Le prime “cazzate” del Tasso

So che forse avrei dovuto mandare questo resoconto a VPC, ma francamente non ho trovato uno spazio adatto. Decidete voi se sia il caso di spostarlo. Dopo tanti anni di passione inespressa per la vela, finalmente ho deciso di iscrivermi ad un corso, della durata di due weekend. Era il mio primo incontro con una barca a vela, non ci ero mai salito...
Scritto da: Andrea Tassi
le prime cazzate del tasso
Partenza il: 28/09/2002
Ritorno il: 29/09/2002
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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So che forse avrei dovuto mandare questo resoconto a VPC, ma francamente non ho trovato uno spazio adatto. Decidete voi se sia il caso di spostarlo.

Dopo tanti anni di passione inespressa per la vela, finalmente ho deciso di iscrivermi ad un corso, della durata di due weekend. Era il mio primo incontro con una barca a vela, non ci ero mai salito neanche ad un Salone, e questo è il racconto delle prime impressioni, delle prime difficoltà e delle prime soddisfazioni.

E’ stata un’esperienza fantastica! Non so se siete mai stati su una barca a vela, ma l’emozione che ho provato quando, dopo che avevamo issato le vele, l’istruttrice ha spento il motore e ha dichiarato “Signori, siamo a vela”, è stata indescrivibile.

