Israele, un’indescrivibile emozione

Uno sguardo laico su una terra unica per storia e religiosità, che ti rimane nel cuore per sempre
Scritto da: airada
israele, un'indescrivibile emozione
Partenza il: 03/04/2011
Ritorno il: 10/04/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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03-10 aprile 2011

Credo che un viaggio in Israele sia una pietra miliare per il viaggiatore amante della conoscenza, curioso e affascinato dalla storia, ricercatore della spiritualità. Io lo sognavo da tanti anni, ma, data la sempre turbolenta situazione politica, non sembrava mai essere il momento giusto. Allora, nell’aprile del 2011 (ma solo ora mi sono decisa a condividere questa esperienza) sono partita e basta, senza farmi intimorire da avvenimenti di cronaca. Durante la settimana trascorsa nel paese (tranne alcuni luoghi particolari), nel complesso non ho mai percepito sensazioni palpabili di paura: sicuramente ormai la popolazione convive con la situazione politica e va avanti con la vita quotidiana. E’ ancora con emozione che mi accingo a raccontare la mia esperienza. Ho scelto un viaggio organizzato e ho avuto una bravissima guida, che, pur essendo ebrea, ha sempre cercato di dare le informazioni in forma oggettiva: essendo laica ho preferito non viaggiare con associazioni religiose per mantenere una visione il più obiettiva possibile, sulle varie culture.

Raccontando il mio viaggio, non ho potuto fare a meno di aggiungere alcune notizie storiche, per avere un quadro più completo del paese: ho evidenziato questi “passi” in corsivo, così, volendo, possono essere saltati (naturalmente la mia speranza è che risultino interessanti).

DOMENICA 3 APRILE

Parto da Roma con volo Alitalia alle ore 9.20 e arrivo a Tel Aviv, dopo circa 3 ore, all’aeroporto Ben Gurion. Lì incontro la guida (che poi ci accompagnerà per tutto il tour) e conosco le altre 8 persone del gruppo. Con un bus arriviamo all’hotel Mercure di Bat Yam (località balneare a sud di Old Jaffa, piena di ristoranti, gelaterie e con un bel lungomare). Lasciate le valige in camera, prendiamo subito tre taxi che ci portano a Tel Aviv (circa 20 min.), dove facciamo un giro a piedi in alcune strade del centro, parallele al bel lungomare (Tayelet), pieno di hotel moderni e con una spiaggia spaziosa, senza stabilimenti balneari (almeno in quel tratto). Tel Aviv è una città giovane di circa 100 anni, con un misto di grattacieli e case basse: ci sono moltissime costruzioni nello stile Bauhaus, che le hanno dato il nome di città bianca. Nella zona della via Bograshov c’è un centro commerciale e le vie limitrofe sono piene di negozi arredati con cura, bar, ristorantini: è una città giovane che vive 24 ore. Al ritorno in taxi, attraversando il quartiere di Neve Tzedek (il più antico di Tel Aviv che un tempo apparteneva a Jaffa) e passando per Old Jaffa, intravedo stradine antiche piene di localini carini, con i soffitti di pietra e arredati con gusto (lampadari in cristallo). Peccato non poter fare un giretto a piedi, ma la stanchezza e l’orario non lo permettono. Tornati in hotel, ceniamo al Ristorante Gaucho, situato in un piccolo centro commerciale annesso all’albergo.

LUNEDì 4 APRILE

Il cielo è nuvoloso ma partiamo in bus alla volta di Old Giaffa. Le antiche stradine strette di pietra sono molto affascinanti e oggi piene di piccole botteghe artistiche. Originariamente le case erano di color rosa-rosso. Giaffa era già dall’antichità famosa per la produzione di agrumi (arance e pompelmi), coltivati su terrazzamenti: in una piazzetta troviamo una moderna scultura con un vaso appeso di coccio contenente un albero di arancio. Ci sono anche testimonianze dell’antico Egitto (due pilastri con iscrizioni egiziane che credo appartenessero all’antica strada Via Maris che collegava l’Egitto con la Siria e la Mesopotamia, passando per Giaffa). Saliamo poi all’Abrasha Park, situato un po’ in collina e dal quale si gode un bellissimo panorama sul litorale di Tel Aviv: è molto d’effetto vedere il contrasto tra i grattacieli in lontananza e le antiche mura del porto di Giaffa in basso. Nel parco c’è una scultura moderna con scolpiti: Gerico, il sogno di Giacobbe e il sacrificio di Isacco. C’è anche la chiesa cattolica di S. Pietro: pare infatti che in questa città si trovi la casa di Simone il conciatore (S. Pietro), in cui, secondo il Nuovo Testamento, S. Pietro ebbe la visione che lo esortò a diffondere la parola di Gesù. Davanti alla chiesa c’è una figura che rappresenta Napoleone Bonaparte, accampatosi nei dintorni di Giaffa nel 1799. Scendiamo poi verso l’antico porto (citato nell’Antico Testamento come porto di arrivo del cedro del Libano per il tempio di Salomone, nel Medioevo principale porto della Palestina: i Veneziani avevano creato un servizio di galee per il trasporto dei pellegrini). Mi piace moltissimo e mi emoziona pensare che in questo luogo uno dei miei eroi preferiti, Riccardo I, si è meritato ulteriormente il suo appellativo di “cuor di leone”, combattendo con gran coraggio nella difesa di questa postazione crociata: lo stesso Saladino, ammirandolo, gli inviò durante la battaglia, un nuovo cavallo per rimpiazzare quello di Riccardo colpito!

Secondo la leggenda Giaffa fu il luogo da cui Giona, profeta minore, si imbarcò per raggiungere Tarsis. Durante una tempesta venne gettato in mare poiché identificato come causa della stessa, venne poi inghiottito da un “grande pesce” (balena..) e vomitato sulla spiaggia grazie a una preghiera. E’ anche il posto, secondo il mito, in cui Perseo salvò Andromeda dal mostro marino.

Ci avviciniamo quindi alla Torre dell’orologio (1906) e ai resti di una specie di porta che ricorda vagamente quella di Brandeburgo e che credo appartenesse ad un palazzo. Ripreso il bus attraversiamo Tel Aviv cercando di carpire e fotografare qualche scorcio dai finestrini (questa volta non scendiamo). La nostra giuda Sachy Louria è veramente preparata: ebreo non praticante è informatissimo su tutte le religioni e civiltà, ci spiega tante cose che durante la settimana cerco di assimilare, ma non è facile fare tanti collegamenti in questo paese troppo ricco di storia!

Tel Aviv è stata fondata nel 1909 da un gruppo di residenti della vicina città di Giaffa: sessanta famiglie che si riunirono sulla spiaggia ed estrassero a sorte il lotto di terra che spettava a ciascuna. Il nome della città, la “collina della primavera”, fa riferimento a un passo della Bibbia che lo indica come il luogo dove trovano casa i fuoriusciti che rientrano in patria dopo l’esilio.”Collina (tel) della primavera (aviv)” è anche il titolo della traduzione ebraica di Altneuland, il romanzo scritto nel 1902 da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista.

Nel 1995 la città fu teatro del tragico attentato in cui perse la vita il Premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin.

Vediamo da lontano anche la Borsa dei diamanti e apprendo che Israele è importantissima per la lavorazione e taglio di questa pietra. Lasciata Tel Aviv percorriamo la costa verso Cesarea, una delle più grandi città dell’antichità: il suo porto rivaleggiava con quello di Alessandria d’Egitto e Antiochia.

Fondata da Erode il Grande ((73 a.C.4 a.C.), re della Giudea sotto il protettorato romano dal 37 a.C. alla morte che governò tutta la Giudea dopo la morte del padre, prima per incarico di Marco Antonio e poi di Ottaviano Augusto (al quale dedicò la città) dalla parte del quale era prontamente passato dopo la sconfitta di Antonio ad Azio. Nel 6 a. C. fu la sede del governo romano di Palestina e divenne la prima città del paese quando Gerusalemme fu distrutta dopo una rivolta, nel 70 d. C. Fu teatro di numerose battaglie e distruzioni da parte dei conquistatori, tanto che nel secolo XIV gran parte della città era scomparsa sotto le dune di sabbia. Negli ultimi quindici anni imponenti lavori di scavo hanno fatto diventare Cesarea uno dei siti archeologici più grandi e famosi del paese.

