Valle del Wakhan tra wakhi e kirghisi
• SABATO 31 LUGLIO 2004 E’ l’alba del sabato (ore 6.00) quando tocchiamo il suolo Afgano e confesso con una certa emozione. E’ la prima volta che mi succede. Certamente le notizie che ho acquisito in tutti questi anni dalla stampa e dalla televisione hanno condizionato il mio stato d’animo al momento dell’arrivo. Mi sento in una condizione di vigile attenzione nello spostarmi anche all’interno dell’aeroporto. Al contatto poi con la realtà locale tutto si tranquillizza. Mi sembra di essere in uno dei tanti aeroporti del terzo mondo già altre volte utilizzati. E’ vero che qui si nota una maggiore presenza di velivoli militari. Ciò che colpisce invece è la non rara presenza di occidentali che molto spesso sono accompagnati in auto per la partenza con la scorta di guardie del corpo in pieno assetto di guerra, protetti da giubbetti antiproiettile ed armati con i mezzi più moderni. Non so se sbaglio ma ciò mi da l’impressione di un eccesso di prudenza e solo una esibizione di forza e potenza militare. A me sembra tutto tranquillo. Le persone sono cordiali e gentili. Se posso fare un paragone mi sono sembrati più duri ed arcigni i poliziotti turchi che non quelli Afgani. Al nostro arrivo come immaginavo non abbiamo trovato la macchina a riceverci. Siamo arrivati con circa 3 ore di anticipo. Decidiamo di attendere l’ora stabilita per l’appuntamento. Nell’attesa giro un po’ per l’aerostazione. Esploro questo primo angolo di Afganistan e subito noto i primi segni di quella tipica incuria e cattiva manutenzione che caratterizzano questi poveri paesi. Gli arredi malconci, i muri sbrecciati, soffitti che portano ancora i segni dei vecchi scontri che ci sono stati in questi luoghi, serramenti sconnessi con sozze vetrate con attaccata ancora la polvere di chissà quanti mesi. Ad una di queste stanno lavorando due individui armati di luridi stracci che intingono in una bacinella di acqua color fango. Non riesco a capire se il loro compito sia quello di pulire la vetrata o spalmare la polvere ad essa attaccata impregnandola del lerciume dei loro stracci. Nell’indifferenza generale continuano a svolgere imperterriti il loro lavoro. Tra il via vai continuo di chi arriva e parte, tra i saluti e le lacrime della gente scruto in continuazione il piazzale antistante gli arrivi alla ricerca della nostra macchina. All’ora stabilita non è arrivato ancora nessuno. Chiamo più volte col telefono l’Ambasciata Italiana ma il funzionario che avevamo contattato dall’Italia risulta irreperibile. Durante uno di questi tentativi, vengo fermato da una signore che parla la mia lingua e si presenta come colonnello dell’esercito italiano, il quale sentendomi parlare nel suo stesso idioma ed intuendo che stavo colloquiando con l’Ambasciata Italiana, si offre di portarci con la sua vettura alla sede dell’Ambasciata. Nel ringraziarlo per la sua cortesia gli spiego che sto cercando di contattare Falcone della Cooperazione Italiana perché con lui eravamo d’accordo di incontrarci all’arrivo. Fortunatamente il colonnello conosce il numero del suo cellulare ed in pochi minuti lo contattiamo. Finalmente riesco a parlargli e mi avvisa che sarebbe giunto da noi entro pochi minuti. Scopro poi al suo arrivo che era già venuto all’aeroporto all’ora stabilita ed avendo saputo che il volo era arrivato con tre ore di anticipo ha pensato che fossimo già andati all’hotel e quindi è ritornato in città. E pensare che quando è arrivato ci aveva anche notato ma non aveva pensato di contattarci!!!. Arriviamo finalmente al nostro hotel Kabul Inn dove troviamo la macchina prenotata per noi e dove dopo una breve chiacchierata e bevuta di the decidiamo di riposarci un po’ fino alle 17.00. Andremo poi al suo ufficio per concordare assieme i piani futuri e per organizzare la cena per la sera in compagnia di alcuni suoi amici italiani e con Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale. All’ora stabilita ( 17.00 ) ci troviamo con Gianni e Daniela per andare presso l’ufficio della Cooperazione a trovare Fabrizio Falcone. Rimaniamo li fino alle 19.30. Ci presenta alcuni suoi collaboratori locali ed italiani. Programmiamo il nostro itinerario di visite ed incontri per i giorni seguenti. Ci fissa l’appuntamento con i responsabili dell’AKDN ( Aga Kan Development Network) e si stabilisce per domani sera la cena con Cairo ed amici. Con un suo collaboratore del Panjir si programma un incontro per il nostro rientro a Kabul con i famigliari di Massud ed una visita alla vicina valle del Panjir. Siamo un po’ stanchi per viaggio e decidiamo di rientrare in albergo. Daniela corre direttamente a dormire mentre io Gianni consumiamo una breve cena al ristorante dell’albergo. Rimaniamo a chiacchierare del nostro progetto di viaggio e delle idee per il futuro. Delle necessità che i nostri attuali e futuri progetti abbiano tutti delle finalità di carattere umanitario. Che il viaggio non sia fine a se stesso, che abbia un proseguo anche con possibili sviluppi in un rapporto futuro. Commentiamo anche le notizie avute da Fabrizio sulla gente locale e sugli interventi umanitari. In loco si parla di interventi notturni fatti dagli aerei americani diffondendo pesticidi sui campi di papaveri rendendo non più coltivabile tutto il territorio per un lungo periodo. Di notte si sentono gli aerei volare sulle campagne ed una sottile pioggia cade su tutto. Il terreno risulterà poi inquinato e non solo per i papaveri sarà impossibile la coltivazione. Parliamo e commentiamo queste ed altre notizie. Alla fine la stanchezza prende il sopravvento e decidiamo di andare a dormire.
• DOMENICA 01 AGOSTO 2004 Come in tutti i paesi islamici non è giorno di festa qui alla domenica e possiamo procedere ai preparativi per la nostra partenza per il corridoi del Wakan. Passiamo col mezzo che abbiamo a disposizione alla sede della Ariana per l’acquisto dei biglietti del volo per Faizabad. Giriamo per i fatiscenti uffici della compagnia aerea ed alla fine riusciamo ad individuare quello che può emettere i biglietti. Non esistono sistemi computerizzati ma solo il vecchio metodo della penna. Ci sono due tavoli vecchi ed instabili nella piccola stanza. In uno un gruppo di donne chiacchiera alacremente mentre nell’altro il funzionario della compagnia ci fa accomodare per la compilazione dei biglietti. Un viavai continuo di varie persone. Una di queste porta anche dei viveri che posa sul tavolo di lavoro. Finalmente in mezzo a questo caos riusciamo ad avere i nostri biglietti. L’andata è fissata per il giorno 4 mentre il ritorno viene lasciato aperto. Stabiliamo di rientrare a Kabul il giorno 7 settembre. Espletate queste pratiche ci facciamo accompagnare dall’autista all’Università dove abbiamo appuntamento per le ore 10.30 col professore responsabile della cattedra di lettere. Sono molto gentili ed interessati al progetto di visita e ricerca nella zona del Wakan ed ad una eventuale collaborazione con l’Università Italiana per un iterscambio culturale. Giriamo un po’ per l’Università ed osserviamo gli studenti nelle pause delle lezioni. Ci sono più donne di quanto potessi pensare che frequentano i corsi universitari sembra che siano veramente passati i tempi del restrittivo regime Talebano. Certo, gli edifici portano ancora i segni dell’incuria e delle battaglie che si sono svolte in questi luoghi anche durante gli scontri tra le varie fazioni dopo il ritiro delle truppe di occupazione russe. Il traffico caotico della città ci prende ancora quando ci spostiamo per andare all’altro appuntamento presso gli uffici dell’AKDN. Il funzionario con cui parliamo non si dimostra subito interessato ai nostri problemi. Alla fine però ci fornisce alcune indicazioni che potrebbero tornarci utili. Siamo già a metà pomeriggio e passiamo le ultime ore in attesa di incontrarci con Fabrizio Falcone girando per il mercato alla ricerca di un abito per Daniela. Alla fine acquisterà anche un burka. Passiamo un paio di ore girando tra i negozi suscitando la curiosità delle tante persone presenti. Non ci sono altri stranieri in giro, ed è ovvio che si diventi subito oggetto di attenzione da parte di tutti i locali. Girando tra i vari negozi incontriamo un conoscente della nostra guida che parla molto bene l’italiano essendo vissuto alcuni mesi in Italia. Ci accompagna in giro ed alla fine ci scambiamo gli indirizzi con l’intenzione di ritrovarci al nostro rientro dal Wakan. Il mercato, contrariamente a quanto potevo immaginare, e pieno di ogni sorta di mercanzia che i commercianti esibiscono con i tradizionale metodi dei mercati asiatici. A Kabul si trova di tutto. Me lo confermano anche gli italiani della cooperazione e dell’Ambasciata Italiana con cui siamo in contatto. Siamo veramente molto lontani dalla realtà che potevo immaginare e da quanto descritto e riportato dalla nostra stampa. Esiste, e mi confermano esisteva anche durante il periodo Talebano, un mercato ricco e fiorente come in qualsiasi altro paese asiatico. Forse un tempo per alcune merci si svolgeva in un modo più clandestino ma i prodotti frivoli dell’occidente arrivavano anche durante il proibizionismo dei talebani. Scatto alcune fotografie. Le persone non sono per nulla restie a farsi riprendere. Unica eccezione le donne che alla vista dell’obbiettivo corrono a coprirsi. Oramai siamo nel tardo pomeriggio e dobbiamo rientrare per prepararci per la cena. Siamo ospiti di Fabrizio Falcone che ha invitato alcuni suoi amici italiani tra cui Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale. La cena si svolge allegramente con cibi italiani che si possono trovare facilmente in città. Esiste un negozio gestito da un italiano che fornisce anche tutti i prodotti all’esercito italiano in tutte le zone di guerra dove operano i nostri militari. Questa persona sembra sia bene introdotta a livello ministeriale. Cairo ci racconta del suo lavoro e dei problemi che quotidianamente sono da risolvere in queste zone. Ci fornisce inoltre alcune importanti notizie per il nostro viaggio e si attiva subito per contattare alcune persone che collaborano con lui in quelle zone. Ci accordiamo inoltre per un incontro e per una più approfondita visita all’ospedale della Croce Rossa di Kabul al nostro rientro.
