Buongiorno, Ben Arrivati!
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L’autrice si presenta
Mi chiamo Ellie, ho 36 anni, dopo una Laurea britannica in Architettura, ho cambiato settore e, da 8 anni a questa parte, lavoro nel mondo del turismo: dapprima come assistente turistico, poi come capo centro. Da diverso tempo amici e colleghi mi suggerivano di scrivere un libro con tutte le buffe storie che raccontavo loro e con tutti gli aneddoti riguardanti i turisti in giro per il mondo. Inizialmente l’idea è diventata un Blog; da pochi giorni ho concluso anche il “libro”. E’ un testo di oltre 340 pagine. Non è una semplice carrellata di aneddoti, ma una vera e propria storia ambientata in un immaginario villaggio turistico: un /viaggio/ di 7 giorni che racchiude tutte le strambe storie dei tanti clienti che ho incontrato nelle varie destinazioni sparse nel mondo, in cui ho lavorato. Inoltre, in più punti, ho voluto sottolineare i motivi che portano molti di noi a fare questa vita da vagabondi, spesso per passione, spesso perché non si trova nulla di più stabile. Un racconto tragi-comico in molti punti, riflessivo in altri… Info su:
un’anteprima: “follie alla partenza”
di Ellie Alessandri
Ma dove sono finiti tutti quanti oggi? E’ più di un’ora che sono qui e ho visto solo quattro persone, di cui due volevano solo sapere se potevano avere le etichette bagaglio per il giorno della partenza. Le ho, ma sono poche e le distribuisco con parsimonia: ho risposto, a tutti i clienti che me le hanno chieste, che avrei controllato se ne avevo ancora e che eventualmente gliele avrei fatte consegnare in camera. In realtà neppure le cercherò. Ho solo recitato la solita scena: quella in cui faccio la parte della fatina buona che si impegna a esaudire i loro desideri. Ho sempre pensato che le recite fatte alle scuole elementari mi sarebbero tornate utili un giorno… “Ora come facciamo senza etichette?” mi ha chiesto una cliente appena le ho riferito che le avevo terminate. “Non importa signora, quell’etichetta non conta molto. Quella fondamentale è quella che vi attaccano in aeroporto: la striscia con il codice a barre, ha presente?” “Si, ho capito. Ma non è che mi perdono la valigia se non ci metto l’etichetta con il mio nome?” mi ha domandato con aria decisamente preoccupata; e quanto lo era si capiva dall’espressione e dal colorito che aveva sulle guance: se non si fosse calmata, avrebbe rischiato lo svenimento. Poteva avere più o meno settant’anni, portati benissimo tra l’altro. Ma si stava veramente agitando troppo e io non volevo averla sulla coscienza. “Stia tranquilla, signora. E’ la striscia con il codice a barre che contiene i suoi dati e il suo nome che conta, non l’etichetta che diamo noi!” le ho ripetuto, sperando di riportare il suo battito cardiaco a un ritmo normale: temevo veramente che stesse per crollare qui, davanti ai miei occhi. “Ah! Ma mì c’ho bisogno dela eticheta, sa!” “A no!” ho pensato. “Se, oltre a essere a un passo dal collasso, mi parla anche in dialetto ci rinuncio!” “Signora, aspetti un attimo… mi faccia controllare” le ho detto, mentre prendevo la borsa di lavoro e facevo finta di cercare nelle tasche. “Adesso che mi viene in mente ne ho giusto due qui con me!” L’Oscar! Potrebbero darmi l’Oscar! Ho praticamente salvato una vita: appena ha visto le due etichette bagaglio, è tornata di un colorito accettabile e ha smesso di sudare freddo. Tutto ciò mentre il marito, al quale di tutta la vicenda (e delle condizioni della moglie…) pareva non fregare assolutamente nulla, le girovagava intorno, quasi facendo finta di non conoscerla.