Arriviamo per prima cosa al teatro e purtroppo inizia a piovere, ma noi non ci scomponiamo e, tirati fuori gli ombrelli, iniziamo la visita lo stesso: il teatro, dell’epoca di Erode, viene trasformato in castello durante la dominazione bizantina. E’ in una splendida posizione sul mare, però le gradinate restaurate, tolgono, secondo me, fascino all’insieme. Dopo aver attraversato una zona con reperti archeologici, tra i quali i resti di una villa sul mare di cui rimangono dei pezzi di pavimento a mosaico, troviamo, sempre lungo il mare, le pietre (non restaurate) dell’anfiteatro, ampia spianata per la corsa delle bighe. Erode aveva costruito un porto artificiale restaurato durante il periodo bizantino che era molto frequentato dai pellegrini che arrivavano in Terra Santa: di quest’epoca rimangono (e ci arriviamo mentre per fortuna ha smesso di piovere) le terme e la sinagoga bizantina (che fa collocare in questo luogo il quartiere ebraico), con i resti di belle colonne in marmo e pavimenti a mosaico. Dopo un periodo di declino durante la conquista araba, Cesarea fu riscoperta dai Crociati di Baldovino I nel 1101 e in seguito, nel 1251, fa circondata di imponenti mura da Luigi IX, mura che inclusero la preesistente fortezza medioevale e che furono distrutte dai mamelucchi. Cesarea mi è piaciuta molto con il suo fascino sprigionato dai resti di quel porto che ha visto nell’antichità tanti arrivi di pellegrini, crociati ed è stato teatro di battaglie. Il sole che nel frattempo è uscito contribuisce ad abbellire la vista di queste mura possenti. Appena fuori della città vediamo i resti ben conservati di un acquedotto romano. Proseguiamo il tragitto verso Haifa dove, appena arrivati, ci fermiamo a pranzo nel ristorante “Alleby” dove si gustano delle specialità locali come purè di ceci e polpettine fritte. Haifa è una grande città, la terza di Israele, con il più importante porto israeliano. Ha un’impronta abbastanza elegante e residenziale e, salendo in alto sul Monte Carmelo, ammiriamo da un belvedere un bellissimo panorama del porto, del promontorio chiamato “Stella Maris”e delle diciotto terrazze dei giardini Bahai. Qui gli adepti della fede Bahai hanno stabilito il loro centro spirituale e mondiale.

La fede Bahai ha avuto la sua origine in Iran da dove il suo fondatore, Baha ‘u ‘llah venne esiliato dopo la rottura con la fede Sciita alla fine del XIX secolo, rifugiandosi così ad Akko (San Giovanni d’Acri). Egli rimase impressionato dalla bellezza del Monte Carmelo ed espresse il desiderio che il Bab, il precursore della fede, fosse lì sepolto. Il Santuario, con la sua cupola dorata (alta ben 40 metri e ricoperta di oro 14 carati) ed i marmi provenienti dall’Italia che lo circondano e con i suoi pilastri di granito fu costruito nel 1953 per divenire poi una delle maggiori attrazioni turistiche di Haifa. Lasciata Haifa ci dirigiamo verso Akko (S. Giovanni D’Acri):

gli Arabi presero la città nel 638, i Crociati nel 1104, facendola il loro porto principale in Palestina. Riconquistata da Saladino nel 1187, assediata da Guido di Lusignano nel 1189 e conquistata ancora da Riccardo I d’Inghilterra nel 1191, diventando la capitale di ciò che rimaneva del Regno di Gerusalemme. Nel 1229 fu posta sotto il loro controllo dai cavalieri Ospitalieri. Fu il caposaldo finale dello Stato crociato (Outremer) e cadde nell’assedio del 1291 dei Mamelucchi. Gli Ottomani, sotto il Sultano Selim I conquistarono la città nel 1517, avviando una fase di pressoché totale decadenza per la città. Maundrell nel 1697 la trovò in completa rovina, salvo per un caravanserraglio occupato da alcuni mercanti francesi, una moschea e poche povere ville. L’Assedio di San Giovanni d’Acri fu il primo confronto della Terza crociata, iniziò il 28 agosto 1189 e durò fino al 12 luglio 1191.

Appena arrivati ad Akko ci dirigiamo verso la Cittadella (fortificazione ottomana, edificata sulla cittadella costruita a suo tempo dall’Ordine degli Ospitalieri:

Faceva parte del complesso difensivo della città, rafforzando il muro settentrionale. Nel corso del XX secolo, la cittadella fu per lo più usata come prigione e luogo d’impiccagione). Entrati nella cittadella iniziamo la visita delle sale dei cavalieri (costruite dai Cavalieri dell’Ordine degli Ospitalieri), un complesso di sale comunicanti, una grande Hall (dove oggi fanno talvolta dei concerti) e un refettorio con volte crociate e pilastri molto grandi. Queste sale sono state per tanti anni sommerse dai detriti e c’è voluta molta fatica per svuotarle. L’impressione provata è molto affascinante mi ha ricordato il Krak dei cavalieri in Siria (relativamente agli interni). E’ tutto molto suggestivo: in un angolo si nota una scultura che rappresenta un giglio (tipo di fiore molto comune in Palestina) che verrà poi usato dai francesi come loro simbolo. Entriamo anche in un primo tunnel, stretto ma non soffocante (tutto bellissimo). All’uscita ci addentriamo nella città vecchia e percorriamo una strada più larga fiancheggiata da bancarelle, poi a destra entriamo nella Moschea Al-Jazzār ( costruita da Jazzār Pashā, soprannominato “il macellaio”, la sua tomba è all’interno). La Moschea ha un bel cortile con una fontana per le abluzioni, una cupola grande e altre più piccole di un bel colore verde. L’interno è molto bello con una zona più in alto, separata, per le donne: i colori predominanti sono il bianco e l’azzurro e ricorda vagamente la Moschea blu di Istanbul (in scala molto ridotta). All’uscita della Moschea sbirciamo tra stradine strette e caratteristiche del suq arabo con bancarelle di pesce, ma molti negozi sono chiusi. Questa città ha per me un’atmosfera particolare molto vicina ai ricordi delle mie letture sulle crociate: mi evoca immagini “lette” e mi sembra di tornare indietro nel tempo! Arriviamo nella zona del porto, dove c’è un’altra Moschea con la cupola turchese, colore di scale, porte e finestre, che spicca sul colore beige delle pietre delle case. Al porto ci sono dei colori bellissimi e nell’acqua si vedono i resti di una torre (bizantina?). Sbirciamo nel cortile di un caravanserraglio, ancora più affascinante perché non è restaurato e poi entriamo nel tunnel dei cavalieri templari, formato da 2 gallerie, parzialmente illuminato ed eccitante nell’attraversarlo. Sbucherà al mare (infatti era usato come via di fuga): qui spiccano le mura difensive della città, edificate nel 1800-1814 da Jazzār Pascià , che comprendono anche delle Burj (grosse torri di difesa) e sopravvissero all’assedio di Napoleone. Salgo sulle mura che non sono molto alte, e da qui si vede un bellissimo panorama del monte Carmelo e di tutta la baia di Haifa: includono anche i resti di una fortificazione dei templari. Siamo al tramonto e la luce è veramente meravigliosa! Concludiamo la giornata arrivando al kibbuz Lavi, dove dormiremo per 2 notti: l’hotel, con gestione autonoma rispetto al funzionamento di tipo cooperativo del kibbuz, è molto confortevole e pulito, con bagni nuovi e ben arredati.

