La Santa Sindrome
La sua esistenza è stata causa nel recente passato dell’instabilità nel vicino oriente, gran parte degli Stati arabo-musulmani si riferiscono all’entità sionista che vorrebbero cancellare a causa del conflitto, mai risolto, con la popolazione palestinese.
Con la proclamazione di Ben Gurion del 1948, Israele si è reso indipendente ed i successivi conflitti che divamparono successivamente a quell’evento con i palestinesi e gli stati arabi ai suoi confini, portarono al controllo di un territorio ben più ampio, con l’annessione del Golan siriano, la Cisgiordania ed il Sinai (che poi Israele restituì definitivamente all’Egitto nel 1982 in cambio della firma del trattato di pace).
Un viaggio in Israele non è solo la visita della Terra Santa e dei luoghi sacri alle tre principali religioni monoteiste, ma anche l’occasione per osservare da vicino una realtà difficilmente districabile e lontana dal trovare delle concrete soluzioni.
Già alla partenza in aeroporto, si avverte lo stato di tensione: chi viaggia con la compagnia di bandiera israeliana El Al deve essere pronto a sottoporsi a severi controlli prima di essere imbarcato, tra cui un interrogatorio da parte di membri della compagnia, appositamente addestrati per individuare possibili passeggeri sospetti e sottoporli ad ispezioni ancora più minuziose.
Arriviamo all’aeroporto internazionale di Ben Gurion nel tardo pomeriggio; è venerdì e lo Shabbat (il giorno settimanale di riposo celebrato ogni sabato dalla religione ebraica) è già iniziato. Durante lo Shabbat, sono proibite agli ebrei le attività lavorative ed anche nella laicissima Tel Aviv gran parte degli esercizi commerciali sono chiusi ed il traffico è ridotto al minimo.
Tel Aviv, con i suoi 800.000 abitanti, è la principale città del Paese dopo Gerusalemme e, nonostante quest’ultima sia stata proclamata capitale, le ambasciate estere continuano a mantenervi la propria sede per non offendere gli Stati Arabi che non riconoscono Israele. Vivace e solare, la città è sorta attorno al primo insediamento di coloni ebrei del quartiere di Neve Dzedek di fine ‘800; salvato dalle ruspe, quest’area di case basse oggi è stata valorizzata ed ospita boutique alla moda e concept stores.
Lo sviluppo della città è evidente con i suoi scintillanti grattacieli che continuano ad affollare la zona costiera e che sono la prova più tangibile di un’economia dinamica ed in espansione. Nel secolo scorso, Tel Aviv era nota con l’epiteto di “città bianca”, per il colore dei suoi edifici e lo stile Bauhaus, importato dagli ebrei in fuga dalla Germania a causa delle persecuzioni naziste. Lo stile Bauhaus, similmente a quello razionalista nell’Italia degli anni ’20, si contraddistinse per le linee geometriche e l’assenza di orpelli ornamentali dei suoi edifici, molti dei quali oggi in via di recupero e protetti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
Data l’assenza di monumenti imperdibili, le spiagge cittadine dalla sabbia chiara e dalle acque trasparenti sono una tappa da non perdere di Tel Aviv. Il lungomare bordato di palme è frequentato dai giovani che sfoggiano un’eccellente forma fisica, temprata dagli anni di servizio militare (la leva è obbligatoria 3 anni per gli uomini e 2 per le donne).
Verso sud, si raggiunge Jaffa (Yafo): oramai incorporata come il quartiere vecchio di Tel Aviv, la città è tra le più antiche del mondo ed era abitata da popolazione araba palestinese.
L’area del porto e gli edifici di epoca ottomana sono stati accuratamente restaurati e sul promontorio troneggia la chiesa cattolica di San Pietro, sede della nunziatura apostolica. Nei pressi della torre dell’orologio e della moschea Mahmoudya, si organizza tutti i giorni un piacevole mercato delle pulci in cui è divertente curiosare.
