Matteo, studente alle superiori, intervista Pat per il giornale scolastico
Sei mattine su sette, da settembre a giugno, ci ritroviamo sui banchi di scuola in via Foro Boario. Abbiamo le nostre routine, conosciamo a memoria il paesaggio lungo la strada e le vetrine dei bar illuminate. La nostra bella Bergamo, il nostro mondo quotidiano. Ma chi di noi non ha mai fatto un viaggio, almeno uno ad occhi aperti? Uno di quei viaggi illuminanti, durante i quali non solo vediamo un paesaggio nuovo e sentiamo lingue sconosciute, ma impariamo anche a metterci in gioco confrontando le nostre abitudini con quelle di un’altra cultura. Magari migliorando, magari solo riflettendo. Ha così inizio una rubrica in cui speriamo di poter raccogliere le testimonianze di tutti sui viaggi che vi hanno coinvolto: a rompere il ghiaccio è la 4D, che racconta le emozioni di uno scambio culturale in Svezia.
La inauguriamo ispirandoci al lavoro-esperienza di due “famosi” turisti: Patrizio Roversi (che abbiamo intervistato!) e Syusy Blady, al secolo Maurizia Giusti, autori e protagonisti del noto programma “Turisti per Caso”, che porta nelle nostre case un modo nuovo, allegro, di vedere il mondo: attraverso gli occhi non di un semplice turista, ma di chi viaggia per capire e per far capire realtà diverse dalla nostra.
Matteo: Cosa pensa dell’idea di una rubrica su un giornalino scolastico dove gli studenti possono raccontare i loro viaggi come nel nostro Ronzinante? Patrizio: Io ne penso tutto il bene possibile, infatti se hai visto il nostro sito “turistipercaso.It”, che ha veramente molti utenti, puoi vedere che è diventato una sorta di agorà, di piazza, in cui ognuno confronta con gli altri i propri itinerari di viaggio. Quindi io credo che la comunicazione reciproca sui viaggi sia la maggiore informazione per poi sognare progettare e realizzare viaggi nostri. Per questo una rubrica in cui i ragazzi raccontano i propri viaggi a me sembra estremamente interessante. Oltretutto il viaggio è da sempre uno dei modi per narrare delle esperienza, descrivere dei luoghi ma anche per fare per certi aspetti della letteratura, utilizzando una metafora, quella del viaggio, che mi sembra molto funzionale e molto attraente. Anche per questo credo che sia un’ottima cosa anche dal punto di vista narrativo usare i propri viaggi come pretesto per raccontarsi.
Matteo: Cosa vuol dire per lei viaggiare? Patrizio: Per me fondamentalmente è sempre stato un po’ un trauma, nel senso che non sono uno che abbandona molto volentieri la casa, sono un sedentario anche molto pigro. Infatti tutta questa serie di Turisti, Velisti, Evoluti per caso è sempre uscita un po’ dall’entusiasmo di Syusy che mi ha sempre spinto a muovermi. Ovviamente poi io le sono molto grato e secondo me viaggiare è indispensabile e persino un sedentario come me, che quando deve lasciare la casa chiude il gas venti volte e si preoccupa di quello che lascia e di quello che lo aspetterà, viaggiare una volta che la porta è chiusa e che l’aereo è decollato diventa la cosa più entusiasmante sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista psicologico. Io magari sto malissimo perché prendo una malattia piuttosto che un’altra, però mi sento comunque meglio. Inoltre io posso progettare il viaggio finché voglio, anzi: in genere il viaggio viene progettato dal nostro amico e complice Marco Schiavina detto Orso, però si hanno sempre degli imprevisti che in fondo rappresentano effettivamente il senso del viaggio insieme agli incontri.