• LUNEDI 02 AGOSTO 2004 Dall’hotel ci dirigiamo di buonora all’ufficio della Cooperazione Italiana ( sfruttiamo la cortesia di Fabrizio Falcone) per inviare alcune e mail ai corrispondenti dell’AKDN in Badakshan affinché ci organizzino alcuni servizi in loco prima del nostro arrivo. Passiamo quindi all’Ambasciata Italiana per l’incontro stabilito con Batori. Gentilmente si sottopone alla raffica di quesiti di Gianni. E’ la persona che dispone delle notizie più attendibili essendo stato recentemente nella zona che noi dovremo percorrere. Ha risalito il corridoio di Wakan circa 20 gg. Fa fino a Sarhad de Wakan e poi ha attraversato il confine scendendo in Pakistan dal passo di Boroghil per rientrare in Italia. Sono queste le più recenti notizie che riusciamo ad ottenere. Poi sarà nostra cura verificare il tutto. Toccherà a noi decidere nelle varie situazioni. Le notizie sono tuttavia rassicuranti. I Waki ed i Kirghisi sono persone a quanto risulta molto cordiali ed ospitali anche se talvolta esistono degli attriti tra di loro per l’utilizzo dei pascoli da come ci informano agli uffici dell’AKDN. La partenza per il Badakshan si prospetta sotto i migliori auspici. Cerchiamo di raccogliere più notizie possibili. A tale scopo fissiamo un appuntamento per domani sera a cena nel nostro albergo assieme a Falcone. Partiamo dall’Ambasciata Italiana per la visita del palazzo di Babur. La strada per giungervi attraversa il sempre caotico centro. L’aria mi sembra sempre più irrespirabile per la cappa di smog che copre la città e penetra anche nei più reconditi angoli degli alveoli polmonari. Mi sembra che oggi sia più irrespirabile dei giorni precedenti. Forse la situazione è peggiorata a causa del vento forte che spira. Quando arriviamo al palazzo ci rendiamo subito conto della situazione disastrosa in cui si trova. Gli anni di guerre e combattimenti tra le varie fazioni in lotta hanno lasciato una traccia indelebile sull’edificio che ora a malapena lascia trasparire le ricchezze ed i fasti di un tempo. La zona è stata teatro di forti scontri. I segni dei proiettili sono molto evidenti su ciò che rimane delle mura del palazzo. L’AKDN sta lavorando alla sua ricostruzione cercando di renderlo allo splendore di un tempo con ingenti finanziamenti ed un numero elevato di tecnici ed operai. Raccolgo un’abbondante quantità di immagini per documentare quanto resta. Il pomeriggio passa a casa della nostra guida che vuole presentarci il padre, ex professore di letteratura. Con orgoglio ci mostra la dimora appena ricostruita: in parte con i soldi ed i finanziamenti per i profughi ed in parte con quanto guadagnato lavorando per la Cooperazione Italiana. Prima di entrare in casa ci fa attendere alcuni minuti che gli servono per allontanare le donne della famiglia. Quando tutto è pronto siamo invitati ad entrare in una modesta stanza dove fanno mostra gli unici poveri arredi costituiti da un letto/divano ricoperto da un tappeto che funge da copriletto, ed un altro tappeto disteso a terra sul quale sono gettati alcuni cuscini e dove sta seduto in lettura l’anziano padre. Sono tutti di etnia Pastun. Hanno vissuto molto tempo come profughi nella città di Paschawar in Pakistan e sono rientrati in Afganistan solamente da un paio di anni dopo la resa dei Talebani. I pochi soldi raggranellati lavorando con gli italiani e gli aiuti per i profughi hanno permesso la ricostruzione della loro casa. Sul retro di essa sono ancora evidenti i resti di quanto rimane del vecchio edificio distrutto dalla guerra. Il pomeriggio passa tra disquisizioni letterarie e raffronti linguistici tra Daniela e l’anziano professore. Il solito the servito alla maniera Afgana accompagna la conversazione: tutti seduti a terra attingendo dalla comune teiera. Quando il the finisce viene rimpiazzato con altro preparato dalle donne di famiglia che, bussando senza farsi vedere, danno il segnale che è pronto. Alla nostra conversazione partecipano solo i maschi di famiglia. Anche per i bambini vale la stessa regola: sono ammessi solo quelli di sesso maschile. La curiosità non impedisce alle bimbe di far capolino furtivamente dalla porta per scomparire poi velocemente quando qualcuno di noi volge verso di loro l’attenzione. E’ molto radicata anche qui a Kabul nella capitale la concezione che la donna non deve apparire in pubblico. Siamo assieme a persone che vivono in città, a contato con occidentali, che lavorano da parecchio tempo con italiani, con un grado di istruzione elevato ( la nostra guida è laureata in lettere ed il padre un ex professore di scuola superiore) eppure la donna è mantenuta in uno stato di segregazione anche presso i ceti più colti. Cosa ci aspetterà quando incontreremo i pastori che vivono sulle montagne!!!! Prima dei saluti Daniela viene invitata a fermarsi per conoscere le donne di famiglia. Noi siamo esclusi dall’incontro. Il volto scoperto delle donne di famiglia, anche se queste non indossano abitualmente il burka, può essere visto dagli estranei solo se di sesso femminile .Avevo potuto constatare che non indossavano il burka poiché le avevo intraviste transitare davanti alla vetrata della stanza in cui eravamo accomodati per il the. Stiamo forse iniziando a verificare la reale condizione femminile in questo paese. Quanto ci sia da scoprire ancora non posso immaginare; quanto sia lontana da ciò che supponevo la realtà di questo paese. Non ho trovato scenari di guerra come possono far supporre le descrizioni dei nostri giornali e mezzi televisivi. E’ si una città che porta evidenti i segni di tanti anni di scontri. Le case hanno ancora evidenti sulle facciate le ferite lasciate dai proiettili sparati senza risparmio. Parecchie sono ancora le zone con macerie e rottami bellici. La luce elettrica può ancora mancare alla sera e gli hotel sono costretti a ricorrere ai gruppi elettrogeni per garantire l’illuminazione. Le zone di possibili attentati sono ancora protette da abbondanti apparati difensivi. Malgrado questo è una città che vive la sua vita normale. Col suo traffico caotico, i suoi commerci nel bazar, la gente che lavora regolarmente. Nessuno pensa più alla guerra. Dà l’impressione di una città che vuole vivere la sua vita dimenticando prima possibile quanto ha vissuto negli ultimi anni.
• MARTEDI 03 AGOST0 2004 Ultimo giorno di permanenza a Kabul prima di partire per il Badakhshan. Si passa la mattinata girovagando per il mercato cittadino alla ricerca di pubblicazioni che parlino del paese. Saliamo con l’auto su di una collina dalla quale si ha una visione panoramica della città. Incontriamo anche tre fuori strada con militari francesi che salgono sullo stesso punto per ammirare il panorama. Purtroppo la costante coltre di polvere e smog che copre sempre la città ci impedisce di avere una visione nitida. L’agglomerato si estende a perdita d’occhio verso le montagne circostanti. Sono brulle, non un filo d’erba le copre. Le difficili condizioni economiche ed il freddo intenso invernale hanno portato la popolazione a compiere un radicale disboscamento delle colline che circondano la città. A ciò ha contribuito anche la forte siccità. Un progetto della cooperazione italiana sta cercando di effettuare il rimboschimento di alcune di queste colline. Fabrizio, che segue il lavoro, manifesta molte perplessità sulla riuscita di un tale progetto in particolar modo nel momento in cui tutto sarà lasciato nelle mani dei locali. Ci perdiamo fino alle 13.00 per le strade del mercato e quindi rientriamo all’hotel per il pranzo assieme al nostro autista. Saldiamo il conto con lui e lo congediamo fissando l’appuntamento per il nostro rientro. Salgo in camera dopo aver saldato il conto dell’albergo ed inizio a preparare i bagagli per la partenza di domani mattina all’alba. Questa sera come programmato avremo ospiti per cena Batori e Fabrizio. Spero che lassù, tra le montagne del Pamir, la vita sia più tranquilla che in città. Il traffico caotico ti stordisce. Lo smog generato dagli scarichi delle auto ti entra nelle narici infiammando le vie respiratorie. La polvere completa il tutto entrando in ogni dove. Qua e la si scorgono ancora i segni della guerra ma l’impressione è che la città si stia avviando verso la normalizzazione. Quello che si nota è una immagine completamente diversa da quanto la nostra stampa e televisione presentano. Quanto sia diversa lo si sente parlando con gli operatori che lavorano in queste zone. La scorsa sera, a cena, parlando con Alberto Cairo vengo a sapere che la situazione degli approvvigionamenti dei prodotti sanitari è completamente diversa da quanto immaginavo. Non c’è assolutamente mancanza di medicinali in queste zone. Capita talvolta che arrivino addirittura delle eccedenze e non si sappia come distribuirle. Secondo il suo parere non esiste coordinamento per i materiali che vengono inviati. Un’altra critica che si sente fare riguarda il fatto che i militari provvedano talvolta ad interventi umanitari provocando confusione tra la popolazione la quale non distingue più le associazioni umanitarie dai militari. Entrambi vengono identificati come un’unica entità e ciò provoca talvolta delle situazioni pericolose per gli operatori. Mi spiega inoltre la situazione che ha provocato il ritiro dei Medici Senza Frontiere dal paese. Avevo letto di questo nei quotidiani italiani e non nego che mi aveva causato una certa apprensione anche in previsione del nostro viaggio. Ho pensato, da come veniva presentata la faccenda, ad uno stato di belligeranza ancora in atto. La realtà a quanto mi racconta Cairo è completamente diversa. Sembra certo che siano state vittime di una faida interna alla locale polizia della zona dove operano e non di un attacco contro le associazioni umanitarie e gli occidentali. Il vecchio capo della polizia locale, destituito per incapacità, ha ordinato l’esecuzione dei membri di MSF per dimostrare l’incapacità del suo successore a mantenere l’ordine. La cosa è stata subito scoperta ma il regime di omertà e collusione che vige in quelle zone ha finora impedito che fossero presi dei provvedimenti nei confronti dello stesso. A seguito dell’indecisione delle autorità nell’applicare la giustizia l’associazione MSF ha deciso di ritirare tutto il suo personale dal paese finche non sarà perseguito il colpevole di cui è ben nota l’identità. Non si tratta quindi di un attacco contro occidentali o associazioni di volontariato ma di un comune atto di criminalità.
• MERCOLEDI 04 AGOSTO 2004 Oggi è stata una giornata abbastanza dura. La levataccia alle 4.30 del mattino per partire col volo per Fayzabad alle 6.30. Durante la notte ho dormito poco per la preoccupazione di non svegliarmi in tempo essendo andato a riposare piuttosto tardi. Inoltre il raffreddore che si era preannunciato ieri è scoppiato rabbiosamente in nottata. Partiamo regolarmente malgrado le preoccupazioni. All’aeroporto di Fayzabad, troviamo come stabilito la vettura dell’AKDN ad accoglierci e per portarci nei loro uffici in città. Passiamo tutta la mattinata a raccogliere notizie e per cercare l’auto che ci accompagnerà fino alla fine della pista che entra nel corridoio di Wakan. Passiamo anche dall’ospedale della Croce Rossa dove ci accordiamo per una visita che faremo al nostro ritorno. Partiamo quindi per Barak dove arriviamo dopo circa 4.00 ore e siamo accolti nella guest house dell’AKDN ( 20 $ a testa pensione completa). Abbiamo attraversato posti incantevoli ma per tutta la strada il raffreddore non mi da tregua ed appena arrivo, dopo aver preso dei medicinali, vado a dormire. Speriamo che domani vada meglio.
