Ponza, l’isola di circe

Una piccola folla di turisti e di locali gremisce il Molo Blu di Formia da dove alle 14.30 salpa l’aliscafo della Vetor che ci porterà a Ponza. All’orizzonte si profila la sagoma contorta e allungata dell’omerica Eea, dimora della maga Circe che stregò persino l’astuto Ulisse. Avvolta nel mito e nella leggenda, scatenò la fantasia dei...
Scritto da: Rosanna Lanticina
ponza, l'isola di circe
Viaggiatori: in coppia
Una piccola folla di turisti e di locali gremisce il Molo Blu di Formia da dove alle 14.30 salpa l’aliscafo della Vetor che ci porterà a Ponza. All’orizzonte si profila la sagoma contorta e allungata dell’omerica Eea, dimora della maga Circe che stregò persino l’astuto Ulisse. Avvolta nel mito e nella leggenda, scatenò la fantasia dei naviganti che nella sua forma videro il dorso di un immenso pesce venuto a galla dagli abissi. Dopo un’ora e un quarto di navigazione si entra nel vecchio porto borbonico e di colpo ci si trova in un mondo a parte fatto di luce e di colore, dove lo spirito mediterraneo esplode in tutta la sua esuberanza. I rosa, gli azzurri, i gialli e il bianco delle case disposte ad anfiteatro sul molo Pisacane e che s’inerpicano sulla collina, creano una suggestiva scenografia ad un mare blu trasparente, illuminato dal sole e popolato di barche. Sebbene appartenga al Lazio, l’isola non nasconde le sue origini campane visibili nelle costruzioni, nei nomi delle località, nel dialetto e persino nella cucina. Del resto, abbandonata per un lungo periodo, per ordine del re Carlo Borbone venne forzatamente ripopolata nella metà del Settecento proprio da famiglie di Ischia e di Torre del Greco. Oggi sul rosso molo si concentrano piccoli alberghi, ristoranti, bar e negozi e, all’arrivo delle navi o degli aliscafi che la collegano con Formia, Terracina e il Circeo, è tutto un andirivieni di gente, valigie, merci e auto. Ma sull’isola, che fu un penitenziario durante il fascismo, fino al 1950 non si poteva scendere o partire senza un lasciapassare e il primo albergo fu aperto nel 1957.

Trascinando la pesante valigia, arriviamo in fondo al lungo molo dove c’è l’agenzia con cui abbiamo prenotato il nostro Residence a Le Forna, in località Cala Feola, ad otto chilometri dal porto, dove siamo accompagnati con l’auto. Il nostro appartamento, uno spaziosissimo trilocale con un piccolo giardino, ha una vista stupenda sul golfo e il mare.

In primavera l’isola ancora deserta è nel pieno della sua fioritura e percorrere a piedi i dieci chilometri di strada asfaltata che la attraversano permette di apprezzarne le sue bellezze. Un’incredibile fioritura straborda dai muretti di terrazzi e giardini con cascate di gerani dai colori accesi, di bianche margherite, rose, gerbere, viole ciocche e piante grasse. Una variopinta flora selvatica pennella i terrazzamenti delle colline: il rosa del fragile cisto si mescola con quello violaceo della robusta malva e il giallo delle ginestre. Punta Incenso, l’estremità più a nord, offre una vista mozzafiato sulla costa selvaggia con rocce che strapiombano nel mare blu. Il ristorante “Zi Arcangelo” a Le Forna ha un incredibile terrazzo che domina la baia. Nonostante l’aria ancora fresca non rinunciamo al piacere di cenare all’aperto, scegliendo il tavolo nell’angolo, “quello che vogliono tutti” dice il proprietario con aria sorniona. Siamo gli unici clienti e in tutta tranquillità ci gustiamo un’ottima cena rigorosamente a base di freschissimo pesce. La cucina casalinga semplice e generosa della moglie Sandra, la simpatia dei proprietari che ci fanno sentire a casa e il prezzo onesto ci invogliano a tornare anche le sere successive. Indimenticabili le alici marinate, le migliori che abbia mai mangiato, carnose e profumate di mare! Un’imprevedibile fitta nebbia mattutina che avvolge ogni cosa rischia di far saltare il giro in barca dell’isola e della vicina Palmarola, ma fortunatamente verso le dieci i contorni degli scogli, le sagome delle barche ancorate al largo e poi via via le case aggrappate sulla collina a poco a poco si delineano e dalla nebbia sbucano i gialli, i rosa, il bianco dei muri e il blu intenso del mare e in pochi minuti ritorna il sereno e tutto brilla nella luce di un caldo sole. “Fauno” governato da Franco, l’abile e simpatico capitano che conosce tutti i segreti dell’isola e del mare, salpa con il piccolo gruppo di turisti, puntando a sud verso le Grotte di Pilato, antico murenario romano, intorno a cui sono fiorite molte leggende. In alto spicca la tozza mole del forte borbonico, il piccolo cimitero e le case, poi solo rocce bianche, grigie, gialle, amaranto e mattone frutto di eruzioni vulcaniche avvenute trenta milioni di anni fa e non, come più poeticamente pensavano gli antichi, risultato dei sortilegi di una maga. Così il silicio, i calcari, le trachiti creano una straordinaria tavolozza di colori che raggiunge effetti unici nella Punta della Madonna. La costa dal profilo accidentato si sfrangia in pinnacoli e spuntoni, rocce dalle forme bizzarre a cui la fantasia popolare ha dato pittoreschi nomi. Le aspre pareti sono sovrastate da bassi tappeti verdi dove una fragile flora, a primavera, offre una colorata fioritura dove spicca il giallo delle Ephreda, una specie di ginestra che si trova solo qui e in qualche altra parte della Sardegna. Dal settecento in poi, Ponza ha subito disboscamenti, devastazioni, tagli, incendi e oggi di alberi non ce ne sono praticamente più. Il paesaggio dell’isola è caratterizzato da terrazzamenti a secco, creati per evitare l’erosione. Un tempo coltivati ad orti, vigneti e oliveti oggi sono ormai abbandonati e invasi dalla macchia mediterranea. Percorriamo il breve braccio di mare (circa sette chilometri) che la separa da Palmarola.

