Parco Nazionale del Cilento
Quindi puntiamo su Caselle in Pittari per visitare l’inghiottitoio.
Incominciano le prime difficoltà perché la segnaletica stradale tende a scomparire mentre quella turistica diventa inesistente. Questa sarà una costante per tutto il viaggio. Eccettuati centinaia di cartelli che ci ricordano che siamo nel Parco del Cilento e che la natura è protetta, non c’è alcuna indicazione turistica.
Grazie alla disponibilità della gente del luogo troviamo la discesa che porta al canyon.
Dopo circa un’ora di cammino nel mezzo di una vegetazione lussureggiante, la stradella termina con delle tavole sconnesse e scivolosissime. Segue un sentiero ripido e friabilissimo. Sarebbe bastata una corda tesa per non più di cinquanta metri alla quale appoggiarsi per giungere sino in fondo! Non c’è nessuno in giro, il cellulare non ha campo, le probabilità di rompersi una gamba sono del 50%; decidiamo di tornare indietro. D’altra parte non penso avremmo avuto il coraggio di entrare, con la pila mezza scarica, nell’antro enorme che ci si para davanti e di percorrerlo per 600 metri fino all’inghiottitoio. Intanto un nibbio, con il suo richiamo, sembra prenderci in giro per la nostra ritirata. Dopo una breve sosta a Caselle in Pittari per il pranzo (€ 12 a testa) puntiamo su Rossigno vecchio, un paese agricolo abbandonato agli inizi del secolo scorso a causa delle frequenti frane. Il paese, considerato patrimonio dell’umanità e tutelato dall’Unesco, è una piccola Pompei in quanto l’impianto urbanistico è rimasto immutato dal suo abbandono. A questo punto è notte e bisogna trovare dove dormire. Impresa ardua in quanto a Rossigno Nuovo l’unico albergo è piuttosto squallido e gli alberghi dei paesi vicini sono chiusi.
Sempre grazie alla gentilezza dei locali veniamo a conoscenza di un agriturismo “Terra Nostra” che, ci assicurano, è lontano Km 3 ed è molto accogliente. Dopo avere sbagliato più volte strada ed avere percorso 20 Km, a speranze perdute, ci appare, nella notte, l’agognato agriturismo. Accoglienza informale e cordiale. Stanze pulite e locali nuovi. Prezzo onesto, € 40 per la doppia.
La mattina successiva ci dirigiamo su Laurino per visitare la Grava di Vesalo, l’inghiottitoio entro il quale si getta il torrente Milenzio. Ovviamente non ci sono cartelli turistici. Quindi ci affidiamo, come al solito, al buon cuore dei locali. Con nostro grande stupore, però, tutti sono a conoscenza dell’esistenza della Grava ma nessuno ci è stato. A seguito di alcune indicazioni -rivelatesi errate- dateci da una vigile della polizia urbana di Laurino, giriamo in tondo per circa un’ora. Poi la dritta giusta da un raccoglitore di funghi. Bisogna arrivare all’ingresso di Campora, prendere la prima strada a sinistra (non quella che porta a Valle della Lucania), al bivio (dove c’è una fontanella) seguire l’indicazione Vesalo e, infine, quando la stradella si restringe (forse nel passato c’era una sbarra) prendere la strada che scende a destra. Dopo qualche centinaio di metri, sulla sinistra, c’è, finalmente, l’indicazione di un sentiero (che si può percorrere in tre ore) e dell’inghiottitoio del Vesalo che dista qualche centinaio di metri. Il posto è veramente magnifico. I sentieri da percorrere tantissimi. Prendiamo quello per il quale siamo venuti e scendiamo lungo il fiumiciattolo fino a giungere ad una enorme caverna dove il fiume si inabissa. Con mia moglie ci teniamo e vicenda sull’orlo del baratro per guardare e fotografare a turno l’inghiottitoio.
Dopo una passeggiata nei boschi ci avviamo per trovare un posto dove rifocillarci. Impresa ardua. Di lunedì, nel Cilento, si mangia solo a casa propria. Tutti i ristoranti sono chiusi. Ma noi non lo sappiamo. Quindi, dopo avere bussato invano ai ristoranti di tre paesi, puntiamo su Roccadaspide, un paese di cui è originario l’amico Moscarelli di Napoli e secondo il quale la cucina è davvero ottima. Anche qui troviamo i tre ristoranti chiusi per turno.
A questo punto, stanchi ed affamati, decidiamo di dirigerci su Paestum e di lasciare il Parco.
Abbiamo percorso, in due giorni, circa Km 300.
La sorpresa è stata la scoperta, nei costumi, nel modo di pensare, nei ritmi di vita, nei sapori e nei paesaggi di un’Italia che ritenevamo non esistesse più dagli anni ’50. Ci torneremo!