• GIOVEDI 05 AGOSTO 2004 Ho passato la notte abbastanza bene ed al mattino quando mi alzo mi sento ristabilito ed in forma. Accompagnati da un incaricato dell’AKDN che ci guida, andiamo al mercato per acquistare i viveri che ci serviranno durante il percorso nel Wakan. E’ questo infatti l’ultimo posto dove si può trovare di tutto. Oltre alle vettovaglie acquistiamo anche delle pentole necessarie per cucinare. Partiamo verso le 13.30. Il paesaggio nel primo tratto risulta abbastanza simile a quello già percorso da Faizabad poi la vallata cambia improvvisamente ed appare in tutta la sua bellezza. I colori ricordano quelli già visti nelle vicine zone del Pakistan. L’ocra intenso macchiato talvolta di azzurro e marrone colora i pendii sassosi e ripidi dei versanti che precipitano nella valle in cui scorre il fiume Warduj che nasce nelle vicinanze di Iskaschem. La pista sconnessa segue il fondovalle costeggiando il fiume ora sulla destra ora sulla sinistra orografica ed attraversandolo su fragili ponti o, dove questi sono crollati, su guadi ove è richiesta molta perizia per trovare il cammino. Il fiume accompagna la strada per tutto il suo percorso scendendo impetuoso quando la valle si restringe e diventa più ripida, quando invece si allarga e la sua pendenza diminuisce esso trova la possibilità di correre più placido e calmo disegnando sul greto sassoso i suoi meandri. Attraversiamo durante il tragitto ampie distese coltivate a papaveri. E’ da questa zona che proviene la maggior quantità di oppio nei mercati dell’occidente. L’Afganistan è il maggior produttore al mondo e questa sostanza arriva nei mercati europei ed americani attraverso i trafficanti Russi che qui hanno il monopolio dell’acquisto. Le luci del tramonto che ci accompagnano nell’ultimo tratto incendiano le montagne e quando arriviamo in vista della nostra meta incomincia già a fare buio. Abbiamo impiegato 7 ore per compiere il tragitto. Siamo ancora una volta ospiti della guest house dell’AKDN. Daniela viene messa a dormire in una stanza separata per le donne e trova come compagna una canadese di origine Tagika mentre io e Gianni ci sistemiamo in una camerata per uomini. Si dorme su alcuni cuscini gettati a terra. Anche la cena viene servita in ambienti separati: gli uomini vengono divisi ancora una volta dalle donne. Incontriamo un ragazzo francese ed uno belga arrivato dal Tagikistan. Mi conferma che la strada meridionale del Pamir è percorribile senza problemi. Quante notizie diverse da quanto riportato da guide e giornali si raccolgono sul posto durante il viaggio. A quanto afferma questo ragazzo belga il Tagikistan è un paese tranquillo e percorribile in auto. Sulle guide avevo letto che questo itinerario non era sicuro. In particolar modo si consigliava di evitare la strada meridionale che percorre il Pamir parallela ai confini con l’Afganistan. E’ solo direttamente sul posto che si raccolgono notizie attendibili. Alla guest house ritroviamo anche dei tagiki che lavorano per conto dell’AKDN che avevamo incontrato la sera precedente.
• VENERDI 06 AGOSTO 2004 La partenza è prevista presto in mattinata. Come sempre ci sono imprevisti. Il primo inizia con un ritardo dovuto al nostro autista che sta cambiando la gomma dell’auto che già il giorno precedente aveva iniziato a sgonfiarsi leggermente. Poi la ricerca del carburante, essendo questo l’ultima località dove è possibile trovarne, ci fa perdere ancora una mezzora. Finalmente partiamo. Sono oramai già le 8.30 del mattino. La partenza di buonora era richiesta poiché era necessario arrivare al villaggio di Khandud prima delle ore 14.00. Un impegnativo guado si trova infatti alcuni chilometri dopo questo villaggio e le acque che scendono dai ghiacciai sovrastanti ingrossano il fiume nel pomeriggio rendendo più difficoltoso il passaggio. Iniziamo a percorrere la valle del Wakan. La strada, talvolta con uno sterrato agevole altre volte con fondo più impegnativo corre parallela al mitico fiume Pamir ( Oxus, Amu Daria). La valle si snoda ampia a formare il bacino del fiume. Esso funge da confine tra l’Afganistan ed il Tagikistan. Nel versante opposto si nota la strada che corre parallela in territorio Tagiko. Frequenti sono i villaggi sulla riva opposta. Si ha l’impressione che in territorio Tagiko l’ex Unione Sovietica abbia fatto maggiori investimenti di quanto invece fatto in Afganistan dai locali governi. Esistono molti più insediamenti agricoli che si arrampicano sulle pendici dei monti che non sul territorio Afgano. La strada stessa che percorre il lato opposto del confine Tagiko è asfaltata ed inoltre si nota una palificazione che porta energia elettrica a tutti i villaggi. Sul versante Afgano invece la strada è una pista spesso anche in pessime condizioni. Non noto nessuna palificazione ne segnali di insediamenti per la fornitura di energia elettrica. Il paesaggio è meraviglioso. La valle percorsa circa 700 anni fa da Marco Polo e prima ancora da Alessandro Magno si propone in tutta la sua bellezza. La strada corre talvolta vicina e strapiombante sul fiume. Altre volte si allontana per cercare un passaggio più agevole tra le pietraie del fondovalle. Arriviamo al villaggio di Khandud dove veniamo registrati all’ufficio di polizia e siamo ricevuto dal capo del villaggio il quale inizialmente ci comunica che non è più possibile effettuare il guado. In un secondo tempo cambia idea e decide di accompagnarci lui stesso fino al punto di attraversamento. Il guado dista circa 5 chilometri e lungo la strada raccogliamo altre tre persone esperte del luogo che ci indicano il passaggio. Dopo alcuni tentativi troviamo la giusta via e con qualche difficoltà riusciamo a transitare e ad oltrepassare la zona dove l’acqua è più impetuosa. Passato il guado la pista riprende ben visibile e facilmente identificabile. Una corsa ancora di un’ora e arriviamo al villaggio di Qala Panja. Siamo ricevuti anche qui dai notabili del paese. Incontriamo il capo villaggio ( un principe locale) ed anche la persona che dovrebbe fornirci i cavalli per la salita nei pascoli del Pamir. Incontriamo anche il medico inglese di cui ci aveva parlato Alberto Cairo. Siamo ricevuti nella sua casa. Ci sono anche la moglie ed i tre figli piccoli. All’interno della casa regna il disordine più totale. Passiamo anche qui un paio d’ore a conversare ed a raccogliere notizie. I bimbi si dimostrano subito molto socievoli con noi. Con molta probabilità è la curiosità per i nuovi venuti. Vivono qui da parecchi anni ma ci comunicano che rientreranno in Europa il prossimo anno. Mi danno l’impressione di una famiglia hippy più che la famiglia di un medico occidentale. Quando incomincia a fare buio rientriamo nella casa del capo villaggio dove ceniamo seduti sul pavimento, usando le mani ed attingendo dall’unico piatto. Passiamo la notte. Dormiamo in una spoglia stanza su materassini a terra disposti attorno alle pareti. Il padrone di casa, che ci aveva ricevuti all’arrivo, viene a trovarci e si sofferma a chiacchierare fino alle 22.00. Domani staremo tutto il giorno in questo villaggio.
• SABATO 07 AGOSTO 2004 Passo la notte abbastanza bene. I sintomi del raffreddore sono quasi completamente scomparsi. Certo questo ambiente polveroso non favorisce una rapida guarigione. La luce filtra presto dalle finestre che sono prive di imposte. Incomincia ad albeggiare alle 4.00 del mattino ed il paese con le prime luci dell’alba incomincia ad animarsi. E’ questa la stagione di maggior attività del villaggio. In inverno le temperature possono arrivare per un lungo periodo a –20° C e tutte le attività si fermano. I collegamenti diventano difficili e talvolta le popolazioni nomadi arrivano alla fine del periodo freddo con scarsa disponibilità di viveri. Alle 8.00 andiamo col medico inglese dal comandante della polizia di frontiera per l’ottenimento del visto per risalire la valle fino ai laghi di Chaqmaqtin. Qui nascono i primi problemi. Il nuovo comandante, insediatosi solo da alcuni giorni, ci comunica che è necessario un visto che rilasciano a Faizabad. Ritornare indietro significherebbe, tra andata e ritorno, perdere circa una settimana. Il colloquio, condotto dal medico inglese che contribuisce alla traduzione, si svolge in un’atmosfera surreale. Il capo della polizia che con aria di superiorità ascolta e sentenzia separando gli interventi con lunghissimi silenzi e sguardi nel vuoto. I subalterni che dispensano consigli. Prendono i passaporti che vengono registrati in un vecchio quaderno. Fanno alcuni commenti sul mio in quanto le fotografie risultano prive di barba che in questi giorni ho lasciato crescere incolta. Il capo inoltre è incuriosito dai visti dei miei precedenti viaggi. Alla fine, quando pensiamo che tutto sia risolto ed i documenti siano in regola, arriva come una doccia fredda la richiesta del visto rilasciato a Faizabad. Decidiamo di chiamare l’ambasciata italiana col telefono satellitare e Batori si dimostra subito disponibile ad intervenire. Chiede di richiamarlo e di metterlo in comunicazione col capo della polizia. I due per mezzo dell’interprete dell’Ambasciata Italiana si parlano ed alla fine tutto è risolto. Possiamo partire. Nel pomeriggio Daniela partecipa ad una riunione delle donne del villaggio a cui noi uomini non siamo ammessi. Mentre Gianni passa il pomeriggio a sistemare carte io mi faccio una passeggiata per il paese accompagnato da due figli del capo villaggio. Scatto molte fotografie ed un filmato che poi rivisto in serata sullo schermo della telecamera suscita la curiosità di tutti presenti.
• DOMENICA 08 AGOSTO 2004 Altra giornata di trasferimento in auto. Partiamo al mattino di buonora ( ore 6.00 ) sperando di arrivare prima di mezzogiorno. Le notizie avute parlavano di un viaggio di circa 4.00 ore. Ancora una volta le indicazioni risultano sbagliate. Il tragitto risulta essere di 8 ore con i soliti guadi ed il solito fondo sconnesso. Impieghiamo anche più tempo perché perdiamo la ruota di scorta a dobbiamo ritornare sulla strada percorsa per cercarla. Se non sbaglio è la quinta volta che si stacca dalla sua sede sul fondo della macchina. Mentre le altre volte c’eravamo accorti subito questa volta nessuno aveva notato la mancanza o sentito il rumore al momento del distacco. Dobbiamo ripercorrere il cammino già fatto. Dopo circa mezzora di ricerca a ritroso per la strada, decidiamo di scendere presso alcune case di un villaggio e aspettare che l’autista ripercorra la strada fatta. Approfittiamo di questa sosta per visitare il villaggio e scattare alcune fotografie. Siamo ricevuti in una casa dove viene offerto il solito the col pane. Dopo circa un’ora arriva anche il nostro autista felice per aver ritrovato la ruota smarrita. Riprendiamo finalmente la strada nella speranza di non avere più inconvenienti simili. Il percorso è veramente mozzafiato. La pista corre sempre parallela al fiume Wakan abbiamo lasciato la valle dell’ Amu Daria subito fuori dal paese di Qala Panja. Il Wakan è un affluente del Pamir che contribuisce con le sue acque ad ingrossare questo storico fiume. Nasce nelle alte montagne ai confini con la Cina, ed alimentato durante il suo viaggio dai molti affluenti che scendono dai grossi bacini glaciali che incombono sulla valle, confluisce nell’Amu Daria circa 5 chilometri prima di arrivare a Quala Panjia. La vallata che percorre è veramente maestosa. A volte si restringe costringendo le acque in vortici tumultuosi e spumeggianti. In queste zone il fiume è costretto tra le ripide pareti scavate nelle antiche morene e la strada si inerpica per gli instabili pendii a cercare il passaggio nei punti più alti dove la valle si allarga. In questi tratti la pista passa su precipizi incombenti sul fiume che si vede scorrere tumultuosamente nel fondovalle. E’ in questi luoghi richiesta all’autista la massima perizia ed attenzione. A volte la valle si allarga. Il fiume corre più calmo distendendo le sue acque tra le ghiaie dove talvolta si notano ampie distese verdi di prati alimentati dall’acqua e dove pascolano le mandrie dei pastori Waki. Dai lati della vallata scendono rigogliosi torrenti alimentati dai ghiacciai sovrastanti. Alla nostra destra abbiamo il confine Pakistano, verso sud, non molto lontano e possiamo osservare le cime più alte ricoperte da grandiosi ghiacciai. Sono i versanti settentrionali delle montagne. Dietro queste cime corre la Karakorun Hight Way che ho già percorso parecchi anni fa. La meta dove dobbiamo arrivare, il paese di Sarhad de Baroghil, lo raggiungeremo dopo un percorso durato 8 ore. Il paese costituito solo da alcune case sparse dove vivono trenta famiglie ( Circa 300 persone) si adagia su di una piana immensa alla confluenza di due vallate. Una sale verso il confine del Pakistan al passo di Baroghil in direzione nord mentre l’altra conduce alle sorgenti del fiume Wakan ed ai laghi di Chaqmaqtin dove si trovano i pascoli dei pastori Waki e Kirghisi. Il tramonto alla sera è indescrivibile. Le montagne si infiammano di un’ocra ancora più intenso mentre le cime coperte di neve si stagliano in cielo in tutta la loro imponenza. La luce radente del sole evidenzia maggiormente le rughe e le crepe delle calotte glaciali. Il verde della piana assume un colore più marcato mentre gli animali pascolano tranquillamente con le ultime luci della giornata. Alla sera incontriamo il capo della polizia che alloggia nel nostro stesso stabile messoci a disposizione da Tashi Bay, il rais locale.
