Torre Velasca, il grattacielo della discordia che da 70 anni divide Milano

Stefano Maria Meconi, 01 Set 2025
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Dimenticatevi la selva oscura dei grattacieli di New York, le altezze impressionanti di Dubai e calatevi per un momento nello skyline medio italiano, le cui maggiore altezze sono quelle di cupole e campanili. Eppure, una città fa eccezione: è Milano, che oggi conta ben 17 grattacieli più alti di 100 metri e due sopra i 200 metri (se si includono anche gli elementi aggiuntivi come antenne e guglie). Una storia che nasce da lontano, quando già nel 1923 vennero costruiti dei palazzi da 38 metri e il primo a superarne 100 risale addirittura al 1954. Due anni prima del Pirellone (127 metri), però, nel centro della città – a un tiro di schioppo dal Duomo – arrivò Torre Velasca, un grattacielo che avrebbe fatto discutere tutte le generazioni da lì in avanti, compresa quella contemporanea. E che oggi, dopo una laboriosa ristrutturazione, si erge ancora di più a simbolo della città lombarda.

Uno scorcio brutalista in pieno centro

torre velasca

Brutale, ma bella. L’architettura brutalista è da sempre capace di polarizzare lo scontro tra le varie “correnti” dell’architettura

L’architettura brutalista nasce nel secondo Dopoguerra, è ispirata ai materiali usati da Le Corbusier ma soprattutto vede la maggiore diffusione nei paesi socialisti e comunisti. Si tratta di uno stile che prevede l’uso diffuso del cemento a vista, di forme nette e taglienti, azzerando quasi del tutto le forme curve per preferirvi quelle lineari. La sua luna di miele con gli architetti di tutto il mondo dura poco più di un ventennio, e già negli anni Ottanta è soppiantato dal decostruttivismo e dal neoclassicismo. A Milano, però, trova terreno fertile tra il 1955 e il 1957, anni del boom economico e durante i quali si realizza la costruzione della Torre Velasca, il secondo grattacielo milanese a potersi considerare tale, subito dopo la Torre Breda.
Sin da subito si capisce che questo edificio, alto 106 metri e suddiviso in 26 piani, è destinato a dividere e generare una partigianeria architettonica. Nel progetto dell’architetto Rogers, vuole essere infatti il riassunto dell’atmosfera della città di Milano, l’ineffabile eppure percepibile caratteristica. E per certi versi è davvero così: le sue “bretelle”, ovvero i sostegni in cemento armato che sostengono gli ultimi otto piani, richiamano le forme degli antichi castelli o, in parte, le guglie del Duomo. Le tante finestre sono un affaccio verso la città e, allo stesso tempo, restituiscono dinamicità e leggerezza a quello che allora è il secondo edificio più alto della città. I due ultimi piani, destinati ad attici e protetti da una patina verde inconfondibile, sembrano richiamare certi elementi tipici dell’architettura gotica, di cui la Cattedrale meneghina è sublime esempio.

(Ma non a tutti piace)

In un’epoca in cui la modernità è ancora vista con sospetto, un progetto così audace come Torre Velasca solleva da subito obiezioni. C’è chi, ancor prima che la costruzione sia completa, la definisce “torracchione” oppure la giudica un fallimento rispetto allo stile brutalista moderno. Per altri, come Philippe Daverio, è invece “un capolavoro”, e da molte parti – sin negli anni Sessanta – si tende a rimarcare l’unicità del grattacielo, la cui struttura è un unicum a livello nazionale e mondiale. 

Torre Velasca oggi è ancora più bella

torre velasca

Uno scorcio della Torre Velasca a lavori ultimati: si nota l’originale colore rosa-grigio dei volumi esterni

Partiti nel 2020, i lavori per la completa ristrutturazione di Torre Velasca sono stati completati nel corso dello scorso anno, riportando allo splendore originale il grattacielo ovvero aggiungendo ulteriori elementi di interesse per questo simbolo della modernità meneghina. Affidati al gruppo Asti Architetti, hanno seguito il filone del restauro conservativo, ovvero mantenendo inalterato lo stile esterno che all’inizio era caratterizzato da un originalissimo intonaco tra il rosa e il grigio, perfetto dunque per riflettere la luce del sole e cambiare aspetto a seconda dell’orario del giorno. Non solo un cambiamento on the outside, perché tutti gli interni sono stati riprogettati e adattati al correre del tempo, pur mantenendo alcuni topoi simbolici, come le boiserie in legno di mogano oppure i lampadari in ottone o i pavimenti in linoleum, materiale molto in voga nel primo Novecento e realizzato impiegando materiali naturali di recupero. Due nuovi ristoranti, al piano terra e al 18° piano (Sushisamba), con quest’ultimo che gode di una vera e propria terrazza panoramica. Infine, la piazza antistante, progettata rigorosamente come spazio pedonale e dunque quasi come una estensione della vita del grattacielo, che guadagna un ingresso a misura d’uomo e simbolo di una Milano che recupera l’antico, ma guardando al moderno.



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