Nel primo pomeriggio, ritirata la macchina a noleggio, ci avviamo verso sud con destinazione il deserto del Negev.
Fatichiamo non poco ad uscire da Tel Aviv per le sue trafficatissime autostrade e, in circa 2 ore, arriviamo nel nostro albergo di Mitzpe Ramon. Questo insediamento, creato dal nulla ed abitato negli anni ’60 da coloni originari del Marocco e della Romania, sorse originariamente quale avamposto militare nel cuore del Negev, essendo a metà strada tra Tel Aviv e la città di Eilat sul mar Rosso. Mitzpe Ramon (che letteralmente significa “vedetta di Ramon”) si trova ai bordi di un Makhtesh, cioè di un profondo cratere carsico lungo 40 km e largo 8 km. Il cratere è stato battezzato in onore di Ilian Ramon, l’astronauta israeliano deceduto a seguito dell’incidente dello space shuttle Colombia del 2003 e per il quale è stato allestito un piccolo museo nel centro visitatori. Il Makhtesh viene comunemente definito come il Gran Canyon d’Israele e lo si può osservare comodamente dalla passeggiata sul bordo, incrociando spesso gli ibex nubiani, una specie di stambecchi del deserto che popolano quest’arida regione.
Da Mitzpe Ramon si raggiungono comodamente altri interessanti siti del Negev, tra cui le rovine di Avdat, a circa 20 km di distanza.
Avdat è la principale tra le città sorte sull’ultima tratta della via carovaniera dell’incenso che partiva dalle coste dell’Arabia meridionale e terminava sul porto di Gaza.
Fondata dai Nabatei, Avdat sorge su un promontorio roccioso e le sue mura ocra sono visibili anche a grande distanza.
La città, mirabile esempio di come nell’antichità si riuscisse ad ospitare nell’arido deserto insediamenti dedicati a commercio e agricoltura, prosperò anche in epoca romana e bizantina, venendo abbandonata dai suoi abitanti a causa di violenti terremoti.
Oggi i lavori di restauro sono terminati e dai contrafforti della fortezza bizantina e dal tempio nabateo spazia un vasto panorama tra le brulle montagne circostanti.
Notevoli i resti di due chiese paleocristiane, dei quartieri esterni e dell’accampamento romano. Ai piedi del tempio, sorgono alcune dimore in pietra affiancate da ambienti scavati nella roccia per la conservazione delle derrate alimentari e del vino che ricordano, per la tecnica di costruzione impiegata, quelli dei templi e delle tombe rupestri di Petra, la capitale del Regno Nabateo.
Nel kibbutz Sde Boker, c’è il campus universitario di Mindreshet Ben Gurion dove sono ospitate le tombe del primo presidente israeliano e della moglie in un piazzale con una spettacolare vista sul sottostante Zin canyon. L’ingresso al canyon si trova a tre km di distanza ed è possibile accedere al Parco Nazionale di Ein Avdat (fonti di Avdat) per un trekking di circa 7 km. Si tratta di uno dei luoghi più suggestivi di questa regione, dove il sentiero si inerpica all’interno delle pareti rocciose stratificate, dove scorre un corso d’acqua che crea piscine e cascate.
Eccoci arrivati a Mamshit, altra stazione carovaniera in rovina sulla via dell’incenso.
Siamo i soli a visitarla, percorrendo le antiche strade silenziose ed i mercati parzialmente ricostruiti. Notevoli la chiesa di San Nilo, che conserva intatti pavimenti a mosaico, e la vista dalla torre di avvistamento, che spazia su un profondo ed arido canyon sottostante ai bordi del quale venne fondata la cittadina.
Lasciamo il Negev e ci inoltriamo nel deserto di Giuda dove si trova la depressione del Mar Morto, la zona più bassa del pianeta a circa 430 metri sotto il livello del mare.