• LUNEDI 09 AGOSTO 2004 Oggi giornata di riposo dopo i trasferimenti dei giorni scorsi. In mattinata prendiamo accordi con i portatori per i cavalli per i prossimi giorni. Provvede a tutto il boss locale Taschi Bay il quale contatta le persone che dovranno seguirci per tutto l’itinerario nel Piccolo Pamir. Lo vedo discutere animatamente con i locali che sono pervenuti. Alla fine una stretta di mano sembra chiudere l’accordo definitivo. La trattativa si svolge con un rituale curioso fatto di gesti, di sguardi, di ammiccamenti e poi le mani si riunisco in un’unica stretta a suggellare il contratto. Un po’ come i nostri mediatori di un tempo. Il capo della polizia che avevamo incontrato ieri è partito stamani molto presto con tutto il suo seguito. Con molta probabilità compirà il nostro stesso cammino. La persona che Taschi Bay ci ha assegnato come responsabile dei portatori mi invita nella sua casa che si trova vicina al nostro alloggio. Eseguo circa mezz’ora di filmato e scatto parecchie fotografie all’interno. Si tratta di una famiglia molto numerosa. Non riesco a capire le connessioni di parentela tra i vari individui. Ci sono molte donne di età diverse e tantissimi bambini. L’atmosfera è della massima cordialità e simpatia. Le donne sono diverse da quelle incontrate nei giorni precedenti. Sono a viso scoperto e non dimostrano la minima timidezza nei confronti degli stranieri ne della macchina fotografica. Mi permettono di visitare tutta la casa. La cucina, nera di fumo, è la stanza dove si svolge la maggior parte della vita domestica. Al centro del soffitto un largo foro lascia filtrare l’unica luce che illumina il locale e funge anche da camino. Su un lato della stanza un soppalco in legno serve da letto. Nel mezzo uno scavo circolare funge da cucina e stufa per riscaldare. Altre stanze della casa servono da ripostiglio e da ricovero per gli animali. Sul tetto piano vengono disposte ad essiccare delle ciambelle fatte con sterco di animale. Serviranno il prossimo inverno come combustibile per il riscaldamento . Mi offrono quel poco che hanno in segno di ospitalità: pane, the, yogurt. Sono davanti alla casa dove alloggiamo e sto scrivendo. Provo un grande senso di pace e tranquillità anche se un po’ di nostalgia mi fa sentire la mancanza delle abitudini domestiche. La valle si perde alla mia destra. Le donne sono chine sui campi a raccogliere il grano maturo. E’ con le ore del tramonto che il paesaggio assume i suoi colori più intensi. Le montagne si infiammano. E’ l’ora più propizia per la fotografia. Giro per il villaggio e raccolgo parecchie immagini. La gente è sempre molto disponibile. E’ forse la prima volta che non sono costretto a scattare di nascosto per non essere soggetto a continue richieste di danaro. Qui succede il contrario. E’ necessario scattare le fotografie di nascosto affinché il soggetto non si metta in posa. In questa zona il turismo è inesistente.
• MARTEDI 10 AGOSTO 2004 Oggi si inizia a camminare presto. Alle 7.00 i cavalli e gli asini sono pronti per essere caricati. Contrariamente a quanto concordato ci danno più asini e meno cavalli. I soliti problemi di questi paesi : si pattuisce una cosa e poi viene cambiata dopo pochi minuti. Alla fine partiamo. Gli asini sono molto carichi. Abbiamo tre cavalli a disposizione per noi. Preferisco camminare per buona parte del percorso per accelerare il normale fenomeno dell’aclimatamento alla quota. Il sentiero si inerpica per pendii scoscesi in un continuo sali scendi per attraversare le vallate che tagliano il nostro percorso. Molto più in basso alla nostra destra scorre il fiume Wakan. Valichiamo anche un passo di 4300 mt, il punto più alto del cammino odierno. Alle 17.00 arriviamo in una piana dove piantiamo le nostre tende. I portatori ci comunicano che sarà l’unica volta che utilizzeremo le tende poiché i prossimi giorni saremo ospitati nelle case dei pastori. Cuciniamo in fretta qualcosa ma essendo a 3.300 mt. L’esperimento con la pasta risulta infruttuoso . Dopo la cottura si presenta come una massa bianca e collosa. Decidiamo di sbucciare tutte le mele che abbiamo comperato al mercato e le cuciniamo in una pentola. Abbiamo scoperto che stavano marcendo. Finiamo la cena al buio più completo e non appena possibile mi corico nella mia nuova tenda. Oggi per l’intera giornata ho tenuto il telefono spento. Ora devo fare i conti con la ricarica delle batterie. A sera, prima di coricarmi, lo accendo per verificare se c’è qualche messaggio. Ne trovo uno di Gigi che mi augura buon viaggio. In cielo le stelle sono moltissime e di una luminosità straordinaria che solo a queste altitudini si può osservare. E’ il 10 agosto, la notte di San Lorenzo. Ho visto un paio di stelle cadenti come pure le sere precedenti. Il panorama anche qui è incantevole: gli spazi, i silenzi, i colori, la sensazione di libertà che solo in mezzo a tanta natura riesco a provare.
• MERCOLEDI 11 AGOSTO 2004 Stamattina partiamo alle 7.00 ed arriviamo alle 16.00 nel posto fissato per il pernottamento ( 4180 mt). Siamo arrivati tardi perché i portatori oggi hanno effettuato due soste un po’ troppo lunghe. Abbiamo lasciato la vallata principale del Wakan ed abbiamo iniziato a salire verso i pascoli alti dei Waki. Il sentiero segue gli affluenti del Wakan tagliando trasversalmente i ripidi costoni delle montagne. In fondo alla vallata il fiume scorre sinuoso e rigonfio di acqua. Siamo costretti ad attraversarlo su di un precario ponte di legno che collega le due opposte sponde che cadono a precipizio sul fiume. Più in alto, in prossimità della nostra meta, la vallata si allarga. Sopra di noi crinali sui 5000 mt. Ci accompagnano nel cammino con le creste ancora innevate e contornate da cornici di neve residui delle abbondanti nevicate invernali. Piazziamo le nostre tende vicino alle dimore dei pastori. Sono veramente gentili ed ospitali. Ci offrono del pane e nulla vogliono in cambio. Per i prati pascolano liberi yak, mucche e pecore. Alla sera gli animali vengono raccolti vicino ai ricoveri dei pastori. Anche qui i cani eseguono diligentemente il loro lavoro di raduno delle mandrie. Una brezza leggera si alza al tramonto. Siamo ad oltre 4000 mt di quota e l’aria si fa pungente al calare del sole; le cime innevate sul confine Pakistano sono le ultime ad essere abbandonate dai suoi raggi. Qui nella valle l’ombra arriva molto prima. E’ bello osservare le cime che brillano all’ultimo sole. Col tramonto le attività dei pastori volgono al termine, tutti ritornano alle loro case. Per domani mattina abbiamo l’autorizzazione per fare alcune fotografie all’interno delle abitazioni ed alle donne che qui vivono. E’ delle donne, nella comunità Waki, il compito di accudire il bestiame nei pascoli estivi. Qui oramai è il tramonto. Oggi salendo, quando lo sguardo si perdeva lontano nella valle e la vista si attardava sulle cime coperte di neve, mentre osservavo lo scorrere lento del fiume laggiù nella valle, ho sentito un nodo stringermi la gola. Lontano dalle frenesie del nostro mondo, dalla esasperata competitività dalla mancanza di sincerità mi sono sentito completamente libero. Solo questi luoghi riescono a trasmetterti simili intense sensazioni. Sono sudicio, si mangia male, molto spesso stanco per le fatiche della giornata ,ma mi sento libero.
• GIOVEDI 12 AGOSTO 2004 Questa notte nelle tende si è fatta sentire la rigida temperatura esterna. A mezzanotte ho avuto anche dei sintomi di disturbi intestinali. Avevo preso freddo prima di coricarmi. Per precauzione avevo prelevato dal sacco dei medicinali un disinfettante intestinale. Al mattino tutto è risolto. Come di consueto, sia la gente del villaggio che i nostri portatori, iniziano a sistemare le loro cose alle prime luci dell’alba. Qui incomincia ad albeggiare verso le 4.00. Quando li sento muoversi fuori dalla tenda decido di restare ancora per un po’ nel mio sacco a pelo. La tappa di oggi non è molto impegnativa e lunga. Si parte alle 8.00 e si cammina con tutta tranquillità. Oggi voglio anch’io riposarmi ed effettuo tutto il percorso a cavallo. Ne abbiamo a disposizione uno a testa ma i giorni precedenti avevo preferito camminare. Verso la metà del percorso ci fermiamo per un paio di ore in un ricovero per pastori. Ci sono alcune famiglie riunite con uomini, donne e bambini. Si dimostrano cordiali ed ospitalissimi. Ci offrono pane e the non chiedendo denaro in cambio. Anche qui sono molto richieste le fotografie senza chiedere soldi. Alle 15.00 arriviamo alla nostra meta. Un villaggio di pastori a 4385 mt di quota. Sopra di noi svettano le cime innevate che fanno da corona alla valle che abbiamo risalito. Siamo venuti da sud in direzione nord. Di fronte a noi abbiamo una barriera di montagne che domani supereremo. Si intravedono già le morene dei ghiacciai. La valle è molto bella ed ampia. Siamo accampati sulla destra orografica leggermente più alti del fondovalle. Laggiù scorre lento il fiume. Accanto a noi un affluente porta le sue acque al corso principale. Scende dalle montagne alle nostre spalle, verso ovest dove alle 17.00 tramonta il sole. I versanti di fronte sono ancora illuminati. Lontanissima, sul greto del fiume, passa una carovana di animali. Va nella direzione da cui noi proveniamo. Col sole che tramonta si alza una leggera brezza. La temperatura scende rapidamente. Mentre sto scrivendo ho accanto a me 4 portatori che incuriositi osservano cosa sto facendo e commentano nella loro lingua. I nostri animali girano liberi attorno al campo bevendo nelle pozze di acqua e nutrendosi con la fresca erba che qui cresce in abbondanza. Domani mi hanno detto che ci aspettano 5.00 ore di marcia. Si dovrebbe trovare ancora un insediamento Waki dove passare la notte.
