Trapani, una falce tra i mari

Trapani, una falce tra i mari (18 – 25 maggio 2009)Ma proprio a Trapani andate! Con queste poco incoraggianti parole ci ha salutato un amico che molti anni prima aveva fatto il servizio militare in questa città. Oramai era tutto prenotato, il volo, il B&B, l’auto e non c’era più modo di farci desistere. Così un po’ prevenuti siamo...
Scritto da: Nube
trapani, una falce tra i mari
Partenza il: 18/05/2009
Ritorno il: 25/05/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Trapani, una falce tra i mari (18 – 25 maggio 2009)

Ma proprio a Trapani andate! Con queste poco incoraggianti parole ci ha salutato un amico che molti anni prima aveva fatto il servizio militare in questa città. Oramai era tutto prenotato, il volo, il B&B, l’auto e non c’era più modo di farci desistere. Così un po’ prevenuti siamo partiti per la Sicilia, anzi per il trapanese, perché era questa la zona su cui avevamo puntato. Memori di un bellissimo tour della Sicilia fatto vent’anni prima volevamo ora scoprire la più lontana delle province quella che sta dirimpetto alle isole Egadi. Ecco il nostro diario di viaggio.

Lunedì 18 Partiamo da Treviso con un comodo volo Ryanair, che ha inaugurato di recente questa nuova rotta. All’arrivo puntuale all’aeroporto Birgi, leggeri del solo bagaglio a mano, ci dirigiamo in tutta fretta verso il bancone della Terravision (leggi Ryanair) per prendere i biglietti del bus per arrivare al più presto in città. Questa compagnia ha un buon servizio in concomitanza con l’arrivo dei voli e si sa che la comodità ha un costo più alto, così paghiamo 8 euro per la tratta fino alla stazione delle corriere di Trapani, anziché i 2 euro circa dei bus di linea Ast che ha orari diversi e tempi di attesa più lunghi.

Scesi al capolinea, dopo varie giravolte per la città, perché distrattamente scambiamo il nostro indirizzo Regina Elena per Regina Margherita, approdiamo finalmente al nostro B&B in zona porto e di fronte alla stazione marittima da dove partono i traghetti per le isole. Siamo soddisfatti della posizione perché ci rendiamo presto conto che abbiamo il centro storico alle spalle e la nostra camera dà su un bel viale di palme con vista mare.

Il centro di Trapani ci sorprende positivamente: è quasi tutto pedonalizzato, vi si può camminare in tutta tranquillità, tra vie lastricate tirate a lucido, soffermandosi davanti a vetrine di una certa eleganza. Viuzze si diramano dall’asse centrale e si intersecano formando una sorta di graticolato dove l’occhio incontra sempre un tratto di mare: quello del porto se guarda a sud o della spiaggia se guarda a nord. Sul cammino incrociamo innumerevoli chiese che ci invitano ad entrare per scoprire un barocco talvolta estremo (chiesa del Collegio dei Gesuiti) con sovrabbondanza di decori e volute, come non avevamo mai visto prima. E’ tutto così esagerato e ridondante per il nostro gusto, ma è profondamente legato ad un’antica tradizione popolare come i catafalchi con le stazioni della Via Crucis che ammiriamo dentro alla Chiesa del Purgatorio. Si tratta di statue in legno di pregevole fattura con bellissime vesti modellate in tela e colla che risalgono al ‘600. Esse compongono dei gruppi raffiguranti scene della passione di Cristo che il Venerdì Santo sfileranno in città, portati a spalla dai vari ceti (rappresentanti dei “mestieri”) ininterrottamente per 24 ore, dando così il nome alla processione dei Misteri, uno degli eventi religioso-folcloristici più importanti in Sicilia. Ci colpisce invece in negativo lo stato pietoso delle chiese che denunciano una grave incuria da parte dell’uomo che probabilmente non è intervenuto da decenni, se non da secoli per arrestare questo sfacelo. Odore forte di muffa, muri scrostati, altari che cadono a pezzi, tesori d’arte che vanno incontro alla rovina e all’oblio. Ci tiriamo su il morale concedendoci una pizza da Calvino, un luogo storico per i trapanesi, dove si gusta una pizza simile a quella verace di Napoli in un ambiente di stile arabeggiante, ma molto minimale. Qui troviamo un servizio superveloce perché arrivando alle 19-19.30 (orario più che congruo per noi nordici, che suona invece blasfemo per la gente del Sud abituata a cenare molto più tardi) saltiamo la lunga fila della sera.

