Laghi Maggiore e Orta
Federico non è con noi ma dai nonni, così dopo pranzo, intorno alle 15:00, lo vado a prendere: mi stava aspettando con impazienza, chiedendo di continuo quando mai fossi arrivato. Suono il campanello e, quasi immediatamente, me lo vedo correre incontro con la felicità dipinta sul volto. Salutiamo i nonni e, dopo le ultime raccomandazioni, saliamo sul camper, il nuovo camper che io e Sabrina non abbiamo ancora provato, il piccolo invece sì e già diverse volte (solo tre giorni fa è tornato da una breve vacanza sulle Alpi). Arriviamo e parcheggiamo di fronte a casa in modo da poter caricare il necessario per il viaggio: Sabrina sistema le cose dentro al camper, mentre io e Federico facciamo la spola trasportando il tutto, così, dopo una veloce doccia, alle 16:37 siamo pronti, di tutto punto, per partire. Il caldo è davvero infernale e per fortuna il nuovo mezzo è dotato anche di aria condizionata.
A Faenza entriamo in autostrada, mentre il piccolo, stanchissimo, già dorme beato nel letto posteriore, e poco dopo lo raggiunge anche Sabrina. Oltrepassiamo Bologna, con le condizioni del traffico, nel nostro senso di marcia, tutto sommato buone (lo sono un po’ meno nell’altro senso, dove, a tratti, alcuni rallentamenti causano inevitabili code). Intanto all’orizzonte appaiono grossi nuvoloni grigi e, alle 18:00, nei pressi di Parma, comincia a cadere la pioggia, accompagnata da forti raffiche di vento.
Ormai è sera e sveglio i due dormiglioni, che non si sono assolutamente accorti delle mutazioni climatiche lungo il tragitto e mi raggiungono piuttosto sorpresi in cabina. Ma, a quanto pare, siamo stati solo sfiorati dal maltempo, che se ne corre via verso oriente e già prima di Milano il sole torna a dominare la scena.
Oltrepassiamo spediti il capoluogo lombardo e procediamo lungo l’autostrada in direzione di Varese e dell’aeroporto di Malpensa, inequivocabile punto di partenza verso le più disparate mete oggetto di indimenticabili viaggi passati e (lo speriamo caldamente!) … futuri. Ci lasciamo alle spalle lo svincolo per l’aeroporto e la diramazione per Varese, percorriamo ancora pochi chilometri e, alle 19:30, usciamo dall’autostrada. Una manciata di minuti più tardi arriviamo sulle rive meridionali del lago, laddove questi si appresta a ridiventare fiume.
Il Lago Maggiore, che si estende per 65 chilometri da nord a sud ed ha una larghezza massima di 5, a dispetto del nome non è il più grande lago italiano (lo batte il Garda) ma, in compenso è il più profondo, con i suoi 372 metri.
Cominciamo a seguire la sponda orientale e, in breve, raggiungiamo la cittadina di Angera dove, presumibilmente, ci fermeremo in previsione, l’indomani mattina, della visita alla sua rocca. Seguiamo le indicazioni per il maniero, che si erge nella sommità di una piccola altura, e per mezzo di una breve ma tortuosa strada arriviamo al parcheggio adiacente l’ingresso: c’è un altro camper (francese) e lì ci fermiamo.
Dopo cena andiamo a vedere il lago dall’alto, ma la luce del sole è ormai fioca e l’oscurità sta prendendo il sopravvento … poco importa: lo vedremo domani mattina. Torniamo così nel camper a passare il resto della serata e ad aspettare l’ora di coricarci … si sta divinamente: la temperatura è gradevolissima ed il caldo dei giorni passati sembra un lontano ricordo, per questo credo proprio che passeremo una buona nottata e dormiremo beati.
Sabato 11 Agosto 2001: E’ stato davvero un piacere dormire sotto alle coperte, assaporandone il delizioso tepore, con l’aria frizzante del mattino che sembra volerci solleticare la punta del naso per svegliarci e darci la carica necessaria ad affrontare la giornata.