MARTEDì 5 APRILE

Iniziamo la giornata alle 8 con una visita al kibbuz, accompagnati dal rabbino proprietario dell’hotel, italiano, che pare si sia trasferito qui per seguire la moglie. Ci fa attraversare una bella zona verde ben curata nella quale sono inserite le abitazioni, con relativi giardinetti, delle persone che condividono quest’esperienza di vita in comune, anche se, da come ho capito io, in questo luogo la vita è sentita in modo più “capitalistico” che in altri kibbuz: pare che le persone possano lavorare anche fuori della struttura e sono quindi più autonomi in tante cose, pur condividendo moltissime attività con il resto della comunità. Prossima tappa: Safed, capoluogo dell’Alta Galilea (850m di altitudine), centro dell’insegnamento mistico ebraico della “Khabala”. Nel XVI secolo accolse numerosi studiosi e dottori della fede, in maggioranza sefarditi cacciati dalla Spagna dall’Inquisizione. Purtroppo oggi avremo la pioggia per l’intera giornata, ma per fortuna poi il tempo sarà sempre buono. Il primo impatto con Safed è la vista di un muro pieno di buchi di colpi di arma da fuoco che ricorda gli scontri del passato tra palestinesi e ebrei. Superata una bancarella di spremute di melograno (ne vedremo moltissime in giro in Israele), ci addentriamo nei vicoli della città vecchia dove, nel 1930, si è trasferita una colonia di artisti che hanno aperto laboratori e botteghe artigianali. E’ molto suggestivo passeggiare per queste stradine antiche lastricate di pietra sulla quale spicca l’azzurro di porte e finestre. Fotografo insegne in arabo e ebraico, mi piace molto l’atmosfera nonostante l’umido della pioggia!

Il vecchio quartiere ebraico è un dedalo di stradine che nasconde dozzine di sinagoghe. Risalenti per la maggior parte al XVI secolo, queste contengono i ricordi dei grandi rabbini cabalisti, che riposano nel cimitero della città. Entriamo nella sinagoga (credo) di Isacco Abohav (altro famoso rabbino, venuto dalla Spagna): anche qui predomina l’azzurro su un baldacchino centrale e il soffitto a cupola ha, sul fondo bianco, dei disegni simbolici di piante e animali. Ad un tratto entra una scolaresca di ragazzi ebrei accompagnata da guardie armate di mitra: la guida ci spiega che i minori in gita sono sempre scortati da guardie! Faceva un certo effetto vedere di colpo ragazzi armati entrare nella sinagoga, non nascondo un momento di all’erta! La seconda sinagoga che visitiamo è quella di Isacco Luria, ashkenazita (uno dei maestri della cabala): nelle vetrate sono rappresentati dieci cerchi o vasi (kelim) chiamati Sefirot (“Numeri Cerchiati”), riconducibili alle sue teorie sulla cabala. I cabalisti di Safed hanno riletto e interpretato lo Zohar (Libro dello Splendore), nato in Castiglia e diventato il terzo pilastro del giudaismo, accanto alla Torah e al Talmud. Dopo il misticismo delle sinagoghe ci rilassiamo (sempre di fretta perché la guida non ama molto le soste nei negozi) tra le botteghe artigiane arredate e allestite con molto gusto (è turistico ma raffinato): tra gli oggetti particolari spiccano, per manifattura, le mezuzà, astucci in cui è racchiuso un rotolino di pergamena, sul quale sono stati trascritti a mano, con grande precisione ed inchiostro speciale, i primi due brani dello Shemà (la più nota di tutte le preghiere, la prima mormorata dal bambino piccino, l’ultima pronunciata da ogni ebreo sul letto di morte). La mezuzà è presente in ogni casa ebraica, sullo stipite destro della porta di entrata e di quelle che conducono alle varie stanze (a 2/3 dello stipite stesso, cioè all’altezza degli occhi di un adulto): essa è il simbolo della protezione del Signore ed indica, pure, che in quella casa vivono delle persone che osservano i Suoi precetti. Lasciata Safed ci dirigiamo a nord per raggiungere, ai piedi del monte Hermon, una delle tre sorgenti del fiume Giordano (non è la maggiore ma la più caratteristica): infatti, nonostante la pioggerellina, è un posto molto bello. La sorgente vera e propria è piccola: si vede una piccola zona tonda dalla quale sgorga l’acqua del sottosuolo, ma tutt’intorno lo scenario è magnifico. Poco più in alto c’è la zona archeologica di Cesarea Philippi (sempre del tempo di Erode il grande) con resti di un tempio di Pan, una grotta con piscina molto suggestiva, delle nicchie nella roccia e i resti di un tempio di Giove, il cui pavimento è crollato in seguito a un terremoto.

Il figlio di Erode il grande, Erode Filippo II o il tetrarca, costruì un insediamento urbano nella zona chiamato Cesarea Philippi, per distinguerla da Cesarea sul mare. Siamo nel periodo dell’imperatore Tiberio (ci sono monete con l’effige di Tiberio coniate da Erode Filippo, e in quel periodo il fratello Erode Antipa fondò la città di Tiberiade, dedicandola all’imperatore romano).

Dopo la visita al sito ci dirigiamo sulle famose alture del Golan per arrivare al confine Siriano, zona di scontri tra israeliani e siriani nel passato. Purtroppo questo tragitto si rivela un po’ sprecato per il lungo tempo di percorrenza in relazione a quello che si può vedere sotto la pioggia e con l’orizzonte nuvoloso. Ma poco male, in fondo in tutto il viaggio risulterà l’unico percorso inutile. Ripercorrendo la strada verso sud arriviamo al lago di Tiberiade dove ci fermiamo in un ristorante a pochi metri dall’acqua per mangiare del pesce locale. Anche qui la vista, per i motivi precedenti, non è delle migliori, peccato! Dopo pranzo ci aspetta un percorso dedicato interamente ai luoghi dove Gesù ha vissuto la maggior parte della sua vita operando parecchi miracoli. Questa parte delle giornata, e tutto il resto della Galilea, per me che non sono credente osservante, non mi attirava particolarmente: invece si rivela interessante, soprattutto dal punto di vista storico, anche se non così emozionante come la zona costiera e tutto il rimanente percorso. Sui resti dei luoghi antichi sono state costruite chiese moderne. A Cafarnao Gesù trascorse il periodo più significativo della sua predicazione in Galilea, ospite in casa della madre di S. Pietro. Qui avrebbe curato il lebbroso e avrebbe chiamato a sé i primi apostoli: Pietro, Andrea, Marco, Giovanni e Matteo. Cafarnao fu distrutta nel 700 dagli arabi e mai più abitata. Alla fine del 1800 i francescani acquistarono il sito e costruirono una chiesa molto moderna, ben strutturata e sopraelevata, in contrasto con i resti di 2 chiese sovrapposte (la prima probabilmente costruita sui resti della casa di Simon Pietro e la seconda ottagonale più grande) di duemila anni fa, che si intravedono dal pavimento in vetro della parte centrale: veramente ben costruita. All’ingresso del complesso francescano c’è una statua di S. Pietro con le chiavi in mano e reperti archeologici di capitelli con disegni molto belli, tra cui spicca la stella di David sia classica che arrotondata a nodo. Si nota anche il rilievo di un’Arca dell’Alleanza (dove vengono custoditi i rotoli della Torah) posta su 4 ruote, che potrebbe riprodurre l’arca della sinagoga di Cafarnao. Infatti in questa particolare sinagoga il luogo che indica Gerusalemme e dove si doveva posizionare l’Arca, è a sud ed è occupato dalle porte d’ingresso dei fedeli. Quindi era necessario, dopo aver chiuso le porte, sistemare l’Arca nella giusta direzione: per questo motivo serviva un’Arca mobile.

All’esterno ci sono i resti di abitazioni in basalto nero dei pescatori locali e più in fondo, le bellissime rovine di una sinagoga, tra le più antiche: sotto ai resti della prima (in pietre calcaree bianche e forse di epoca bizantina) sono stati trovati quelli di un’altra preesistente dell’epoca di Gesù: i francescani hanno contribuito a un parziale restauro. Questo angolo mi è piaciuto moltissimo: è bellissimo il contrasto tra il bianco della sinagoga, le pietre nere delle case e la chiesa moderna sopraelevata.

