Isole Laccadive, paradiso selvaggio

Immerse in un mare verde smeraldo, le Isole Laccadive sono il luogo più esotico e incontaminato del mondo
Scritto da: Luna Lecci
isole laccadive, paradiso selvaggio
Partenza il: 02/09/2017
Ritorno il: 11/09/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: Fino a €250 €

Laccadive – Bangaram (Lakshadweep, Agatti, Bangaram, Thinnakara e Cochin o Kochi)

  • Data di partenza: 02/09/2017
  • Data di rientro: 11/09/2017
  • Range di spesa sostenuto: € 2.600 a persona
  • Numero di viaggiatori: 2

Le isole Laccadive? Il luogo più esotico e incontaminato del mondo! Immerse in un mare verde smeraldo, soprattutto Bangaram è un angolo di Paradiso selvaggio nel quale la tecnologia non è volutamente arrivata nell’unico spartano resort dove l’accoglienza è garantita dal personale locale attento a ogni particolare con i pochissimi ospiti come se ci si trovasse in un hotel e ristorante pluristellato.

Pacchetto onnicomprensivo acquistato on line dal tour operator Islands Guru

  • Da pagare a parte $ 50 per il visto
  • Un’idea del costo dei Voli A/R: € 900, Etihad Airways: Roma – Kochi via Abu Dhabi / € 150, Air India: Kochi – Agatti
  • Un’idea del costo degli Hotel
    • 2 notti a Kochi presso l’Atlas Airport Hotel € 60
    • 7 notti al Bangaram Island Resort (v. su Booking, non conviene contattare direttamente la struttura né economicamente, né per tutti i permessi richiesti; consiglio di prenotarlo tramite operatori specializzati)

Trasferimenti

  • Navetta hotel e pulmino privato da e per aeroporti e porto
  • Barca per tragitto Agatti – Bangaram – Agatti

Escursioni

  • A Kochi: Fort Cochin con Volvo bus di linea e tuc tuc con ragazzo locale
  • A Bangaram: Isole di Thinnakara, di Parali 1 e 2 con ragazzi del Resort

Premessa

Grande bisogno di relax, bagni in mare cristallino ricco di flora e fauna, spiaggia bianca, dorata, rosata, costeggiata da palme, distante dalla frenetica civiltà, lontano dalla tecnologia moderna, fuori dal mondo civile, una fuga dallo stress metropolitano, solo suoni naturali, cibi freschi, vestiario minimo, indispensabile, calore umano, solitudine… Avevo voglia di vivere una settimana in un luogo di pace, da sogno, in cui il tempo si ferma. L’isola di Bangaram, una delle più piccole delle Laccadive, sembra (e a posteriori confermo essere) il mio caso.

Pianificare un viaggio alle isole Laccadive

Sul web comincio a smanettare per organizzare il viaggio e mi rendo conto che è determinante scegliere un operatore più che competente per l’assistenza nell’avere i vari permessi e visitare quelle isole accessibili agli stranieri. Un modulo in particolare, l’application form da compilare e restituire firmato, autorizza, se non ci sono problemi, entro 72 ore, la desiderata entrata. Spetterà a me provvedere al visto (e-visa) che consiglio di richiedere on-line facendo queste premesse: leggere bene ciò che occorre prima di mettersi alla compilazione del lungo e in lingua inglese form e fare attenzione che si sia sui campi della e-visa. In particolare avere a portata di mano:

  • il passaporto (serviranno dati se si è già stati in India o in altri paesi),
  • aver la possibilità di allegare una fototessera in jpg e la prima pagina del passaporto in pdf (formati minimi e massimi stabiliti),
  • essere preparati a rispondere a “curiose” domande (religione, grado di istruzione, se adottati o meno, referenze a casa e in India, occupazione, in quale azienda e indirizzo, città in cui si andrà, se già visitato il continente, quando e prenotando con chi, cognome e nazionalità dei genitori…).

Contatto cinque agenzie on-line che ritengo specializzate nella destinazione: tre sono italiane, una indiana e una a metà strada. Ne scelgo una molto seria italiana e non solo non me ne pentirò, ma la sponsorizzo caldamente, soprattutto per la disponibilità quasi h24 (mail, whatsapp e telefonica) di Emanuele Rotolo (islandsguru.travel@gmail.com) pronto a fornire ogni risposta nel corso della programmazione, nell’aggiornamento dell’organizzazione e durante il viaggio.

Le altre due agenzie italiane mi rispondono che le isole sono chiuse, la vacanza non è fattibile e qualora lo fosse non avremmo il tempo per organizzarla; quella con base indiana (indiakarni.it) mi fa un ottimo prezzo, anche perché avevo viaggiato con Karni Singh in Rajastan, ma va da sé che tra richiesta e risposta in inglese (indiakarni@hotmail.com), passano sempre due-tre giorni, i tempi diventano troppo lunghi o stretti. L’ultima (vivindia.com) un pochino più costosa di Islands Guru, ma devo riconoscere che la signora Adelaide è sempre stata sul pezzo anche con spassionati consigli.

Informazioni sulle isole Laccadive

Le Lakshadweep (laksha=centomila e dweep=isola) costituiscono il più piccolo territorio indiano da cui distano dai 200 ai 490 km al largo della costa del Kerala, nel Mar Arabico, una parte dell’Oceano Indiano. Sono formate da 36 isole, 12 atolli corallini e tre reefs, hanno un clima tropicale con una temperatura annua che oscilla tra i 25 e i 32°C e tasso di umidità dal 70 al 75%. Gli abitanti sono circa 64.000, su una superficie totale di 32 km2, il 93% è di pacifica religione musulmana, si parla il Malayalama in tutte le isole e il Mahl a Minicoy (più a sud e vicina alle Maldive).

  • 10 sono abitate: Kavaratti (la principale, dove è stata istituita l’omonima capitale nel 1956), Kalpeni, Kadmat, Minicoy, Agatti, Andrott, Amini, Kiltan, Chetlat e Bitra.
  • 11, tra le quali Suheli e Pitti (il santuario degli uccelli), completamente disabitate;
  • 7 aperte al turismo con alloggi in cottage direttamente sulla spiaggia e servizio di pensione completa: Karavatti, Kalpeni, Kadmat, Bangaram, Thinnakara (FB in tende con reti, materassi, bagno, luce e ventilatore), Minicoy e Agatti (quest’ultima non agli stranieri).

Per raggiungere l’arcipelago sarà per noi comodo il volo di un’ora circa operato con un ATR da 40 posti, tra Kochi e Agatti (gli altri collegamenti aerei sono da Bengalore e Chennai) e la barca (o elicottero nella stagione dei monsoni), per l’isola scelta.

Volendo si sarebbero potute raggiungere con una crociera che parte da Kochi e da Mangalore, ma non in periodi di bassa stagione. Scegliamo su ottimo consiglio di Emanuele e senza alcun dubbio, Bangaram dove l’unico resort con 30 camere può ospitare al massimo 60 persone, per il resto l’isola è abitata solo dallo staff che ci lavora (camerieri, cuoco, addetti all’accoglienza, alle pulizie, al giardinaggio, al primo soccorso, al posto di polizia, agli esperti di sport acquatici e al diving).

E ora, per chi volesse andarci, per chi già c’è stato, per chi comodamente da casa avesse il desiderio di vivere e condividere la mia esperienza, per chi ha la fortuna di trovarsi lì e magari lo ha stampato… buona lettura del mio diario, minuto per minuto, con tante notizie utili, interessanti, curiose o nulla di tutto ciò.

1° Giorno:  ITALIA-INDIA CON SCALO AD ABU DHABI

Partiamo da Fiumicino con il volo Etihad Airways delle 22,00 (posti 23D) che in scarse 6 ore ci porterà ad Abu Dhabi. I sedili non sono scomodissimi, un monitor ciascuno su cui vedremo Smetto quando voglio Masterclass e un pasto completo (insalatina di legumi, tortelloni con sugo oppure pollo, purea e carote, cheescake ai frutti di bosco e bibite a volontà).

Atterriamo alle 4 di notte ora italiana, 6 del mattino ora locale, assistiamo a un’alba stupenda e in aeroporto trascorriamo le interminabili 8 ore di scalo. E’ carino nella sua forma circolare, ma non così pieno di negozi. In alcune poltrone cercheremo invano di riposare.