Il primo a balzare in piedi sul letto è Federico, impaziente com’è di visitare la rocca. Sappiamo benissimo quanto gli piacciano i castelli, ma dobbiamo frenarlo nella sua ondata di entusiasmo, visto che manca ancora un po’ all’orario di apertura e abbiamo tutto il tempo per fare una tranquilla colazione.
Pochi minuti prima delle 9:30 ci avviamo verso l’ingresso e, ufficialmente, diamo il via alle visite. Risaliamo l’antica strada pavimentata a ciottoli che costeggia le mura e arriviamo alla balconata prospiciente l’ingresso vero e proprio, dalla quale si gode di un bel panorama sul lago, poi, fatti i biglietti, varchiamo la porta ed entriamo nel cortile interno della Rocca di Angera, il cui nucleo originario risale al XII secolo ed è stato edificato laddove esisteva già una struttura difensiva in epoca romana e longobarda. Fu, per un certo periodo della sua storia, proprietà della famiglia Visconti, fino a quando, nel 1449, passò ai Borromeo, che tuttora lo conservano.
Appena dentro le mura si trova una piccola raccolta di attrezzi agricoli e Federico, trasportato dall’entusiasmo, si lascia andare subito ad un’interminabile serie di domande, poi, visitata la cosiddetta sala della giustizia, alle cui pareti si trova un interessante ciclo di affreschi del trecento, il piccolo si scatena letteralmente nella salita alla torre, dalla cui sommità, grazie anche alla splendida giornata, si osserva un suggestivo panorama che spazia fino alla vetta innevata del Monte Rosa, che appare in lontananza, dietro alle verdi colline che delimitano il lago.
Scendiamo e finiamo per dedicare un po’ di tempo al curioso museo della bambola, ospitato in alcune stanze del castello, che però non entusiasma Federico, il quale, osservate le prime vetrine, taglia, in pratica, le restanti sale percorrendo il tragitto più breve senza concedere particolare attenzioni al materiale esposto. Il tutto è stato comunque interessante anche se, a tratti, per dir la verità, un po’ noioso.
Non ci siamo davvero lasciati sfuggire nulla e, completata la visita, torniamo al camper per continuare a seguire verso nord la strada che costeggia il lago.
E’ un nastro d’asfalto piuttosto stretto quello che da Angera arriva al paesino di Ranco ma, per fortuna, non molto trafficato, così arriviamo senza particolari problemi al “Museo dei Trasporti Ogliari”, fondato nel 1954 dal professor Francesco Ogliari: letterato, scrittore e uomo di scienza. Un vero cultore della materia, che ha raccolto nel parco della sua villa il frutto di oltre quarant’anni delle sue ricerche.
Il museo consente di ripercorrere duecento anni di storia dei trasporti, facendo rivivere emozioni che parevano perdute, e i pezzi sono tantissimi, ammassati gli uni agli altri, tanto da chiedersi come sia stato possibile farli arrivare e sistemarli proprio in quelle posizioni. Fra tutti spicca la locomotiva “8” delle Ferrovie Reggiane che è stata persino chiamata a “recitare” nei film di Peppone e Don Camillo. Non manca proprio niente in materia, compresi vecchi cartelloni pubblicitari, emettitrici di biglietti, attrezzi, sputacchiere e insegne dei “cessi”! E’ stata una visita davvero interessante e, soprattutto, completamente gratuita! Il piccolo si è divertito un mondo a scorrazzare fra quelle vecchie ferraglie che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, avrebbero bisogno di un copioso restauro e, in definitiva, non sarebbe assurdo pretendere un esiguo contributo. Invece all’uscita ci chiedono solo una firma ed un telegrafico commento. Solo per nostra iniziativa lasciamo una piccola offerta per il custode prima di tornare al camper e riprendere l’itinerario.
E’ quasi mezzogiorno: percorriamo pochi chilometri e poi seguiamo una deviazione sulla sinistra, che porta in prossimità dell’Eremo di S. Caterina del Sasso, lì troviamo un parcheggio ombreggiato e ci fermiamo a pranzare.
