L’altro Iraq
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Ma l’Iraq è anche altro! Culla della civiltà (il biblico Giardino di Eden era parte della Mesopotamia, ovvero “la terra tra i due fiumi”: il Tigri e l’Eufrate), il Paese tuttora conserva notevoli resti di antiche civiltà: basti pensare all’impero assiro, ai babilonesi, ai medi e persiani. Tutti qui hanno lasciato un’impronta.
Mentre ancora infuria la guerra a Mosul per la liberazione della città dai jihadisti, io decido di approfittare di una superofferta della Pegasus Airlines, e compro un biglietto per Erbil, a meno di 80 km dal fronte.
Erbil o Arbil (oppure Hewler, in lingua curda) è il capoluogo del Kurdistan Iracheno, una regione autonoma, di lingua curda, per l’appunto, protetta da una vera e propria frontiera interna che la divide dalle aree di lingua araba. A tutela della sicurezza dei suoi cittadini ci sono i famosi Peshmerga, ovvero “coloro che sfidano la morte”.
Com’è mia buona abitudine, registro prima di partire il mio viaggio sul sito “Dove siamo nel mondo”, e con un’e-mail segnalo la mia presenza al Consolato Italiano di Erbil, che premurosamente mi fornisce i contatti per poter gestire eventuali emergenze.
Mi imbarco sul primo volo, da Fiumicino ad Istanbul Sabiha Gokcen. Sorvolo la Puglia per intero, da nord a sud. Il cielo è limpido, si distinguono benissimo il Gargano e la Penisola Salentina, un vero e proprio ponte naturale gettato verso i Balcani. In pochi minuti dal Salento passo ai monti dell’Albania, quindi le isolette greche ed infine il Bosforo. Tutto questo mi fa riflettere molto: in fondo siamo vicinissimi ad aree dove si soffre per la guerra, eppure in tv tutto sembra così lontano… Il secondo volo è quello serale, che da Istanbul mi porterà in Iraq.
Ancor prima di arrivarvi, faccio già conoscenza con gente del posto. Di fianco a me in aereo è seduto Mustafa. A prima vista mi sembra sui 55 anni, invece mi spiega che lui è nato nel 1970, come mio fratello. È cittadino siriano di lingua curda. Non conosce l’inglese, tuttavia col mio arabo rudimentale riusciamo ad avere una bella conversazione. È scappato qualche anno fa dall’occupazione dei jihadisti, non senza aver prima riportato seri danni fisici a causa delle torture subite, tra le quali la perdita praticamente di tutti i denti. Riesce comunque ad arrivare in Germania, dove lo Stato gli paga gli interventi necessari per poter riacquistare finalmente il sorriso. Mi mostra la sua nuova dentiera, e urla “Germany Good! Germany Good!” quasi in lacrime: finalmente ora può ridere e mangiare perché ha dei denti nuovi! Quest’uomo mi fa sorridere e rattristare nello stesso momento: il semplice fatto di avere dei denti è diventato per lui fonte della forza necessaria per non arrendersi ed andare avanti. Mustafa mi fa poi vedere delle foto sul suo cellulare: ha ripreso tramite Google Map le immagini dall’alto della sua città e della casa di suo padre: appartiene alla sua famiglia da ben 400 anni! Mi spiega che quando è triste e sopraffatto dalla nostalgia, guarda queste foto, l’unico ricordo che ha della sua terra. Ora Mustafa è ad Erbil: si è ricongiunto alla sua famiglia, che nel frattempo è riuscita a scappare dalla Siria e si è stabilita proprio lì, dove sto andando io!
Sbircio dal finestrino. Ormai stiamo sorvolando l’Iraq, a breve atterreremo. Mi colpiscono le tantissime luci: il Kurdistan Iracheno sembra una terra densamente popolata. Riesco a distinguere le alte fiamme di vari pozzi di petrolio: è una terra ricca. Grazie ad esso, la Regione è riuscita ad ottenere l’autonomia e a raggiungere livelli ormai invidiabili di sicurezza e benessere, rispetto al resto del Paese.