La strada di tornanti continua a scendere, finché appaiono all’orizzonte i riflessi delle acque e le montagne del versante giordano.
Arrivando da sud, si attraversano drammatici paesaggi con fenomeni erosivi, dove è pericoloso inoltrarsi a piedi per possibili cedimenti del terreno.
All’altezza di Ein Bokek, spiagge di sabbia accolgono i numerosi bagnanti ospitati in grandi alberghi sorti sul litorale, ma forse sono preferibili le rive più a nord nei pressi dell’oasi di En Gedi senza tracce di edificazione.
En Gedi è un’area di verdi palmeti dov’è sorto un fiorente kibbutz (cioè una comune agricola di lavoratori) che oggi ospita anche i turisti stranieri.
Più a valle, nei pressi della SPA si raggiungono le acque del Mar Morto, caratterizzate da un’elevatissima concentrazione di sale (10 volte superiore a quella degli oceani).
In questa zona, la spiaggia è ricoperta da una spessa crosta bianca che, incerti punti, crea quasi un effetto caraibico, con incredibili e bizzarre formazioni.
Nel mese di ottobre la temperatura non è eccessivamente calda per cui i bagni sono molto piacevoli. La salinità è tale che si riesce a galleggiare comodamente, anche se occorre far attenzione a non immergersi qualora si abbiano delle ferite, evitando il contatto dell’acqua con gli occhi.
In alcune zone è possibile cospargersi di fanghi, perciò il Mar Morto è davvero un centro di benessere naturale senza pari, oggi minacciato dalla progressiva riduzione delle acque del suo unico affluente (il fiume Giordano), che vengono utilizzate sia da Israele che dalla Giordania per scopi d’irrigazione determinando un rapido arretramento delle sue rive.
Masada, un nome evocativo di epiche battaglie e simbolo della pervicace resistenza degli ebrei. Si tratta di un altro promontorio dal quale spazia un’impagabile vista sul Mar Morto ed il deserto circostante.
Erode il Grande vi fece costruire un elegante palazzo su tre livelli, del quale oggi rimangono scarse rovine; il luogo tuttavia deve la sua fama per l’essere stato l’estremo rifugio degli Zeloti, israeliti che non si rassegnavano alla conquista romana e che ne fecero una fortezza capace di resistere alla X legione per molto tempo. Dalla fortezza, è ancora possibile localizzare sul terreno gli accampamenti militari dalla tipica forma quadrata (castrum), dove stazionavano i legionari durante l’assedio.
I romani ebbero ragione della resistenza costruendo un’altissima torre di legno, che riuscirono a sollevare su una rampa per superare in altezza la muraglia difensiva.
Gli Zeloti, vedendosi sconfitti, preferirono suicidarsi piuttosto che cadere in schiavitù, per questa ragione i reparti dell’esercito israeliano ancor oggi si recano sulla fortezza per prestare giuramento, affermando che mai più Masada cadrà…
Lasciamo il Mar Morto ed i suoi panorami e ci avviamo a Gerusalemme. Attraversiamo la Cisgiordania meridionale dove passa la strada più breve, i posti di blocco dell’esercito d’occupazione israeliano ci lasciano andare senza problemi.
Purtroppo non c’è tempo di fermarsi a Gerico per visitare le attrazioni di questa antichissima città: il tempo stringe e dobbiamo restituire il veicolo a noleggio, oltre a fare i conti con il traffico nelle strade di una città che ancora non conosciamo.
Gerusalemme, la città Santa per eccellenza. Sorge a 760 metri sul livello del mare e la sua temperatura è estremamente piacevole considerando il caldo umido della zona costiera.
E’ stata proclamata capitale dello Stato Ebraico nonostante la sua zona est, conquistata durante la guerra dei 6 giorni, continui ad essere rivendicata dall’Autorità Nazionale Palestinese come propria, pur esercitando le sue funzioni dalla città di Ramallah, in Cisgiordania.