A pancia piena, con la musica in sottofondo ed una piacevole brezza che entra dalle finestre non resistiamo alla tentazione di fare un riposino e ci svegliamo quando l’orologio segna già le 15:30. Subito ci alziamo e andiamo a visitare l’eremo, costruito a partire dal XIII secolo e sede di eremiti ambrosiani sin dal 1379, passò poi, nel 1670, ai carmelitani e addirittura fu soppresso nella seconda metà del settecento. La provincia di Varese lo ha acquistato e ha finanziato i lunghi restauri, terminati nel 1986. La struttura è stata quindi affidata ad una comunità di frati domenicani.
Scendiamo per una ripida scalinata che corre fra la vegetazione lungo la scoscesa riva del lago, cogliendo, fra l’altro, l’occasione per raccogliere qualche fragolina selvatica, e arriviamo in breve al complesso religioso, scenograficamente abbarbicato alla parete rocciosa ad una decina di metri dal pelo dell’acqua.
Visitiamo il luogo immerso in un’atmosfera carica di misticismo, dove il silenzio e la pace regnano incontrastati, ci godiamo gli scorci panoramici e prestiamo un po’ di attenzione alla piccola chiesa, magnificamente affrescata, poi, con calma, affrontiamo la dura salita (268 gradini!) che ci riporta al camper.
Torniamo in strada e, sempre costeggiando il lago, oltrepassiamo il confine italo-svizzero nel paesino di Zenna, dove un doganiere rosso crociato che ci aveva chiesto di esibire i passaporti, vista la provenienza, ci domanda il motivo della nostra presenza al Lago Maggiore, considerando che buona parte della gente del posto fa esattamente il contrario e va in vacanza sulla riviera romagnola … gli rispondo che siamo solo alla ricerca di un po’ di fresco: è una scusa e, in effetti, il motivo è ben più complesso, ma tanto basta per liquidarlo.
Proseguiamo ancora per qualche chilometro verso nord e arriviamo all’estremità settentrionale del lago, quindi all’ipotetico giro di boa, per poi fermarci, poco dopo, nella città di Locarno, adagiata in bella posizione sulle rive del bacino lacustre e contornata da alte vette.
Parcheggiamo nei pressi del porto e, vista l’ora, ci concediamo una passeggiata nell’elegante lungolago, con Federico che ci segue in bicicletta: passiamo così un paio d’ore di piacevole relax. Sulla strada del ritorno ci incantiamo a vedere tutte le fasi di preparazione di un mimo che alla fine, tutto bianco dalla testa ai piedi, si sistema su di un piedistallo a far la statua, e avremmo lasciato anche un’offerta, ma non abbiamo franchi svizzeri in tasca e proseguiamo. Si sta davvero bene all’aria aperta e quando torniamo dalla passeggiata sono da tempo passate le 20:00, così ceniamo e passiamo il resto della serata nel camper.
Domenica 12 Agosto 2001: Si sta divinamente sotto alle coperte: ignoriamo la sveglia che suona alle 8:30 e per una buona mezz’ora restiamo, in dormiveglia, a goderci quella piacevole sensazione.
Sono quasi le 10:00 quando lasciamo Locarno seguendo la strada che corre lungo la riva occidentale del lago. Percorsi alcuni chilometri e lasciatoci alle spalle il paese di Brissago oltrepassiamo la dogana e torniamo in Italia. Poco dopo arriviamo nella trafficatissima cittadina di Cannobio, da dove lasciamo la strada costiera per seguire quella che si inoltra nella Valle Cannobina. La risaliamo per un breve tratto, fino al bivio nel quale troviamo le indicazioni per l’Orrido di S. Anna, che raggiungiamo per mezzo di una breve ma strettissima strada, lungo la quale, per fortuna, non incontriamo altri mezzi.
Lasciamo il camper in un piccolo parcheggio e andiamo a vedere l’orrido: una profonda gola scavata da un torrente che arriva a sbucare nei pressi di una chiesetta (presumibilmente intitolata a S. Anna) e scavalcata da un vertiginoso ponticello in pietra. Scendiamo alla base della gola, dove il torrente si allarga formando anche una sorta di spiaggia di ciottoli e dove si trovano alcuni sub che, a turno, scendono ad immergersi fra le rocce. Nel silenzio, interrotto solo dallo sciacquio dell’acqua che scorre, scattiamo alcune foto, mentre Federico scorrazza saltando da un sasso all’altro, poi torniamo sui nostri passi e affrontiamo la salita che ci riporta al camper.