Finalmente atterro ad Erbil. Essendo cittadino dell’Unione Europea, non ho bisogno del visto per poter entrare nel Kurdistan Iracheno: mi appongono sul passaporto un timbro che permette il soggiorno gratuito per un mese. Mentre cambio il denaro in dinari iracheni, ripenso a Mustafa e all’avventura appena incominciata: chissà quante altre persone incontrerò durante il mio soggiorno, e cos’avranno ancora da raccontarmi!
Arrivo quasi all’alba all’albergo dove soggiornerò per 4 notti in totale: Erbil CIP Hotel, a una ventina di minuti a piedi dal centro. Si è rivelata la soluzione migliore per chi cerca una sistemazione economica in posizione strategica.
PRIMO GIORNO
Subito dopo aver fatto colazione, mi incontro con uno dei 5 Couchsurfer che conoscerò personalmente durante il mio soggiorno. Mohammed è manager di una radio locale, oltre a gestire una scuola di lingue. Si offre di mostrarmi la Cittadella e il centro della città.
Dovete sapere che Erbil è molto probabilmente la città più antica del pianeta: la sua cittadella è sopraelevata di 32 metri rispetto al Bazar situato ai suoi piedi. Si tratta di un tell, ovvero di una collina rotonda che si dice si sia formata con la sovrapposizione di più civiltà nel corso dei millenni. Testimonianze storiche citano il nome della città da almeno 6 mila anni. La Cittadella è quindi un luogo abitato praticamente da sempre. Nel 2014 è stata inclusa dall’UNESCO nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Nel 2007 è incominciato un enorme lavoro di restauro di tutto il centro, che ha comportato l’allontanamento praticamente di tutti i residenti. Ad una sola famiglia è stato concesso di restare in essa, per non farle perdere appunto il primato di luogo abitato più antico della Terra. All’apice della sua storia, i residenti erano divisi tra tre quartieri distinti: l’aristocrazia, i dervisci e i contadini (rispettivamente Saray, Takya e Topkhana).
L’area della Cittadella misura 102.000 metri quadri e conta almeno 600 abitazioni. Mi colpisce molto l’entrata attraverso la Porta Ahmadi, da dove la Qalat Street (la via principale che la taglia in due) porta alla Moschea del Mulla Afandi, ricostruita nel 1957 dopo la demolizione dell’edificio precedente, pur conservando al suo interno elementi molto antichi, in quanto questa moschea è stata demolita e ricostruita più volte nel corso della storia, ma l’edificio religioso originario risale agli albori dell’Islam, dopo il 640 d.C. Di fianco alla moschea si può ammirare un hammam (bagno pubblico) del 1775.
La strada continua dunque fino alla Grande Porta, che conduce all’esterno della cinta muraria. Immediatamente prima di essa, si trova il Museo Tessile del Kurdistan, assolutamente da non perdere!
Visito con Mohammed questo piccolo gioiello, del quale mi colpisce soprattutto il cortile interno su due livelli, completamente tappezzato di tappeti locali fatti a mano. Molto bella anche la collezione dei berretti, che identificano l’appartenenza tribale di chi li indossa. Scopro così che Mohammed appartiene alla tribù dei Dizey. La lavorazione di questi capolavori è sorprendente, e i colori dei vari filamenti davvero accesi. È indubbiamente una delle collezioni di tappeti più bella che io abbia mai visto in vita mia!
Dopo una breve pausa nel caffè del Museo Tessile, facciamo quindi un salto al Museo delle Pietre Preziose e delle Gemme del Kurdistan. Molto interessante è soprattutto la struttura che ospita il museo, con travi in legno a vista e mattoncini. È il risultato di anni di restauri minuziosi, vale davvero la pena di soffermarsi ad ammirare i dettagli di questi edifici. All’interno del Museo si fa notare una composizione di varie pietre dai colori vivaci.