2° Giorno: KOCHI O COCHIN

Dopo lunghissimi e accurati controlli (cosa avremmo mai potuto prender in volo; oltre al documento e alla carta d’imbarco ci richiedono il visto), ripartiamo da Abu Dhabi sempre con Etihad alle 14,00 (posti 20B) con un aeroplano più piccolino e semivuoto (gli unici stranieri siamo noi!). Durante le 4 ore di volo servono un pasto (insalata di legumi, pollo al pesto, riso, purea di carote, pane, burro e dolcetto). Sono particolarmente affamata, chiedo se è possibile avere qualche altra cosa e mi portano un menu vegetariano (insalata di legumi, riso al curry e tofu con salsa di verdure). Entrambi i piatti sono saporiti, ma per fortuna con le bevande passano spesso. Atterriamo alle 19,35 ora locale a Kochi, qui il fuso orario è di più 3 ore e mezza rispetto all’Italia, dove l’orologio segna le 16. Ritiriamo le valige e sotto un cielo coperto, con una temperatura di 29 °C, aspettiamo (ma dovremo telefonare) il trasferimento, di soli 10 minuti, all’Atlas Airport Hotel (un transfert al giorno è gratuito, oltre costerà Indian Rupies 300= € 4 a tratta). Veloce check-in, un bicchiere di succo di mango quale welcome drink e presa di possesso della stanza n. 224.

L’hotel è in realtà un complesso di appartamenti, noi alloggiamo in quello superior per non fumatori, di 52 m² con un ingressino dove vi è un divano davanti la TV a schermo piatto, un angolo cottura solo con lavabo, frigo, bollitore per tè/caffè e un tavolino sul quale faranno trovare un litro d’acqua di cortesia. Nella stanza vi sono un comodo letto matrimoniale, un armadio e aria condizionata; il bagno ha la doccia e prodotti di cortesia (shampoo, balsamo e saponetta). Un balconcino dà su un parcheggio e wi-fi gratuito. Non è male per quanto ci dobbiamo stare e per il prezzo (€ 30 al giorno in B&B), ma certo non brilla di pulizia, anzi, gli interruttori e le maniglie delle finestre sono appiccicaticci, polvere un po’ ovunque e gli asciugamani alquanto grigi. Ci sono un paio di piscine, una per adulti e l’altra per bimbi, una palestra con qualche attrezzo e un biliardo. Un’area dove poter farsi fare un massaggio… ma noi non utilizzeremo nulla di tutto ciò. Dopo una doccia crolliamo.

3° Giorno: Fort Kochi

La colazione non è nulla di che, con qualche pietanza cotta indiana, io opto per una dosha, un incrocio tra una piadina e un pancake con marmellata, un toast e della frutta, da bere tea e caffè entrambi già pronti con l’aggiunta di latte (oltre alla vista anche il sapore sembra molto simile).

Ci troviamo molto distanti da Fort Kochi e dintorni che vorremmo visitare e abbiamo il problema del cambio. Ci rechiamo in aeroporto con una passeggiatina di un paio di km, dove si trovano gli unici ATM della zona. Purtroppo scopriamo che è impossibile, con le nostre Mastercard e Pago bancomat Maestro prelevare. La soluzione è cambiare euro cash all’unico ufficio presente in aeroporto. Il cambio sarà un furto dal momento in cui 1€ ce lo faranno valere 62 Indian Rupies e non 75 INR come quello ufficiale, ma non abbiamo alternative. Dall’aeroporto prendiamo un Volvo bus (Rs 82pp) per Kochi Bay, distante 45km, impiegandoci un’ora e mezza. Il viaggio è piuttosto piacevole, tra strade principali piene di grandi Mall e semplici chioschetti sul ciglio della strada.

Giunti a destinazione siamo avvicinati da alcuni ragazzi che ci propongono il giro delle attrazioni principali della cittadina, con tanto di spiegazione in inglese, su tuc tuc, un’apetta a motore. Il tour guidato di un paio d’ore stile Hop-on Hop-off costa la modica cifra di totali 100 Rupie (€ 1,60)! Pioviccica e decidiamo di accettare la gentilissima offerta previo giretto a piedi lungo la baia in cui sta avvenendo la Chinesevala: l’antico (dal 1350) metodo di pesca cinese con reti issate con un lungo bilancione di legno; che bello, vediamo pescare pesci di medie dimensioni (tra cui un impressionante pesce gatto!). Con il mite trentenne Sajeer (cell +9847121617) che parla un buon inglese iniziamo il giro, ma prima gli chiediamo di fermarci a un bancomat. Anche qui la conferma di un doppio problema: le nostre carte sono incompatibili con gli ATM e, in molti di questi, non ci sono contanti o sono fuori servizio, perché siamo in un periodo di 4 giorni di festa (Onam Festival), gli indiani prelevano e le casse non vengono riempite. Pazienza, qui la vita è così a buon mercato che ci faremo bastare le rupie cambiate!

Prima tappa la Dhoby khana una lavanderia con materiale acquistato dai tedeschi nel 1720 affinché gli indiani lavassero le loro uniformi. Ancora oggi è funzionante e assistiamo a uno spettacolare spaccato di vita. In tante piccole nicchie, magrissimi locali sbattono energicamente i panni in precedenza insaponati con sapone a pezzi, li sciacquano in una vasca e li strizzano bene prima di appenderli, incastrandone gli angoli su lunghissime corde di cocco, senza utilizzare mollette. Tantissime lenzuola, federe, asciugamani, prevalentemente provenienti dagli hotel, sventolano in un’ampia verde area. In un grande stanzone coperto, invece, donne e uomini “più robusti” stirano utilizzando pesantissimi (anche kg 5) ferri da stiro riscaldati con pezzetti di carbone di cocco o elettrici ma di ferro. Una bella visione e una gentilezza inverosimile dei lavoratori nel posare con me per una foto o nel volermi far provare a stirare!

Seconda tappa di una decina di minuti all’Indu portuguese museum (Rp 25), ci dicono ci sono 5 sezioni (altare, tesori, processione, vita civile e cattedrale), ma decidiamo di non entrare. Una foto da oltre il cancello (l’apertura è su formale richiesta) ad alcune vecchissime tombe del cimitero tedesco risalente al 1720 in cui furono sepolte centinaia di conquistatori tedeschi e inglesi, giunti in India per espandere i loro imperi. L’ultima sepoltura risale al 1913. Una veloce visita, si entra scalzi, alla Chiesa francese, originariamente costruita nel 1503, la più vecchia chiesa europea in India che conservò il corpo di Vasco de Gama, deceduto a Kochi nel 1524, fino a quando non si decise di spostare i suoi resti a Lisbona. Entriamo per una preghierina nella bellissima Santa Cruz Cathedral Basilica, costruita originariamente dai portoghesi nel 1558, distrutta dai tedeschi, rifatta erigere dagli inglesi, consacrata nel 1905 e proclamata Basilica da Papa Giovanni Paolo II nel 1984. È poi la volta del mercato delle spezie, un ampio spiazzo costruito dai portoghesi e utilizzato per mettere a seccare le differenti piante di curry, ma oggi è domenica ed è aperto solo qualche negozietto dove ci invitano ad assaggiare ginger zuccherato. Puntatina al Dutch Palace, costruito dai portoghesi in stile orientale per il Rajan di Kochi a cui fu consegnato nel 1555. I tedeschi lo rinnovarono e ampliarono nel 1663, quando prese l’attuale nome di Palazzo Tedesco. Ora è un museo (5 Rp), all’interno del quale alcuni murales, ritratti dei Rajas di Cochin e due tempietti dedicati a Siva e a Krishna. Entriamo poi gratuitamente al piccolo Antique Museum, dove tanti sono i reperti provenienti da chiese, case… in cui ci divertiamo a immortalare le prime macchine fotografiche, da scrivere, da cucire, strumenti musicali, giochi per bambini…

Ultima tappa la Sinagoga (5 Rp) che si colloca alla fine di una viuzza piena di negozietti turistici. Sajeer ci chiede un favore che accettiamo di fargli anche per contraccambiare la sua carineria nel porsi. Ci porterà in tre “lussuosi” negozi in cui vendono gioielli, manufatti in legno e indumenti; noi non avremo l’obbligo di acquistare e lui riceverà dal Governo un buono per un rifornimento di benzina. La merce esposta è bellissima e i preziosi (con certificato di originalità) in argento, in oro e pietre, sono molto convenienti. In questi negozi non solo accettano qualunque carta di credito, ma possiamo pagare un importo maggiore del prezzo dell’oggetto comprato e ci viene restituito il resto in moneta locale!