Il posto ha davvero meritato una visita e con soddisfazione lo lasciamo, affrontando di nuovo quel poco piacevole tratto di strada (poco più che una mulattiera asfaltata), senza incontrare altri mezzi.
Torniamo così a percorrere anche la sponda occidentale del lago e, ad un certo punto, sulla nostra sinistra, in mezzo all’acqua, appaiono le rovine dei Castelli di Cannero, risalenti al XIII secolo e originariamente abitati dai fratelli Mazzardi, i cosiddetti “Mazzardini”, ladroni che per diversi anni tennero a ferro e fuoco tutto il litorale, fino a quando, nel 1414, circondati da ogni parte e stremati dalla mancanza di vettovagliamento, si arresero. I castelli divennero quindi proprietà della famiglia Borromeo, che, col tempo, progressivamente li abbandonò a se stessi, dando così inizio alla loro inevitabile rovina.
Ci lasciamo alle spalle anche i Castelli di Cannero e proseguiamo. Oltrepassiamo la città di Verbania (fresco capoluogo di provincia) e arriviamo a Pallanza, dove ci fermiamo in riva al lago, nel parcheggio della celeberrima Villa Taranto, che visiteremo nel pomeriggio.
Intanto che Sabrina prepara il pranzo accompagno Federico a vedere le barche in un piccolo e vicino porticciolo turistico: al nostro ritorno un bel piatto di pasta fumante ci aspetta.
Rifocillati a puntino, senza fretta, riordiniamo il camper poi, a piedi, raggiungiamo l’entrata del grandioso complesso dei giardini di Villa Taranto, che occupano tutto il fianco nord orientale di un promontorio proteso sul lago. Lo stabile della villa (oggi sede della Prefettura e non visitabile) è situato nella parte alta del parco, lontano dai bianchi cancelli d’ingresso. E’ in stile franco normanno e fu edificato relativamente di recente, verso la fine del XIX secolo da un certo conte Orsetti e, nel 1900, acquistato dal conte di S. Elia, ciambellano di corte dei Savoia, il quale, a sua volta, nel 1931, lo vendette al capitano Antonio Neil McEacharn, arciere della regina d’Inghilterra. E’ grazie al lavoro assiduo e metodico di questo gentiluomo scozzese, amante della natura e delle cose belle, se noi oggi possiamo visitare i più bei giardini botanici d’Europa. Peccato solo che non possiamo farlo nel periodo di loro massimo splendore, quando, in primavera, sono un’infinita esplosione di colori. In agosto molte piante sono già sfiorite, ma i prati sono verdissimi e ben curati, gli alberi maestosi e i fiori rimasti spiccano in bella mostra nella perfetta geometria delle aiuole.
Visitiamo il parco seguendo il percorso segnato su di una mappa, che Federico pretende di seguire fin troppo scrupolosamente, tanto che ci riprende ogni qual volta gli sembra di capire che non lo rispettiamo. Fra le numerose meraviglie botaniche notiamo, in una serra, le grandissime ninfee Victoria Regia, che recentemente avevamo visto anche a Mauritius, nei giardini di Pamplemousses, ma in quel caso erano all’aria aperta! La visita è stata piacevole e immersi nella natura abbiamo percorso diversi chilometri che non ci sono pesati. Alla fine però ci concediamo un gelato, che gustiamo all’ombra di un grande albero con la vista che spazia sul lago di fronte a noi, poi, soddisfatti, torniamo al camper.
Riprendiamo a percorrere l’itinerario e, secondo previsioni, lasciamo, seppur momentaneamente il Lago Maggiore per raggiungere il vicino Lago d’Orta, uno specchio d’acqua molto più piccolo (solo 13 chilometri di lunghezza per 2 di larghezza), che possiede una particolarità: è l’unico lago alpino italiano le cui acque scorrano da sud verso nord, per poi, all’uscita, ripiegare ad est e gettarsi nel Lago Maggiore.