• VENERDI 13 AGOSTO 2004 Partiamo alle 7.00. Il percorso di oggi ci porta ancora a transitare per i tipici paesaggi del Pamir. Ampie vallate glaciali con fiumi impetuosi nel fondovalle dove pascolano le mandrie degli animali. I fianchi laterali assumono talvolta l’aspetto dolomitico con colori chiari e rossastri che si infiammano maggiormente nelle ore del tramonto. Altre volte scendono invece con ghiaioni scuri col tipico colore della roccia vulcanica. Ci alziamo di quota. Valichiamo un passo di 4800 mt. Non sono ancora completamente acclimatato ed il camminare mi provoca un forte affanno nella respirazione. Decido di usare il cavallo che ho a disposizione. Le cime che incombono su di noi ( 6000/7000 mt) ora incominciano ad essere incappucciate di neve e dai pendii scendono abbondanti colate di ghiaccio. E’ verso le 16.00 che arriviamo in vista della nostra meta giornaliera. E’ un gruppo di ricoveri per pastori. Come al solito sono molto gentili e ci mettono a disposizione una tenda dove passeremo i prossimi due giorni. Decidiamo di fermarci qui un paio di giorni sia per raccogliere del materiale sugli usi e costumi essendo questo uno dei più grossi insediamenti dei Waki in montagna, sia anche per recuperare un po’ di forze. Appena arrivati ci mettono a disposizione la tenda per gli ospiti e ci offrono subito del the con pane. Stasera saremo ospiti anche a cena.
• SABATO 14 AGOSTO 2004 Ho dormito bene all’interno della yurta. E’ una struttura povera ma confortevole. Si dorme per terra sui tappeti. Non si sente il vento che soffia all’esterno al riparo delle spesse pareti di feltro che avvolgono la struttura portante di legno e che servono sia come isolante termico che acustico. Passiamo tutta la giornata a fare riprese e a scattare fotografie dell’insediamento. Mi soffermo a lungo all’interno delle abitazioni. Il fumo è densissimo e la visibilità scarsa. Mi piace osservare questa gente mentre assolve le pratiche quotidiane. La cura degli animali occupa buona parte della giornata. I greggi escono al mattino presto e rientrano alla sera. E’ a quest’ora che viene effettuata la mungitura. Determinanti in questa operazione sono le donne. Sembra che anche qui, come in tante altre comunità’ debbano sostenere gli oneri maggiori nella cura della famiglia e nel governare gli animali. Durante la giornata lavorano il latte munto il giorno precedente. Preparano il formaggio che viene messo ad asciugare sui tetti delle case. Altro compito delle donne è di accudire i bambini che si portano sempre appresso. All’interno delle scure e fumose dimore si svolge buona parte del lavoro domestico: la preparazione del formaggio, la bollitura del latte. I bimbi passano con le madri buona parte del tempo all’interno di questi locali. Mentre eseguivo delle riprese nella semioscurità ho sentito un gemito provenire da un cumulo di stracci. Sotto c’era un neonato. Certamente si portano appresso fin da piccoli dei grossi problemi respiratori vivendo in questi ambienti fumosi. Inoltre la loro alimentazione e povera e molto spesso accusano grosse carenze vitaminiche. Non si nutrono mai di frutta e verdura non essendo disponibile a queste quote. La carne stessa viene utilizzata pochissimo nei loro pasti. Gli animali sono utilizzati prevalentemente come merce di scambio. Riprendo quanto mi è possibile anche in condizioni precarie di luce. Loro, sia le donne che gli uomini, sono sempre molto disponibili e cordiali. Nel tardo pomeriggio, quando rientrano le mandrie dal pascolo, assisto alla mungitura prima delle pecore e capre e poi degli yak. Alla sera ceniamo a base di carne. Abbiamo acquistato per 2000 Afgani una capra che ci è stata cucinata per la cena.
• DOMENICA 15 AGOSTO 2004 Avevamo previsto di passare anche questa giornata presso questo insediamento e di partire domani mattina. Su consiglio della nostra guida decidiamo di partire oggi e di percorre circa due ore di strada portandoci così più avanti sulla tappa di domani che dovrebbe farci arrivare nella zona degli insediamenti Kirghisi. Siamo a 4480 mt. Di altezza e la quota si fa ancora sentire. I movimenti sono lenti ed ogni lavoro costa fatica. Va’ comunque meglio dei giorni precedenti. E’ piacevole oziare fuori della nostra yurta. Osservare la valle laggiù che si distende in lontananza. Sopra alla mia testa incombe un meraviglioso ghiacciaio dal quale esce un flusso continuo di acque che alimenta il torrente che scorre vicino al villaggio. I resti di antiche morene indicano quanto più estesa fosse un tempo la colata glaciale. Le stesse ampie vallate che abbiamo percorso sono ciò che rimane degli immensi bacini glaciali che qui esistevano migliaia di anni fa. Oggi è ferragosto in Italia. Qui è un giorno come gli altri. Ho perso la cognizione del tempo. Unica scadenza il 1° settembre un appuntamento con l’autista che in tre giorni di viaggio dovrà riportarci a Faizabad per riprendere l’aereo per Kabul. Qui il tempo scorre lento regolato più dalla natura che dall’orologio. Sono i ritmi ciclici del giorno, della notte e delle stagioni che regolano la vita di questa gente. Tra circa 40/50 giorni le giornate si accorceranno, la temperatura diventerà molto rigida. E’ l’ora di scendere a valle. Quassù la vita diventa impossibile. Le temperature scendono di parecchio sotto lo zero rimanendovi per alcuni mesi. Per gli animali diventa impossibile il pascolo. Ci spostiamo verso un altro insediamento per spezzare la tappa di domani che risulterebbe eccessivamente lunga. Camminiamo per circa due ore. Anche qui ci accolgono con la consueta ospitalità. Dormiamo in una yurta allestita per gli ospiti. All’orizzonte si vedono delle maestose cime innevate. Sono nella direzione del Pakistan. Enormi ghiacciai scendono dalle vette. La guida mi informa che passeremo in quella direzione tra tre giorni, sulla via del ritorno. La dimora dove passiamo la notte è più confortevole della precedente. Al centro fa bella mostra una stufa a legna con un tubo che esce dalla sommità della yurta. I nostri ospiti si offrono di accendere il fuoco per la notte. Preferiamo rimanere senza il tepore della stufa. I nostri sacchi a pelo ci offrono già il calore necessario per la notte. Vogliamo evitare la possibilità di passare una notte immersi nel fumo come succede nelle abitazioni dei pastori. Entrando in quelle stanze scure per fare delle fotografie ho già sperimentato il fumo che ti assale la gola e ti brucia gli occhi.
• LUNEDI 16 AGOSTO 2004 Partiamo verso le 7.30 del mattino. Saliamo per un breve tratto che ci porta a 5.000 mt di quota. Ancora ghiacciai e cime innevate ci accompagnano nel percorso. Per la prima volta sulla sommità del passo transitiamo in prossimità di un laghetto verde smeraldo alimentato dalle nevi delle vette circostanti. Da qui si incomincia a scendere. Siamo sullo spartiacque. Da questo punto le acque vengono convogliate verso la vallata del Wakan ed il suo fiume omonimo. Non appena si inizia a scendere nel nuovo versante la valle incomincia ad aprirsi. Preludio agli immensi spazi di cui l’occhio potrà godere non appena la vallata si aprirà maggiormente. Ecco di fronte a noi l’immenso paesaggio alla confluenza delle valli che scendono dalla Cina e dai laghi di Chaqmaqtin. Assieme si uniscono a formare il comune percorso del fiume Wakan che seguiremo i prossimi giorni sulla via del ritorno. Piantiamo la tenda presso le postazioni oramai in disuso di una vecchia base militare Russa qui insediata ancora ai tempi del governo di Najibullah in località Buzi Gunbad. Veniva rifornita attraverso i valichi del vicino Tagikistan. Ora tutto si trova nel più completo stato di abbandono. Oltre a questo insediamento deserto non c’è traccia di altri esseri umani. Oggi per la prima volta abbiamo incrociato un ragazzo kirghiso che col suo yak era alla ricerca di sterco animale da utilizzare come combustibile. E’ in queste zone che dovremo incontrare i pastori Kirghisi, già forse domani dirigendoci verso i laghi di Chaqmaqtin.
• MARTEDI 17 AGOSTO 2004 Partiamo di prima mattina. Prima di prendere la direzione della nostra meta, una deviazione di pochi minuti nelle vicinanze della base militare, ci porta a visitare quello che rimane di un vecchio cimitero. Le tombe sono state tutte devastate, con molta probabilità ancora dai militari che stavano nella base. Il luogo è molto suggestivo, sia per la posizione in cui si trova che per il fascino che emanano questi ruderi. Doveva un tempo essere un luogo molto sacro. I resti di alcune tombe evidenziano una particolare cura nella costruzione, segno evidente che dovevano essere sepolti dei personaggi illustri. In circa 6 ore di cammino arriviamo alla nostra meta: il primo insediamento kirghiso. Durante il percorso facciamo la solita sosta per il pranzo e per far riposare gli animali. Solamente alla partenza mi accorgo casualmente che ad una trentina di metri da noi c’è una bellissima sorgente termale di acqua calda nella quale i nostri portatori avevano a turno fatto il bagno senza avvisarci di tale possibilità. Mi dispiace di aver perso tale occasione. Mi sento sufficientemente sporco e quindi disponibile per un bel bagno. Arriviamo all’accampamento kirghiso dove ci accolgono con la solita ospitalità. I pastori abitano in yurte mentre noi siamo ospitati in una costruzione in muratura. Ci vivono circa 50 persone. Anche qui si ha la chiara sensazione che siano le donne a svolgere la maggior parte dei lavori mentre gli uomini si perdono in interminabili discussioni ed inutili ozi. Siamo ricevuti nella tenda del capo. Mentre lui e gli altri uomini della famiglia si intrattengono con noi a conversare, una donna sfaccenda all’interno della tenda senza mai alzare gli occhi dal suo lavoro. Alla sera ci viene offerta una cena a base di carne di yak. Poi stanchi, nella stessa stanza, stendiamo i tappeti sui quali passeremo la notte. Pur essendoci alzati di quota non fa freddo ed il ricovero è ben riparato.