Seconda tappa della Galilea è Tabgha: qui c’è un santuario benedettino costruito nel 1982 sui resti di 2 chiese, una cristiana e un’altra bizantina (480 d.c.), edificate intorno alla la roccia dove Gesù depose i cinque pani e i due pesci e li moltiplicò per sfamare oltre 5000 persone. Attualmente la pietra, rimpiccolita, è posta sotto l’altare, davanti al quale c’è un bel mosaico che raffigura 2 pesci e un cesto di pani. I mosaici, di epoca bizantina, sono molto belli e di influenza egiziana come si evince dai temi che rappresentano uccelli e fiori tipici dell’Egitto e, al lato destro dell’altare, un nilometro, la cui parte superiore rosata è originale. Ultima tappa della giornata il monte delle Beatitudini e la chiesa dove sono raffigurate le otto Beatitudini riportate nel discorso della montagna: la chiesa, moderna non è niente di particolare. L’interno della cupola è tutto dorato e sui lati ci sono 8 vetri azzurri con iscritte le beatitudini. Invece i giardini che circondano il complesso sono molto curati e c’è un bel panorama sul lago. Ogni giro turistico deve pagare l’obolo con una visita obbligata in negozi convenzionati: questa volta abbiamo dovuto assistere ad un filmato (per fortuna breve e non troppo noioso) sulla lavorazione dei diamante, per cui Israele è leader, e successivo passaggio nel negozio adiacente.

MERCOLEDì 6 APRILE

Oggi la prima destinazione è Nazareth, la più grande città araba di Israele, dove il 60% della popolazione è musulmana e dove, secondo la tradizione cristiana, Gesù visse 20 anni della sua vita. Il primo luogo che visitiamo è la fontana di Maria, ora asciutta per la chiusura della falda e, non molto lontano, la chiesa ortodossa di San Gabriele nella cui cripta si trova il pozzo dove Maria andava ad attingere acqua: secondo la tradizione greco-ortodossa, essendo questa l’unica fonte di approvvigionamento d’acqua del paese, era molto probabile che Maria vi si recasse di frequente e che lì avesse ricevuto l’annuncio. La chiesa è molto bella con un portale dell’epoca crociata e piena di dipinti colorati sui toni dell’azzurro di stile armeno-russo. Scendiamo nella cripta di stile crociato ma con mattonelle colorate sul turchese di stampo arabo. All’esterno c’è una piazza con bancarelle dove, a volo, riusciamo a comprare qualche souvenir. Ci dirigiamo poi verso il centro di Nazareth, percorrendo una bella strada lastricata con un muro di pietra. Attraversiamo il mercato e la via dei falegnami, dove ci sono realmente botteghe di falegnameria! Gli scorci che vediamo, pur non essendo eccezionali, sono però suggestivi e non turistici. Entriamo nella Chiesa della sinagoga, un angolo particolare che è il luogo dove c’era la prima sinagoga in cui Gesù, ebreo adolescente, predicava. L’interno è in pietra, spoglio, probabilmente una chiesa d’epoca crociata. Adiacente al sito c’è la chiesa parrocchiale della comunità greco ortodossa di Nazareth. Arriviamo quindi alla Basilica dell’Annunciazione, la più imponente chiesa del Medio Oriente, nel sito della casa di Maria e dove, secondo la tradizione cristiana, l’Arcangelo Gabriele avrebbe annunciato alla Vergine che sarebbe diventata madre del Messia. Gli scavi condotti in vista della costruzione della basilica attuale (edificata su progetto dell’arch. Giovanni Muzio tra il 1960 ed il 1969, anno in cui fu consacrata), hanno messo alla luce i resti di due chiese precedenti, una bizantina e una crociata e addirittura qualche rudere del primitivo edificio giudeo-cristiano. Prima della basilica c’è un cortile e un portico, sulle pareti del quale sono appesi quadri che ricordano ai pellegrini i santuari della Vergine più venerati nella loro terra di origine. Devo dire che questa chiesa moderna non mi ha particolarmente colpito, pur essendo molto grande, però è interessante osservare le diversità dei vari quadri, sia di quelli appesi nel portico, che degli altri esposti all’interno. Nella facciata, in cui sono rappresentati i 4 apostoli con i loro simboli, c’è un bel portale di bronzo. Entriamo nella basilica inferiore, moderna ma con i resti di un muro antico sulla sinistra: ci sono delle finestre con vetri colorati, ma la cosa più bella sono i resti della grotta dell’annunciazione, tradizionalmente identificata con la casa di Maria; pare che la parte in muratura fu trasportata tra il 1291 e il 1294 a Loreto nel Santuario. Saliamo al piano superiore, chiesa parrocchiale per i cattolici di Nazareth: poiché il nome della città significa “bocciolo”, la bellissima cupola ha una forma particolare che richiama un bocciolo. La cosa migliore di questa parte superiore è la presenza, come nel portico, di tanti quadri che rappresentano Maria, provenienti da tutti i paesi del mondo, dipinti, a mosaico o in rilevo, secondo gli stili artistici delle varie nazioni. Mi diverto a guardarli con interesse, specialmente la vergine in Kimono, dal Giappone, bellissima! Nel pavimento intarsiato all’ingresso c’è il ricordo di Giovanni XXIII che approvò il piano della nuova basilica. All’uscita della Basilica si possono vedere nei sotterranei i resti dell’antico villaggio di Nazareth, composto principalmente da grotte. In questa città si percepisce il grande contrasto tra la maggioranza musulmana islamica e la comunità cattolica più piccola ma portatrice di moltissimi pellegrini e non ultima anche quella greco ortodossa: a sottolineare questo c’è un cartello arabo, ben in mostra sullo sfondo della basilica, che condanna chiunque non segue la religione islamica! Credo che sia uno degli aspetti più sintomatici del clima che si respira in Israele.

Dopo Nazareth arriviamo al più importante sito archeologico di Israele: Beit Shean, occupata dai Romani nel 64 a.C., ricostruita e resa capitale della Decapoli, le “dieci città” della Samaria che erano centri della cultura greco-romana (evento così importante che il calendario della città inizia con quell’anno). Il primo colpo d’occhio sugli scavi è molto scenografico perché sullo sfondo di colonne bianche spiccano i resti di una fortezza (dove un tempo c’era l’acropoli) sul verde del tel (collina che racchiude resti antichi), l’erba del quale è mossa da un leggero venticello che crea un particolare effetto di movimento! Ci rechiamo subito ai resti del teatro, con i sedili molto ben conservati che aveva una capienza di circa 7000 spettatori. Oggi dalla scalinata si può vedere tutto il sito ma anticamente c’erano dei muri che schermavano la visuale della città. Proseguendo la visita troviamo i resti interessanti e divertenti di una grande latrina pubblica, con i sedili tutti allineati e senza prova evidente di una separazione tra zona uomini e donne. I più ricchi invece usavano bagni privati. Ci sono poi i resti di un’area di culto del periodo romano: probabilmente questi templi erano parte integrante dell’agorà. Ammiriamo quindi i resti di un complesso di colonne romane che affiancavano una piscina ornamentale: nell’epoca bizantina (500 d. C.) sulla piscina fu costruito un edificio, abbattuto dagli arabi nel 600 per innalzare un grande palazzo, distrutto poi nel 749 d. C. da un terremoto. Tra i resti del palazzo fu trovata un’iscrizione che indicava l’avvocato samaritano Silvanus come promotore della costruzione, per cui la strada adiacente fu chiamata con il suo nome. Gli effetti del terremoto sono ben visibili dalla posizione delle colonne e capitelli “sdraiati” sul terreno in posizioni particolari, caduti tutti nello stesso verso. Concludiamo la visita attraversando il bel “cardo” (strada fondamentale delle città romane con andamento nord-sud: in questa città manca il “decumano”, altra strada importante con andamento est-ovest) con mosaici sul pavimento e passando per un complesso termale bizantino. La sosta pranzo di oggi viene fatta in un altro kibbuz: Nir David (campo di David), fondato del 1936. L’esterno è molto curato con prati verdi, alberi, fiori, con le casette ben inserite nei giardini, però il ristorante, che nei kibbuz è comune a tutti, è abbastanza squallido e sinceramente l’idea che gli abitanti della comunità debbano ogni giorno mangiare in questa mensa, mi sembra un po’ triste! Il senso di malinconia appena provato si dissolve con la visione della zona di Qumran: è veramente un posto emozionante. Era da tanto tempo che avevo sentito parlare di questo luogo e dei famosi “rotoli del Mar Morto” qui ritrovati nel 1947: avevo anche visto in un museo in Siria dei frammenti di qualche rotolo, ma trovarsi proprio accanto alle grotte nelle quali, racchiusi in anfore, sono stati rinvenuti i manoscritti è tutta un’altra cosa. Per arrivare qui abbiamo percorso la Cisgiordania, uno dei territori occupati da Israele: la situazione è molto complessa in questa nazione, ma credo di aver capito che i territori sono le zone sotto il controllo di Israele (la cui modalità varia nelle diverse parti) ma non riconosciute dall’Onu. Qui in particolare vivono parecchi arabi ma è l’esercito israeliano a controllare il territorio. Abbiamo costeggiato il fiume Giordano finché entra nel Mar Morto, che ci appare di un bel colore azzurro chiaro con a destra rocce dorate del deserto e a sinistra le montagne giordane colorate di rosa nel tramonto: paesaggio veramente spettacolare e rilassante. A Qumran il fascino non è in quello che si vede (qualche grotta e pochi resti di un monastero dove viveva una comunità ebraica di esseni) ma senz’altro nell’atmosfera di mistero e nel paesaggio. Tutto bellissimo!