Dopo più di un paio d’ore è tempo di congedarci. Salutiamo il trentenne come merita e gli regaliamo del materiale di cancelleria per le sue due bimbe, che timidamente e con un sorriso accetta. Saliamo sul Volvo bus arancione (gli orari fissi sono scritti su una tabella) che ci riporterà in un’oretta e mezza all’aeroporto. Potremmo chiamare l’hotel e gratuitamente avere il trasferimento, così ci ha detto stamane la simpatica Jeena, ma optiamo per una passeggiatina fermandoci in un negozio di datteri e frutta secca a fare convenienti acquisti, soprattutto di anacardi (dai 13 ai 17 € al kg)! Alle 21 siamo di rientro in hotel, ci prepariamo del tea/Nescafé, facciamo le valigie, ci colleghiamo via wi-fi con il mondo e a ninna! Qualora fossimo rimasti una notte in più, avremmo organizzato una gita alle backwaters, lontane un’ottantina di km e alle quali sarebbe stato bello trascorrere una mezza giornata (€ 50 circa a testa), ma sarà per la prossima volta!

4° Giorno: KOCHI – AGATTI ISLAND – BANGARAM ISLAND

La colazione è prevista dalle 7,30 ma vista la partenza a quell’ora ci aprono il ristorante un po’ prima. Sono molto gentili, hanno i loro tempi, spesso dicono di sì a richieste che non comprendono ma che cercano di soddisfare (desideravo un tea senza zucchero e dopo un bel po’ è giunto un “cappuccino” dal sapore di tea dolciastro). Veloce check-out con il sorridente Unni, saldiamo senza problemi con la MasterCard la fattura di Rp 4.396 (€ 60) e, durante il trasferimento, a lui, che è con noi per una parte di tragitto e al driver, facciamo presente il nostro problema verificatosi ieri a ritirare al bancomat. Ci fermano davanti un altro ATM e ci assistono durante il tentativo di prelievo ma… effettivamente è proprio un problema – seppure inspiegabile – delle nostre tre carte di due differenti circuiti. Pazienza! E pazienza pure per il fatto che non riusciamo più a collegarci con il wi-fi nonostante ci registriamo all’aeroporto, per fortuna avevamo avvisato via whatsapp i parenti ieri sera che saremmo “scomparsi” dalla rete per una settimana. Al terminal nazionale il controllo delle valige, l’imbarco delle stesse (max 15 kg ma le nostre pesano abbondantemente meno) e dopo una perquisizione, uomini da una parte e donne dall’altra, il puntualissimo volo Air India delle 10,05. I posti a sedere sono 36, ma in tutto saremo una quindicina: noi, 4-5 donne e il resto uomini con turbante candido e lunga tunica bianca. Abbiamo i posti 4D, ma una gentile hostess ci invita ad accomodarci ai nn. 2, quelli di sicurezza in cui staremo più larghi. Pochi minuti dopo il decollo uno spuntino: tramezzino alla verza piccante, micro bottiglietta d’acqua e succo al mango. Un’ora e mezza scarsa e atterriamo alle 11,25 su una lingua di asfalto in mezzo a un mare verde smeraldo.

Siamo sull’isola di Agatti, la principale delle 10 isole abitate dove vivono 7000 locali. Una gentilissima signora, Uzyya, ci accoglie sorridente, mentre un cerimonioso uomo ci sgrava del trasporto delle valigie. Con i nostri passaporti e documenti sbrigano le pratiche di ingresso alle isole Laccadive. Con un pulmino (furono gli Inglesi i primi a esplorare l’area e sarà per questo che la guida è a sinistra) ci conducono nel loro ufficio, una casa di legno senz’alcuna insegna, ci fanno accomodare e preparano un tea con latte e zucchero che bevo solo io (il mio boy fa finta e me lo cede). Un paio di chiacchiere con Uzyya che ci dice essere i soli turisti occidentali in zona, il tempo di un autoscatto e riceve una telefonata: è pronta la barca veloce! Ci rimettiamo sul pulmino e in pochissimi minuti, tra vicoli pieni di macerie, capre, negozi polverosi, bimbi che ci salutano e clacson suonati da ogni mezzo, raggiungiamo il molo. Il tempo oggi è buono e impiegheremo una cinquantina di minuti per approdare a Bangaram. Siamo in sei, su un barcone di media grandezza che è un incrocio tra un peschereccio e una zattera. Il capitano è un ragazzetto scalzo che ogni tanto ci sorride, un paio di aiutanti e un dipendente del resort.

Alle 13,15 mettiamo piede sulla candida battigia davanti a una schiera di persone (di sesso maschile) che ci dà il benvenuto. Tutti indossano una t-shirt o una camicia e, al posto dei pantaloncini, una sorta di pareo sopra il ginocchio o fino alla caviglia. Il General Manager, distinto Yoosuf ci stringe la mano, si presenta e accompagna alla reception dove il supervisore Shahjahan ci offre, quale welcome drink, un succo di mela. Compiliamo un semplice modello per la registrazione e curiosiamo tra chi è stato qui prima di noi. Ci consegna una piantina dell’isola, dà alcune spiegazioni su ciò che c’è da fare, il costo dei servizi e gli orari dei cinque momenti della giornata dedicati al cibo (morning tea 6,30-8, colazione 8-9, pranzo 13-14, evening tea 16,30-17,30 e cena 19,30-21).

Tra una chiacchiera e l’altra ci rivela il significato originale delle Lakshadweep: isole della speranza per gli Arabi, Africani, Asiatici che avevano questa rotta commerciale; aggiunge che il primo occidentale a sbarcare sulle isole fu Vasco de Gama e che il territorio è amministrato da un governatore designato dal governo centrale dell’India. Grazie al loro isolamento (le piccole dimensioni non permettono molte attività) e allo splendido paesaggio, stanno divenendo una rinomata, esclusiva meta per gli Indiani benestanti e il Governo, tramite la società Sports, sta facendo il possibile per incoraggiare il turismo, poiché, almeno quella in cui ci troviamo, fino a ottobre 2016, era stata chiusa per cinque lunghi anni (precedentemente amministrata da una società privata che gestisce ancora molti hotel, la CGH Casinò Group Hotel). È ora di pranzo e consumiamo il primo, che sarà molto speciale e unico nel suo genere dal momento in cui oggi è la festa Onam ed è servito al tavolo con menu e apparecchiamento particolari. Una larga foglia di banana è il nostro piatto sul quale una decina di camerieri, sfilando dal buffet e girando intorno al nostro tavolo, porgono differenti condimenti da mischiare alla montagnetta di riso bianco al centro della foglia. Tutte le salsine vengono spiegate, alcune sono comprensibili anche come gusto, di altre non riusciamo a identificarne neppure il sapore. Sono tante, speziate, agrodolci, piccanti… e solo vegetali. Trovo tutto squisito, gustoso, un tripudio di colori, profumi e sapori. Mi guardano curiosi perché non lascio nulla e consumo anche ciò che il mio boy non gradisce, vermicelly payasan compresi (in una ciotolina spaghettini spezzettati in latte di cocco, uvetta e anacardi)! Mi sento osservata, non sono infastidita, anzi, quasi imbarazzata sentendo il clic di qualche cellulare che m’immortala. Sono involontariamente al centro dell’attenzione, anche perché le ulteriori sette persone che siedono in altri tavoli sono tutte indiane e questo rito per la festività lo conoscono bene e magari sono sull’isola per festeggiare. Che fortuna essere proprio oggi qui a vivere questa irripetibile esperienza!

Arriva il momento di prendere possesso di quello che sarà il nostro alloggiamento sull’isola per ben 7 notti: il cottage 128, a pochi passi da tutto, fronte mare o perlomeno distante da noi qualche palma e un’amaca! Ci sembra di essere i protagonisti di una cartolina! Davanti all’entrata un paio di sedie di paglia e un mobiletto, la camera è ampia, due grandi letti singoli uniti, uno specchio e un mini tavolino, due comodini, un piccolo frigo e un bagno con lavabo, water e doccia. Il ventilatore è a pala, c’è un “raffreddatore d’aria”, quali compliments due bottiglie da un lt d’acqua al giorno, in bagno una saponetta alla citronella (ogni due giorni) e due bustine di shampoo (a settimana). Nulla più, sembra poco ma sarà più che sufficiente per la natura di chi sceglie questo tipo di soggiorno lontano da ciò che è superfluo. Nessun armadio, no acqua calda, né fredda, ma temperatura ambiente e che, essendo prelevata da una falda naturale sotterranea, ha un odoraccio di zolfo (che per fortuna non rimane addosso), no tv, no radio, no quotidiani, no aria condizionata, no inquinamento, no animazione, no wi-fi, il mio cell si “attacca” alla rete mobile Airtel e potrò, se vorrò, ricevere e fare telefonate/sms (l’altra compagnia è la BSNL). Il concetto, che farò mio, è meno è meglio è. Il nostro unico pensiero è mettere la crema e indossare il costume!