Prima di coricarci ci soffermiamo un po’ ad osservare l’animazione del porto con i pescherecci che si preparano ad uscire e le luci dei traghetti fermi per la notte. Tutto è così insolitamente pacato e tranquillo per una città del profondo Sud, non ci sono suoni sguaiati, né corse di motorini e la vita sembra scorrere ad un ritmo ancora umano.

Martedì Facciamo colazione in una pasticceria dove l’abbondanza della merce esposta è una tentazione a cui non sapremo tener bada per tutto il nostro soggiorno. E così proviamo ogni giorno brioches farcite che trasudano crema al limone o cioccolato, sfogliatelle alla ricotta, cassatine, pesche dolci bombate, ecc. (l’elenco completo sarebbe troppo lungo e difficile da descrivere perché le papille si mettono subito in moto). Pasticcerie e forni da cui fuoriescono profumi di pane come i vecchi fornai di un tempo, ora introvabili.

La giornata è splendida e luminosa con una leggera brezza, il clima ideale per una gita a Favignana che con Levanzo e Marettimo compone l’arcipelago delle Egadi. Prendiamo il comodo traghetto Siremar (euro 16.40 a/r) che preferiamo al più veloce aliscafo per goderci la brezza del mare dalle panchine dei ponti all’aperto. Appena sbarcati noleggiamo una bici (4 euro per l’intera giornata), ci viene fornita anche una piantina delle piste ciclabili che ci guideranno a scoprire le più belle calette come: cala Azzurra, cala Rossa, Lido Burrone (spiaggia bianchissima accecante) dove l’azzurro profondo del mare si alterna a pennellate di verde smeraldo. Facciamo il percorso ciclabile che ci viene consigliato, dapprima in direzione tonnara, dove l’isola è più pianeggiante, attraverso piste ciclabili per lo più asfaltate che si alternano a tratti di stradine bianche sassose, dove incrociamo pure qualche macchina che ci avvolge in una nuvola bianca. Le indicazioni mancano quasi del tutto, andiamo un po’ a naso o ci consultiamo con qualche altro turista disperso come noi. In ogni caso è piacevole, seguendo il ritmo delle proprie gambe, gustarsi l’isola farfalla, com’è chiamata Favignana, perché sembra posarsi con due ali, una piana e l’altra ondulata, sul mare cristallino. Talvolta è necessario pedalare con più spinta per affrontare qualche ripida salita, oppure ci si ferma all’improvviso per osservare l’esplosione della natura e dei suoi profumi: fichi d’india in fiore, eucalipti giganti, ginestre, alberi di fico, pini marittimi, agavi dai pennacchi ricolmi di fiori, le narici sono inebriate dalle essenze che ci sforziamo di individuare. Il sole picchia e non ce ne accorgiamo, solo a sera noteremo i segni di una bella insolazione. Lo spettacolo delle cave di tufo di cui l’isola è ricca ci fa restare a bocca aperta. Con questo materiale chiaro e resistente sono stati costruiti molti edifici non solo dell’isola ma anche di Trapani, dando una configurazione chiara e luminosa all’ambiente. Un’altra sorpresa sono i giardini ipogei, costruiti all’interno di profonde buche che si raggiungono attraverso scalette che scendono in profondità. Protetti quindi dai venti per mezzo di alte pareti, sono dei piccoli giardini dell’Eden. Dopo tanto girare ritorniamo in paese e passando per le due piazze (Europa e Matrice), il cuore dell’isola, valutiamo dove sostare per pranzo. Evitiamo i posti che ci sembrano troppo turistici e con prezzi adeguati al caso, optiamo per un posto modesto (U’ Spittichiu) dove degustiamo per la prima volta delle specialità siciliane come la pasta alla tonnara (tonno fresco, cipolla, pistacchi e aromi vari), pasta alla mediterranea (tonno, aglio, basilico, mandorle, pomodorini) e le tanto famose sarde a beccafico che però non ci entusiasmano. Saremmo andati via con un ricordo piuttosto insignificante di questa nota specialità se poi non le avessimo provate in un ristorantino a Trapani (da Angelino), dov’erano tutt’altra cosa. Scambiamo due parole con il gestore del locale che ci ricorda la triste storia del terremoto di Gibellina del 1968, essendo anche lui uno sfollato che aveva perso tutto poi riconvertitosi in ristoratore. Ci parla di Gibellina e ci esorta ad andarla a vedere (anche se poi ci mancherà il tempo per farlo) interessante come città ricostruita con il contributo dei migliori artisti contemporanei che vi hanno lasciato le loro opere ma, a dir suo, città-morta perché la gente non ci ha voluto più abitare; una sorta di cattedrale nel deserto. Ci parla anche della “mattanza” dei tonni, rito per cui l’isola è famosa, che si tiene di solito in questo periodo, ma che da qualche anno non si fa più, con il dispiacere dei ristoranti ed alberghi perché attirava molti turisti. Ora i tonni si prendono con sistemi meno faticosi ed avvalendosi di strumentazioni tecnologiche ed il miglior tonno, quello con la polpa chiara è già tutto prenotato e se ne vola rapidamente in Giappone dove diventa sushi.