La zona ovest al di fuori delle mura della città vecchia è molto curata, con quartieri eleganti sorti all’inizio del ‘900. E’ qui il King David Hotel, l’albergo più lussuoso con i saloni interni in stile art deco’. Proprio di fronte sorge il YMCA, realizzato dallo stesso architetto che progettò l’Empire State Building a New York, costruito in pietra bianca con la sua caratteristica torre dell’orologio.
Jaffa Road ed il mercato coperto di Mahane Yehuda sono particolarmente animati durante la notte: le bancarelle si trasformano in piccoli locali e birrerie dalla musica ad alto volume frequentati dai giovani. Sfrecciano i tram semideserti sui binari della strada… gli utenti sono pochi per paura degli attentati. L’ultimo si è verificato su uno dei questi mezzi circa un anno fa con un attacco all’arma bianca dove hanno perso la vita 2 persone. Alcuni ragazzi girano tranquillamente con i mitra a tracolla, il governo pare incoraggi il porto d’armi per disincentivare od intervenire tempestivamente in caso di attentati.
Inevitabili i confronti con la zona est, molto più sporca, trascurata e dove risiede gran parte della popolazione arabo palestinese.
La città conta oltre 800.000 abitanti. Ormai la maggioranza professa la religione ebraica e per il 30% è composta da ultraortodossi, facilmente riconoscibili per il caratteristico abbigliamento. Gli uomini, con lunghe barbe e le caratteristiche treccine tzitzit, indossano capelli neri a falde larghe e vestiti neri, le donne vestono con modestia e ricoprono il capo con foulard o addirittura parrucche (i capelli, come nell’Islam, sono considerati un richiamo sessuale). Si tratta degli ebrei di origine ashkenazita, cioè provenienti dall’Europa centro orientale dalla carnagione chiara e che hanno conservato abitudini inalterate da secoli. Alcuni uomini, nonostante le temperature molto elevate, indossano anche singolari cappelli circolari di pelliccia. Il gran numero di ebrei ultraortodossi che circolano per la città fanno da contraltare alla laicità di Tel Aviv, evidenziando quanto conti in questo Paese all’appartenenza alla confessione ebraica. Gli ultraortodossi sono concentrati nel quartiere di Mea Shearim dove si respira quasi un’aria ottocentesca. Gli uomini sono dediti principalmente allo studio della Torah (cioè dei primi 5 libri della Bibbia) mentre i lavori più faticosi competono alle donne, escluse dall’istruzione superiore; per tutti loro c’è l’esonero dal servizio militare e sono mantenuti da sussidi statali, per questo le loro abitazioni appaiono molto modeste, quasi fatiscenti. Interessante notare come gli ultraortodossi non credano nel sionismo, cioè nella necessità che vi sia uno Stato Ebraico, in quanto ciò dovrebbe realizzarsi solo con l’arrivo del Messiah.
Gerusalemme, nonostante la tensione che si respira tra le comunità ebraica e palestinese, è meta incessante di pellegrini e turisti che affollano le strade della città vecchia che si suddivide in quattro quartieri: Armeno, Ebraico, Cristiano e Musulmano.
Il quartiere Armeno conta circa 15.000 abitanti, molti vivono a Gerusalemme da generazioni, altri vi sono arrivati più “recentemente” a seguito delle Crociate. L’Armenia fu la prima nazione al mondo a convertirsi al Cristianesimo, per questo molti desiderarono vivere in prossimità dei luoghi dove visse e predicò Gesù. Interessante entrare in contatto con i membri di questa comunità che parla un dialetto “occidentale” (diverso ma abbastanza comprensibile per i cittadini dell’odierna repubblica ex sovietica di Armenia). Molti negozi del quartiere producono e vendono ceramiche tradizionali, i cui motivi ricordano quelli turchi di Iznik. Anche i palestinesi del quartiere musulmano realizzano ceramiche ed i forni dove vengono realizzate sono localizzati soprattutto nella città di Hebron.