• MERCOLEDI 18 AGOSTO 2004 Si passa il tempo oziando tra le yurte. E’ una giornata di riposo che si trascorre scattando foto e facendo interviste ai locali. Il cielo rimane coperto per tutta la giornata e soffia un vento piuttosto freddo. Si è diffusa la voce che ho dei medicinali e tutti vengo per farsi medicare e curare. Mi sento un medico. Eseguo terapie solamente nei casi in cui non ho il minimo dubbio oppure applico medicazioni esterne. Non somministro nessun tipo di antibiotico. Passiamo lunghe ore in conversazione col capo e mentre gli uomini si dedicano a tale attività con noi le donne procedono nelle loro molteplici incombenze: dalla lavorazione del latte, alle cure dei bambini, alla preparazione dei pasti, al confezionamento dei vestiti. La tenda del capo è la più grande e la più ricca di suppellettili all’interno. Un focolare centrale provvede a mitigare la temperatura del locale. Sulle pareti fanno bella mostra molti rotoli di tappeti che appoggiano su tutta una serie di valigie metalliche. Un orologio in plastica scandisce le ore ed ogni volta tutti i presenti controllano con quello al polso. Da una piccola culla ricoperta di una spesso telo colorato esce il gemito di un piccolo nato da pochi mesi. E’ già stato sottoposto alle mie cure ieri per una piccola ferita al glutei. E’ un via vai di persone, prevalentemente uomini, che incuriositi vengono a vedere gli stranieri. Siamo la novità del momento. In questo ultimo anno non è passato nessun forestiero. Alla sera ci richiudiamo abbastanza presto nel nostro ricovero poiché la temperatura cala rapidamente. Ci accendono anche una rudimentale stufa in ghisa per riscaldare un po’ l’ambiente. Si cena come al solito a base di riso.
• GIOVEDI’ 19 AGOSTO 2004 Oggi sostiamo al villaggio kirghiso e spendiamo la giornata per visitare i vicini campi dove ci sono altri gruppi. Partiamo di prima mattina. Subito fuori dal villaggio, nell’attraversamento di un guado, vengo letteralmente disarcionato dal mio cavallo. La mia prima preoccupazione è stata di sfilare i piedi dalle staffe. Cadendo picchio con la schiena su di un sasso. Mi alzo dolorante e per un po’ preferisco non cavalcare. Procedo a piedi. Dedichiamo la giornata alla visita dell’insediamento e poi rientriamo costeggiando il lago di Chaqmaqtin. Alla sera il solito menu a base di riso. Abbiamo anche due ospiti afgani che sono saliti in queste zone per promuovere la prossima campagna elettorale a favore del candidato Karzai. Come al solito si cena alle 20.00. Una grande tovaglia sudicia serve per posare i viveri. Unica variante per noi occidentali alcuni cucchiai che servono per attingere il riso dall’unico piatto. Per tutti gli altri niente posate ed il cibo viene portato alla bocca con le mani. Alle 22.00 si spegne la lanterna e buona notte.
• VENERDI’ 20 AGOSTO 2004 Faceva freddo ieri notte. Siamo stati costretti ad accendere la minuscola stufa per riscaldare la piccola stanza dormitorio. Con sorpresa , al risveglio , notiamo le cime sopra di noi ricoperte di un manto bianco di neve fresca. Partiamo alle 7.00. Il cammino di oggi è abbastanza impegnativo poiché abbiamo deciso di non pernottare alla vecchia base militare russa di Busay Combad ma di proseguire fino ai pascoli di Baykarà . Abbiamo circa sette ore di cammino da compiere. Siamo costretti a guadare parecchie volte i vari torrenti che incontriamo ed anche il corso principale del Pamir che scende dalla vallata che porta in Cina. Operazione laboriosa che richiede parecchio tempo. Si devono infatti trasbordare tutti i carichi sui cavalli, anche quelli degli asini. Il fiume in questo tratto e profondo ed impetuoso. I piccoli asini non sarebbero riusciti ad attraversarlo senza danni col carico. Costeggiamo il fiume sulla sinistra orografica per raggiungere la nostra meta. Ci alziamo di parecchio dal suo corso . Attraversiamo paesaggi incantevoli con formazioni geologiche molto interessanti. In alcune zone il paesaggio è molto simile alla valle della Luna di La Paz in Bolivia. La nostra meta, Baykarà, si trova in un piacevole posto adagiato ai piedi di un ghiacciaio che alimenta il ruscello che con le sue acque poi si getta nel corso principale del Pamir. Un’ampia distesa di pascoli si adagia ai lati del torrente dove sono situate le abitazioni e dove pascolano i molti capi di bestiame.
• SABATO/DOMENICA 21/22 AGOSTO 2004 Facciamo due giorni di sosta in questo luogo, zona di pascolo riservata agli armenti di Taschi Bay. Il sabato andiamo a visitare un campo kirghiso a circa un’ora di distanza. Rientriamo nel tardo pomeriggio costeggiando il lago di Chaqmaqtin. Da questo lago nasce uno dei maggiori affluenti del fiume Wakan e si unisce ad esso, per formare un unico corso, in prossimità della località di Busay Combad. La vallata è ampia ed a nord fanno da corona le cime del piccolo Pamir. Ad est si snodano i dolci pendii che portano al passo di Jaman che conduce in Tagikistan. La giornata è nuvolosa e la temperatura è rigida. Correnti di vento settentrionali addensano grandi nuvole sulle cime ricoperte di neve. Sono le prime avvisaglie di una perturbazione che il giorno seguente imbiancherà le montagne fino a quote relativamente basse. Attorno al lago i ciuffi d’erba sono punteggiati dal bianco dei depositi salini. Le rive pianeggianti ci permettono di arrivare nelle vicinanze dell’acqua. Senza ostacoli il vento freddo che arriva da nord increspa leggermente la superficie del lago. I cavalli pascolano liberamente mentre i portatori dormono distesi sull’erba. La temperatura si abbassa ulteriormente quando le nuvole coprono il sole. Siamo costretti ad un rapido rientro. Alla sera solita cena a base di riso nella nostra yurta. Durante la notte all’improvviso mi ritorna forte il dolore alla schiena nel punto in cui avevo colpito il sasso al momento della caduta. Mi ero già dimenticato del colpo ricevuto. Non mi sento molto bene. I dolori sono forti. Ogni movimento mi causa delle fitte dolorosissime. Forse ha una costola incrinata !!!!!! Cerco di passare la notte nel modo migliore anche perché domani mi aspetta una marcia di 4 ore. Siamo sulla via del ritorno. Mancano 3 tre notti per arrivare al paese di Boroghil • LUNEDI 23 AGOSTO 2004 Trasferimento da Baykarà a Orumitel 7 ore di cammino. Facciamo a ritroso la stessa strada fino a Busay Combad dove attraversiamo il fiume Wakhan su un instabile ponte di legno costruito dai kirghisi in prossimità della vecchia base militare russa. Qui il fiume rinforzato dal suo affluente che arriva dai laghi di Chaqmaqtin si incunea tra due ripide pareti rocciose e scorre impetuoso pochi metri al di sotto del ponte. Le assi che formano la pavimentazione poggiano su due vecchie ed instabili traversine di ferro. Gli animali, dopo essere stati scaricati dai loro carichi, lo attraversano timorosi. Un asino si rifiuta di passarvi sopra ed i portatori devono faticare parecchio per persuaderlo. Raggiungiamo la nostra meta verso le 16.00 e ci accorgiamo di essere di fronte al luogo dove abbiamo pernottato le sere scorse sul versante opposto della valle, alla destra orografica del fiume Wakhan. Piantiamo le tende nella zona dove le erosioni delle piogge hanno trasformato il paesaggio rendendolo simile alla valle della Luna di La Paz in Bolivia. Pinnacoli policromi fanno da corona al nostro accampamento. Il giallo intenso ed il marrone scuro delle argille si accendono alle luci del tramonto. In lontananza, sull’altro versante della valle, si scorgono gli hailog dove abbiamo passato i giorni precedenti. Durante il trasferimento ho avuto alcune difficoltà per il dolore causato dal colpo ricevuto durante la caduta da cavallo. I portatori sono stati molto solerti nell’aiutarmi mentre salivo o scendevo dalla mia cavalcatura. Ciononostante mi sembra che stia migliorando. Speriamo perché vorrei camminare un po’ i prossimi giorni.
• MARTEDI 24 AGOSTO 2004 Partiamo alle ore 7.30 per un’altra tappa di trasferimento. A quanto ci ha detto la guida ci aspettano circa 7 ore di cammino. Arriviamo dopo Langar alle 16.00 e piantiamo il campo in riva all’ennesimo affluente del fiume Pamir. Il percorso si presenta vario attraversando ampie pianure e vallate che costeggiano la destra orografica del Pamir. Per buona parte della mattinata abbiamo sempre sulla nostra sinistra i pascoli di Baykarà. E pensare che in linea d’aria siamo vicinissimi mentre noi abbiamo dovuto compiere, per attraversare il fiume, un giro che ci ha impegnato per quasi due giorni. Il percorso di oggi, nella parte finale, segue il fiume sulla sua destra orografica; ora abbassandosi a livello della acqua altre volte risalendo le ripide fiancate della valle. Dove piantiamo la tenda il clima è più mite. Ieri notte la temperatura era scesa sotto lo zero. La tenda al mattino era ricoperta di ghiaccio. Stasera il campo viene piazzato vicino ad un ricovero per pastori. Qualcuno che ci ha preceduto ha lasciato acceso il fuoco ed un fumo acre invade ancora la zona. Non appena incomincia a far buio mi chiudo in tenda. Anche questa sera avrò ospite il capo dei portatori che da alcune sere passa la notte nella mia tenda trovandola più comoda che non dormire all’addiaccio. Oramai è diventata un’abitudine. Con la giustificazione che mi presta le coperte per farmi lo schienale per la notte, cosa che mi allevia il dolore alla schiena, viene dormire all’interno della tenda. Tutti i ragazzi stasera mi sembrano più in fermento del solito. Probabilmente sentono l’avvicinarsi della casa. Stanno suonando con i rudimentali strumenti in loro possesso come hanno fatto tante altre sere. Oggi però mi sembra diverso. C’è una maggior aria di festa. Anche per loro forse c’è un po’ di nostalgia. Sono poco lontano dalla tenda in cui mi sono rintanato. Il vento è calato quando finiscono la festa. Sento solo il rumore del torrente vicino. Mi sento bene rinchiuso nella mia tenda, come protetto. La schiena incomincia a darmi meno fastidio. Oggi ho camminato per parecchie ore. Lo stesso spero di poter fare domani.
• MERCOLEDI 25 AGOSTO 2004 Questa mattina si parte presto , si prospetta una lunga tappa di circa 7 ore. Si percorre tutta la vallata del fiume Wakhan mantenendoci sempre alla sua destra orografica. Il sentiero taglia i ripidi versanti della valle fluviale. Un paio di volte si abbassa a livello del fiume dove sono state costruite delle passerelle artificiali per facilitare il cammino tra la parete rocciosa e l’acqua tumultuosa. Nel tardo pomeriggio il paesaggio si fa famigliare. Riprendiamo infatti il percorso compiuto il primo giorno quando siamo partiti. Alla sera ci accampiamo per l’ultima volta in riva ad un affluente del Wakhan, dove eravamo transitati il primo giorno. Il posto non è perfettamente pianeggiante e le tende vengono piantate sul terreno leggermente inclinato. Per tutta la notte abbiamo dovuto contrastare la forza di gravità che ci faceva scivolare verso il basso.
• GIOVEDI 26 AGOSTO 2004 Ultima tappa. C’è euforia nel gruppo dei portatori. Sentono la vicinanza di casa. La nottata è passata in modo burrascoso. Verso le 23.00 vengo svegliato dal caratteristico rumore della pioggia che batte sul telo della tenda. Piove ininterrottamente e piuttosto forte fino alle 24.30. I poveri portatori che dormono all’addiaccio si inzuppano completamente. Al mattino si alzano alle prime ore dell’alba. Le cime circostanti sono imbiancate di neve fresca caduta durante la notte. I portatori si riscaldano al fuoco e cercano di asciugare i panni inzuppati. Si parte presto alle 7.00. Dobbiamo compiere circa 6 ore di strada. Il cammino di oggi ripercorre a ritroso la prima tappa dell’andata. Continui sali scendi ci obbligano a fare circa 1800 mt di dislivello. Tra pendii scoscesi, erte salite, ripide discese si arriva all’ultima vallata che si apre sul panorama della vallata di Boroghil. Una ripida discesa fino alle case del villaggio e poi il riposo nella casa di Tachi Bay.