Siamo sazi e pieni, ma il turchese della tiepida acqua è così invitante che ci tuffiamo subito. Siamo e saremo fino alle 19 le uniche due persone a fare il bagno, a scattare foto, a percorrere la circonferenza, di km 2,50 dell’isola: ci si impiega poco più di un’ora, ma noi ci fermiamo ad ogni angolo e ci mettiamo il doppio. Una grande luna illumina il cielo e si rispecchia sulla piatta acqua, vuol dire che è ora di rientrare in stanza, giusto il tempo di una doccia e nuovamente fuori per la cena a buffet, menu prevalentemente indiano ma che accontenta anche chi è occidentale per la bontà delle pietanze: piadine e frittelle, riso bianco o con funghi e cardamomo, purea di ceci speziata, tocchetti di formaggio molle in salsa dolciastra, pezzetti di pesce in salsa masala (una mistura di spezie indiane calde e piccanti), trancetti di tonno fritti, verdure al latte di cocco, zuppa di qualcosa simile agli gnocchi. Un dolce al cocco, budino di vaniglia e goulab jan o gulah jamun ovvero palle di latte e farina integrale immerse in sciroppo zuccheroso (simili a babà rotondeggianti). Anche stasera ceno con gusto apprezzando e facendo il bis di ogni cosa. Passeggiatina lungomare, non resisto e rimetto i piedi nella calda acqua e, prima di ritirarmi in stanza, mi faccio cullare da un’amaca attaccata alle palme. Un gallo e alcune galline razzolano nei pressi, non so con quale orologio biologico lui canti a squarciagola, è buffissimo, lo sentiremo anche durante la notte, ma nessun fastidio che invece arriva dalle impertinenti zanzare sempre in agguato e pronte a pungere nonostante spray e repellenti a gogo. Prima di metterci a dormire spruzziamo ben bene la stanza di insetticida e azioniamo le pale del ventilatore, solo così ci salveremo dai mosquitos. Il mio boy crolla, io non so resistere dall’immortalare la mia omonima in cielo, anche lei piena, che tra foglie e cocchi illumina la prima notte a Bangaram. Dita incrociate sul clima di domani.

5° Giorno: ISOLA DI BANGARAM

Per colazione toast con marmellata, tre fette d’ananas (su mia richiesta di un po’ di frutta), corn-flakes, omelette da ordinare al momento, tea e latte (il resto è cibo cotto). C’è il sole e ne approfittiamo per farci un lungo bagno e scattare foto completamente soli in quest’angolo di Paradiso. Io mi metto a raccogliere conchiglie e a creare scritte sulla sabbia dove sono presenti, oltre alle mie, le impronte degli uccellini sandpiper e sandplover, il mio boy sperimenta la telecamera sott’acqua anche se nella parte di isola in cui ci troviamo (quella est che chiamano laguna) non ci sono tanti pesci, bisognerebbe spostarsi dal lato opposto, ma lo faremo nel pomeriggio, stamani vogliamo solo oziare, dentro e fuori l’acqua io e perennemente ammollo lui. Un paio d’ore e rientriamo in stanza per la doccia, anche se all’odore di acqua solfurea preferisco quello del mare, nemmeno tanto salato. Alle 13 siamo a tavola, sempre accolti tra mille inchini e sorrisi dallo staff. Almeno 6 camerieri ci assistono e mentre scoperchiamo i contenitori per vedere cosa è stato preparato, ci spiegano in inglese di cosa si tratta, come viene preparato e che nome ha in indiano. Prendo più volte il pollo al curry, il riso al tamarindo, insalate di verza, rape rosse con cipolla e per finire ananas sciroppato e tortino al cocco. Da bere, nonostante avessimo diritto alle bibite analcoliche, c’è solo acqua naturale, anche quella in bottiglia sarebbe da pagare facendo parte delle soft drinks. Nel pomeriggio al ragazzo della reception facciamo presente, mostrandolo, che il nostro contratto prevede, ed è ben scritto con tanto di postilla, le bevande ai pasti principali, ma non cambia idea, sul suo, di foglio, non è specificato. Di insistere non va e in questo posto fuori dal comune vogliamo rilassarci e a questo punto disintossicarci anche da troppi zuccheri gassosi (a posteriori abbiamo ricevuto un rimborso forfettario dal tour operator).

Andiamo alla scoperta dell’interno, tutto un palmeto, della rigogliosa isola! Immortaliamo il centro di primo soccorso, in sostanza una piccola costruzione bianca con bordini turchesi e due biciclette parcheggiate; passiamo davanti al posto di polizia, nient’altro che una casetta con tutte le porte spalancate, musica a palla, galline che scorrazzano intorno e palme alle quali sono state apposte strisce tricolori. Arriviamo dove si colloca l’unico lago di acqua dolce naturale delle Laccadive, grazie al quale ci sono stati, nei tempi, avvistamenti di almeno 150 tipi di uccelli. Lo scenario è strepitoso perché fa da specchio alla verdeggiante natura intorno, ma certo non invoglia né è consigliato minimamente, bagnarsi. Incontriamo pure una capretta, è piccolina, nera e bela beata. Le zanzare ci infastidiscono non poco, noncuranti dello spray alla citronella pizzicano ovunque, è ora di rientrare in stanza per rispalmarci la protezione, in quanto, anche se ci sono le nuvolette, il pericolo di bruciarsi è alto. Il bagno questa volta lo facciamo qualche centinaio di metri da dov’eravamo stamani, un punto in cui l’acqua è subito profonda e ci sono degli scogli sul fondale ricco di pesci colorati. Con la macchinetta subacquea immortaliamo diversi nemo, balestra neri e blu, chirurgo neri, idolo moresco a strisce gialli e neri, leoni, scorpioni, farfalla… e di quanti non ne conosciamo il nome della specie! Vorremmo andare nella parte ovest dell’isola per assistere al tramonto… ma rimandiamo anche stasera e alle 19, nolenti, perché il mare è bollente e il paesaggio incantevole, torniamo nel cottage per la doccia.

Alle 20 siamo nuovamente nella zona ristorante, solito schieramento di persone a illustrarci e scoperchiare le pietanze a buffet che consumeremo in “compagnia” di una bella donna di Stoccolma arrivata nel pomeriggio, sola, per rilassarsi una decina di giorni e fare diving. Che temeraria! I differenti gusti miei e del mio boy ci consentono di testare tutto. Lui fa consumo smodato di pappad (pane fritto esteticamente simile a una frappa), chappathi (piadina) che farcisce e arrotola, potato milliams (crocchette di patate) e pollo fritto. Io gusto peas pulau (riso con uvetta sultanina, piselli, cannella ed erbetta), paneer koftha (polpette di formaggio immerse in salsa di cocco) e non so quanto dal makhani (passato molto speziato e piccante di lenticchie nere e fagioli rossi amalgamati da burro fuso) che mischio al riso bianco creando un risotto squisito. Finiamo il pasto con due dolcetti, uno all’ananas e l’altro con banana e uvetta. Purtroppo della frutta nemmeno l’ombra ma semini all’anice per rinfrescarci la bocca e passeggiata lungomare illuminati dalla luna piena fino a che un acquazzone si abbatte sul villaggetto. Anche il secondo giorno è finito e con il rumore del diluvio ci addormentiamo sempre incrociando le dita affinché domani sia una limpida giornata.

6° Giorno: ISOLA DI BANGARAM

Le finger crossed non sono bastate. Stanotte non ha smesso un attimo di piovere a dirotto, un cadere incessante di una quantità d’acqua inimmaginabile che è proseguita tutto il giorno senza nessun attimo d’interruzione.

Corriamo sotto la pioggia per andare a far colazione. Stamani sono partite le due famiglie del Kerala (totali 7 persone), siamo rimasti in tre per cui, visto il cattivo tempo, rimaniamo un po’ di più seduti a chiacchierare con la signora svedese che ci racconta del suo problema, anche lei, con il bancomat e le poche rupie per tutto ciò che vorrebbe fare in una decina di giorni. La soluzione sarà un bonifico, che arriverà in 2-3 giorni lavorativi, dalla Svezia sul conto corrente della società governativa Sports che gestisce il resort. Tempo permettendo concordiamo una gita insieme. Per colazione oltre a latte e tea, qualche toast con la marmellata, corn-flakes e porridge, non riusciamo a mangiare né french toast né cibo cucinato, chiedo se è possibile avere della frutta e mi portano dell’ananas sciroppato dicendo che quella fresca arriverà forse oggi.