Lasciamo quindi la Cittadella attraverso la Grande Porta: di fronte a me la magnifica vista sulla Shar Garden Square, per me la piazza più bella della città! Giochi di fontane, aiuole, panchine, ruscelli e laghetti artificiali, il tutto contornato da una magnifica Torre dell’Orologio e dai portici del Bazar.
Discendiamo quindi il tell della Cittadella, ed entriamo nel vecchio Qaysari Bazaar, considerato uno dei mercati più antichi del mondo. Anche qui tutto è stato restaurato meticolosamente. Colori, profumi e voci mi ricordano che siamo nel cuore del Medio Oriente. Tuttavia devo ammettere che di arabo non ha nulla: questo Bazar mi ricorda piuttosto quello visitato un anno prima a Tabriz, in Iran. Effettivamente la stessa lingua curda non ha nulla a che fare con l’arabo, né col turco. È invece molto simile alla lingua persiana. Il confine tra Kurdistan Iracheno e Iraq arabofono è quindi più di un confine interno: separa in realtà la civiltà semitica dai popoli indoeuropei. Mohammed mi parla di spinte secessioniste. In effetti la bandiera nazionale irachena, rossa, bianca e nera, con al centro le parole in verde in arabo “Allah Akbar” (Dio è Grande) campeggia solo davanti a pochi edifici pubblici. Erbil è invece invasa da migliaia di bandierine tricolore del Kurdistan: rosso, bianco, verde, con il sole giallo al centro. E non posso che interrogarmi sul futuro di questa terra. Semmai dovesse esserci una secessione, mi auguro che non sarà accompagnata dall’ennesima guerra!
Dopo un delizioso pranzetto nel bazar, tipicamente curdo, che ricorda molto i famosi mezè libanesi, prendiamo un tè in un tipico locale ai piedi della Cittadella, dove assisto ad una partita di backgammon tra Mohammed e il suo amico americano Noah, insegnante di inglese residente ad Erbil da qualche mese. Si tratta di un vero e proprio “sport nazionale”: più che le regole di questo gioco, per me tuttora poco comprensibili, mi hanno molto colpito le tavolette che si utilizzano per disporre le pedine e lanciare i dadi: sono dei veri e propri capolavori, in legno, dipinte a mano ed ognuna diversa dall’altra.
Di fianco a me siede una persona anziana: Hossein. Mi comincia a raccontare di com’era dura la vita sotto il regime di Saddam. Più volte pestato ed imprigionato, riesce a scappare in Russia, chiede asilo politico, ma viene trattato allo stesso modo ed imprigionato anche lì per oltre un mese! Alla fine, dopo tante avventure, riesce a ritornare in patria…
Giornata molto intensa: torno in hotel a riposare e cercare di assimilare quanto vissuto in queste ore. Erbil è una città molto pulita, ordinata e sorprendentemente sicura! Sono ad 80 km dal fronte anti-ISIS di Mosul, ma qui sembra di essere in una qualunque cittadina mediorientale. Potrei essere tranquillamente in Iran o in Giordania: sono invece in Iraq, in un Paese in guerra!
SECONDO GIORNO
Non appena fatta colazione, mi viene a prendere Rashid, insieme al suo amico Sarkawt. In tre andiamo alla scoperta della natura del Kurdistan Iracheno!
Viaggio interessantissimo anche quello di oggi: innanzitutto mi attirano lungo la strada che si inerpica per le montagne curde dei venditori ambulanti di una verdura mai vista prima: il “rewas”. Si tratta di una specie di broccolo pelosetto, che i curdi sgranocchiano crudo, condito unicamente con del sale. Ha un sapore gradevole, simile al cetriolo. Lungo il tragitto se ne vedono a quintali! Vengono venduti in mazzetti da un kilo circa l’uno.
I monti del Kurdistan mi sorprendono: immaginavo l’Iraq come una terra desertica e calda. Qui invece il paesaggio mi ricorda l’Irlanda: colline verdissime dai colori quasi fosforescenti e un’aria piuttosto fresca!