(…)
Sto già sistemando in borsa i fogli, le penne e i libretti dei tagliandi per le escursioni che ho sparsi qui sul banco, quando vedo che si avvicina un cliente, sulla quarantina. Tiene per mano una bimba bionda, con due enormi fiocchi rosa acceso tra i capelli. “Buonasera” mi dice, mentre si accomoda sulla sedia e prende in braccio la bambina che avrà almeno cinque o sei anni. “Vorrei prenotare l’uscita di domani in barca.” Benissimo. “Certo, le faccio subito le due ricevute” rispondo. Chiedo il cognome e il numero di camera da inserire sul biglietto e, mentre compilo gli spazi vuoti, gli spiego come si svolgerà la giornata: a che ora partiranno, che giro faranno, cosa vedranno e a che ora, più o meno, rientreranno in hotel. “Sembra essere proprio una bella giornata!” mi risponde lui, con espressione molto compiaciuta. “Per la bambina come faccio per la merenda?” Gli spiego che dove andranno c’è un bar che vende gelati, biscotti, panini. “Può trovare un po’ di tutto”. “Okay. Ma è meglio se mangia qualche cosina dopo pranzo oppure se fa merenda verso le 16.00, quando arriviamo là?” E cosa ne so io? E’ figlia tua. Resto sempre allibita quando mi vengono fatte certe domande. Non è la prima volta, infatti, che un genitore mi chiede come deve vestire o che cosa deve dare da mangiare a suo figlio, a che ora e in quali quantità. E siccome io di responsabilità non me ne voglio prendere, anche in queste occasioni valuto bene le mie risposte e cerco sempre di dire cose che non possono ritorcersi contro di me. “Dipende dalla bambina, dalle sue abitudini.” “Lei di solito fa merenda verso le 16.00.” “Ed allora può fare merenda alle 16.00.” Mi pare piuttosto semplice come soluzione. “Quindi lei dice che va bene se le prendo, per esempio, dei biscotti quando saremo là?” mi chiede, mentre cerca di trattenere a sé la figlia che vorrebbe scendere dalle sue gambe e andarsene. Ho il presentimento che questa bimba abbia già capito che genere di adolescenza l’aspetti. “Faccia come ritiene più opportuno, io non conosco le abitudini di sua figlia. Se crede che sia la cosa migliore, le dia i biscotti quando arriverete là.” “Benissimo, faremo così”. “Vedrà che vi divertirete” gli dico cercando di cambiare discorso. “Allora, questi sono i due biglietti che dovrete consegnare alla guida domani mattina. La partenza è alle ore 08.00, da qui.” Mi paga e mentre gli sto dando il resto, si alza, prende in mano i due voucher e mi chiede: “Quindi… a che ora si parte?” Te l’ho detto esattamente quattro secondi fa. “Alle 08.00.” “Da qui?” mi chiede, indicando con il dito, il punto esatto in cui si trova: i cinquanta centimetri quadrati sui quali sta in piedi. “Uh. Si, da qui.” “Quindi si parte da qui, qui” mi ripete, ancora, indicando il punto in cui si trova e accentuando quel secondo qui. “Da qui, in quest’area” gli rispondo, aprendo le braccia per indicare che ‘qui’ significa tutta l’area della reception. Cosa dovrei fare per esser più chiara di così? Recintare la zona, magari con il nastro giallo e nero, modificato: ‘non oltrepassare, l’area per la partenza per l’escursione è questa’. Ma forse non sono stata esaustiva. Mi guarda e indicando l’ingresso mi dice: “Va bene. Quindi non da là, ma qui.” Da là, da qui… io non ci sto capendo più niente! “Anche se attende all’ingresso va bene. Tutta questa zona va bene” gli ripeto, sempre aiutandomi con i gesti e indicandogli nuovamente lo spazio che sta dinanzi a lui. “Alle 08.00?” “Si. Alle 08.00. Ma se, per caso, dimenticasse l’orario, può trovarlo sul biglietto: l’ho scritto lì sopra.” gli rispondo, indicandogli i tagliandi che tiene ancora in mano. Glielo spiego perché sono cortese, ma soprattutto perché così spero di evitare che stasera tardi, quando dovrà puntare la sveglia per domani mattina e non si ricorderà l’orario, abbia la geniale idea di farmi chiamare in camera o di telefonarmi sul numero delle emergenze. “Perfetto. Allora domani mattina alle 08.00, qui” mi dice mentre si allontana con la figlia. Se tutti coloro che mi fanno la stessa domanda, credendo realmente che la partenza sarà dal punto esatto in cui si trovano quando prenotano, ogni mattina alle 08.00, su quella piastrella, ci sarebbe una folla immane: farebbero a botte per ammassarsi tutti sugli stessi cinquanta centimetri quadrati. Un po’ come fanno la domenica al banco della reception, uno sopra l’altro. Potrei iscriverli a una prova del Guinness World Record: sembrano quelli che gareggiano per riuscire a entrare in cinquanta dentro a una utilitaria. I miei clienti supererebbero la prova, non ho dubbi!