Torniamo in stanza sotto grandi ombrelli e rimaniamo a rilassarci un po’ (scrittura e lettura vanno per la maggiore), nel frattempo due omini vengono a pulire e riassettare la camera, sono molto gentili e discreti. Ci accomodiamo fuori il balconcino e li sentiamo parlottare nella loro lingua, non ne comprendono altre, ma con i sorrisi e i gesti ogni volta che entrano ed escono con lenzuola, asciugamani, teli da mare e, ahinoi plaid, comunichiamo. Alle 11 un po’ stufi decidiamo di sfidare il tempo e sotto una copiosa pioggia, senza nemmeno correre, andiamo a fare un tuffo. La sensazione è stranissima, i colori di cui per un giorno e mezzo abbiamo goduto hanno lasciato il posto alle tonalità di grigio, ma la temperatura è mite e siamo in vacanza, apprezziamo ciò che passa madre natura. Giunge fin troppo presto l’ora del pranzo, oggi assaggio le vendakka mappas o ladies fingers od okra o gombo, dal sapore del peperone ma dalla forma di piccole zucchine, mischio il riso al cocco con il dal mix masala, patate al tamarindo e pollo in salsa dopiyas. I dolcetti sono due: rasa jula o rasogolla (palle di formaggio bianchissime immerse in sciroppo di zucchero) e dal payasan (un caldo latte con “grano”, uvetta e anacardi). Entro un po’ in confidenza con il simpatico cameriere Nazar e gli chiedo come mai su un’isola non si mangia così tanto pesce né c’è frutta. Mi risponde che con i South West Monsoons la pesca è stata finora difficoltosa e per quanto riguarda la frutta proviene tutta da Kochi via Agatti ed è un po’ che la nave non arriva col rifornimento. Mi promette che stasera mi farà trovare un po’ di cocco.

Fortunatamente ha smesso di piovere, indossiamo il costume e subito cerchiamo intorno all’isola un punto dove fare snorkeling. Il giro dura più del previsto perché ci fermiamo spesso ad ammirare le decine di paguri e di conchiglie dalle più belle forme che camminano indisturbate su e giù, a destra e a sinistra delle varie battigie. Numerosi e di differenti tipi sono i cetrioli di mare (sea cucumbers) che espellono l’intestino (sembra in realtà che mangino spaghetti!) spiaggiati, respirano profondamente, sono molto sedentari e si muovono lentamente, al contrario dei velocissimi granchi quasi trasparenti, color sabbia, neri o rossi intorno ai nostri piedi o nelle profonde buche sotto la sabbia.

Giungiamo in un’insenatura in cui l’acqua dopo dieci centimetri dalla riva diventa profonda e scura; sarà lì che maschera e boccaglio ci daranno la possibilità di entrare in un acquario in compagnia di pesci nemo, palla, chirurghi, sergenti, farfalla, pappagalli, istrici, zebra, neri, bianchi, trasparenti…

Presso il ristorante, quotidianamente dalle 16,30 alle 17,30 è prevista la merenda che finora non abbiamo mai consumata. Siamo poco oltre l’orario, ma provo a entrare e molto gentilmente uno dei camerieri mi serve due tazzone di tea con latte e torna in cucina a prendere dei biscotti alla frutta secca. Lo ringrazio infinitamente e su un tavolino fronte mare con piedi sulla sabbia è tea time anche per me (il mio compagno di viaggio quando vede di che si tratta mi cede la sua).

Nel rientrare vediamo in lontananza una barca con dei ragazzi locali che stamane si preparava a uscire. È una scena eccezionale, sembrano sospesi sull’acqua, tiro fuori la telecamera e loro mostrano il pescato che mi lascia senza fiato! Il pesce più piccolo peserà 3kg e l’imbarcazione ne è piena zeppa! L’unico boy che parla un po’ inglese si tuffa, mi raggiunge e mi spiega come funziona la pesca con le pesanti reti, per sollevare le quali ci vogliono minimo 15 persone. È contento di vedere il mio entusiasmo e interesse nell’ascoltarlo e io già immagino come possa essere buona la cena! Nel frattempo arriva parte dello staff del resort con una grossa bacinella che viene riempita e portata via. La barca si allontana un po’ più leggera, probabilmente per andare a rifornire altre isole. Guarderei l’orizzonte per altre ore, stasera con me, sotto le piante e al lato di qualche palma, che sembra baciare le candide nuvole, dei gattini, silenziosissimi, scarni, dagli occhi verdi… ma è ora di ritirarsi e docciarsi.

Cena sempre super riservata visto che siamo solo noi e alle 20,15, quando ci presentiamo, la signora svedese ha già finito e ci dà la buona notte. Stasera non trovo il cocco promesso, ma uno dei pesci appena pescati, grigliato e coperto da spezie piccanti! Ne mangio più pezzi e lo accompagno con del jeera rice (riso ai chiodi di garofano). Non disdegno nemmeno lo shabnam curry (quadratini di formaggio molle in salsa di curry con piselli) e l’onnipresente dal ma questa volta tomator (con pezzetti di pomodoro). Il mio boy preferisce lo yam chilly fry (un grosso tubero alla julienne fritto) e l’ormai noto guam pollo fritto. Per dolcetto una tortina dall’impasto morbidoso e compatto con marmellata alle fragole.

Oggi c’è molta umidità, il cielo è completamente coperto, non s’intravvedono le stelle, il mare è un pochino più mosso nonostante non tiri un filo di vento. Ci ritiriamo e speriamo per domani in una giornata soleggiata.

7° Giorno: ISOLA DI BANGARAM

Sotto una pioggia battente, iniziata nel cuore della notte, andiamo a fare colazione. Ci spalancano le porte per farci entrare col grande ombrello, nonostante siano le 8,30 stanno ancora finendo di apparecchiare. E’ sempre un po’ scarsina e monotona per i gusti occidentali; toast con la marmellata di fragola, corn-flakes, porridge, french toast e mezze piadine scaldate. Il cibo indiano mi piace gustarlo durante i pasti principali, ma chiedo se è possibile avere un cocco fresco. La risposta è sì e per la modica cifra di Rp 50=€ 0,80 me lo regalo. Non è enorme, ma sfizioso, l’acqua è dissetante e la polpa ha una molliccia consistenza dal delicato sapore.

Rientriamo in stanza sempre con l’ombrellone e ci restiamo fino alle 10,30 quando, sotto una debole pioggerellina, ci avventuriamo nell’acqua, replicando la piacevole esperienza di ieri. Avere un’isola tutta per noi è impagabile, la temperatura è comunque sui 27 °C per cui non ci scoraggeranno di sicuro 4 gocce (si fa per dire 4!). La cosa divertente è che le nuvole cariche di pioggia si spostano lentamente e con loro anche la quantità d’acqua che viene giù. Nel tratto della nostra baietta, di circa 500 mt, è capitato che in mezzo alla laguna sopra la testa del mio uomo piovesse e sulla mia, magari sulla battigia a distanza di 200 mt, per nulla! In mare lo scherzo della natura è ancora più evidente, un’area tutta punteggiata e l’altra completamente piatta! La marea è sempre alta e l’acqua arriva a ridosso di quelle quattro sedie di paglia messe in mezzo al prato che ci separa dal cottage. Proprio nel momento in cui finalmente il tempo si stabilizza un pochino arriva l’ora del pranzo e la cappa di caldo e gli odori della cucina si presentano insieme.

Oggi la sala è apparecchiata per cinque, è arrivata una coppia di ragazzi da Nuova Delhi. Nel menu le ghiotte new entry sono i keram bice masala ovvero piselli in salsa di pomodoro piccantissima, la mathyamma ossia fette di morbida zucca con cipolle, il pesce Kerala immerso in una salsa al curry, pezzetti di pesce Orly fritti in olio di cocco e l’immancabile riso, questa volta con piselli, carote e masala piccante. Le altre pietanze più o meno le stesse: insalata di pomodori con cipolla e verza condita con anice. Per dolce i vermicelly e ananas sciroppato.

Passeggiando una mezz’oretta per digerire le bontà mangiate, lungo percorsi battuti in mezzo all’isola, incontriamo qualche membro dello staff che torna verso la sua abitazione. Sono tutti uomini, sempre sorridenti, quasi mai comprendono l’inglese (lingua parlata solo da chi sta in contatto con noi turisti), ma sono sempre pronti a dare un suggerimento su cosa vedere, su dove andare o semplicemente ci salutano e scambiano poche parole di circostanza. Purtroppo l’animale incontrato oggi non è dei miei preferiti, una sorta di calabrone o ape legnaiola che mi gira rumorosamente intorno, penso di averlo cacciato perché non sento il forte ronzio, e invece mi si attacca ai capelli e scivola nella canottiera. Raggiungo il mio boy in stanza, gli dico di controllare e l’insettone rispicca il volo! Lo incastriamo sull’ampia zanzariera e imbottiamo d’insetticida. Si stordisce e solo in quel momento possiamo farlo accomodare fuori. Non so se fosse in grado o meno di pungere, ma di certo era preferibile incontrare galli, gatti e caprette come nei giorni scorsi. Mini momento di relax e alle 15,30 pronti sotto la pioggerella per la seconda parte del settimo giorno in terra straniera che dedicheremo allo snorkeling dalla parte opposta a quella di ieri, vicino un cargo relitto arrugginito, sotto al quale ammassi di coralli spezzettati e una discreta fauna di pesci leoni, zebrati, bianchi, neri, trasparenti…

Alle 17,30 non perdo l’ora del tea con latte e biscotti, ormai un appuntamento piacevole, più che altro perché il rito si tiene fronte mare sotto una tettoietta di paglia ammirando uno dei quadri più belli del nostro pianeta. Alle 18 dopo una chiacchierata anche con uno dei ragazzi del diving con il quale programmo una possibile gita per domani, tempo permettendo, di nuovo in acqua fino alle 19,15, l’ora più bella, quando diventa un dispiacere rincasare.