Per cena prendiamo qualcosa al volo nel self-service della stazione Fs, un posto dove la solerte cameriera ci voleva far mangiare un’ insalata guasta e ci spenna per quel po’ che prendiamo. Assolutamente da evitare, ma ci rifacciamo con una scorpacciata di dolci nella pasticceria dietro casa.

Mercoledì Al mattino, un’interminabile passeggiata ci porta fino a Piazza Vittorio Emanuele che segna il confine tra la città vecchia ed i quartieri nuovi. Imbocchiamo poi la lunga via Fardella fino al Santuario dell’Annunziata che custodisce la Vergine miracolosa venerata dai trapanasi. Finalmente vediamo una chiesa sfavillante appena uscita dal restauro con pareti tutto bianco e oro, inondata di luce dalle alte finestre. La candida statua di Maria è conservata all’interno di una piccola chiesa tutta ornata di marmi policromi, una sorta di chiesa nella chiesa che ci ricorda un po’ la Santa Casa di Loreto.

Passiamo quindi all’attiguo Museo Pepoli nell’area dell’ex-convento del Carmelo dove facciamo il primo incontro con una vociferante scolaresca dal berretto rosso che, neanche farlo apposta, incroceremo ripetutamente, guastandoci il piacere del silenzio, anche negli itinerari successivi. Il museo merita senz’altro una visita per capire qualcosa sulla cultura e tradizioni della Sicilia; contiene preziose raccolte di coralli, lavorazione tipica trapanese, applicati a gioielli, reliquiari oppure cammei, ceramiche ed originalissimi presepi, anche in miniatura, prodotti dalle migliori maestranze locali. Non essendo ancora automuniti decidiamo poi di proseguire per una bella salita, fino alla stazione della funivia che porta ad Erice. Si tratta di una comoda cabinovia (euro 5.50 A/R) in servizio continuato fino alle otto di sera che ti permette di godere un meraviglioso panorama della città di Trapani e dintorni. Dall’alto si può cogliere appieno la sua perfetta forma a falce proiettata tra il Tirreno ed il Mediterraneo che i fondatori greci chiamarono Drepanon, appunto falce. Erice non ci piace più come nel nostro ricordo di molti anni prima, è invasa da scolaresche ma soprattutto da negozietti di mercanzie e cianfrusaglie che non hanno niente di tipico e che fanno perdere alle strette vie, l’antico fascino dandole un aspetto troppo commerciale. Nonostante l’animazione dei turisti abbiamo l’impressione, confermata anche da un’anziana con cui parliamo, che sia un borgo morto, dove la vita per quei pochi abitanti è molto dura e solitaria soprattutto con le nebbie d’inverno. Tutto il resto è movimento occasionale ad uso turistico che ristoranti e bar non smentiscono con i loro prezzi particolarmente cari (3.80 euro 2 caffè!). Passeggiando senza meta sui ciottoli levigati, ammirando palazzi e stupendi rosoni di chiese e passando davanti al centro congressi Majorana arriviamo infine al Castello di Venere con il giardino del Baglio da dove una vista mozzafiato ci permette di focalizzare il territorio con i paesi che vogliamo visitare. La vasta distesa della provincia di Trapani si spiega in tutta la sua meraviglia di terreni coltivati, soprattutto a vite ed ulivo, con una precisione quasi maniacale. Le torri Pepoli che fan parte del complesso, sono diventate invece un elegante resort il cui ingresso è vietato.