Nell’incredibile blu di un mare limpido e terso le spoglie rocce si ergono imponenti, simili a guglie di una cattedrale gotica. La nostra barca passa vicino alle pareti lisce abitate solo da colonie di gabbiani e il silenzio assoluto è rotto dal sordo rumore del nostro motore. E’ un susseguirsi di rocce frastagliate, traforate, lavorate dal vento e dai marosi, con radi cespugli di macchia mediterranea e una specie di palma nana da cui forse l’isola prende il nome. Unico approdo è Cala del Porto, conosciuta come “Casa Circe”, un’incantevole spiaggia di ciottoli delimitata da un promontorio roccioso e dalla parete nord del monte Tramontana dove sono state scavate, come in un alveare, delle case-grotta rifugio dei contadini ponzesi che venivano qui a lavorare fazzoletti di terra.

Gettata l’ancora si scende a terra, qualche coraggioso, attratto dalle limpide trasparenze, si getta in mare: l’acqua è fredda ma decisamente invitante. Proprio sulla spiaggia la piccola trattoria “O Francese” con poche semplice camere sarebbe il luogo ideale dove trascorrere una notte in totale solitudine, magari in quella camera con una incredibile finestrella rivolta verso il mare, tanto vicino che ti sembra di poterlo toccare! Fortunatamente l’isola, dichiarata Parco Naturale, è stata preservata dalle speculazioni edilizie e le poche case costruite in precedenza, nascoste tra la macchia mediterranea, non guastano la rara bellezza di questo angolo.

Franco è un bravo capitano ma anche un ottimo cuoco e il pranzo che ci serve a bordo è apprezzato da tutti: bruschette, pasta, melone bianco annaffiati dal vino e un buon caffè per finire. La compagnia è simpatica e le poche ore di navigazione sono bastate a creare un particolare affiatamento.

Lasciata Palmarola e i suoi otto chilometri di costa che ci regalano altri scorci di grande bellezza (non a caso è stata definita da Folco Quilici una delle isole più belle al mondo), si torna a Ponza puntando a nord. Superata la spettacolare spiaggia di Chiaia di Luna, dominata dalle vertiginose falesie tufacee alte circa cento metri incise e striate dalla retinite, il mare offre baie nascoste, calette profonde, acqua trasparente, rocce dalle strane forme e curiose formazioni come le piscine naturali. Al centro di una parete rocciosa si profila la sagoma di un ”cuore” che dà il nome alla spiaggia sottostante detta appunto del Core. Alle cinque Fauno rientra nel porto e noi, approfittando di una luce magica, favorevole per fotografare, iniziamo la salita al monte della Guardia, che con i suoi 283 metri è il più alto dell’isola e offre una delle viste più spettacolari su tutto l’arcipelago. Attraverso le ripide stradette alle spalle del porto si guadagna un sentiero tra i campi e la macchia mediterranea. Dall’ampia distesa erbosa che ricopre la sommità si ha una veduta molto suggestiva sul faro, abbarbicato su un piccolo promontorio. Da “Zi Arcangelo” ci aspetta il nostro tavolo e poi una straordinaria stellata illumina la notte. Prima di lasciare l’isola, nella attesa dell’aliscafo, facciamo un ultimo giro tra le stradine dietro al porto, vicino alla chiesa e poi su fino alla Torre dei Borboni, trasformata in albergo negli anni sessanta e oggi in fase di restauro. A Ponza persino il cimitero è speciale; invece di suscitare tristi e lugubri pensieri rasserena e quella panchina tra le tombe che guarda verso un mare incantevole e radioso nella luce del sole suggerisce un profondo senso di pace. Ed è proprio questo senso di pace ciò che ci portiamo via da quest’isola che fin dal primo istante ci ha ammaliato con la sua bellezza, come una vera incantatrice: ancora una volta leggenda, miti e realtà s’intrecciano, confondendosi!



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