Eccoci finalmente arrivati dopo vari tornanti all’entrata della cascata di Gali Ali Beg, a 130 km da Erbil. Situata all’interno della Gola di Rawanduz, risulta davvero spettacolare, nonostante il salto d’acqua non superi una decina di metri. È riprodotta persino sulle banconote irachene da 5.000 dinari. Il posto non è certo tranquillo: un chioschetto all’immediata entrata del sito offre musica a tutto volume, oltre a bibite e stuzzichini vari. Inoltre il luogo è sovraffollato da iracheni di lingua araba. Mi spiega poi Rashid che molti di loro sono benestanti fuggiti in Kurdistan a causa della guerra a Mosul, che passano ora il tempo visitando i luoghi turistici della regione, in attesa di poter ritornare a casa.
Ad ogni modo il luogo è idilliaco, e sono tanti i belvedere intorno ad essa, che offrono delle belle vedute davvero fotogeniche! Bello anche il ponte in legno che permette di raggiungere la riva opposta del laghetto che la cascata forma ai propri piedi.
Riprendiamo poi il cammino e andiamo a visitare il Bekhal Resort con l’omonima cascata. Purtroppo qui tutto è in costruzione, per cui il fascino di un tempo non c’è più. Ben presto però mi viene spiegato che il sito verrà riaperto ai turisti, peccato che io debba accontentarmi di vedere questa scenografica cascata attorniata da dei cantieri!
Ci fermiamo a pranzo in un localino tipico nel centro della cittadina di Shaqlawa, a 50 km da Erbil. Assaggio quindi il Tashrib: si tratta di manzo, verdure e sugo di pomodoro adagiati su del pane sistemato in precedenza nel piatto. Il tutto accompagnato da una tipica bevanda rinfrescante a base di yogurt, dal forte sapore di latte di capra: il Mastaw.
Ormai lungo la strada del ritorno, ci fermiamo a visitare il castello di Khanzad, nonostante la pioggerellina, che, devo dire, dona comunque un’atmosfera molto particolare a questo luogo storico. Questo castello è situato a 22 km da Erbil, su di un’altura e venne costruito ai tempi di Solimano Beck principe di Soran, nel XVI sec. Su due livelli, a pianta quadrata, è circondato da 4 torri circolari. Molto bello il paesaggio che si ammira dall’alto delle sue torri sulle colline attorno, come pure la vista del castello dai piedi della collina.
Tornati ad Erbil, andiamo a visitare il Parco del Minareto, nome che deriva dalla presenza al suo interno di quel che resta di un’antica moschea del 1190. Il minareto è alto 36 mt, e di fronte ad esso è stata sistemata la statua di Mubarak Ahmad Ibn Al Mustawafi (1167-1239), ex ministro e storico che viene tuttora ricordato per aver redatto la storia della città di Erbil in ordine cronologico. La cosa che però mi sorprende di più di questo parco è la presenza di una grande mongolfiera, nonché di una teleferica che lo collega al vicino parco Shanadar, attrattive purtroppo usufruibili soltanto di venerdì. Mi viene spiegato che nei weekend l’area ricreativa è sovraffollata. I curdi iracheni sono un popolo allegro, che ama rilassarsi con gli amici e la famiglia, nonostante la situazione difficile.
Andiamo quindi a visitare l’adiacente Parco Shanadar. I due parchi sono separati da una strada molto trafficata. Attrattiva principale è il palazzetto circolare, dalla cui cima scorrono cascate artificiali tutt’intorno, trasformandolo in una vera e propria fontana. Al suo interno ci sono mostre di dipinti astratti raffiguranti la cittadella, davvero molto belli, e vengono venduti souvenir di vario genere. Comincia a piovere, quindi termina qui la mia passeggiata con Rashid.