• VENERDI 27 – MARTEDI’ 31 AGOSTO 2004 Giornate di sosta a Sarhad de Wakan alloggiando presso la casa per gli ospiti di Tashi Bay. Le giornate passano tra riprese fotografiche ed interviste, in particolare modo il primo giorno. Entriamo in tutte le case più caratteristiche del paese per documentare gli usi ed i costumi delle popolazioni. Il sabato veniamo a conoscenza dell’esistenza in paese di una specie di bagno pubblico ricavato deviando l’acqua di una sorgente termale. Finalmente riusciamo a fare un bagno caldo dopo circa un mese. Passiamo buona parte della mattinata a goderci questa inaspettata delizia. Il bagno è ricavato in una specie di fossa quadrata di circa due metri di lato dove un tubo convoglia l’acqua calda della sorgente. Attorno quattro pareti di paglia pressata ed argilla celano a sguardi indiscreti il luogo. La luce arriva da una foro ricavato nel soffitto di legno. Un acre odore di zolfo si diffonde in tutta la zona. Per due mattine visitiamo la scuola del paese eseguendo delle riprese all’interno delle aule durante le lezioni. Gli insegnanti si dimostrano molto disponibili e ci fanno accomodare durante le lezioni. La tanto temuta dissenteria arriva implacabile quando per il secondo giorno ci portano le porzioni della capra che avevamo acquistato. Nella notte io e Gianni abbiamo lo stomaco e l’intestino sconvolti. I segni del nostro malessere restano visibili per alcuni giorni attorno al nostro alloggio non essendoci servizi igienici in loco. I giorni , dopo il tanto agognato riposo, passano sonnolenti nell’attesa dell’auto che dovrebbe riportarci a Faizabad. Il piccolo paese che ci ospita è adagiato nei dolci pendii sulla destra orografica del Wakan. Il fiume scompare col suo ampio greto in una immensa pietraia verso Ovest. In questo punto il suo letto è molto largo. Si perde laggiù da dove arriva anche la strada che ripercorreremo al nostro ritorno. Verso Sud la valle conduce al passo Boroghil che in tre ore porta in Pakistan. Sul valico incombono le ghiacciate pareti nord del Karakorum Pakistano con gli imponenti seracchi pensili. Si riesce a scorgere, disegnata sui versanti della montagna, la traccia della strada che porta verso il Boroghil. Ad est una cima a forma conica, quasi fosse di origine vulcanica, divide due vallate. Quella di sinistra, più stretta e scoscesa, l’abbiamo percorsa per salire sul Piccolo Pamir mentre nell’altra il fiume Wakan si e scavato il letto con il suo corso impetuoso. In questa zona esso si allarga per distendersi più placido nella vallata su cui si affaccia il paese. A sud le ultime propaggini del Grande Pamir chiudono la vallata. Sono cime di circa 5000 mt. Ma prive di neve. Il forte sole estivo non permette su questi versanti meridionali depositi di neve o la formazione di ghiacciai. Il paese dissemina le sue piccole case negli ampi pendii tra il greto del fiume ed i versanti meridionali. Le case sono sparse. Non esiste un nucleo compatto del paese. Tra di esse distese di orti coltivati a grano disegnano con i loro contorni irregolari forme geometriche a definire i limiti di proprietà.
• MERCOLEDI 01 SETTEMBRE 2004 Oggi doveva arrivare il nostro autista. Avevamo concordato per il primo del mese l’appuntamento. Cerchiamo di metterci in contatto con Faizabad per avere notizie. Non riusciamo a comunicare con nessuna persona dell’ AKDN. Erano stati loro a trovare all’andata l’autista che ci aveva condotto fino a Sarhad de Wakan. Con un telefono locale che forse risale ai tempi di Meucci facciamo dei tentativi per collegarci con Quala Panjia per avere notizie se è transitata la vettura col nostro autista. Nessuna novità confortante. Decidiamo allora di allertare Fabrizio Falcone per trovare un’alternativa. Dopo varie telefonate decidiamo in accordo con Fabrizio, di far partire un’altra vettura a Faizabad. Attraverso le sue conoscenze ci comunica che la partenza sarà immediata, nelle prime ore per pomeriggio. Lo prego inoltre di avvisare l’autista di acquistare anche dei viveri al mercato poiché abbiamo esaurito le nostre scorte. Da alcuni giorni i nostri pasti sono solo a base di pane riso e the. In serata Fabrizio mi richiama al telefono per avvisarmi che il mezzo con i viveri è regolarmente partito e che impiegherà circa 18 ore per il viaggio. Dovrebbe arrivare domani in serata o nella mattinata di venerdì.
• GIOVEDI 02 SETTEMBRE 2004 Oggi sarà una giornata di attesa: non siamo certi che arrivi l’autista con la vettura da Faizabad. Al mattino una novità: le cime sopra di noi sono imbiancate di neve fresca caduta durante la notte. Il limite della neve si trova solamene alcune centinai di metri al di sopra del paese. Il paesaggio si presenta nel suo abito invernale. Oggi dobbiamo solo attendere. Per ingannare la noia al mattino mi dirigo verso la scuola per fare una passeggiata. Mentre mi sto avvicinando noto una vettura appena giunta . Un tuffo al cuore: possibile che sia già arrivato il nostro mezzo? Mi dirigo di corsa verso l’autista e come prevedevo mi conferma che non sono venuti per noi. Si tratta di una vettura dell’organizzazione umanitaria Focus che sta facendo una indagine in zona. Dobbiamo purtroppo aspettare ancora. Nel pomeriggio mi arriva al satellitare una chiamata da Quala Panjia da parte dell’autista che mi avvisa che sarà da noi in serata ( verso le 19.00). Aspettiamo invano alla sera notizie della macchina. Più volte scrutiamo verso Ovest nella vallata sperando di vedere qualche fanale di auto arrivare in lontananza. Dal telefono fisso del paese che si collega con Quala Panjia ci arriva la notizia che la macchina è ferma per un guasto meccanico. Sfortuna ancora una volta. Anche stasera ceneremo a base del solito riso. Passiamo ancora una notte sognando pasti abbondanti e vari : il cuoco di Kabul !!!! • VENERDI 03 SETTEMBRE 2004 Al mattino presto abbiamo, dal solito e provvidenziale telefono, la buona notizia che la macchina è partita da Quala Panjia e che sarà da noi in mattinata. Passeggiamo per la vallata per ingannare il tempo. Andiamo a far visita a casa di uno dei portatori. Stiamo entrando nell’abitazione quando sentiamo il rumore di un motore che si avvicina a velocità sostenuta. Sembra un miraggio ma si tratta proprio di una vettura : molto probabilmente la nostra!!!!!!. Corro rapidamente dalla collina in cui mi trovo per incontrare la macchina. Riesco a fermarla gesticolando ed attirando l’attenzione dell’autista gridando con tutto il fiato che mi rimane. Chiedo se sono venuti per prenderci. Dopo un momento di esitazione per la difficoltà linguistica, non parlano bene l’inglese, riesco a capire che sono venuti per noi. Con l’aiuto dei nostri portatori trasbordiamo i bagagli dalla casa dove abbiamo passato questi lunghi giorni di attesa fino al punto in cui la macchina ha dovuto fermarsi per l’impraticabilità della strada. Carichiamo rapidamente i bagagli che già avevamo preparato. Questa volta si parte davvero!!. Ultimi rapidi saluti e poi in macchina. La meta di questa sera sarà Wakan dove contiamo di arrivare verso le 17.00. Il nostro autista giuda rapido e veloce anche se talvolta in modo anche spericolato. Una brevissima tappa per salutare il medico inglese ed i notabili di Quala Panja. Poi via ancora veloci a superare il guado dopo il paese. Poche esitazioni ed anche se il livello dell’acqua è alto per l’ora tarda del pomeriggio, non si ferma la nostra corsa. Dormiamo alla sera nel piccolo ricovero dell’AKDN. Utilizziamo per cena i viveri che ci erano stati portati da Faizabad. Qui non danno il vitto, solo un povero ricovero per la notte.
• SABATO 04 SETTEMBRE 2004 Partiamo alle 6.00 del mattino. La meta è Faizabad. L’autista anche oggi corre veloce, talvolta come sempre un po’ troppo. Ha fretta di arrivare. Anche noi non desideriamo altro. Ripercorriamo a ritroso la strada già fatta all’andata. Facciamo una breve sosta ad Ischascim per il rifornimento di carburante. Nel tardo pomeriggio ( verso le 17.00) arriviamo a Faizabad. Prendiamo alloggio presso la sede dell’associazione Norvegese che ha provveduto ad inviarci l’auto. Finalmente, dopo molti giorni, si mangia decentemente. Non più il solito riso col pane affumicato e la solita tovaglia puzzolente. Ceniamo assieme ai tecnici Indiani e Pakistani che lavorano per tale ente. La sede è situata vicino al comando delle truppe tedesche dell’ISAF. Trascorriamo in questo luogo la nottata e per la prima volta dopo molto tempo riusciamo a consumare pasti regolari. Finalmente le tanto agognate patate fritte, del succulento melone, uno spezzatino squisito di carne con patate. Questa è la nostra prima cena dopo un mese di dieta Waki.
• DOMENICA 05 SETTEMBRE 2004 Giornata tranquilla con visita con visita in mattinata al centro della Croce Rossa Internazionale. Visitiamo tutti i padiglioni ed eseguo delle riprese documentando tutta l’attività svolta. Sempre in mattinata passiamo dagli uffici della Ariana per confermare il volo del rientro. Ci comunicano che il volo non sarà effettuato come previsto il giorno 7. Non riusciamo ad avere notizie precise di quando si possa partire. Ci informano che domani partirà un volo per Kabul con la Kamair. Ci precipitiamo negli uffici della compagnia aerea per la prenotazione. Il volo infatti è confermato ma solo domani si saprà l’ora della partenza. Come previsto i biglietti in nostro possesso della Ariana non sono validi e dobbiamo acquistarne di nuovi. Speriamo che poi a Kabul ci vengano rimborsati quelli in nostro possesso. Nel pomeriggio passiamo alcune ore al bazar di Faizabad prima di rientrare nel tardo pomeriggio al nostro alloggio per sistemare i bagagli per la partenza. Qui veniamo a conoscenza che anche un tecnico della cooperazione Norvegese viaggerà con noi fino a Kabul.