La nostra meta è il paesino di Orta S. Giulio, posto a metà della sponda orientale, alla cui periferia notiamo la bella Villa Crespi, trasformata in un lussuoso hotel e quindi non visitabile. E’ domenica pomeriggio ed il centro cittadino è inavvicinabile, invaso com’è di turisti più che altro locali, così saliamo al Sacro Monte: una collina che si erge alle spalle dell’abitato, dove, fra l’altro dovrebbe trovarsi anche un’area di sosta per camper. La troviamo e parcheggiamo il mezzo senza particolari difficoltà, ma è ancora presto per “gettare definitivamente l’ancora” e così visitiamo anche il Sacro Monte, nel quale si trovano, immerse in un bosco di alberi secolari, venti cappelle dedicate all’illustrazione della vita di S. Francesco d’Assisi, nonché l’annesso convento dei Cappuccini. Il tutto non si può certo definire privo d’interesse, ma è soprattutto il panorama sul lago e sull’antistante isola di S. Giulio a deliziare gli occhi e a rendere l’esperienza particolarmente piacevole.
La giornata volge ormai al termine quando torniamo al camper per consumare una meritata doccia ed una tranquilla cena, dopo la quale espletiamo tutte le operazioni di carico e scarico acqua, che ci dovrebbero consentire di arrivare alla fine del viaggio senza problemi. Aspettiamo quindi nel camper, giocando a carte, l’ora per coricarci e non chiacchieriamo certo con i nostri vicini … francesi o tedeschi che siano! Lunedì 13 Agosto 2001: La notte, nel silenzio del Sacro Monte, è passata in un attimo e sono quasi le 9:00 quando ci alziamo, mentre fuori splende sempre il sole (terzo giorno consecutivo: cosa rara da queste parti!).
Facciamo colazione e poi scendiamo, col camper, ad Orta: ieri (domenica) il par-cheggio era inavvicinabile, oggi (lunedì) troviamo posto. Ci avventuriamo a piedi nel cuore del borgo, caratterizzato da stretti vicoli fiancheggiati da caratteristici edifici, che, però, nella maggior parte dei casi, avrebbero bisogno di un copioso restauro. Molto bella è, invece, la centrale piazza Motta, che ci accoglie con il lungolago protetto da grandi alberi in fila come sentinelle: verdeggiante quinta allo splendido affaccio sul lago e sulla prospiciente isola di S. Giulio. Ma l’attenzione viene attratta anche dal bel Palazzo della Comunità della Riviera, caratterizzato dall’intero piano terra porticato.
Dal molo antistante la piazza ci imbarchiamo per raggiungere l’isola di S. Giulio, sulla quale arriviamo dopo pochi minuti di navigazione. Una volta sbarcati prendiamo a seguire l’unica via esistente, tipicamente pavimentata a lastre di granito e ciottoli, sulla quale prospettano interessanti edifici (bisognosi di restauri come quelli di Orta), e in breve ci ritroviamo, quasi senza rendercene conto, al punto di partenza, avendo completato il periplo dell’isola. Non ci resta che visitare la basilica, che aprirà i battenti alle 11:00. Non manca molto e ci mettiamo in attesa seduti su di una panchina in riva al lago, poi, all’orario previsto, varchiamo la soglia dell’edificio religioso, risalente al XII secolo. Non è di grandi proporzioni, ma al suo interno spiccano interessanti affreschi e, nelle cripta sotto all’altare, si trova il corpo di S. Giulio: il religioso a cui si deve la diffusione del cristianesimo nella zona.
Terminata la visita saliamo sulla prima imbarcazione disponibile e torniamo ad Orta. Vaghiamo un po’ per il paese, percorriamo la cosiddetta salita della Motta, fiancheggiata da antichi palazzi, e curiosiamo un po’ fra i negozi, poi, quasi a mezzogiorno, facciamo ritorno al camper, ma non ci fermiamo. Ci mettiamo subito in strada e raggiungiamo, sull’altra sponda del lago, il Santuario della Madonna del Sasso, che si trova in alto, su di uno sperone roccioso, a dominare lo specchio lacustre, e si raggiunge per mezzo di una strada che sale tutta a tornanti … lì, finalmente, ci fermiamo.