Per cena ritorniamo ancora da Calvino per una pizza, perché da noi al Nord è difficile trovarne di così, ma evitiamo quella all’acciuga della prima volta, ottima sì, ma che ci ha fatto bere per tutta la notte. Nella nostra passeggiata in notturna prendiamo coscienza di un fenomeno di cui avevamo sentito parlare anche di recente: la piaga dei cani randagi. Grossi cani sporchi sono allungati sui marciapiedi, passeggiano in piena libertà oppure attraversano impavidi le strade costituendo anche un pericolo. Hanno l’aspetto triste ed afflitto quasi in meditazione sulla loro sventura e alla mercè di qualcuno che porti loro da mangiare o gli faccia una carezza. Una cosa incivile ed inaudita ai nostri giorni.

Giovedì Da oggi in poi ci rendiamo autonomi perché abbiamo noleggiato una macchina. Dobbiamo però ritornare in aeroporto per prelevare l’auto perché la vogliamo riconsegnare lì al nostro rientro. Quindi prendiamo stavolta il bus dell’Ast che si ferma al porto (euro 2.20 ) e in 45 minuti siamo al rent a car di Birgi. Oggi è la giornata di Mothia, l’isola misteriosa dei Fenici, tante volte sentita nominare ed ora a portata di mano. Come al solito le indicazioni sono scarse se non fuorvianti, in ogni caso bisogna seguire i cartelli per San Pantaleo (oggi Mozia) oppure per Strada punica. Arriviamo al primo imbarcadero delle saline, anche se quello autorizzato dalla Fondazione che gestisce l’isola è più avanti, e decidiamo di partire con questi (5 euro a/r). L’imbarcazione dal fondo piatto si destreggia tra le acque dello Stagnone e ci fa ammirare un incantevole paesaggio naturalistico fatto di saline, dove i recinti d’acqua si alternano a cumuli di sale sapientemente coperti da tegole chiare per evitare che la pioggia sciolga il sale e ne favorisca l’evaporazione. Il balzello per entrare nell’isola non è poi così basso: 9 euro a testa per accedere al museo e ai siti archeologici dislocati in vari punti dell’isola. Soldi eccessivi non perché i fenici non se lo meritino, ma per come è gestito un patrimonio di tale valore. Opinione non solo mia, ma che ho potuto captare anche dai mugugni di altri occasionali visitatori. La statua candida dell’Efebo di Mothia dal corpo perfetto che ti accoglie all’ingresso è di una bellezza che lascia senza parole e da sola meriterebbe il viaggio, ma se ti addentri nelle sale, al di là del valore intrinseco dei reperti, ti monta la rabbia per come sono tenuti. I vetri delle bacheche sono coperti da una patina polverosa che ostruisce persino la vista, muri scrostati da cui pendono lunghe ragnatele, cartelli attaccati in modo approssimativo con nastro adesivo, neanche un depliant a disposizione del visitatore: l’incuria è imperante. Se quel Joseph Whitaker, mercante inglese di marsala, che due secoli fa comprò l’isola per far partire una campagna di scavi avendone intuito il valore, ne vedesse lo stato attuale, si rivolterebbe nella tomba. La natura di questo isolotto è molto bella e selvaggia con grandi fichi d’india, palme, eucalipti, canne di bambù, cactus, enormi oleandri e grossi fiori viola. Incontriamo la scolaresca dal berretto rosso che con gli schiamazzi risveglia le anime dei fenici e a noi toglie il piacere di percepire i silenzi di questo luogo magico. Alberi giganteschi ci ospitano per una breve sosta sotto i loro fitti ombrelli per ammirare davanti a noi le acque luccicanti dello Stagnone e il profilo di Marsala dove fra poco arriveremo.