Nel quartiere cristiano sorge la basilica del Santo Sepolcro. La chiesa custodisce la tomba di Gesù ed è un luogo estremamente suggestivo e carico di secolari tradizioni: in epoca Omayyade, le chiavi furono consegnate dal califfo a due famiglie musulmane ed ancor oggi i discendenti provvedono tutti giorni all’apertura e alla chiusura delle porte d’accesso. Sempre alla stessa epoca risale la suddivisione tra le varie chiese cristiane delle diverse aree della basilica. La cappella centrale, dove file interminabili di pellegrini attendono pazientemente il proprio turno per entrare nella tomba dove venne riposto il corpo di Cristo avvolto dalla Sindone, è amministrato dalla chiesa ortodossa dall’epoca dell’impero bizantino.
All’ingresso principale è situata la lastra dell’unzione, dove il corpo di Gesù venne preparato per la sepoltura; poco più in alto sulla destra la cappella del Golgota, dove si conserva la pietra sulla quale venne fissata la croce. Purtroppo l’alta affluenza e gli invadenti flash degli scatti fotografici dimostrano lo scarso rispetto per uno dei luoghi più sacri della Cristianità…. gli Omayyadi forse si sono dimenticati a suo tempo di impartire le giuste regole di disciplina che invece regnano sovrane nel luogo più suggestivo della città: la spianata del Tempio (o spianata delle moschee per i musulmani).
L’accesso alla spianata è rigidamente regolamentato per i non musulmani e limitato a determinati orari; è interdetto totalmente l’accesso sia alla Cupola della Roccia (o moschea di Omar), sia alla moschea di Al Aqsa che perciò si possono ammirare solo dall’esterno.
Dopo la conquista di Gerusalemme est, le autorità israeliane permisero ai capi islamici di continuare l’amministrazione della spianata e ciò ha in seguito favorito la sottoscrizione del trattato di pace con la vicina Giordania. Tale stato di cose è fortemente contestato dagli ebrei nazionalisti i quali non possono raccogliersi in preghiera in quei luoghi nonostante vi fosse stato costruito in passato dal re Salomone il Tempio di Dio.
Distrutto dai babilonesi di Nabucco Donosor, il grande Tempio venne in seguito ricostruito e poi definitivamente distrutto dai romani, che soppressero la violenta rivolta della Giudea del 70 d.C. Venne successivamente eretto un nuovo edificio di culto dedicato a Giove, per questo nei pressi della moschea di Al Aqsa si trovano sparsi numerosi capitelli e resti di colonne dell’epoca classica.
Il sito è pervaso da un senso di pace, eppure la spianata costituisce l’epicentro di una conflittualità latente e sempre pronta a riesplodere in ogni momento.
Campanili, minareti, cupole degli antichi edifici costellano il panorama di questa città unica al mondo che si osserva dall’alto, dimenticando il trambusto e l’affollamento dei vicoli sottostanti.
La moschea di Omar, ricoperta da piastrelle blu smaltate, rifulge per il rivestimento d’oro della cupola donato dal re Hussein di Giordania ed è senz’altro il monumento più rappresentativo ed affascinante della città: custodisce la roccia su cui ebbe luogo il sacrificio d’Isacco e sulla quale era un tempo riposta l’arca dell’alleanza degli ebrei, il misterioso scrigno contenente le tavole della legge di Mosè e dotato di straordinari poteri.
I musulmani invece credono che esattamente in quel punto Maometto ascese al cielo, perciò dopo la Mecca e la Medina, questo è il terzo luogo più sacro dell’Islam.
In ogni caso, la sacra roccia coincide con il sancta santorum dell’antico Tempio e la sua inaccessibilità accresce la carica emotiva ed il fascino di questi monumenti.