La scoperta delle grotte: nel 1947 un pastore beduino scoprì casualmente quella che oggi è chiamata “grotta 1”, contenente una serie di giare di terracotta, nelle quali erano stati deposti dei rotoli avvolti nel lino. Alcuni rotoli furono acquistati a Betlemme da un mercante cristiano, venduti poi a Gerusalemme e portati negli Stati Uniti . Dopo la guerra arabo-israeliana del 1948, nel 1949, fu individuata la “grotta 1” e trovati altri 70 manoscritti e furono scoperte negli anni successivi altre grotte con materiale interessante su pergamena, papiro o rame. Dopo la pubblicazione dei rotoli sono iniziate le polemiche sulla loro reale origine, che, secondo le tesi, favoriva la parte ebraica o cristiana. I testi sono di grande significato religioso e storico, in quanto comprendono alcune delle uniche copie superstiti dei documenti biblici: datano tra il 150 a.C. e il 70 d. C e sono comunemente associati all’antica setta ebraica detta degli Esseni. La loro importanza è nel fatto che per la prima volta composizioni religiose sono arrivate a noi direttamente, assolutamente prive di ogni interferenza successiva, né ebraica né cristiana. I manoscritti più antichi della Bibbia erano nel testo masoretico ( la versione ebraica della Bibbia ufficialmente in uso fra gli ebrei e i cristiani, diffusa fra il primo e il X secolo d. C., che contiene varianti, alcune significative, con la più antica versione greca detta dei Settanta (Septuaginta) tradotta direttamente dall’ebraico da 70 saggi ad Alessandria d’Egitto verso il 250 a. C. e in uso dalle chiese greco-ortodosse). Nonostante pochi manoscritti trovati nel Qumran differiscano molto dal testo masoretico, la maggior parte è identica.

Lasciando Qumran continuiamo nella luce del tramonto a costeggiare il mar Morto (il punto più basso sotto il livello del mare, a 400 metri) fino ad arrivare alla località di Ein Bokek dove si trovano la maggior parte degli hotel: purtroppo il nostro (Hotel Leonardo) non è situato direttamente sulla spiaggia, ma un po’ più in alto mentre il Leonardo Club, della stessa catena, è proprio sul mare. Questo fatto ci ha praticamente impedito di fare il bagno nelle salatissime acque del Mar Morto perché, per fare questa esperienza tanto desiderata, avremmo dovuto, l’indomani, alzarci molto presto, fare una lunga passeggiata o prendere una navetta per scendere alla spiaggia. L’avremmo anche fatto, ma l’acqua a quell’ora sarebbe stata fredda e sinceramente troppo stressante il tutto. Allora, appena arrivati, facciamo la cosa più “saggia”: un bellissimo bagno in piscina, ma con l’acqua del mare, salatissima, che ti fa galleggiare moltissimo. Per fortuna al centro della piscina c’è una sbarra per mantenersi, evitando di capovolgersi e rischiare di bagnarsi gli occhi (casa da evitare per il troppo sale). E’ molto divertente.

GIOVEDì 7 APRILE

La mattina dopo, lasciato l’hotel, chiediamo alla guida di fermarsi in un punto bellissimo dove, al posto della spiaggia, c’è una lastra di sale bianchissimo, con l’acqua azzurra e trasparente, che almeno riusciamo a toccare, e sullo sfondo deserto e palme: una scenario veramente magico! Poi proseguiamo per un altro “must”: Masada. La giornata è bellissima, sole e caldo e già dalla base, la roccia di Masada ti fa emozionare. Prima di prendere la funivia che porta in cima, entriamo nel Museo dove, dal 2007, i manufatti archeologici sono esposti in delle vetrine illuminate, distribuite in nove “set teatrali”. I temi ricorrenti sono tre: Erode, i Ribelli e l’esercito romano, sistemati in una scenografia in cui sono stati ricreati pavimenti, pareti, figure scolpite ed elementi architettonici del tempo (una tavola in pietra apparecchiata con le prelibatezze che deliziavano Erode, un campo militare della Decima legione che assediò Masada) tutti nei toni dal grigio scuro al nero, con un’ illuminazione ridotta che dà risalto agli angoli delle varie sale espositive.

I cenni storici ci sono forniti dall’opera di Giuseppe Flavio (durante la prima guerra giudaica, del 66, Giuseppe era governatore militare della Galilea per le forze ribelli assediate nella fortezza del Monte Tabor: quando queste decisero di suicidarsi in massa, per non cadere nella mani dei romani, Giuseppe li convinse a uccidersi uno alla volta e fece in modo di rimanere l’ultima persona viva consegnandosi ai romani. Il comandante romano era Tito Flavio Vespasiano: Giuseppe gli predisse che sarebbe diventato imperatore, ottenendo il suo favore e cambiando il nome in Flavio Giuseppe): si va dagli anni del dominio del re Erode (cui si deve la costruzione di Masada), attraverso gli anni della Grande Rivolta contro Roma, periodo in cui i ribelli vivevano abbarbicati sulle montagne, fino ad arrivare all’assedio romano e la caduta di Masada. L’ultimo spazio espositivo è dedicato al responsabile degli scavi archeologici nel sito, il Professor Ygael Yadin.

Iniziamo la salita con la funivia che ci porterà a 400 m rispetto al Mar Morto: la salita è emozionante. La prima cosa che si vede sulla destra sono i resti di un accampamento (ce ne sono più di uno) della Legio X Fretensis dell’esercito romano, che assediava i ribelli rifugiati nella fortezza di Masada durante la prima guerra giudaica. Molte persone salgono a piedi lungo il sentiero del serpente, unico punto di accesso alla rocca prima della funivia, molto tortuoso e ripido. Dalla cima la vista sul Mar Morto è spettacolare: costeggiamo le mura alte cinque metri che, lungo un perimetro di un chilometro e mezzo, con una quarantina di torri alte più di venti metri, la racchiudevano, rendendola pressoché inespugnabile. Masada è stata in parte ricostruita ed è diventato uno fra i più importanti siti archeologici di Israele: quasi all’inizio della fortezza, accanto alla zona dei magazzini e prima del Palazzo del Nord di Erode, troviamo i resti della residenza del Comandante della guarnigione di guardia. Sicuramente era un’abitazione splendida poiché il sovrano, temendo continuamente ribellioni nel suo regno, teneva in grande considerazione l’uomo preposto alla difesa della rocca. Invece, durante l’occupazione degli zeloti, l’edificio divenne molto modesto. Raggiungiamo il lato Nord della fortezza che nel I sec. a. C. era il palazzo di Erode il Grande, arroccato su tre diversi livelli verso lo strapiombo, i resti del quale sono ancora ben visibili, protesi nel vuoto. Le pietre rosate spiccano nitidamente sull’azzurro del cielo! Costeggiando verso ovest, sorpassiamo cisterne, la sinagoga del periodo zelota e vediamo dall’alto l’imponente rampa d’accesso costruita dai romani per portare le torri d’assedio sotto le mura di Masada.