Appena giunti in questa città, essendo oramai mezzogiorno avanzato, cerchiamo un posto dove mangiare e finiamo nel primo ristorante in vista incoraggiandoci a vicenda con degli americani che s’interrogavano pure loro sul da farsi. Il posto è senza infamia e senza lode e per questo non lo cito, senz’altro saremmo capitati meglio alla trattoria Garibaldi in pieno centro che ci era stata segnalata, che come verifichiamo poi ci ispirava di più. Sbucati in piazza della Loggia c’imbattiamo nei soliti berretti rossi che scorazzano e schiamazzano, sono il nostro incubo quotidiano. La grande piazza è dominata dalla possente facciata barocca della chiesa madre con un arioso interno a tre navate e dodici colonne anatoliche destinate ad una chiesa inglese ed approdate qui per un naufragio della nave che le trasportava. Via Garibaldi porta inevitabilmente a Porta dei Mille, ricca di memorie garibaldine, che si apre su di un mare luccicante. Passiamo oltre la porta e proseguiamo sul piacevole lungomare fino al Baglio e Porta Lilibeo, ma la canicola che picchia ci fa ripiegare, rossi come i gamberi, a cercare un po’ di frescura nei vicoli del centro storico per riprendere l’auto che abbiamo lasciato in piazza Marconi, come ci eravamo appuntati. Purtroppo la piazza Marconi che ci indicano ora non coincide con quella dove avevamo lasciato l’auto, perché a quanto pare ci dev’essere stato un cambiamento di nomi o di targhe vecchie ancora esistenti ed insomma per venirne a capo rifacciamo tutto il percorso iniziale sulla base di indizi che avevamo focalizzato per ritornare al punto di partenza. Poco fuori Marsala e lungo la litoranea ci fermiamo obbligatoriamente a visitare le cantine Florio il cui nome sta per marsala. Il tipico vino del trapanese, oramai conosciuto in tutto il mondo, è frutto dell’intuizione di un inglese che vi aggiunse alcool per poterlo meglio trasportare creando così questa delizia. La visita dura circa un’ora (euro 5) comprensiva di degustazione finale e merita di essere fatta per tutti i dettagli che vengono forniti sia sulla lavorazione del vino, con relativa visita alle enormi cantine, che per la vivace storia della famiglia Florio le cui sorti sono strettamente legate alla Sicilia. L’ultima tappa di questa intensa giornata la facciamo a Mazara del Vallo, che ci colpisce per la grande confusione e caos, il disordine e la povertà dei condomini della periferia che stridono con la parata di negozi di firma e di lusso che troveremo poi lungo le vie principali e l’eleganza all’ultima moda della gioventù che passeggia. Ci spingiamo nel labirinto della zona del souk dove vive una forte comunità di magrebini con la loro lingua e costumi che all’improvviso ti sembra di essere piombato in Tunisia. Appena usciti da questo labirinto noti però che si confondono con i siciliani al punto da non riuscire a coglierne le differenze; speriamo che questo sia il frutto di una positiva integrazione. Viaggiare con l’auto da queste parti è un vero rompicapo: entriamo ed usciamo per paesi che vivono nell’assoluto anonimato non avendo nemmeno la dignità di avere un nome segnato su un cartello. Siamo un po’ sconcertati nel conoscere quest’altra Italia.