La sera vado a cena con un amico di penna di vecchia data: in questo caso però non si tratta di un Couchsurfer. Aws infatti abitava a Mosul quando conoscemmo anni fa tramite un sito per imparare le lingue straniere gratuitamente. Il caso ha voluto che dopo aver deciso di visitare Erbil, scopro che lui ora vive proprio lì, così passiamo una bella serata davanti a un piatto di carne alla brace. Mi racconta di come sia riuscito a scappare dalla sua città nascondendosi in contenitori per l’olio, raggiungendo prima la Turchia, per poi ritornare in Iraq fermandosi però nel Kurdistan. Lui ora vive da solo, fa l’insegnante, sa che la sua famiglia sta bene e si trova nella parte della città liberata dall’esercito, ma non può ancora raggiungerli, se non rinunciando al suo lavoro.
È ormai tardi, vado a dormire. Nei miei pensieri ancora il racconto di Aws, come pure quello di Mustafa incontrato in aereo, e di Hossein, incontrato nella sala da tè. Che tristezza: l’uomo è davvero capace di atrocità indicibili. Per fortuna alcune di queste brutte storie hanno poi un lieto fine. Questo dà la speranza a quanti ora soffrono, di un futuro migliore, nonostante la situazione possa sembrare disperata…
TERZO GIORNO
Questo giorno lo dedicherò a completare la mia visita della città di Erbil.
Questa mattina la passerò con Barzan, studente universitario che, per sbarcare il lunario, lavora anche come fixer per i giornalisti stranieri che seguono l’evolversi della battaglia di Mosul, tra i quali anche alcuni italiani. Mi racconta delle varie situazioni di pericolo in cui si è trovato, che è meglio non raccontare. Tuttavia non ha paura, e continuerà ancora per molto a fare questo lavoro.
Andiamo prima di tutto a visitare la Moschea Jalil Khayat. È la più grande moschea di Erbil. Commissionata nel 2007 dal commerciante Jalil Khayat, l’edificio si estende su 15.000 mq. I due minareti sono alti 65 mt. La moschea può ospitare fino a 2000 fedeli. Chiedo e ottengo il permesso di visitare i suoi interni: davvero un capolavoro. Mi ricorda come stile le moschee iraniane, soprattutto la facciata esterna.
Andiamo quindi nel quartiere cristiano di Ainkawa, e visitiamo il Museo dell’Eredità Culturale Siriaca. Quella dei siriaci è un’antica cultura. Si tratta di una popolazione di religione cristiana che ancora utilizza la lingua siriaca, imparentata con l’aramaico, per motivi liturgici. L’esposizione è ben organizzata. Mi attira soprattutto il quartiere di Ainkawa in miniatura: anticamente era un villaggio non ancora inglobato nella ormai vastissima periferia di Erbil, che oggi conta più di 1.300.000 abitanti. Vi sono inoltre esposti costumi tradizionali, raffigurazioni di scene di vita quotidiana (ad esempio il commercio e la filatura della lana). Molto interessante anche il pannello dedicato all’alfabeto siriaco e al sistema di scrittura cuneiforme. Un altro oggetto che attira la mia attenzione è un kit per la distillazione di liquori in casa. Mi sorprendono poi le biografie di vari siriaci di spicco del passato, in quanto la stragrande maggioranza di essi nacque a Mosul, cosa che fa molto riflettere, data la recente pulizia etnica che questa popolazione ha subito proprio in quella città. In realtà questa terra non è musulmana o curda o araba: è terra di tantissimi popoli che hanno convissuto per millenni…
Di fronte al Museo Siriaco c’è una collinetta con dei ruderi. Si tratta dell’area archeologica di Qasra Knoll, con i resti del Palazzo di un governatore locale, risalente al periodo assiro, circa 600 anni prima di Cristo. Facciamo poi un salto alla vicina Chiesa di San Giorgio, purtroppo chiusa…
Dopo un tipico pranzetto curdo in un ristorante tradizionale self service nella periferia di Erbil, a base di sarlube e dolma (salsiccia e foglie di vite ripieni entrambi di carne e riso speziato), andiamo a smaltire il tutto con una bella passeggiata nell’altro parco, il più grande della città.