Quando, dopo tre anni di assedio, i romani entrarono nella città (74 D.C.) senza incontrare resistenza, trovarono un’ecatombe: gli zeloti, dopo un sorteggio, uccisero le donne e i bambini, per poi togliersi la vita a vicenda, per non cadere nelle mani nemiche e dimostrando di non essersi piegati a Roma anche dopo la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Secondo Tempio. Rimasero in vita solo alcuni bambini e due donne, nascostisi per scampare alla morte o lasciati in vita per raccontare l’accaduto.

Sicuramente questa visita non ha deluso le mie alte aspettative: Masada è un sito che merita assolutamente di essere ammirato e goduto. La sua particolarità non è tanto nella bellezza dei reperti, abbastanza semplici, ma nella collocazione paesaggistica! La sosta pranzo anche oggi viene fatta in un kibbuz (Ein Gedi, dal nome dell’oasi naturalistica che andremo a vedere poco dopo): questo posto è particolare perché è sul mare, con lo sfondo delle montagne, del deserto e ravvivato da palme! Con una piccola discesa si arriva all’acqua, dove superati ciottoli lisci, si può galleggiare in modo buffo: c’è anche una doccia per togliere il sale eccessivo, ma purtroppo non sono molto attrezzata per fare il bagno: è destino! A poca distanza dal kibbuz entriamo nell’oasi, dove scorrono dei piccoli ruscelli, alimentati da sorgenti e cascate. Attraversando flora (acacie e spine di cristo) e fauna particolare (vediamo un piccolo animale detto hyrax o procavia che sembra uno scoiattolo senza coda) iniziamo una bellissima passeggiata che, salendo su un sentiero roccioso, ci porta alla spettacolare cascata Shulamit, dove la guida ci legge in un posto quasi mistico il XXIII Salmo “Il Signore è il mio pastore”: anche io, così poco religiosa, resto affascinata! Questo luogo è nominato nella Bibbia come il deserto in cui si nascose il re David, inseguito dal re Saul.

Apro una parentesi su questo importante personaggio, fondamentale nella storia di Israele: Dio, dopo aver scelto Saul come re di Israele, si pentì dicendo che Saul non aveva portato a termine i suoi comandamenti, allora ordinò al profeta Samuele di scegliere un nuovo re tra i figli di Jesse e “unse” il più giovane David. Il re Saul, tormentato da spiriti malvagi mandati da Dio, fa chiamare a corte il giovane guerriero David, che lo allieta col suono della sua arpa. Durante la guerra tra gli Israeliti di Saul e i Filistei, il gigante Golia (che appartiene a quest’ultimi) sfida un campione nemico ad un singolo combattimento per decidere l’andamento della guerra: David si offre e, dopo averlo colpito con un sasso della suo fionda, gli taglia la testa. Saul lo fa comandante supremo e gli dà in sposa la figlia Michal, ma poi, geloso della sua crescente popolarità, cerca di ucciderlo. Avvisato dall’amico Jonathan, figlio di Saul e innamorato di lui, fugge divenendo l’eroe degli oppressi: finge di passare dalla parte dei Filistei, ma rimane Israelita. Saul e Jonathan vengono uccisi dai Filistei (David non partecipa alla battaglia) sul Monte Gilboa e alla fine David, a 30 anni, diventa re di Israele. David conquista la fortezza di Gerusalemme facendola sua capitale e portando l’ “Arca dell’alleanza” (una cassa di legno di acacia, rivestita d’oro, di forma parallepipeda, con sopra il coperchio d’oro due statue di cherubini d’oro. All’interno la manna, la verga di Aronne e le tavole della legge: alla costruzione del tempio di Salomone però conteneva solo queste ultime) per costruire un tempio, ma Dio vuole il tempio per le generazioni future: promette però a David che la sua stirpe durerà per sempre. Alla morte di David diventerà re suo figlio Salomone (avuto da Betsabea): il suo regno è considerato dagli ebrei un’età “ideale”, come il periodo “augusteo” a Roma e la sua saggezza proverbiale. Fu lui a costruire il Primo Tempio di Gerusalemme, punto focale della religione ebraica e distrutto poi dai babilonesi di Nabucodonosor II nel 586 a. C. Dopo l’esilio babilonese gli ebrei costruirono il Secondo Tempio (detto anche Tempio di Erode, che, nel 19 a. C. lo ampliò), distrutto nel 70 d. C. da Tito. Le sinagoghe divennero luoghi di culto dopo la distruzione del Tempio mentre prima erano luoghi di incontri.

Lasciata l’Oasi di Ein Gedi ci dirigiamo finalmente verso Gerusalemme dove arriviamo al tramonto, in tempo per ammirare la città da un punto panoramico sul Monte Scopus, situato nella parte orientale, che ospita alcune importanti Facoltà dell’Università Ebraica di Gerusalemme, la più antica israeliana e una delle migliori del mondo. E’ stata costruita durante il Mandato britannico della Palestina (con questo nome s’intendeva grosso modo l’attuale territorio israeliano), che permise al Regno Unito di governare tra il 1920 e il 1948.

I britannici avevano promesso la Palestina agli arabi come paese indipendente e agli ebrei come “casa nazionale”: nel periodo del Mandato l’immigrazione ebraica nella zona subì una netta accelerazione, specialmente dopo l’olocausto. Il 30 novembre 1947 le Nazioni Unite decisero la spartizione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico, il controllo dell’ONU su Gerusalemme e la fine del mandato Britannico non oltre il 1 agosto 1948. Le reazioni furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici l’accettò e il 15 maggio 1948 alla vigilia della fine del mandato, il Consiglio Nazionale Sionista dichiarò costituito lo Stato Ebraico; gli arabi palestinesi non proclamarono il proprio stato e iniziarono apertamente le ostilità contro Israele.

Da questa collina abbiamo il primo contatto emozionante con questa splendida città: si intravede la cupola dorata che è il simbolo di Gerusalemme e che nei giorni seguenti ammireremo dalle più svariate angolazioni. In questa zona si trova il nostro hotel: il Dan Jerusalem, costruito tutto degradante sul pendio. L’albergo è bello e dotato anche di un ottimo ristorante (anche con cucina giapponese). Lasciati velocemente i bagagli in camera, dopo cena iniziamo un giro serale della città, proposto dalla guida e accettato all’unanimità! Io, patita di mura medioevali e della storia delle crociate, sono veramente eccitata alla vista delle possenti mura della città, che con l’illuminazione notturna aumentano il loro fascino. Facciamo una sosta sul lato est, vicino all’angolo dove si intravedono ancora le mura erodiane (Erode fece un gran lavoro di riempimento della base dell’attuale spianata delle moschee, dove, nella sua epoca, sorgeva il tempio di Gerusalemme al quale dedicò parecchi anni di lavori di ampliamento). Sulle mura erodiane Saladino costruì quelle dell’epoca crociata e poi ancora Solimano il magnifico, a partire dal 1537, edificò quelle attuali. (Naturalmente ci sono differenze di perimetro tra le varia epoche). Lungo il lato est, appena sotto le mura, si vede un cimitero arabo (contrapposto a quello ebraico, situato di fronte sulle pendici del monte degli ulivi), che arriva fino alla Porta della Misericordia, oggi chiusa, poiché per la tradizione ebraica deve aprirsi solo all’arrivo del Messia. In mezzo ai due cimiteri si snoda la valle di Josafat, che letteralmente significa “Dio giudicherà”: infatti, secondo la bibbia è il luogo dove avverrà il giudizio universale. Anche qui ci sono delle tombe molto antiche, anche cristiane. Ripreso il bus, facciamo un bel giro nella parte moderna di Gerusalemme, dove sostiamo vicino al mulino di Montefiore, costruito in onore di un ricco mecenate ebreo inglese: da qui c’è un belvedere sulla città vecchia. Attraversiamo poi, prima in bus e poi per un piccolo tratto a piedi, il quartiere di Mea Shearim, uno dei più antichi della città, dove vivono gli ebrei più ortodossi. E’ veramente un posto unico: si vedono i “classici” ebrei con capelli lunghi a riccioli vestiti di nero, donne con abbigliamento molto sobrie, addirittura con parrucche per coprire i capelli. I residenti della zona hanno messo dei cartelli nelle aree di accesso sconsigliando l’entrata nel quartiere per essere lasciati in pace o esortando le persone ad indossare abiti “casti” nel camminare per le strade! Continuiamo a girare con il bus nel centro della Città nuova tra il triangolo formato dall’intersezione tra Jaffa Road, Rehov King George V e la via pedonale di Ben Yehuda: di quest’ultimo, che ebbe un ruolo di primo piano nella rinascita dell’ebraico moderno come lingua parlata, vediamo, da fuori, anche la casa dove visse a Gerusalemme.