• LUNEDI 06 SETTEMBRE 2004 Alzata di buonora per andare alla compagnia e conoscere l’ora di partenza del volo: ci comunicano alle 9.00. Con la vettura messaci a disposizione della Croce Rossa andiamo direttamente all’aeroporto che si trova a circa 7 km dalla città. Quando arriviamo non c’è ancora nessuno. Tra i pochi edifici fatiscenti si aggirano solo alcuni militari di guardia ed alcuni venditori accovacciati all’ombra dei muri sbriciolati. Appena ci vedono si affrettano ad esporre la povera mercanzia in loro possesso: qualche pacchetto di caramelle, alcuni pacchetti di sigarette e qualche confezione di biscotti piena di polvere. L’aeroporto si anima con l’arrivo di un elicottero delle nazioni unite che scarica dei materiali ed alcune persone che partono velocemente con delle vetture che nel frattempo sono arrivate per riceverle. Si passa poi al grottesco controllo dei bagagli, la conta degli stessi, una tassa per il sovrappeso che regolarmente viene intascata dagli addetti. Finalmente arriva il nostro aereo. Si scaricano velocemente i bagagli a bordo mentre scendono le persone in arrivo da Kabul. Finalmente si procede all’imbarco. I controlli sono molto approssimativi. I nostri bagagli a mano non vengono minimamente controllati. Un vecchio aereo russo è il nostro mezzo di trasporto che in un’ora e venti minuti ci porterà fino a Kabul. All’arrivo troviamo la macchina prenotata da Fabrizio che ci porta fino all’albergo. Qui prendiamo contatto con l’Ambasciata Italiana e con l’ambasciatore che ci fissa un appuntamento per Mercoledì 8 alle ore 12.00.
• MARTEDI 07 SETTEMBRE 2004 Giornata di riposo aspettando che arrivi Fabrizio e per organizzare per i prossimi giorni la nostra partenza per Bamian. Contatto Alberto Cairo per fissare un incontro sapendo che domani parte per Faizabad. Ci accordiamo per il giorno 12 Settembre al suo rientro. La giornata passa sistemando le ultime cose ed oziando in albergo. E’ il primo giorno di riposo completo di tutto il viaggio.
• MERCOLEDI 08 SETTEMBRE 2004 Il viaggio oramai volge al termine. Abbiamo ancora alcuni giorni a disposizione e decidiamo di dedicare un po’ di tempo per un’ultima visita della città di Kabul anche perché i prossimi giorni abbiamo deciso di dedicarli ad una visita alla valle di Bamian. In mattinata passiamo all’Ambasciata Italiana per un incontro con L’Ambasciatore Giorgi il quale ha manifestato il desiderio di incontrarci per avere un resoconto del nostro viaggio. Passiamo buona parte della mattinata presso l’ambasciata ed in piacevole conversazione coll’Ambasciatore che si dimostra molto interessato al progetto promosso dall’Università di Venezia per un interscambio culturale tra l’Italia e le Università locali. Egli dimostra una grande conoscenza delle problematiche locali ed un particolare interesse allo sviluppo di più costruttivi rapporti tra l’Afganistan e l’Italia. Ci racconta delle difficoltà incontrate nella riapertura della sede diplomatica in quanto l’Italia è stato il primo paese ad aprire l’Ambasciata dopo la sconfitta del regime dei Talebani. Ci comunica inoltre che il suo mandato finirà a Dicembre e poi rientrerà in Italia.
• GIOVEDI 09 SETTEMBRE 2004 Oggi abbiamo deciso di partire per Bamian. In mattinata non abbiamo ancora notizie precise sull’auto che dovrà condurci in questo nuovo tragitto. La ore passano tra interminabili trattative per trovare un mezzo. Le conferme seguono alle smentite. Quando sembra che tutto sia pronto e che si possa partire arriva la notizia che il mezzo non c’è oppure che non si trova un autista disponibile. Finalmente alle 14,00 riusciamo a metterci in moto. Il tragitto è lungo, chi parla di 6 e chi di 8 ore di percorso. Non abbiamo trovato un fuori strada e siamo stati costretti ad optare per una Toyota Corolla. L’autista sostiene di avere già fatto il percorso e che non ci sono problemi anche se non disponiamo di un fuori strada. Ci dirigiamo velocemente per la strada asfaltata che , con direzione Nord va verso la valle del Panschir. L’unico ostacolo al nostro cammino in questo percorso sono i molti camion che rallentano la nostra marcia. Dopo circa un’ora giriamo a sinistra per una strada che con direzione ovest si inoltra per la valle che porta a Bamian. Qui finisce il manto di asfalto e siamo costretti immediatamente a diminuire la nostra velocità. L’auto inoltre incomincia subito a dimostrare la sua inadeguatezza a percorre strade non asfaltate. Strani rumori incominciano a farsi sentire. A ciò si aggiunga la spericolatezza nella guida del nostro autista. Più volte sono costretto a richiamarlo per moderare la velocità e anche per tutelare della nostra incolumità. Ogni volta che viene ripreso l’autista rallenta temporaneamente la sua corsa per poi aumentarla gradualmente dopo pochi minuti. Questo comportamento porta inevitabilmente al primo di una lunga serie di incidenti e danni alla macchina. All’uscita di una curva, a velocità come al solito sostenuta, non riusciamo ad evitare una serie di sassi appuntiti che coprono la strada: foratura contemporanea di due ruote !!!!!!!! Siamo a circa 40 km da Bamian e la sera incomincia a calare sulla valle. Unica persona un motociclista che passa in quel momento e ci dice che non esistono officine in zona. Il nostro autista cambia la ruota di scorta e poi decide di continuare con una ruota forata. Come si può immaginare la parte in gomma sulla strada non asfaltata dura ben poco. Dopo alcuni minuti infatti perdiamo il pneumatico ad incominciamo a viaggiare col cerchio metallico. Il rumore all’interno dell’abitacolo è assordante e non si riesce neppure a parlare. Unico aspetto positivo in questa vicenda è che ora il nostro autista è costretto a viaggiare a velocità moderata. Mente procediamo lentamente , sempre nuovi rumori si aggiungono a quelli oramai famigliari dello sferragliare delle ruote. Arriviamo alle 11.30 alle porte di Bamian. Il paese a quell’ora è completamente deserto. Raggiungiamo l’unico albergo del paese e prediamo possesso della nostra unica camera mentre l’autista si incarica di cercare un’officina per l’indomani mattina presto che possa effettuare una riparazione veloce in quanto sarebbe nostra intenzione di andare domani ai laghi di Band e Amir.
• VENERDI 10 SETTEMBRE 2004 Solo alle 10.00 del mattino il nostro autista rientra all’albergo dopo aver riparato le gomme ed il cerchio danneggiato dal lungo percorso compiuto la sera precedente con la gomma forata. Abbiamo una piccola discussione in quanto non sembra intenzionato a partire ed inventa strane motivazioni. Sostiene che la strada da percorrere richiede 12.00 ore e che quindi è tardi per incamminarsi. In realtà sappiamo che il percorso è ben più corto 2/3 ore e perciò insistiamo per partire. Probabilmente si è reso conto che la sua vettura non è adatta al percorso da compiere. Malgrado ciò noi non siamo disposti a rinunciare alla visita ai laghi di Band e Amir. Finalmente riusciamo a convincerlo e si parte. Nel primo tratto la strada corre lungo la valle del fiume che bagna Bamian attraversando zone coltivate a frumento e paesi abitati da popolazioni di etnia Azarà. Le colture si sviluppano ai lati del fiume dove si adagiano i sonnolenti villaggi. I versanti delle montagne sono brulli e solcati da profonde rugosità generate dalle poche precipitazioni che caratterizzano il clima secco di questa zona. Più procediamo più il paesaggio si fa arido e deserto. La vegetazione scompare ed i villaggi si fanno sempre meno frequenti. Sulle riarse montagne si scorgono solo solitari pastori con i loro greggi alla ricerca della poca erba. Qua e là lungo la strada si notano i resti delle recenti battaglie sostenute dai Talebani durante la loro ritirata di fronte alle truppe Tagiche ed Americane. Dai vecchi mezzi militari abbandonati gli abitanti locali hanno asportato quanto era possibile. Le vecchie carcasse arrugginite e ricoperte da erbacce ora servono da terreno di gioco per i bimbi locali quasi a voler esorcizzare il ricordo del recente e lungo conflitto. Il fondo stradale della pista non è certo dei migliori e la solita guida sostenuta del nostro autista è la causa dell’ennesima foratura. Inoltre non conoscendo bene la zona ci conduce per una direzione sbagliata per circa un’ora. Fortunatamente una vettura dell’AKDN che incrociamo lungo il nostro cammino ci indica la direzione esatta. Ritorniamo sul percorso fatto per ricercare la giusta via che conduce ai laghi dove arriviamo dopo circa un’ora. La strada che porta alla valle di Band e Amir discende ripida e accidentata fino all’imbocco della gola da cui esce il fiume emissario dei laghi. Qui si apre un paesaggio incantato. Ripidi contrafforti rocciosi ed ardite guglie delimitano la valle. Il colore ocra dei versanti, generato dai contenuti ferrosi della roccia, si fonde col verde fresco della vegetazione che cresce attorno alle cristalline acque che pigramente escono dai laghi turchesi. Uno dei posti più affascinanti dell’Afganistan. Per una serie di fortunate coincidenze geologiche il paesaggio si è modellato con forme e colori che incantano il visitatore. Il posto è frequentato dai pochi locali che possono permettersi una gita durante la giornata di festa del Venerdì. Alcune piccole barche in plastica vengono noleggiate per il divertimento dei pochi turisti che si spostano remando sulle acque dei limpidi laghetti. Partiamo prima che i sole tramonti dietro alle montagne anche perché non è prudente viaggiare durante la notte. All’imbrunire arriviamo a Bamian.
• SABATO 11 SETTEMBRE 2004 Quando le prime luci incominciano a lambire le rosse pareti della falesia di Bamian siamo già sotto ai ripidi dirupi per osservare i giochi di ombre che i raggi del sole compongono tra le grotte. Questo luogo fu in un lontano passato sede di una fiorente comunità. Le grotte erano abitate da centinaia di monaci che per secoli professarono in questi luoghi la loro fede e resero famoso e potente il regno Buddista di Bamian. Il tempo e le intemperie hanno cancellato molto di questa fiorente civiltà. Le guerre ed i conquistatori ( Gengis Khan) che hanno attraversato queste zone hanno ulteriormente cancellato le tracce di questa prospera civiltà.
Quel poco che era rimasto è stato ulteriormente distrutto dalla furia iconoclasta dei Talebani durante il loro breve governo. Ora le nicchie dei Bhudda , vuote dopo la distruzione delle statue, lasciano un senso di sgomento e di desolazione. Sui cumuli di detriti accatastati ai piedi della falesia lavorano alcuni membri di una missione archeologica francese per recuperare quanto possibile dalle macerie. Ben poco rimane dell’antico splendore di questo luogo. In tempi più recenti qui risiedevano parecchie famiglie di Azara che furono cacciate dai Talebani che minarono questi luoghi. Qualcuno sta cercando di ritornare, una famiglia ha occupato alcune delle grotte e vi ha ristabilito la sua dimora. Le poche celle che ancora conservano delle tracce di affreschi sono protette da porte in legno sbarrate per difenderle dai furti e dalle distruzioni. Tra i sentieri che collegano le varie grotte ci si deve muovere con attenzione poiché in alcune zone la bonifica dalle mine non è ancora stata completata. Verso mezzogiorno riprendiamo la via per Kabul. Riprendiamo la lunga e disagevole pista che abbiamo percorso all’andata. Impieghiamo circa 7.00 ore a compiere l’intero percorso. Ancora per due volte foriamo le gomme dell’auto. Quando a sera arriviamo alla periferia di Kabul oramai è già buio. Stiamo entrando in città e veniamo fermati ad un posto di blocco dove riusciamo a passare facilmente quando veniamo identificati per occidentali. Le altre macchine sono sottoposte a severi controlli. Alla periferia di Kabul l’autista mi fa capire che siamo completamente senza freni e l’unico modo per fermare la vettura è quello di ricorrere al freno a mano. Verso le 20.00 arriviamo al nostro hotel.