Torniamo all’inizio: siamo arrivati venerdì sera intorno alle 11/11.30, un po’ di presentazioni e poi si sale in barca. O perlomeno si tenta di farlo: la banchina è qui, fissa e salda sotto i miei piedi, mentre la barca è là, instabile e traballante. La distanza sembra invalicabile con un semplice passo, e l’idea di saltare non si prende neanche in considerazione: non si vede nemmeno un punto di atterraggio sicuro…Il problema appare irrisolvibile, e invece con acrobazie varie saliamo tutti a bordo. Non chiedetemi come. La notte passa senza che il dondolìo disturbi minimamente, ma al mattino il problema barca-banchina si presenta di nuovo, stavolta a fattori invertiti: di nuovo la distanza sembra invalicabile ma di nuovo, con metodi che gli istruttori definirebbero probabilmente aberranti, sono in banchina. Da notare che l’operazione avviene di mattina presto, complice un bisognino da espletare, per cui le mie pseudo-acrobazie sono effettuate in assenza di pubblico. A un ragazzo che dorme con me va un pochino peggio: anche lui va ad espletare, ma al ritorno in barca c’è il blocco: non trova il verso di salire sulla bestia dondolante, e rimane un quarto d’ora a fissare la barca. Non pago di questo, o forse per eseguire un rito per ingraziarsi la barca, decide che è ora che il portachiavi si rompa, e più di metà delle chiavi vanno in acqua. Anche lui, comunque, riesce a risalire a bordo. Alla fine ci si sveglia tutti e ci si trova al bar (nessuno è caduto in acqua, per la cronaca) per fare colazione e aspettare quelli che arrivano direttamente al mattino. Ancora un po’ di presentazioni, poi si fa una breve lezione su quello che vedremo nella giornata. Si formano gli equipaggi, si fa la cassa comune e si va a fare la spesa per il mezzogiorno. Poi tutti in barca, si mollano gli ormeggi e si parte; prima a motore (non si può manovrare a vela in prossimità del porto) e poi, finalmente, a vela. Il motore non fa molto rumore, è piccolino, però quando lo si spegne è tutta un’altra cosa, e ti rendi conto di quanta magia ci sia nel muoversi senza utilizzare nessuna risorsa “non rinnovabile”: il vento è lì, tu te ne servi ma lui è ancora lì, pronto a spingere ancora e ancora (lasciando perdere la calma di vento, che comunque è una situazione temporanea). Ognuno prende un ruolo: timone, randa, fiocco; l’istruttrice dirige, consiglia, rassicura in modo perfetto. Proviamo la prima manovra, si tratta di una virata (praticamente si passa da avere il vento davanti a destra, a davanti a sinistra; o viceversa): è il timoniere che comanda e “chiama” la manovra: “Pronti a virare?” e ciascuno risponde orgoglioso “Pronto”; allora inizia la manovra vera e propria: gira, gira, gira, il vento ora è esattamente davanti, continua a girare o ci piantiamo qui, gira, gira, il vento è dall’altra parte: la virata è riuscita, perfetto! Siamo felicissimi a bordo…Poi i ruoli vengono girati più volte, in modo che ognuno faccia tutto. Più tardi il vento cala, fino a scomparire: dato che è ora di pranzo accendiamo il motore, avvolgiamo il fiocco (altra manovra riuscita, alè!) e entriamo nella baia di La Spezia, riparati dalle onde. Lì ci attacchiamo a una boa, uniamo le tre barche e si mangia. Ci fermiamo un po’, si prepara anche il caffè, qualcuno fa il riposino, qualcuno addirittura il bagno, poi si riparte. Sempre più gasati, all’uscita dal porto stiamo provando un po’ di virate in successione: vicino a noi un’altra barca della scuola e una barca più grande, che più o meno fa le nostre stesse manovre; ci controlliamo l’un l’altro per non abbordarci, e nessuno controlla dietro…Così, all’improvviso: “WOOOOOOO” un colpo di sirena da nebbia ci fa sobbalzare; ci voltiamo e vediamo un traghetto che punta su di noi. La precedenza è sua (è una nave “da lavoro”) quindi più che virare noi “scheggiamo via” come un gruppo di pescetti quando tenti di prenderli con la mano…Nessuno spavento, dato che il traghetto era ancora lontano, ma soddisfazione per aver eseguito la manovra in velocità senza sbagliare. Nel pomeriggio ancora le stesse andature, col vento quasi in prua, sempre ruotando i ruoli, fino a che si avvicina l’ora del rientro. E si avvicinano anche pesanti nuvoloni; l’istruttrice mette la cerata, e così la metto anch’io; non penso invece a mettere gli stivali. Arriviamo vicino al porto e si scatena il diluvio; non è il momento di stare al coperto, dato che per ormeggiare servono tutte le braccia disponibili a bordo, quindi anche chi non è attrezzato a dovere per la pioggia se la deve prendere tutta. Ormeggiare non è una cosa semplice, farlo per la prima volta ancora meno (ci sono un sacco di cose da fare: fissa le cime a prua, fissa le cime a poppa, aggancia la cima che sta sul fondo del porto, attenzione a non cozzare contro le altre barche…), farlo la prima volta sotto il diluvio è una roba che mette a dura prova i nervi. Ad ogni modo nessuna barca si sfascia, nessuno cade in mare e riusciamo ad essere tutti a terra e con le barche ormeggiate in banchina. Poi qualcuno fa la doccia, qualcuno dorme, qualcuno prende l’aperitivo… E in questo viavai ogni tanto (sia che io sia a terra oppure in barca) incrocio qualcuno dei nostri fermo in banchina davanti al mostro indomabile, e che mi guarda con aria implorante; appena chiedo “Bisogno?”, si allarga un sorriso…Allora si dà una mano, generalmente prendendo una delle cime e tirando la barca verso la banchina, in modo che la distanza sia facilmente superabile. Poi cena, saluti del dopocena, e al mattino stessa storia: colazione, briefing, spesa e si parte. Stavolta facciamo le andature portanti, quelle in cui il vento è in poppa (dietro); e facciamo la manovra “contraria” alla virata, cioè la mitica strambata…La strambata è una rottura incredibile per il timoniere, che deve tenere il timone tra le ginocchia, stare chinato per evitare che il boma gli spacchi il cranio e intanto cazzare la randa (dite la verità, lo stavate aspettando…), il tutto possibilmente senza andare a sbattere. La prima tocca a me, ed è un disastro: nelle andature portanti il vento si sente molto meno (a parità di vento assoluto) per cui mi riesce difficile capire da dove arriva, timonare con le ginocchia non è la cosa più naturale del mondo e inoltre c’è la preoccupazione di quel maledetto boma che spazza in velocità la barca e rischia di portarti con sè. Sta di fatto che la strambata non mi viene un granchè, dovremmo andare dritto e io invece faccio un po’ di zigzag, perchè non so da che parte devo correggere col timone. Ma dalla seconda strambata già le cose migliorano, è solo questione di abitudine. Ancora pranzo in barca, stavolta vicino a una spiaggia dell’Isola della Palmaria. Così proviamo anche a buttare l’ancora, e a recuperarla quando è ora di ripartire. Nessuna di queste cose (a parte mangiare) è facile come sembra…Nel pomeriggio si procede con gli esercizi, e proviamo anche un tipo particolare di manovra che permette di fermare la barca, senza àncora o ormeggio: anche su questa c’è qualche incertezza iniziale ma alla fine la digeriamo. Alla radio sentiamo che di fronte a Portovenere c’è un balenottero di 15 mt che ha perso l’orientamento: il primo impulso è di andare a vedere, ma poi ci ragioniamo (veramente gli istruttori ci avevano ragionato immediatamente) e ci rendiamo conto che i 15 mt del balenottero contro i 6.40 mt della nostra barca avrebbero un effetto devastante in caso di incontro ravvicinato. Ci teniamo quindi alla larga, e nel frattempo il vento rinfresca (diventa più forte) e ci permette di fare delle andature di bolina come si vedono in televisione: barca completamente inclinata da una parte, con il bordo quasi in acqua, e noi tutti sull’altro bordo; guardo sottocoperta e vedo che dall’oblò si vede acqua invece di cielo; il vento in queste andature sembra più forte di quello che è, le vele sono gonfie e non sbattono…È una sensazione unica, la più bella che ho provato in questi due giorni di corso.

Si torna in porto, facciamo un ormeggio strano per mancanza di posto, siamo costretti a salire su un’altra barca prima di arrivare in banchina; quest’altra barca è molto più grossa ma sempre della scuola: quando stiamo per fare l’ultimo passaggio ci invitano a dare un’occhiata dentro. Ovviamente non me lo faccio ripetere, e vedo finalmente com’è fatta una barca vera: la mia era lunga 6.40 mt, questa è più di 12 mt…

E’ finita, ci troviamo al bar per un aperitivo e per il commenti finali, gli istruttori ci fanno i complimenti, poi ci salutiamo e ci diamo l’arrivederci a venerdì. Ce ne andiamo stremati, ma entusiasti, e con la voglia di ricominciare subito.



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