Alle 20,15 abbiamo i profumi dei cibi sotto il naso, ben presentati e i cui sapori apprezziamo giorno dopo giorno sempre di più. Stasera testo il paneer pulau (riso con anacardi, uvetta e quadratini di formaggio morbido tipo primo sale), tenerissimo pollo in latte di cocco, squisito pesce alla piastra con verza, funghi chilly fray ovvero piccantissimi champignon con cipolletta fritta, patate gabrici ossia con pomodoro, cipolla e peperoni, green gram makni cioè piselli con sughetto e dulcis in fundo creme caramel.

Passeggiatina rituale lungo il viale che costeggia il mare e nel corso della quale scambio quattro chiacchiere in inglese con alcuni ragazzi dello staff che mi raccontano di quanto poco stiano facendo rispetto all’alta stagione (ottobre-marzo, quella ideale per stare qui!) quando, in più di 100 persone totali, danno retta e cercano di rendere la vacanza unica ai massimo 60 ospiti. Rimango anche sbalordita del fatto che nei cinque anni in cui tutti credevamo che quest’isola fosse chiusa a tutti, era aperta e funzionante sicuramente agli indiani, ma si poteva alloggiare solamente in campi tendati. A un certo punto il Governo decise di far costruire (o rimodernare) i cottage, spartani anch’essi, ma sicuramente più confortevoli e stabili. A ottobre dello scorso anno iniziò a essere una meta più proposta e pubblicizzata. Fra un mese gli alloggi compiranno un anno e noi siamo contentissimi di averli già testati e… direi approvati!

8° Giorno: ISOLE Di BANGARAM, DI TINNAKARA E CIRCUMNAVIGAZIONE DI PARALI 1 E 2

Colazione con i soliti cibi, io aggiungo il mio cocchetto e siamo pronti per la grigia giornata. Chiediamo al centro diving se è possibile fare l’escursione accennata, eravamo interessati a quelle per andare a vedere le tartarughe (rp 800) o le isole limitrofe (Thinnakara rp 500 o Parali 1 e 2 rp 1000) ribadendo il fatto che non abbiamo così tanta molta moneta locale. Ci facciamo consigliare. In un attimo si diffonde la notizia e chiunque incontriamo parla della gita (che ridere!). Ci propongono un mix a forfait: approdare a Tinnakara, a piedi il giro di una parte dell’isola, snorkeling e rientro alla base percorrendo un tragitto più lungo a ridosso delle due isolette per avvistare tartarughe, razze, pesci volanti e uccelli (paddy bird fishing, aironi, gabbiani…). La nostra risposta è affermativa, coinvolgiamo anche la signora svedese e dopo mezz’ora partiamo. Sulla barca salgono in tre, un ragazzetto che di solito ci serve durante i pasti Hussain Ali e altri due uomini.

Una decina di minuti e attracchiamo nella deserta Thinnakara. Facciamo un giro sbirciando nelle tende dove avremmo potuto dormire. Non sono così scomode come immaginavamo, anzi, sono sì eco-friendly, ma hanno una forte struttura, corrente elettrica all’interno, ventilatori a pale, letti con reti e materassi. Scattiamo diverse foto al campo tendato e iniziamo una passeggiata prima da una parte, poi dall’altra, pensando di percorrerne la circonferenza, ma è molto più grande di quanto appariva nelle mappe (a questo punto non in scala) che avevamo visto! L’isola è, infatti, quasi il doppio di Bangaram e ci impiegheremmo due ore e mezza per girarla. Arriviamo all’alta torretta quadrata, il faro che si vede da Bangaram, l’unico presente nel piccolo arcipelago, punto di riferimento anche per le due disabitate e piccole isole Parali 1 e 2. Non lo incontriamo, ma sappiamo che un omino vive lì, completamente solo, con il compito di accenderlo e spegnerlo per un paio di mesi l’anno, dopo di che arriverà il cambio turno. Pensare a una vita simile mi fa sgranare gli occhi, ma è un lavoro come un altro, e magari lui sgranerebbe gli occhi immaginando me, minimo otto ore dietro una disordinata scrivania.

È ora di buttarci in acqua. La barriera corallina, quella che ci dicono intatta, è distante. Vicini solo dei tronchi di palme sul fondo o dei rami di coralli dentro i quali si nascondono pesci palla, chirurghi… ma purtroppo il mare è un po’ mosso e non è chiara la visibilità. Dopo un’oretta riprendiamo la via del ritorno, nel frattempo due ragazzi ci hanno raccolto dei cocchi che spaccano, ci fanno bere e con un pezzetto di corteccia, a mo’ di cucchiaino, ne mangiamo la tenerissima polpa. Ogni tanto un membro grida l’avvistamento di qualcosa, ed è così entusiasta di avvisarci che quasi ci spaventa. Su una lingua di sabbia vediamo appollaiati tantissimi tipi di volatili che al nostro passaggio volano via contemporaneamente: siamo nel sanctuary of birds. Poi ci viene indicata un’enorme stir o eagle ray razza e diverse turtle tartarughe che vanno velocissime ma riusciamo, seppur per pochi minuti, a filmarle con la telecamerina subacquea. Tutte scene che rimarranno impresse nella nostra memoria. Ci chiedono se siamo contenti e vogliamo circumnavigare le isolette Parali 1 e 2 o tornare indietro. Preferiamo tornare a Bangaram dal momento in cui sono trascorse due ore e mezzo e abbiam visto molto di ciò che ci interessava. Allo sbarco veniamo accolti da altri membri del resort che ci chiedono se siamo soddisfatti e ovviamente la risposta è affermativa.

Stamattina era partita la coppia di Nuova Delhi per cui a pranzo siamo tornati in tre e il menu non è più a buffet ma con servizio al tavolo (mi sembra giusto per non sprecare tanto cibo). Ci portano un piattone con riso bianco, chapathi, tre tranci di pesce fritto, quattro crocchette di patate, pomodori e cipolle crude. Su due ciotole a parte dal e pezzetti di pesce immersi in un latte al curry. Per dolce le stucchevoli palle zuccherose. Siamo appagatissimi anche oggi e ringrazieremo per sempre tutti, tra cui il paziente cameriere Nazar, che a ogni portata sorride spiegando le pietanze come in un ristorante stellato. Torniamo “appanzati” in stanza, bello in vista su un ramo un gigantesco grillo, sembra in posa per la copertina di un documentario, si lascia fotografare e riprendere, poi si stufa e con un improvviso salto si posa sul prato, sembra si giri per salutarci con le sue lunghe antenne e noi lo lasciamo in pace. Ci rilassiamo un po’ prima di immergerci nel turchesissimo mare che oggi, grazie al sole che finalmente ha fatto capolino, è ancora più celestiale. Il pomeriggio passa oziando tra lunghe passeggiate, chiacchierate con gli ormai amici dello staff intavolando discussioni sul passato dell’isola, sulla presenza dei turisti dalle più differenti abitudini ed esigenze. E poi l’immancabile ora del tea al latte con i biscottini alla frutta secca fronte mare! L’ora di ritirarsi giunge presto e anche quella della cena, con servizio al tavolo (siamo in 5, oltre a noi una coppia di Calcutta). Buon pesce red snap alla griglia, morbido paneer con cipolla in salsa di pomodoro, riso bianco, piselli speziati, pappas croccanti, una “piadina” di pasta sfoglia dentro la quale arrotoliamo dell’insalata di verza e per dolce una mousse con ananas, anacardi e uvetta sultanina.

Dopo cena il mio boy torna in stanza, io mi trattengo con il dive master Rizal, che desidera imparare l’italiano. È molto volenteroso, gli rifornisco carte e penne e scriviamo le principali frasi da poter scambiare e con le quali accogliere nostri connazionali. È un’occasione ghiotta anche per me per capire un po’ la vita dei locali. È simpatico, ci facciamo tante risate, da gentiluomo alla stessa ora in cui rientrò Cenerentola mi riaccompagna davanti la stanza e con un’amichevole e forte stretta di mano ci diamo la buona notte.