VENERDì 8 APRILE

Stamattina iniziamo il giro tornando nella città moderna, nella zona che ospita il cuore politico e amministrativo della capitale israeliana: prima di scendere dal bus intravediamo il pennone in acciaio di 120 metri del ponte dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava costruito in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dalla fondazione di Israele e poi passiamo, a piedi, davanti al Palazzo del Parlamento, la Knesset, sostando, per le foto di rito, di fronte al suo ingresso dove spicca un dono del governo inglese: una grande menorah (candelabro a sette bracci) in bronzo dello scultore Elkan, che raffigura 29 scene della storia degli Ebrei. Ci rechiamo poi al più importante dei musei di Gerusalemme: l’Israel Museum, che presenta un affascinante panorama della civiltà ebraica, ma noi visiteremo soltanto il santuario del Libro, dove sono esposti i celebri manoscritti del mar Morto. La forma del Santuario è esternamente quella di un coperchio di giara, tutto bianco, ed è veramente emozionante ed interessante vedere da vicino i preziosi rotoli dei quali abbiamo in precedenza visitato il loro sito originale! All’esterno del Museo c’è un bellissimo plastico in scala 1:50 che rappresenta la Gerusalemme del 66 a. C., prima della sua distruzione nel 70. E’ una splendida e accurata ricostruzione che ci permette di avere un panorama completo della città. Il secondo museo che visitiamo è quello dell’Olocausto o “Yad Veshem”, dedicato al ricordo dell’olocausto all’interno del quale vi è inserito uno straordinario archivio storico. Il Museo è collocato sulle pendici del monte HarHaZikaron (il Monte del Ricordo): è veramente molto interessante e toccante! Sicuramente organizzato meglio di quello di Berlino, che mi aveva colpito per dei particolari architettonici che trasmettevano il senso di tragedia universale. Qui sono ben documentati in ordine cronologico gli eventi storici che ebbero origine dal momento in cui i Nazisti presero il potere, testimoniando la ricerca degli ebrei, il loro allontanamento dai ghetti fino alla “Soluzione finale” ed al genocidio di massa. Il museo include fotografie, film, documenti, lettere, lavori artistici ed articoli personali trovati nei campi e nei ghetti ed anche frammenti ed estratti dei diari dei bambini. I manifesti, le foto, i filmati sono in formato “grande” e ci si immerge veramente nella storia e nella conseguente tragedia: è una cosa da non perdere. Prima di entrare nel museo, attraversiamo il “viale” dei giusti dove sono stati piantati oltre 2.000 alberi in onore dei non Ebrei che misero a repentaglio la propria vita per salvare gli Ebrei dai Nazisti (tra loro spiccano i coniugi Schindler). All’uscita invece troviamo la Yizkor Tent ( Padiglione del Ricordo), molto suggestivo, ambiente scuro nel quale le ceneri dei defunti sono bruciate in una perpetua fiamma e sul pavimento si leggono i nomi dei principale campi di concentramento. Infine visitiamo lo “Yad Layeled”, il memoriale dei bambini, che ricorda il milione e mezzo di bambini Ebrei sterminati durante l’olocausto. Questo monumento è stato costruito per merito di una coppia di ebrei di Bevery Hills in memoria del figlio Uziel. Si entra in un piccolo ambiente completamente buio e si passa in un corridoio con le pareti scure di vetri e specchi nei quali si riflettono, moltiplicandosi, migliaia di fiammelle: è indescrivibile come siano riusciti a trasmettere in questo modo una tristezza persa nell’universo!

Lasciati i musei ci dirigiamo verso Betlemme, che dista una decina di km da Gerusalemme.

Qui la situazione politica è più complicata: dopo il mandato britannico durato fino al 1948, la città doveva essere amministrata dell’ONU ma fu annessa dalla Giordania fino alla guerra dei sei giorni del 1967 quando fu occupata da Israele insieme alla Cisgiordania; nel 1995 però la città passò sotto la completa gestione e il controllo militare dell’Autorità Nazionale Palestinese. Per questo motivo è separata dal territorio di Gerusalemme da un lungo e tetro muro grigio, con qualche graffito tipo ex muro di Berlino.

La nostra guida ebrea scende dal bus e rimaniamo con l’autista che, essendo arabo, può entrare e veniamo “rilevati” da una guida araba dopo aver passato il posto di blocco. Qui si avverte subito un’altra atmosfera: siamo di colpo passati in zona musulmana e si respira un’aria meno tranquilla, non so se è solo la mia impressione. Ci portano prima in un ristorante per il pranzo. Il proprietario (cristiano copto) è amico della guida, come quello che gestisce il negozio accanto di souvenir; poi andiamo (divisi in tre macchine) alla Chiesa della Natività, dove si arriva salendo una scalinata. C’è una lunga fila e la guida fa un timido (subito da noi respinto) tentativo di scoraggiare il nostro ingresso per evitare la coda: e allora che siamo venuti a fare? La prima basilica fu eretta da Elena, madre di Costantino nel 326: i numerosi lavori di restauro hanno posato un nuovo pavimento su quello a mosaico antico (dovuto, come le pitture, ai crociati), che può essere ancora intravisto. L’accesso alla basilica è consentito solo attraverso una porta, quella dell’Umiltà, molto stretta e bassa, (per impedire ai soldati di entrare in chiesa a cavallo). A fianco dell’abside centrale sono presenti due scale che consentono l’accesso alla Grotta della Natività, una cripta in cui, secondo la tradizione cristiana, ha avuto luogo la nascita di Gesù: il punto è simbolicamente segnato da una stella d’argento. La proprietà esclusiva di questa parte della grotta, così come del resto della basilica è della Chiesa greco-ortodossa. Poco distante c’è il luogo in cui era situata la mangiatoia dove Maria depose il bambino Gesù subito dopo la nascita. La proprietà esclusiva di questa parte della grotta è dei Padri Francescani. La gestione di questi luoghi santi è veramente complicata, ma forse questo miscuglio neutrale può essere una certa forma di garanzia contro attentati terroristici! Risaliti dalla grotta entriamo nell’adiacente Chiesa di S. Caterina, moderna, dalla quale si riscende in un’altra zona di grotte contigue dove vediamo quella di S. Gerolamo. All’uscita attraversiamo un piccolo chiostro della chiesa di S. Caterina e torniamo al nostro bus, mettendoci in coda per il posto di blocco. Assistiamo a controlli accurati sui mezzi che ci precedono, ma per fortuna noi passiamo velocemente e torniamo a Gerusalemme, devo dire quasi sollevati. A questo punto, mentre eravamo quasi sicuri e rassegnati di tornare in hotel, abbiamo la piacevole telefonata di Sachi che si offre di portarci nella città vecchia: naturalmente accettiamo all’unanimità. Attraverso la porta dei rifiuti (così detta perché nel secondo secolo attraverso essa venivano gettati i rifiuti fuori della città) entriamo nelle mura dalla parte sud, nel punto più vicino alla spianata del tempio e quindi al muro occidentale. Approfittiamo a visitare oggi, venerdì, il muro del pianto (chiamato così perché dopo la distruzione del tempio nel 70 d. C. gli ebrei venivano a piangere la sua scomparsa e pregare davanti a questo muro, che è la parte rimanente del muro occidentale di contenimento, situato appena sotto la spianata dove sorgeva il tempio) perché di sabato, giorno di festa per gli ebrei, non si potranno fare foto, in quanto il luogo diventa sacro come una sinagoga. Per motivi di sicurezza passiamo sotto il metal-detector ed entriamo nella grande piazza delimitata a destra dal muro e circondata di edifici di vario genere. In alto spicca la cupola dorata. Sono proprio emozionata: c’è un magnifico sole del tramonto, la luce è bellissima ed illumina le due zone (uomini e donne separati da un tramezzo) di preghiera. Tutt’intorno ebrei ortodossi e no, mischiati a qualche turista. Gli ebrei ortodossi, in ossequio ad una prescrizione biblica, non devono tagliarsi né la barba né i capelli ai lati del volto: questi riccioli si chiamano “le peot”. Uscendo dalla zona del muro del pianto, costeggiamo gli antichi scavi che hanno riportato alla luce resti dell’antico cardo romano: anche all’esterno delle mura ci sono parecchi residui archeologici.