Matteo: Qual è secondo lei il rapporto tra cultura impartita a scuola e cultura assimilata in viaggio e come le due si possono compenetrare unendo l’utile al dilettevole? Patrizio: A scuola ci sono delle materie che a mio avviso sono fondamentali per affrontare dei viaggi. Innanzitutto, le lingue. Io purtroppo ho fatto un liceo classico dove, come immagino voi sappiate, si studia una sola lingua fino al secondo anno e poi gli ultimi tre anni praticamente non fai più nulla: trovo che questo sia anacronistico e gravissimo. Altre materie, che sono spesso considerate poco e male ma che in realtà avrebbero un’ importanza enorme per preparare la gente al contatto e quindi al viaggio, sono ovviamente la geografia ma anche tutti gli aspetti culturali che esulano in qualche modo dal nostro particolare. E’ giusto acquisire la consapevolezza delle proprie radici storico-linguistiche-culturali, però io in giro per il mondo ho trovato delle persone, anche non particolarmente colte, che sapevano cosa era successo dalla parte opposta del mondo, ad esempio ricordo un taxista di città del Messico che sapeva a memoria tutta la storia europea, mentre noi di storia dell’america centro-meridionale non sappiamo nulla. Quindi io credo che l’apertura verso una dimensione globale che ci porti a studiare letteratura del mondo, che ti porti veramente a studiare la geografia, che non vuol dire sapere quanto è lungo il fiume più lungo d’Europa, ma conoscere l’economia, le situazioni delle popolazioni, eccetera, dovrebbe essere assolutamente essenziale, oltre ovviamente alle lingue.
Matteo: Secondo la sua esperienza di viaggiatore è difficile entrare nella mentalità e nella cultura della popolazione locale senza correre il rischio di giudicare troppo velocemente la popolazione o addirittura rischiare di volerla modificare? Patrizio: Il turismo a mio avviso è l’industria del futuro e ha tutte le caratteristiche, a mio avviso, per essere un’industria “pulita”; il turismo cioè, in teoria, non dovrebbe inquinare né dal punto di vista strettamente ambientale né dal punto di vista culturale, questa però è una prospettiva. I pericoli che ci sono facendo il turista di essere invadente da tutti i punti di vista sono tanti: anche semplicemente richiedendo indistintamente in tutte le parti del mondo alcuni comfort che ci appartengono a casa nostra può essere in sè un errore, ad esempio se io dappertutto chiedo la pastasciutta “inquino” le tradizioni gastronomiche locali, poiché evidentemente le popolazioni che vogliono dedicarsi al turismo, vogliono accogliermi e per farlo devono modificare le proprie tradizioni. Oppure, richiedere dappertutto la doccia calda o l’aria condizionata vuole dire che dovunque si devono costruire “albergoni” che nulla hanno a che fare con l’ambiente vero che io vado a visitare. Questo inquinamento poi si rivolge contro il turista stesso che si lamenta che ovunque trova la stessa edilizia e la stessa cucina; a questo punto non ci si può lamentare se la diversità non è più rispettata. Quindi diciamo che il turista deve stare molto attento a non dare un impulso irrefrenabile alla globalizzazione.
Matteo: Ricollegandomi alla risposta le chiedo se secondo lei il turismo di massa nei posti più belli della terra è una risorsa o un problema per le popolazioni autoctone? Patrizio: Ovviamente tutte e due le cose. Una fatto molto importante da capire è che i soldi che tu porti come turista in qualche modo vadano il più possibile alle popolazioni locali e se è possibile non siano monopolio di quegli investitori globalizzati e di quelle multinazionali che investono nel turismo. Io sono stato ultimamente in America del sud e ho visitato varie tribù che vivono in Amazzonia; spessissimo mi è capitato di sentir dire che queste tribù si stanno fermamente opponendo allo sfruttamento indiscriminato del loro territorio, allora io ho chiesto loro come pensano di risolvere il problema di quel minimo di sviluppo che ormai serve anche a loro: e la risposta unanime è stata lo sviluppo del turismo. Questa è un’intenzione ottima, però bisogna stare molto attenti, poiché il turismo di massa comporta trasformazioni radicali sia del territorio che dell’ambiente che della cultura del popolo, quindi bisognerebbe introdurre dei progetti di turismo compatibile, di un turismo responsabile. Ma questo non è scontato; faccio un esempio: in Egitto siamo arrivati in un punto del Nilo meraviglioso in cui era tutto bellissimo, salvo un brutto albergo, che deturpava la situazione da più punti di vista. E Syusy allora si è chiesta: “Ma vale la pena di stare qui e guardare questo panorama bellissimo deturpato dal brutto albergo, oppure è meglio andare nell’albergo, dal quale non vedo l’albergo stesso e di conseguenza vedo delle cose bellissime?” Ovviamente era un paradosso. Un altro paradosso è ad esempio un’isola della Campania in cui abbiamo trovato due o tre volte ristoranti con degli spaghetti scotti; alla, fine quando lo abbiamo fatto notare, ci hanno risposto che sono i tedeschi che li vogliono così e li facevano scotti così per accontentare tutti. Sono aspetti paradossali e ridicoli ma che sottolineano come il turismo in sé sia un’arma a doppio taglio, ossia può essere estremamente positivo, e mi auguro che lo sia sempre di più, ma può anche avere degli aspetti negativi; ovviamente senza nominare turismo sessuale e affini perché lì è evidente che siamo in un campo devastante.