Venerdì L’obiettivo di oggi è raggiungere San Vito Lo Capo, nota località balneare che segna il promontorio più a nord della provincia di Trapani (uno dei 3 vertici di Trinacria!) ed imposta il profilo del golfo di Castellammare. Percorriamo la bella strada costiera che lambisce il mare e gira intorno al monte di Erice che ci sovrasta e scende ripido verso la costa. Passiamo per Bonaria, Valderice finché appare il Monte Cofano possente sul mare. Il paesaggio è gradevole con terre rosse fittamente coltivate ad ulivi e viti basse che toccano il suolo. E’ una bella zona ricca di produzioni agricole, campi lavorati con estrema precisione, casette basse in un ordine perfetto, scoppi di ginestre gialle si alternano a bianche cave di marmo. E’ l’immagine di una Sicilia laboriosa e autentica che mostra il suo lato migliore lontano da tutti i soliti clichè. I panorami sono stupendi visti dall’alto con il monte Cofano e Capo san Vito che racchiudono una baia stupenda ed un mare smeraldo. La strada è una sorta di ottovolante con discese a rotta di collo finché all’orizzonte non fa capolino il mare e la spiaggia di San Vito dove da domani avrà inizio il Festival degli Aquiloni, prima manifestazione di questo genere nell’isola che sembra promettere bene come arrivi di turisti anche dall’estero. Questa località ci piace perché non è stata deturpata da mostri architettonici, ma tutto è conforme allo stile dell’isola. Non so se San Vito rimarrà così gradevole anche d’estate o se sarà presa d’assalto dal turismo di massa, in ogni caso ci godiamo una piacevole pausa gustando in un bar della piazzetta la specialità del caldo-freddo, una bomba calorica di gelato e cioccolato fuso sopra. Ritorniamo per Custonacci e da qui seguendo la SS 187 raggiungiamo Scopello attraversando bellissime vallate ariose e ricche di coltivazioni. Finalmente delle buone indicazioni stradali ci portano alla meta. Scopello è un pugno di case su un promontorio da cui si gode un magnifico panorama, anche qui facciamo una sosta culinaria per assaggiare il tipico pane cunsato (pane di grano duro con olive imbottito di pecorino fresco, fettine di pomodoro e condito con sale olio e origano). Purtroppo il forno che lo produce è chiuso in questo periodo e ci accontentiamo di una non disprezzabile versione nel bar dell’antico baglio, che merita una visita. Passando poi per la tonnara, ormai in disuso, raggiungiamo il parcheggio della Riserva dello Zingaro (entrata alla riserva 3 euro) senza però intraprendere il percorso che, come si preannuncia dall’ingresso, dev’essere molto suggestivo per il panorama ad ampio respiro sul mare e le varietà di piante e fiori autoctoni che rivestono le rocce. Dopo un tentativo fallito di raggiungere con l’auto una caletta con un mare rinfrescante puntiamo dritti verso Alcamo passando tra prati degni della tavolozza di un impressionista. Alcamo non ci stupisce per la sua bellezza, a parte la chiesa madre con un bel campanile ornato di bifore. Siamo invece attratti dal cerimoniale e dall’estrema eleganza degli invitati ad un matrimonio che sta per iniziare nella chiesa di piazza Cielo d’Alcamo. La giornata è stata intensa e ora volgiamo sulla via del ritorno senza dimenticare il tempio di Segesta che avevamo visto in passato ergersi con tutta la sua maestosità sul colle. Ora lo vediamo spuntare seminascosto tra le fronde, ma è una visione che comunque ci rassicura: è come ritrovare un amico e con lui la solita scolaresca dai berretti rossi!

Sabato L’idea di rivedere Palermo dopo tanti anni non è stata delle più felici. Innanzitutto sconsiglierei vivamente di raggiungerla in auto ma di optare per i mezzi pubblici, treno o bus che sia, per evitare l’impatto così caotico con una città che ha gravi lacune sia di segnaletica che di parcheggi. Così vaghiamo per un’ora alla ricerca di un posto dove lasciare l’auto finendo addirittura nel bel mezzo di un mercato rionale dove tra i banchi delle merci esposte e la calca umana non riuscivamo a vedere una via di uscita. Alla fine, con molte perplessità, ci siamo affidati alle premure di un posteggiatore abusivo incrociando le dita sulla sorte dell’auto affittata. Il nostro proposito era di seguire un interessante itinerario degli arancini, famosissima specialità sicula, che avevamo scaricato da internet. Una singolare traccia culinaria che attraversava anche i posti più rinomati della città. Così partiamo dalla zona dell’Orto Botanico e al bar Touring scopriamo di prima mattina questa squisitezza, una palla di riso di dimensioni giganti imbottita a scelta di carne, mozzarella, verdure e quant’altro la fantasia suggerisce. Basta da sola come degustazione degli arancini, così per gli altri posti indicati li guardiamo solo da fuori nel nostro percorso. Approdiamo alla Vucciria che ha perso lo smalto di un tempo, ci fermiamo subito al botteghino dei polpi nella piazzetta con l’intenzione solo di osservare, ma l’astuzia del venditore ce ne ha prontamente rifilati due, peraltro così duri che hanno richiesto tutta la forza delle nostre ganasce per mandarli giù quasi interi. Da queste parti si usa così e sono indice di freschezza, ma il polpo ci è rimasto comunque indigesto anche per il prezzo richiesto a due ignari turisti che è doppio rispetto a quello riservato ai locali. Proseguiamo la visita andando un po’ a zonzo per le vie centrali, passando davanti al Teatro Politeama e alla Cattedrale arriviamo con una lunga passeggiata al Palazzo dei Normanni per vedere la Cappella Palatina, ma la grande coda ci fa desistere. Sulla via del rientro entriamo nel mercato di Ballarò che troviamo più caratteristico della Vucciria. Ci disorienta un po’ la quantità della merce esposta, la carne, il pesce, tutte le varietà di frutta e verdura e le immancabili bancarelle di abbigliamento taroccato in un miscuglio ibrido di colori e odori. Come l’arrivo anche il ritorno è stato travagliato e prima di trovare la A29 in direzione Trapani ci siamo persi nella zona industriale.