Dopo pranzo, con calma, andiamo a visitare il santuario, che non ha nulla di speciale, se si esclude il gradevole panorama dalla balconata che si affaccia sul lago (peccato solo per la foschia).
La visita la ricorderemo però, sempre, per un altro motivo: proprio all’interno della chiesa, per colpa di uno scalino reso liscio dall’usura, Sabrina cade sbucciandosi le ginocchia, proprio come una bimba, e viene un po’ da ridere ripensando all’accaduto ma è meglio non darlo ad intendere perché lei, naturalmente, è arrabbiata, così cerchiamo di minimizzare il tutto mentre, in sordina, ce ne torniamo al camper per riprendere il viaggio.
Percorriamo a ritroso tutta la strada fino ad Orta, poi ne imbocchiamo un’altra che, scavalcando le colline, dovrebbe arrivare, di nuovo, al Lago Maggiore, ma quasi subito incontriamo un poco rassicurante cartello riguardo l’altezza di un sottopasso: troppo rischioso proseguire, facciamo dietro front e ci mettiamo alla ricerca di un percorso alternativo. Perdiamo un po’ di tempo ma alla fine lo troviamo e ci avventuriamo fra i dolci declivi che dividono i due laghi, poi, in prossimità di quello … Maggiore, imbocchiamo la strada che porta sul Mottarone, una vetta dalla quale si può ammirare un grandioso panorama, ma, ormai a metà della salita, notiamo la quantità davvero impressionante di foschia … inutile proseguire: invertiamo la rotta e scendiamo a Stresa, una celebre e storica località di villeggiatura adagiata sulle rive del lago.
Troviamo posto in un’area di sosta per camper ubicata proprio di fronte alle Isole Borromee, che visiteremo domani, e a tal proposito andiamo a prendere informazioni su prezzi e orari d’imbarco, poi facciamo una breve passeggiata lungo il lago.
La giornata, che volge così al termine nella massima tranquillità, si movimenta dopo cena. Mentre ero all’aria aperta, all’improvviso Sabrina ode uno strano rumore: sembra acqua che scorre … mi chiama e mi precipito, ascolto per un attimo e capisco il problema, cerco l’interruttore generale e, quando lo trovo, tolgo la corrente … lo strano rumore si placca … non si placca invece l’acqua, che comincia a filtrare dalla base del mobile sotto al lavello e invade il pavimento. Alla meno peggio cerchiamo di arginare il flusso, che pian piano si arresta. Smonto la parte anteriore del mobile e, per fortuna, individuo subito il guasto: un manicotto! Uno stupido manicotto che si è letteralmente svitato! Beato Federico che sembra divertirsi, mentre noi, armati di pochi stracci e di tanta pazienza, riusciamo a sistemare il tutto … ma che sudata! E’ ormai, inevitabilmente, tardi quando usciamo per una passeggiata, rinfrancati dalla splendida vista sull’Isola Bella che, illuminata, spicca in mezzo al lago a poche centinaia di metri da noi, così come illuminati sono pure alcuni lussuosi hotel che incontriamo strada facendo.
Concludiamo la travagliata serata in un parco giochi per bimbi, nel quale Federico si scatena a tal punto che … finisce per farsi male … nulla di grave, ma tanto basta ad innescare la più classica, inutile ed antipatica delle “tragedie” a coronamento della giornata … e mesti, mesti ce ne torniamo al camper.
Martedì 14 Agosto 2001: La giornata sarà completamente dedicata alla visita delle Isole Borromee, proprietà dell’omonima famiglia fin dal XII secolo. Si trovano di fronte a quel tratto di lago che si estende proprio di fronte al nostro parcheggio, così, dopo colazione, a piedi, raggiungiamo il punto d’imbarco e subito veniamo adescati da una delle tante compagnie che offrono il servizio di navigazione fra le tre isole (nel nostro caso sarà la “Vs”).
In men che non si dica ci ritroviamo, con il biglietto in mano, su di una piccola imbarcazione, che in pochi minuti, ci porta a sbarcare sull’Isola Madre, la più grande dell’arcipelago.