Matteo: In tutti questi anni in cui ha visitato il mondo, quali sono gli insegnamenti più importanti che ha appreso da questi viaggi? Patrizio: E’ difficile perché non si possono mettere in fila, certe cose le acquisisci un po’ per osmosi, non è facile razionalizzare e rispondere ad una domanda come questa. Però forse il concetto più importante che posso aver portato a casa è il concetto di biodiversità, che vuole dire tante cose: biodiversità nel senso naturale che vuol dire conservare le differenze, che possono essere utilissime in futuro; ad esempio nel mio ultimo viaggio in Sud America siamo andati a visitare le piantagioni di banane in Ecuador, ed è chiaro che il mercato tende ad acquistare una sola specie di banane, e quindi la gente coltiva solamente quella tipologia. Ma è ovvio che una malattia che prenda quel tipo di banane può mettere in ginocchio un’economia; se viceversa hai mantenuto coltivazioni diverse di specie diverse di banane puoi sempre reintegrare una nuova coltivazione. Ma la biodiversità è anche, e soprattutto, culturale per cui questa omologazione imperante fa malissimo da un punto di vista culturale, linguistico, estetico, urbanistico, artistico, gastronomico. Poi si tende ormai a costruire tutto uguale in tutto il mondo, si tende a mangiare le stesse cose, per cui il modello hamburger che spopola, e si tende a parlare lo stesso inglese internazionale. Questo è assolutamente un pericolo e quindi quello che porti a casa invece in positivo è il gusto per la diversità. Quindi quando si viaggia bisogna stare bene attenti ad non imporre i propri gusti o comportamenti ma bisogna gustare fino in fondo la diversità dei contesti.
Matteo: Infine ha un consiglio per noi studenti, diciamo squattrinati, a cui piacerebbe viaggiare? Patrizio: Io credo che non bisogna aver paura del viaggio, e te lo dice una che ha paura di viaggiare ma ogni volta mi faccio forza e coraggio e poi arrivato all’ultimo minuto prima di partire pagherei per poter rimanere a casa, però è una paura assolutamente ingiustificata infatti viaggiare è una cosa ottima. Per viaggiare l’attrezzo più importante sono le lingue che servono per comunicare, e comunicare non significa dire buongiorno e buonasera o chiedere una camera d’albergo, comunicare vuol dire fare un discorso con una persona che ti può raccontare qualcosa di fantastico e sentimentale. E poi non dovete avere paura dei costi, poiché viaggiare alla fine può costare molto meno di quello che sembra anche i posti più cari alla fine sono affrontabili con un minimo di coraggio, e quindi ci sono molte leggende da sfatare riguardo il costo del viaggio. Un’altra cosa è usare tutte le relazioni date da internet in poi per tessere dei rapporti che ti facciano trovare in loco delle guide, delle guide in senso lato: degli amici, delle persone che ti accompagnano, perché il turista che pretende, con una guida del tipo anglosassone in mano, di fare da solo di capire tutto lui spesso non capisce niente, cioè io credo che in qualunque posto, provate a pensare un posto qualunque in Italia, se ci vai da solo e pretendi di capire da solo perché hai letto una guida e sai che devi andare a vedere la tal chiesa del ‘600 non capisci nulla, non capisci di come si mangia, di come si parla, di come ci si consiglia, di come si pensa di come ci si sposa… Quindi sempre e dovunque bisogna contattare delle persone del luogo. Vanno benissimo gli italiani all’estero perché sono italiani come noi, li capiamo, abbiamo la stessa mentalità ma è gente che sta li da anni e quindi può raccontare il paese.
Matteo Gatto 4°P Liceo scientifico Filippo Lussana (Bergamo)