Il Parco del Martire Sami Abdul Rahman è stato ricavato in quella che era la sede del Quinto Corpo dell’Esercito Militare di Saddam Hussein. Sami Abdul Rahman era un politico curdo ucciso in un attacco terroristico suicida nel 2004. Su di una lapide al suo interno una scritta ricorda che LA LIBERTÀ NON È GRATUITA. Il parco è davvero vastissimo, e conviene spostarsi in auto per poter visitare più aree. È situato lungo la 60 Meter Street, il cui nome indica la larghezza di questa strada. Mi viene poi spiegato che esistono ancora altre due strade con nomi simili, man mano che ci avvicina alla Cittadella: la 30 Meter Street e la 10 Meter Street. Davvero un modo fantasioso di dar nomi a delle strade!
Barzan ora deve tornare all’università. Lo ringrazio sentitamente per il suo tempo e incontro il penultimo amico curdo di questo viaggio. Povero Hewr! A lui tocca la parte peggiore: dovrà accompagnarmi nel Bazar ed aiutarmi a trovare dei souvenir da portare a casa! Hewr lavora come impiegato presso un’organizzazione umanitaria che si occupa del collocamento dei rifugiati provenienti dalle zone di guerra. Insomma: bene o male tutti hanno a che fare con questa situazione. Lui spera di perdere velocemente il suo lavoro perché questo vorrà dire la fine di un conflitto che, almeno psicologicamente, ha stancato ormai tutti! Nel Bazar mi attira un oggetto in particolare: è un piccolo pezzo di storia vivente! Un commerciante ci dice che è appena arrivato un carico di preziose Saponette di Aleppo, provenienti proprio dalla Siria in guerra! Nonostante la grave situazione, gli artigiani ancora collaborano nel fabbricare il famoso sapone di Aleppo, a base di olio di oliva e olio di alloro, seguendo ancora l’antica ricetta dei loro avi, vecchia di millenni, nonché i bellissimi astucci in legno intarsiato che lo contengono. Decido quindi di acquistare questo piccolo tesoro da portare a casa come souvenir per me, la mia famiglia, alcuni amici e i miei pazienti colleghi, che stanno lavorando al posto mio, mentre io mi godo gli ultimi momenti in questo meraviglioso Paese.
L’ultimo amico curdo che incontro, prima di tornare a casa, è il fratello di Rashid: si chiama Aree. Ceniamo insieme fermandoci presso un chioschetto che prepara dell’ottimo kebab, lungo la trafficatissima e rumorosissima via Iskan, dove, per festeggiare la vittoria di una squadra di calcio, all’improvviso tutto si trasforma in grande festa: fuochi d’artificio, traffico impazzito, clacson e urla di gioia! Il popolo curdo è davvero molto allegro, credo abbia il giusto carattere per poter affrontare le sfide di una storia da sempre travagliata e ingiusta nei loro confronti.
Do l’ultimo saluto ad Aree e all’Iraq sulla terrazza panoramica di una sala da tè: Aree mi racconta la situazione difficile che hanno vissuto lui e la sua famiglia in questi ultimi anni. La sua abitazione è a metà strada tra Erbil e Mosul. Hanno vissuto questo periodo avendo praticamente i terroristi a una decina di minuti da casa, sempre pronti a scappare via in ogni momento, fosse stato anche in piena notte. Per lui quindi ora avere il fronte a una quarantina di km è un vero miracolo: mai sentitosi così sicuro come ora!
Arrivo in aeroporto che è notte fonda. L’aereo parte puntuale. Decolliamo: ecco le luci dell’Iraq dal mio finestrino. Le stesse luci che qualche giorno prima avevano destato in me molta curiosità, ma che ora mi raccontano di storie di profughi, violenza, guerra, ma anche di un popolo allegro e tenace, determinato a costruirsi il proprio futuro ad ogni costo!
Andrea Bonfitto