9° Giorno: ISOLA Di BANGARAM

La colazione è sempre un po’ ina e monotona, d’altronde stamane è partita la coppia di Calcutta e siamo rimasti nuovamente in tre. Il cielo è terso, nuvole sì ma bianche latte utili per coprire un po’ il forte sole che brucerebbe la pelle. Dalla protezione 30 ritorno alla 50 e non me ne pento, anche perché sto tutta la mattinata a mollo con maschera e pinne a godermi lo spettacolo subacqueo. E immagino al vero e proprio Paradiso che vedranno i divers per la vita sotto il mare più profondo, che pullula maggiormente oltre che di pesci tropicali, di coloratissimi coralli. Anche noi, comunque, ogni giorno scopriamo nuovi posti che ci fanno rimanere estasiati.

Mentre faccio il bagno, il mio boy è lontano un miglio, noto un movimento repentino in mezzo alla laguna, sembra un sub che si è immerso, ma non è possibile. Continuo a guardarmi intorno, quasi pensando di aver avuto una visione perché in realtà il mare è completamente piatto. Poi però succede nuovamente, questa volta non sono sola ma in compagnia di Asif, il responsabile degli sport acquatici, un bell’uomo dall’imponente stazza che per vent’anni ha fatto parte dell’esercito militare indiano, insegnato ai paracadutisti, collezionato 7772 lanci da 12 aerei diversi, che apprezza vino, birra e bistecche. Mi dice che è un jack fish enorme, ogni tanto si avvicina, con la sua coda dà un colpo secco ai pescetti, li mangia e va via. Rimango sbalordita e incuriosita: un unico pescione! Ne vedo una foto sul suo cellulare, impressionante, ma per fortuna nessun pericolo per i due umani, cioè noi, che siamo nei suoi paraggi (o viceversa). In realtà su quest’isola di pericoli non ce ne sono proprio: nessun serpente, cane randagio, ragno velenoso… bisogna solo avere la fortuna di non capitare sotto una palma quando cade all’improvviso il cocco, evento che succede frequentemente; ma da queste parti si dice che “le palme sanno dove i turisti passano”. In un batter d’occhio l’ora del pranzo, prima alla signora svedese e poi a noi vengono portati piatti con lagun fish panato e a tranci in salsa di piccante curry, patate di una pasta particolarmente gialla con cipolle in agrodolce, immancabile riso bianco, chapathi e pappas. Ananas in scatola per frutta visto che la ship non arriva a consegnare.

Nell’ora più calda rimaniamo in stanza, io a raccontare questa meravigliosa esperienza, il mio boy a scervellarsi col sudoku, ma prima delle 15,30 siamo dall’altra parte dell’isola, vicino l’eliporto, dove la sabbia è così chiara e il mare così trasparente che facciamo fatica a lasciare aperti gli occhi. Il gioco delle maree è superlativo perché ci dà modo di godere l’isola a 360 °C e noi, ormai, non dico la conosciamo come le nostre tasche… ma di certo abbiamo cercato, giorno dopo giorno, di esplorarla bene non lasciandone un centimetro imbattuto. Una lingua di sabbia fa strada verso il largo, cominciamo a percorrerla, sembra non terminare mai, siamo a circa un chilometro dalla riva, vediamo a fatica lo zainetto lasciato sulla pista d’atterraggio, camminiamo letteralmente sulle acque, insieme a noi tanti uccellini greenshank cercano con i lunghi becchi dei pescetti. Il reef è ai lati della lingua e a occhio nudo si vedono pescissimi. Con la maschera e le pinne, nascosti tra anemoni di mare, ci comportiamo da paparazzi con pesci pagliaccio, damigelle gialle e bluette, porcospini, silver fish di un argento acceso, alcuni azzurrini, un importante jack, probabilmente simile a quello che bazzicava ieri davanti la laguna fronte cottage e forse una manta.

Nel tardo pomeriggio ci raggiungono quattro pescatori in cerca di esche. Hanno delle canne di bambù di circa un metro che conficcano sulla sabbia per qualche secondo e, quando le tirano fuori, attorcigliati a spirale, si presentano lunghi vermi bianchi a chiazze rossastre. I pescatori li srotolano, staccano loro la testa, li sciacquano, lasciano tracce di sangue e filamenti graditi dai volatili. Rimaniamo sbalorditi per la destrezza nel sapere dove inserire il bastone e per il sangue freddo con cui creano un’esca. Noi torniamo a riva, loro rimangono fino al calar del sole con delle buste che vedremo riempire. Aspettiamo il tramonto sull’immensa secca ammirando conchiglie di tutte le grandezze, paguri caleidoscopici, pezzi di corallo dalle forme più curiose… Alle 18,30 circa la palla gialla comincia a scendere diventando color ambra, arancione ma, poco prima di infuocarsi, una nuvola la copre. È un peccato, però l’immenso cielo, che si riflette sullo specchio d’acqua sottostante a tal punto che non si distingue più dove finisce uno e inizia l’altro, assume delle sfumature che lasciano senza fiato.

Rientriamo per una doccia e pronti per la cena con servizio a tavolo per i magnifici tre trattati d’onore: il cuoco esce a controllare e a chiederci se è tutto di nostro gradimento, il ragazzo pronto a versarci l’acqua non appena ne beviamo qualche sorso, il cameriere scatta a liberare il tavolo quando il piatto è vuoto. In un posto così informale tutto si poteva immaginare fuorché un trattamento a dir poco esclusivo! E che bontà anche stasera: snap fish alla griglia (quando l’ingrediente è fresco bando all’elaborazione!), funghi in salsa di curry, patatine fritte e i must (riso bianco, chapathi e pappas).

Sette anni fa visitai Nuova Delhi, il Rajhastan, Varanasi, Calcutta… feci un giro sul Gange e tornai cambiata, oggi il tipo di vacanza in questo continente è stato completamente differente, ma rientrerò a Roma sicuramente cambiata… è destino che l’India lasci dentro di me emozioni indelebili e più forti rispetto ad altre mete.

10° Giorno: DISOLA DI BANGARAM

Nota colazione con servizio al tavolo, in più un bicchiere di succo di mela oltre al cocco (extra), tea, latte e caffè solubile! Siamo sulla battigia sotto una fine pioggerella quando vediamo arrivare due barche, la prima con approvvigionamenti di vegetali, l’altra con una quindicina di persone! Passano pochi minuti e sono avvicinata da alcune di queste. Una ragazza in particolare, Divya, mi racconta che sono ospiti del Governo, per cui alloggeranno in stanze speciali riservate e con più comfort (aria condizionata, tv a schermo piatto…). Sembra difficile a crederci, ma non li invido per nulla, la mia ha l’essenziale! Parlano inglese perfettamente, vengono dallo Stato Chhattisgarh, India centrale, si vede che sono benestanti dai loro atteggiamenti, da come vestono, da ciò che raccontano (molti sono venuti in Italia, alcuni andati in America, altri hanno figli o amici che studiano in Europa, Milano compresa). Conoscono le nostre abitudini alimentari, apprezzano i nostri film, criticano la sporcizia di Venezia e di Roma (i commenti li lascio dentro di me). Ogni donna (sono sette coppie più la ragazza ventottenne che di mestiere fa la dentista) ci rivolge la parola, chiede qualcosa di circostanza o per togliersi una curiosità: “come abbiamo conosciuto quest’isola”, “ci piace”, “è la prima volta in India”, “perché gli italiani bevono acqua frizzante”? Un’oretta trascorre velocemente e piacevolmente sebbene la quiete alla quale eravamo abituati sia interrotta da tutti gli sport acquatici che praticano (knee board, banana boat ride, jet skee…), donne comprese, che indossano, anche per nuotare, bermuda e t-shirt. Partiranno domani.

Alle 13 ci ritroviamo tutti nella sala pranzo. Questa volta è allestito un ricco buffet e, per mia fortuna, vista la loro religione induista, 13 su 15 sono vegetariani! Il menu prevede, oltre a cipolle, cetrioli, verza e pomodori crudi, tomato rice ovvero riso rossastro (per me di peperoncino e non di pomodoro), mooooolto buono, aloo tomator cioè patate con la medesima considerazione del riso, mushroom chilly fry ossia funghetti con un minimo di pastella, yellow pumpkin alicheri, squisitissima zucca in denso latte di cocco piccante, il dal al tadka che mi sembra aver capito sia una spezia, sensazionale Alappy fish curry: morbidi e saporiti tranci di pesce immersi in una salsa e chicken fritto.