L’inizio dei lavori di trasformazione dell’isola in luogo di residenza si può far risalire al 1501, e lo si deve al conte Lancellotto Borromeo, che però non riuscì a portare a termine l’opera. Bisognerà attendere la fine del secolo ed un altro Borromeo (Renato) per poter vedere l’attuale complesso prendere corpo in tutta la sua interezza. Sono belli e ben curati i giardini, con pavoni e fagiani liberi di scorrazzare ovunque, per niente intimoriti dalla presenza dei turisti, ed interessante è anche il palazzo, dalla severa architettura tipica dello stile manierista, sia all’esterno che all’interno, dove, fra l’altro, si trova uno spazio dedicato al teatro dei burattini, con una ricca collezione di scenari e marionette.
In tutto il parco, visto il caldo di questi giorni, stanno annaffiando abbondantemente ed è un motivo di grande divertimento per Federico che passa, correndo, in prossimità degli irrigatori cercando di evitare gli schizzi.
Arriviamo così, dopo quasi due ore, al termine della visita e saliamo su di una barca che, in breve, ci trasporta sull’Isola dei Pescatori, l’unica delle tre sulla quale si trovi solo un villaggio e non una residenza dei Borromeo. Sembra proprio fare al caso nostro: è quasi mezzogiorno e ci mettiamo alla ricerca di un luogo nel quale soddisfare i languori che stanno inevitabilmente crescendo.
Percorriamo, in pratica, tutte le viuzze del paese e ci andiamo a fermare in un ristorantino in riva al lago: carino, anche se, forse, troppo vicino al molo d’attracco dei traghetti di linea. Consumiamo un buon pranzo, mentre il piccolo si diverte a tirare molliche di pane nell’acqua e raduna un piccolo zoo formato da pesci, gabbiani, anatre e passeri, che tutti insieme fanno un gran baccano.
Alle 14:00 ci mettiamo di nuovo in moto e saliamo sulla barca che, questa volta, ci accompagna all’Isola Bella … ed il nome dovrebbe essere una garanzia! I lavori per la sua costruzione vennero iniziati da Carlo III Borromeo nel 1632 e successivamente interrotti per lo scoppio di una grave epidemia. Fu il figlio, Vitaliano IV, che fece riprendere la costruzione del palazzo fino a portarlo quasi a compimento negli ultimi decenni del seicento. Molti lavori, tuttavia, furono completati solo nei decenni e anche nei secoli successivi.
Nonostante la realizzazione dell’opera si sia protratta nel tempo il complesso dell’Isola Bella si presenta in modo fortemente unitario nel suo insieme, ispirato da un’unica visione: quella di conferire all’isola l’aspetto di un vascello fermo sulle acque del lago.
Visitiamo il palazzo, che si trova sulla punta nord-occidentale ed è caratterizzato da sontuosi ambienti, fra i quali spicca il grande salone delle feste, che si sviluppa in altezza per due piani. Molto interessanti sono anche le grotte artificiali (alle quali si accede attraverso una scala elicoidale), decorate in modo da rievocare ambienti marini. Ma ciò che più rimane impresso della visita sono i magnifici e curatissimi giardini all’italiana, che occupano tutta la parte sommitale e sud-orientale dell’isola.
Con gli occhi ancora pieni di meraviglia abbandoniamo infine l’isola e torniamo sulla terra ferma.
Siamo appena a metà del pomeriggio e decidiamo di trascorrere in completo relax il resto della giornata: ci mettiamo in costume, prendiamo stuoia e giochi da spiaggia e ce ne andiamo in riva al lago. C’è anche la sabbia e così Federico scava una bella buca, proprio come al mare, solo il panorama è diverso, contornati come siamo dalle montagne e con l’Isola Bella di fronte a noi. Io e Federico facciamo anche un bagno: l’acqua è freschina ma sopportabilissima, e pensare che se qualcuno me lo avesse detto prima di partire lo avrei preso per matto! Restiamo così a goderci i caldi raggi del sole, fin quando questi, inevitabilmente, non scende sotto alla sinuosa linea che delimita la sagoma dei rilievi circostanti, poi torniamo al camper per una veloce doccia e per la cena.