Al Aqsa è meno spettacolare, ma quell’edificio una volta era la sede dei famosi Cavalieri Templari, così denominati proprio perché avevano durante le Crociate la loro sede nella spianata del Tempio, con il compito di proteggere i pellegrini in Terra Santa.
Il muro Occidentale (altrimenti noto come muro del pianto) è tutto ciò che resta del Tempio degli ebrei, anche se in realtà è semplicemente la parte visibile del muro di contenimento ad ovest della spianata, la quale fu realizzata artificialmente livellando una collina e riempiendo un dislivello nella sua parte meridionale. In quest’area, che gli ebrei utilizzano come una sinagoga, si prega in due aree distinte per uomini e per le donne.
Tra i pietre del muro di epoca erodiana, i fedeli inseriscono bigliettini di carta dove scrivono preghiere o desideri. Si accede in quest’area tranquillamente, basta coprirsi il capo con la tradizionale kippah e ci si ritrova in mezzo agli ultraortodossi, che pregano oscillando, e ragazzi festanti abbigliati con mantelli bianchi che trasportano le custodie cilindriche contenenti i rotoli della Torah.
Nei pressi del Muro Occidentale c’è uno dei luoghi più misteriosi di Gerusalemme: una grande galleria permette di osservare in profondità l’estensione del muro di contenimento e tre immensi megaliti in prossimità di un grande portale, oggi murato, che si dice conducesse ad un passaggio segreto fino al sancta santorum del Tempio… per accedervi però occorre prenotare la visita almeno una settimana in anticipo. Forse l’arca dell’alleanza venne fatta sparire da quel passaggio e nella lontana Axum (in Etiopia) la chiesa ortodossa locale sostiene che sia finita fin lì e gelosamente custodita in una piccola cappella.
Nei vari angoli della città vecchia, giovanissimi soldati vigilano con i mitra in bell’evidenza.
Alla spianata ed al muro del pianto si accede solo dopo scrupolosi controlli con i metal detector… e si girovaga senza meta nel labirintico intrico di strade, incrociando le stazioni della “via Dolorosa”, bazar e chiese delle innumerevoli confessioni cristiane orientali, tra cui anche un monastero Etiope con i monaci del Tigrai. Con uno di loro ho scambiato anche qualche parola in amarico, o almeno in quello che credevo di ricordare da un bellissimo viaggio di più di 10 anni fa in quelle terre lontane.
In un angolo del quartiere musulmano, non lontano dalla famosa Porta di Damasco, ecco l’Ospizio Austriaco, costruito in epoca asburgica per ospitare i pellegrini sudditi di Francesco Giuseppe e di Sissi. Nella sua caffetteria si sorseggia il tè con il walzer di sottofondo, assolutamente straordinario il panorama dalla terrazza che rischia di innestare una sindrome di Stendhal mentre risuonano le campane dalle cupole del Santo Sepolcro fondendosi in una divina sinfonia con gli esotici canti lontani dei muezzin.
Nei pressi della Porta di Jaffa, visitiamo la Torre di David, o meglio la Cittadella fortificata dove è ospitato il museo della città… all’interno delle mura giacciono i resti della presunta reggia di Erode da dove il prefetto romano Ponzio Pilato sottopose Gesù e Barabba al giudizio della folla. E fu qui che gli inglesi, durante la prima Guerra Mondiale, ottennero la capitolazione della guarnigione ottomana ed il controllo sulla Palestina, trasformata con il trattato di pace in mandato britannico fino al 1948, durante il quale iniziò il sionismo, cioè un movimento politico che si prefiggeva la creazione di uno stato ebraico in quella che fu la patria ancestrale.
… e così termina un viaggio in quella sottile striscia di territorio stretta tra il fiume Giordano ed il Mediterraneo che nel bene o nel male ha saputo stratificare ed intrecciare storie, religioni e leggende e che riassume e concentra conflitti e contraddizioni della nostra epoca travagliata e dei secoli che l’hanno preceduta.