Passeggio e tra me e me, a ridosso della partenza, ma non è la prima volta durante questo soggiorno, faccio tante considerazioni su quanto valore abbia il tempo. Si riscopre il piacere del contatto umano, dell’intimità col partner, ci si ritrova nella conversazione e nei silenzi, nello stare insieme e nella solitudine. Si apprezza di più quanto si ha e quanto sia piacevole accontentarsi di meno, dell’importanza delle notizie dal mondo che non abbiamo da una decina di giorni e di cui non sentiamo la mancanza, così come quasi non ci importa della tecnologia di cui fra qualche ora non potremo fare a meno. Gli unici momenti in cui mi viene il magone è quando penso alla mia famiglia, ai miei genitori, a mio fratello, ai miei nipoti, l’unico momento in cui da questo magico mondo in cui tutto sembra sospeso ritorno alla realtà e ho voglia di tornare a casa.

Alle 17 il tea time fronte mare con chiacchieratina con chiunque passi da quelle parti e dalle 18,30 attesa del fatidico tramonto sulla costa occidentale. Purtroppo anche oggi è tutto nuvoloso ma lo spettacolo surreale è quasi più bello. Lontani da noi, all’orizzonte, si vedono dei nuvoloni viola dai quali scendono cascate d’acqua, un gioco di colori che rende ogni cosa indaco, ciano, pervinca, lilla, lavanda… sembra di essere davanti a una pagina di una fiaba. All’improvviso tutto buio, ci rechiamo in stanza per prepararci per l’ultima cena: a buffet paneer butter masala e aloo jeera e, al tavolo, zuppa di vegetali e bocconcini di pesce alla piastra. Con Divya che significa Diva, diminutivo di Divina: che bel nome! E conosciuta alle LaccaDive! Chiacchieriamo sulla mia associazione nome-luogo, ma ovviamente con una sorridente girl come lei parliamo di tanto altro ed entriamo così in sintonia e simpatia che mi promette un ricordino per il viaggio di ritorno.

11° Giorno: BANGARAM-AGATTI-KOCHI-ABU DHABI

Sveglia di buon’ora, nel preparare la valigia decido di lasciare alla reception gran parte dei miei indumenti, dei giochi da spiaggia che mi ero portata, delle ciabattine, del materiale di cancelleria… insieme a una letterina di ringraziamento per tutti coloro che ho avuto la fortuna di incontrare e che hanno reso la mia vacanza unica e speciale. Nessuno avrà necessità di nulla, ma ho voluto lasciare un “simbolo” di generosità italiana e di distacco dai beni materiali.

Check-out alle 8, nel corso dell’ultima colazione si presentano in molti a salutare. L’aiuto cuoco ci porge tre fettine di piccola anguria (ip ip urrà!). La barca per Agatti porterà via solo noi, dopo pranzo gli ospiti indiani e la signora svedese col bel tempo, sola soletta, sarà l’unica turista e noi la penseremo con un bel po’ di nostalgia. La ragazza ci dona dei mini pani carasau color arancio, sono stati fatti a mano con delle spezie della sua città (City Bhilai). Apprezziamo molto e gusteremo questo stuzzicante spuntino dal sapore delle Pringles alla paprika prima dell’imbarco! Il mare è una tavola, un trionfo di colori strabilianti, almeno una decina tra camerieri, addetti alle immersioni… stanno lungamente sulla banchina, scattano foto e selfie cercando di inquadrarci, si sbracciano finché la barca diventa un puntino… lontano… e quasi mi commuovo. Sull’imbarcazione oltre al capitano ci sono altre tre-quattro persone che con un filo di nylon e un amo pescano in continuazione grossi snap fish dalla colorazione più che varia. Quanto è ricco di fauna, di flora, di bontà e di bellezza questo Mar Arabico!

Arriviamo ad Agatti in meno di un’ora, il pulmino è già sul molo, un gentilissimo omone lo guiderà caricando le nostre valigie mentre Uzyya, che avevamo conosciuto il primo giorno, ci assisterà fino all’imbarco sul volo dell’Air India operato da Air India Regional delle 11,55. Nel piccolo aeroporto i controlli sono molto accurati, soprattutto per ciò che riguarda gli apparecchi elettronici. In un posto limitrofo che non certo eccelle per pulizia, ci vengono offerti da Uzyya, che fa da insegnante a una ventenne stagista, un tea al latte e una sorta di supplì; parliamo molto, vuole sapere com’è andata la vacanza, se torneremo… Come molte altre persone conosciute in questo soggiorno mi lascia anche lei i suoi contatti… così come faccio io. Sull’aereo da 40 posti siamo una ventina, posti 5C ma, come successe all’andata, l’hostess ci propone di avanzare ai 2C dove c’è l’uscita di sicurezza e, in caso di necessità, di aiutarla. Naturalmente rispondiamo di sì, ripetendoci che è piuttosto curioso.

In un’ora e un quarto, sorvolando mare e nuvole, giungiamo a Kochi, i controlli, l’acquisto di Marlboro ($ 15 a cartone) e volo di rientro in Italia via Abu Dhabi. Il volo Etihad delle 17,30 è operato da Jet Airways, i posti (28C) sono comodi, nessun monitor di fronte a noi, un pasto completo di pollo, riso, verdurine e mousse alle fragole e le 4 ore di volo passano. Atterriamo ad Abu Dhabi alle 20,05 ora locale, i cellulari si aggiornano da soli e tutti i messaggi ricevuti negli scorsi 8 giorni arrivano a raffica. Il lungo scalo di 6 ore e mezza passerà a riconnettersi col nostro mondo, a girare per il duty free e a scrivere e leggere nell’apposita area riservata.

12° Giorno: ABU DHABI – ROMA FIUMICINO

Alle ore 2,35 (posti 25A) ci imbarchiamo sul volo Etihad, operato da Alitalia, che in 6 ore, durante le quali una ricca colazione (omelette, funghi, patate, pomodoro, yogurt alla fragola, crostatina all’albicocca e spicchi di mele), ci riporterà nella nostra amata capitale. Puntualissimi alle 7,05 siamo a Fiumicino!

CONCLUSIONI

Avevo letto molte, ma neppure tante, recensioni contrastanti su quest’isola. Ovviamente ogni racconto è basato su chi l’ha vissuta in un periodo climatico piuttosto che in un altro, giudizi secondo le proprie aspettative, chi c’è stato con un partner, un’amica o la famiglia. Per fortuna i gusti di ciascuno di noi, anche perché provenienti da luoghi e culture opposte, con storie di vita uniche, sono differenti per cui, leggere più d’un reportage, rende sempre meglio l’idea.

Ma… c’è un ma! L’unico vero modo per scoprire “chi ha ragione” è partire; i prezzi, soprattutto se ci si organizza per tempo con l’acquisto del volo, non sono così esclusivi, o perlomeno sono paragonabili a quelli di chi si vorrebbe recare in destinazioni simili (Maldive, Mauritius, Seichelles, Los Roques…), ma il mio spassionato consiglio è di fare questo viaggio quanto prima, prima della perdita della sua originalità per la troppa globalizzazione e occidentalizzazione.

Essendo stati per la maggior parte della settimana solo in tre (o al massimo cinque), in bassa stagione, non abbiamo potuto fare alcune cose: un massaggio, dal momento in cui il centro Ayurveda non era aperto e non vi era nessun addetto che lo potesse eseguire; acquisti presso l’unico negozietto, chiuso anch’esso, dove sembra ci fossero esposte delle creazioni artistiche di un artigiano; non abbiamo mai cenato a lume di candela in riva al mare accanto al barbecue dove si sarebbe arrostito il quotidiano pescato… ma essere stati così tranquillamente in quest’angolo di pianeta tutto per noi, nel silenzio assoluto, in una baia esclusiva, coccolati e benvoluti dalle venti persone dello staff, che in turni, ci hanno accolto durante i pasti e dedicato a qualsiasi ora il loro tempo senza alcuna fretta né distrazione… è stato il più bel regalo che Bangaram ci potesse fare.

Sono riuscita ad apprezzare anche il clima “ni”, incerto, che ci ha tenuto in sospeso quotidianamente e, sembra strano a dirsi, ma, tornassi indietro… rifarei l’identico (o quasi) viaggio.

Non torno mai nello stesso posto in cui sono stata in vacanza, ma l’idea di richiedere un preventivo anche a Emanuele Rotolo di Islands Guru, per un’altra isola che potrebbe essere Minicoy, che si dice così differente da questa per costumi, sapori e dimensioni (solo dieci cottages) o per una crocierina e approdare alla scoperta di altre tre Lakshadweep… già mi titilla.

Impegnativo raggiungerle, ma la spesa vale l’impresa o il gioco la candela!

Buon viaggio e, qualora non fossero bastate tutte queste pagine… sono qui!

Luna Lecci



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