Più tardi ci rechiamo sul lungolago: l’attesa è snervante ma, poco dopo le 23:00, a Pallanza, sull’altra sponda del lago, scoppiano, finalmente, i fuochi d’artificio a celebrare degnamente l’esito di una bella giornata.
Mercoledì 15 Agosto 2001: Se il buon giorno si vede dal mattino, quella che andiamo ad iniziare, non sarà una giornata entusiasmante: nonostante siano quasi le 9:00 il piccolo non ne vuole sapere di alzarsi da letto e dobbiamo arrabbiarci un po’ per convincerlo, così partiamo in leggero ritardo.
Oltrepassiamo Stresa e arriviamo a Villa Pallavicino, un edificio in stile neoclassico edificato nell’ottocento e circondato da giardini all’inglese, nei quali è stato ricavato anche un piccolo parco zoologico. Ma nel parcheggio antistante non vogliono i camper per colpa, secondo quanto ci viene riferito, di qualche imbecille che, un paio d’anni fa, ha deciso di scaricare le acque nere proprio nell’area. Per diversi chilometri lungo la strada non ci sono altre possibilità di parcheggio e, sembra incredibile, ma dobbiamo rinunciare alla visita! Per fortuna Federico non ne fa una tragedia e, comunque piuttosto contrariati, proseguiamo nell’itinerario, che così volge drasticamente al termine.
Arriviamo ad Arona, ormai all’estremità settentrionale del lago, ed imbocchiamo una strada che sale poco sopra al paese, dove si trova il cosiddetto Colosso di S. Carlo: una delle più grandi statue del mondo, realizzata in rame e bronzo e appoggiata su di un enorme basamento in granito. Fu eretta nella seconda metà del XVII secolo in onore di S. Carlo Borromeo, illustre cittadino di Arona, e da allora veglia, con tutta la sua imponenza, sulle acque del Lago Maggiore.
Si può salire sulla statua, ma non è concesso farlo ai bambini con meno di otto anni e Sabrina ha paura, così, per gentile concessione di un sorvegliante, accompagno il piccolo fin quasi a metà della scalata, appagando in parte la sua curiosità, poi, da solo, affronto il tratto finale, in effetti piuttosto impegnativo, e mi ritrovo dentro alla testa … la sensazione è davvero strana: guardo il panorama attraverso i fori degli occhi e delle narici, poi, soddisfatto, affronto la discesa e torno ad appoggiare i piedi per terra.
A questo punto il nostro itinerario sarebbe terminato, ma, non volendo partire prima di mezzogiorno, saliamo sulle colline sopra ad Arona, in località Mercurago, dove si trova un’area attrezzata per camper: sarebbe a pagamento, ma diciamo di aver bisogno di un’ora di sosta e ci fanno parcheggiare. Non c’è molto da fare, ma c’è qualche gioco per bimbi ed un bel prato, così pranziamo all’aria aperta, ravvivando un po’ l’atmosfera, poi riordiniamo tutto e alle 13:45 siamo pronti ad affrontare il viaggio di ritorno.
In breve raggiungiamo il fondo lago e qualche minuto più tardi siamo in autostrada. Ci fermiamo per un caffè ed un rabbocco di carburante, poi ci lanciamo sul nastro d’asfalto semideserto, vista la giornata iper-festiva di mezza estate (è Ferragosto!). Già prima di Milano Sabrina e Federico dormono beati sul letto in fondo al camper, così resto solo, in compagnia della radio. Fila via tutto liscio e i due dormiglioni riemergono dal mondo dei sogni nei pressi di Bologna.
Alle 17:00 in punto siamo all’uscita di Forlì. Ci fermiamo per scaricare i serbatoi e alle 17:21 siamo di fronte a casa. Abbiamo vissuto una bella vacanza, anche se breve (poco più che una gita), che è stata soprattutto rilassante e ideale per un periodo nel quale le maggiori località di mare sono inavvicinabili, ma non disperiamo perché presto, forse, avremo occasione di affrontare un viaggio ben più sostanzioso, senza nulla togliere alle bellezze del Lago Maggiore.
Dal 10 al 15 Agosto 2001