa abitudine le persone mentalmente corrette sanno di risparmiare grandi sprechi. Far arrivare sulla nostra tavola le ciliegie in dicembre, ad esempio, significa importarle dal Sud Africa: queste percorrono moltissimi chilometri e sappiamo che i viaggi significano un grande spreco di energia in termini di dispersione di ossido di carbonio nell’aria. Per non parlare delle serre che vanno riscaldate, di nuovo altro spreco di energia e altro ossido di carbonio! Senza contare che alimenti coltivati con metodi non naturali sono più cari e meno buoni. E causano pure dei danni.
Samira: Sia all’ambiente che all’organismo, quindi, perché col cambio di stagione anche il corpo ha delle necessità da ascoltare. Martino: Decisamente, infatti io non capisco chi ha perso del tutto il contatto con la parte più animalesca di sé! Quelli che istintivamente chiedono la zuppa calda d’estate e la frutta fresca d’inverno, e non viceversa. Non credo che disattendere le necessità faccia “male”, però è innegabile che mangiando fuori stagione si trovano sapori meno accattivanti e meno buoni. E poi, culturalmente, si perdono di vista i piatti tradizionali stagionali: molti tra i piatti rappresentativi della nostra identità sono dei rituali che si preparavano per le feste, a loro volta legate alle stagioni.
Samira: Una domanda ovvia: qual è il tuo piatto preferito? Martino: Potrei fare una lunga lista, perché dipende da come mi sento, dalle stagioni, dal giorno della settimana… Però sono molto italiano, quindi la pasta col pomodoro è un “jolly” che va sempre bene. Sicuramente non penso a un piatto di carne, ma ad uno con le verdure. Magari una pasta con le verdure.
Samira: Un sapore che non tolleri e uno a cui non rinunceresti mai Martino: L’unica cosa che non mangio è l’agnello, a causa di un trauma psicologico infantile: avevo un paio d’anni e mio padre portò a casa un agnellino vivo pochi giorni prima di Pasqua. Il giorno di Pasqua l’agnellino era sparito e si è presentato a tavola un piatto a base di carne. Avevano cercato di non farmi capire niente ma, mi hanno raccontato i miei, ho collegato le due cose dall’odore e non ho voluto mangiarlo. Ora non riesco a sopportare i sapori né di agnello né di ovino in generale. Invece sulla mia tavola non manca mai l’olio d’oliva!
Samira: E cucini da te? Martino: Ma scherzi? Io mangio al ristorante solo per lavoro. C’è da dire che le occasioni di lavoro sono talmente frequenti, che capita spesso. Ma non vado mai al ristorante per piacere personale o per necessità: io sono single, vivo da solo e cucino due volte al giorno, per me o, se ci sono ospiti, per chi c’è. Mai andrei a mangiare fuori per nutrirmi, qualsiasi cosa la preparo a casa!
Samira: Hai mai provato a riprodurre un piatto che ti era piaciuto, magari anche non italiano? Martino: Continuamente! Oggi, per esempio, ho avuto una colazione di lavoro con dei collaboratori e siamo andati al ristorante giapponese: c’era un riso saltato con le verdure molto buono e io ho memorizzato la ricetta, che nei prossimi giorni ripeterò. Copio moltissimo.
Samira: Toglici un’ultima curiosità su un popolo che dovresti conoscere bene. C’è un detto sugli agrigentini che recita così: “mettono su delle case come se non dovessero morire mai, ma mangiano ogni giorno come se dovessero morire l’indomani”. Martino: [ride] Io credo che sia estendibile un po’ a tutti i siciliani. È vero, c’è quest’idea monumentale dell’abitare, per cui la casa è vista più come un monumento al proprio successo professionale che altro. Per quanto riguarda i pasti… Credo che sia così un po’ ovunque in Italia! Finirei questa chiacchierata con una raccomandazione: mangiate cibi di stagione, mangiate cibi italiani. State attenti anche alle altre culture, ma una cosa è mangiare un piatto esotico (o anche andare al ristorante giapponese, per esempio), mentre diverso è sostituire la nostra frutta con la frutta esotica. Si può fare una volta, ma “mangiare il territorio”, è sicuramente una mossa vincente dal punto di vista culturale, dell’identità e della salute… Abbiamo delle ottime pesche, pere, mele!
Samira Bucci Redazione Turistipercaso.It