Domenica E’ l’ultimo giorno da trascorrere in questa provincia e non vogliamo andarcene senza aver visitato le Saline di Trapani/Paceco appena fuori dell’abitato per cui questa città è famosa sin dai tempi remoti. Purtroppo non vediamo il cartello d’ingresso alla Riserva che è gestita dal WWF, ma girovaghiamo comunque nella vasta area rigorosamente divisa a scacchi più o meno ampi che contraddistingue l’estrazione del sale, la cui materia prima è l’acqua del mare altamente salata e il sole abbinato al vento per farla fa evaporare. Con un gioco sapiente ed arcaico l’acqua viene fatta scorrere da vasche ampie ad altre sempre più piccole, dove alla fine si raccoglie questo prezioso frutto del mare. Ci fermiamo alla Trattoria del Sale, una vecchia casa ora adibita a ristorante che sorge nel bel mezzo di questo mare salato e da dove si può fare qualche passeggiata per ammirare da vicino questo interessante fenomeno. E’ ora di pranzo e seguendo una recensione positiva che avevamo trovato decidiamo di raggiungere l’agriturismo Voltaggio che ha pure alloggi e si trova a metà strada tra l’aeroporto Birgi e Trapani, su in collina. Siamo stati molto soddisfatti di questa sosta, perché il posto merita sia per la sua posizione sopraelevata in mezzo a campi coltivati che per l’ottima cucina. E’ un posto molto noto ai locali che lo frequentano soprattutto per le loro ricorrenze ed anche noi, essendo domenica, siamo incappati nel bel mezzo di battesimi e cresime che con la particolare esuberanza di questa gente può rendere un locale non proprio tranquillo, se uno cerca la quiete. Ma a parte il servizio un po’ lento per la numerosa clientela, abbiamo gustato delle ottime specialità tipiche tra cui il cuscus di verdure, tanti tipi di antipasti, tris di primi, carni miste alla griglia, torta alle mandorle o pistacchio acqua e vino al prezzo fisso di 23 euro. Veramente raccomandabile, evitando magari la domenica.

Da una nota sul Giornale di Sicilia (molto più informato della locale APT) leggiamo che oggi c’è una festa a Vita (vicino a Salemi) dedicata alla Madonna con processione folcloristica. Non vogliamo perderla ed abbiamo fatto bene. Sotto un sole cocente ma confortati da un nutrito numero di persone tutte locali, attendiamo con pazienza l’avvio dei carri che rappresentano i vari ceti o corporazioni (viticultori, cavallari, olivicultori, burgisi/contadini e altri). Ognuno si è prodigato ad addobbare al meglio il suo carretto siciliano decorato con scene dai colori sgargianti. I cavalieri montano cavalli bardati a festa con finimenti dorati luccicanti che agitano pennacchi variopinti. I carri sono stipati di persone vestite con i costumi siciliani che dopo aver sostato di fronte alla chiesa e reso un omaggio floreale alla Vergine si scateneranno nel lancio di caramelle, sacchettini di olive, boccette (in plastica) di vino, frutta secca ed altre leccornie che con destrezza grandi e piccoli raccolgono in un clima di grande festa e convivialità. Questa parentesi di autentico folclore proprio ci voleva per completare la nostra idea di Sicilia. Finiamo la serata ancora in un locale sul porto di Trapani: da Angelino che funge anche da gastronomia e pasticceria. Merita di essere segnalato perché è un posto verace, con cucina siciliana dove finalmente degustiamo le sarde a beccafico come la tradizione comanda, veramente ottime, le busiate con melanzane, i calzoni appena fritti ripieni di filante mozzarella, pesciolini e bianchetti freschissimi e rifiutiamo purtroppo a malincuore le cassatine e i setteveli perché siamo andati oltre ogni limite in questi giorni trapanesi. Questo breve ma intenso soggiorno ci ha lasciato il nitido ricordo di una terra ricca di doni: sole, mare, cibo, gente operosa ed ospitale che senz’altro non delude chi desidera intraprendere la sua conoscenza.



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