Il giorno dopo… Quando arrivo nella hall vedo che molti ospiti sono già pronti in attesa della partenza. Parecchi di loro, appena mi vedono, si alzano e vanno fuori. “Si parte!” urla il padre ai due bambini che non gli sono corsi dietro verso l’ingresso. Ecco, lo so cosa succede adesso. E l’idea non mi piace affatto. “No, tranquilli, rimanete pure seduti. Quando è l’ora vi chiamo io.” dico subito prevedendo che tutti si sarebbero spostati in massa verso l’ingresso. Quando lo fanno sembrano trecento bufali che migrano da una zona all’altra della savana. Un vero spettacolo. Perché guardare Discovery Chanel quando posso stare qui e vedere ogni tipo di documentario sui comportamenti animali… Ehm, umani? Entro in ufficio e abbastanza frettolosamente tiro fuori dal cassetto la lista dei nomi di chi deve partire in escursione questa mattina. Lo stesso elenco l’ho lasciato nel cassetto dei documenti di Anna, la governante. In questo modo saprà chi non sarà in resort sino all’ora di cena e potrà così organizzare la pulizia delle camere. La stessa collaborazione la ho con lo chef ma soprattutto con Vittorio, al bar. Ottanta persone in meno a cui preparare da mangiare fanno una certa differenza e se lo chef lo sa in anticipo, può organizzarsi meglio. La stessa cosa vale per il bar: conoscendo il numero dei clienti in escursione, il capo barman di conseguenza sa quante persone mettere in turno per l’ora di pranzo. Insomma, questi turisti sono controllati in ogni dettaglio e per tutti noi è fondamentale essere al corrente di ogni loro spostamento. Potrei anche vivere senza sapere tutti i fattacci loro, sia chiaro. Ma l’avevo detto io che sono curiosa, e di certo con questo lavoro mi posso sbizzarrire. Esattamente come faccio per ogni partenza, con tanto di lista alla mano, comincio a vagare per la hall e controllare chi c’è e chi non c’è. Inevitabilmente, l’occhio mi cade nei pressi del mio banco assistenza. No, non sono tutti ammassati sulla piastrella davanti alla scrivania: quasi tutti hanno capito che ‘qui’ voleva dire in tutta la hall. Quasi tutti, appunto: una coppia occupa le sedie al punto d’incontro. “Buongiorno, siete i signori…?” “In due…abbiamo prenotato ieri…dovremmo essere i primi della lista.” Io li adoro quando fanno così: io me li ricordo questi due, ma è una casualità. Ma anche se non me li ricordassi, per loro non cambierebbe nulla. Credono di esserci solo loro. Io la memoria ce l’ho buona, eh. Ma non è che mi ricordo di tutti-tutti… “Ah, si. Eccovi. Grazie. Vi segno così so che siete già qui.” “Bene. Ma tutti gli altri signori lì dove vanno?” “Anche loro alla stessa vostra escursione.” gli rispondo. “Ah. Noi siamo qui perché aveva detto che si partiva da qui” mi risponde, guardando gli altri quasi come fossero un branco di stupidi dato che non si erano messi anche loro qui, qui, proprio qui! Dopo pochissimi minuti riesco, con la coda dell’occhio, a vedere che tutta la massa di gente accampata nella hall si alza improvvisamente e corre verso l’uscita. “Oddio!” penso, immaginandomi già la mandria che si sposta. Mi giro, guardo fuori. E’ arrivato uno dei due bus. “Fermi tutti!” urlo, mettendomi davanti alla porta con le braccia aperte. “Con calma: non dovete salire tutti su questo. E io ho bisogno di capire chi sale e chi no. Quindi, senza fretta e uno alla volta, vi mettete in fila e prima di salire mi ripetete il vostro cognome.” Siccome ormai li conosco, aggiungo: “E non scordate che chi lo aveva prenotato deve ritirare il pranzo al sacco dalla sala ristorante!” Non vorrei trattarli come un gruppo di bambini delle elementari in gita, ma non ho alternative: spesso è l’unico modo per farmi capire. Appena terminato il mio breve monologo, vedo la metà di loro che si volta e corre verso il ristorante. “Mario! Io te lo avevo detto che dovevi prendere il sacco con il pranzo! Vai! Adesso corri tu a prenderlo!” cominciano a discutere alcuni. “Giovanna! Sei sempre la solita!” sbraita un altro signore alla moglie “Adesso facciamo tardi. Avanti! Vai al ristorante!” Poco dopo, tornano con i loro sacchetti del pranzo al sacco. Puntualmente si fermano davanti all’ingresso, li appoggiano in terra e cominciano a ispezionarne il contenuto, e eliminano ciò che secondo loro non gli servirà. Peggio di C.S.I. : sembra stiano analizzando la scena del crimine. Tirano fuori frutta, fette biscottate o altro, si guardano intorno e appena incrociano il mio sguardo mi dicono: “Eh, ma insomma, dobbiamo portarci tutta questa roba?! Pesa tanto! Noi mica mangiamo tutta queste cose, sa!” Se è poca, non va bene. Se è tanta, non va bene. Se i panini sono con il prosciutto crudo, non va bene. Se ci metti il formaggio, non va bene ugualmente. E’ un benedetto pranzo al sacco, non il buffet a cui ti abbiamo abituato qui in resort. Stai andando in escursione: ma un po’ di spirito di adattamento, no!? Chiedo troppo?! Guardandoli mi vengono in mente quegli ospiti che, nel momento in cui chiedo loro se desiderano riservare il packet lunch in sostituzione del pasto che perderanno in hotel, mi rispondono: “Si, grazie. Ma ho delle richieste da farle…” “Prego, mi dica!” gli rispondo. Non sono così insensibile: se hanno allergie oppure sono vegetariani e non mangiano il prosciutto, o se addirittura sono celiaci, è sempre possibile venir loro incontro con qualche modifica. Quindi chino la testa sul foglio che ho davanti a me, impugno la penna e mi preparo ad annotare i cambi che necessitano. “Si, bene. Allora: nei panini vorrei… in uno il prosciutto crudo e nell’altro pomodoro e tonno, grazie!” mi dice, con una nonchalance incredibile. Blocco la penna sul foglio, alzo la testa e incrocio il suo sguardo. Forse scherza, ci spero sempre. Invece è serio: è veramente convinto che i panini li facciamo su ordinazione, permettendo a trecento persone di decidere cosa mettere nei propri sandwiches. E’ anche vero che in alcuni hotel a 4 o 5 stelle e con pochi clienti danno questo servizio. Ma questo è un villaggio turistico con 200 camere e alloggi residence e proprio non possiamo permetterci di offrire questo trattamento. “Uhm, guardi… facciamo cambi solo se strettamente necessari. Non può scegliere cosa mettere dentro se non ha reali necessità” gli spiego, sperando che non se la prenda troppo. “Ah… okay, va bene” mi risponde subito, senza insistere ulteriormente. Diciamo che ci ha provato, gli è andata male e non ha insistito. Almeno questo!