SABATO 9 APRILE

Oggi è una bellissima giornata (la mattina presto un po’ freddina), proprio adatta per esplorare Gerusalemme! Iniziamo con il Monte degli Ulivi: da qui c’è un panorama mozzafiato, una vista stupenda, la classica cartolina di Gerusalemme, con l’intera città e l’oro della Cupola della Roccia. Dall’alto si vedono le cupolette dorate della Chiesa russa di Maria Maddalena e la Chiesa del Dominus Flevit, dove scenderemo poco dopo; da qui si ha un’altra prospettiva di Gerusalemme, con una vista veramente deliziosa, ancora più ravvicinata sulla città: è come avvicinarsi a poco a poco a un tesoro. La chiesa del Dominus Flevit (il signore pianse) fu costruita nel 1955 sui resti di una chiesa bizantina di cui si conservano alcuni mosaici del VII sec. La denominazione e la forma della chiesa ricordano il pianto di Gesù davanti alla città di Gerusalemme. Scavi condotti dai Francescani hanno portato alla luce resti di un’antica necropoli risalente all’epoca romana e bizantina, con una serie di tombe con sarcofagi e ossari. Intorno a noi si apre il panorama del Monte degli ulivi con ulivi, cipressi e la distesa degradante delle tombe del cimitero ebraico, che costeggiamo continuando la discesa di un sentiero stretto, con il muro laterale in pietra, sul quale si apre l’ingresso dell’Orto di Getsemani (piccolo uliveto nel quale, secondo i Vangeli, Gesù si ritirò dopo l’ultima cena). L’emozione continua: prima di entrare ci troviamo davanti il tratto di mura dove abbiamo sostato la sera precedente, con il cimitero e la Porta chiusa della Misericordia; sullo sfondo sbuca la parte finale della cupola d’oro. Entriamo nell’orto in cui si trovano alcuni degli ulivi più antichi del mondo: è stato accertato che tre di questi alberi risalgono a oltre duemila anni fa. Mentre la guida ci parla, ci sfilano davanti numerosissimi turisti e pellegrini che chiaramente tolgono fascino al luogo, ma, nonostante tutto, rimango colpita dalla suggestione. Accanto al giardino c’è la Chiesa di tutte le Nazioni (per ricordare il contributo di numerosi paesi alla sua costruzione, avvenuta tra il 1919 ed il 1924, sul luogo dove esisteva un luogo di culto bizantino, trasformato poi dai crociati in basilica, andata in rovina con la definitiva occupazione islamica), detta anche dell’Agonia ( in riferimento alla notte che Gesù vi trascorse alla vigilia del suo arresto): la facciata della chiesa è caratterizzata da una serie di colonne che sorreggono i tre grandi archi che delimitano l’atrio; inserito nel timpano un grande mosaico colorato. L’interno, a tre navate, è molto suggestivo con mosaici nell’abside centrale e nelle absidi delle navate laterali. Ai piedi dell’altare maggiore è visibile una larga porzione di roccia originale dove si crede che Gesù abbia pregato la notte prima dell’arresto. Nel pavimento si vedono alcune tracce dei mosaici pavimentali dell’antica basilica bizantina. Il soffitto è a cupolette, con i simboli delle nazioni che hanno costruito la chiesa e dove prevale un cielo stellato blu, colore che spicca, alternato al viola, anche nei vetri colorati delle finestre. Di fronte alla Chiesa di tutte le nazioni c’è la Tomba della Vergine: prima però diamo un’occhiata alla Grotta dove Gesù e gli apostoli erano soliti passare la notte (nell’interno alcuni pellegrini assistono ad una messa).

Dopo la sua morte, avvenuta verso la metà del primo secolo, si dice che Maria fosse stata sepolta in questo luogo dai discepoli ed effettivamente la tomba di Maria al Getsemani è situata in una zona cimiteriale in uso nel I secolo. Oggi delle diverse chiese erette lungo i secoli sul luogo , resta la cripta che, attraverso un’ampia scala di quarantotto gradini, conduce alla tomba, per un dislivello di circa quindici metri rispetto alla strada. La cameretta funeraria con il banco roccioso ancora visibile è appena rischiarata dalla luce che filtra dall’esterno e dalle lampade ad olio. Nell’interno si respira l’atmosfera tipica delle chiese orientali, caratterizzate dall’odore forte dell’incenso, dalle numerose immagini e dalle tante candele e lampade ad olio. Ed è intorno a questa tomba vuota che è nata e si è alimentata la fede del popolo cristiano nell’Assunzione di Maria al cielo. La discesa nella cripta con tutta la sua atmosfera, mi continua a trasmettere una forte suggestione. Ci avviciniamo quindi al lato sud della città vecchia dove si apre la porta di Zion, davanti alla quale la nostra guida, giustamente affamata, compra una gustosa ciambella di pane da un venditore ambulante. Ma prima di oltrepassare la porta ci rechiamo poco lontano a visitare il Cenacolo: questo termine in latino indicava il luogo dove si cenava, ma più generalmente designava il piano superiore della casa, dove si accedeva tramite scale ed infatti saliamo una gradinata che ci porta alla stanza dove si ritiene che si svolse l’ultima cena di Gesù e dove gli apostoli si riunirono alla Pentecoste. Secondo fonti accertate su questo luogo fu dapprima costruita una chiesa poi distrutta: all’arrivo dei crociati sulla cappella del cenacolo fu costruita una basilica, anch’essa andata in rovina (ed infatti nella sala si notano volte crociate tipiche di questo periodo). In seguito il luogo divenne una moschea, infatti nella parete sud si vede la nicchia (mihrab) che indica la direzione della mecca. Riscendendo la scaletta si va alla tomba di Re David, costruita dai Crociati 2000 anni dopo la morte di Re David, che è il luogo sacro più venerato dagli ebrei, dopo il Muro del Pianto. La stanza è oggi una sinagoga, suddivisa in aree destinate alle donne ed agli uomini: nonostante il nome, questo non è il luogo reale dove è sepolto David. La nostra passeggiata prosegue superando la porta di Zion e, dopo aver costeggiato un piccolo tratto di mura sul quale si vedono dei camminamenti che permettono di percorrerle tutte, entriamo nel quartiere ebreo (che, insieme a quello armeno, arabo e cristiano è uno dei quattro di Gerusalemme). Riusciamo a strappare alla guida una piccola sosta in negozio di ceramiche armene per comprare qualche souvenir! Non riesco a descrivere la sensazione di eccitazione provata nell’attraversare queste stradine strette con i muri di pietra gialla tipica del luogo (anche le case restaurate sono fatte dello stesso materiale, in modo che il vecchio e il nuovo si amalgamano perfettamente!): incrociamo ebrei ortodossi, turisti, ristoranti con insegne tipiche, zone archeologiche con resti del periodo del primo tempio (1000 a. C.); di colpo ci troviamo in un suq arabo (l’inizio del quartiere musulmano) dove però tra le mercanzie spiccano candelabri ebrei, strumenti musicali, magliette con scritte di Gerusalemme, banchetti di melograni, dolci orientali, spezie di tutti i tipi. Ho visto tanti suq e naturalmente si assomigliano tra loro, ma ognuno ha la sua particolarità e qui c’è questa: di colpo saliamo una scaletta e ci troviamo sui tetti della città (avevo letto che era una cosa molto particolare e per questo avevo chiesto alla guida di portarci, ma lui ci aveva già pensato). E’ indescrivibile il panorama non da cartolina, ma di caos: antenne paraboliche dappertutto, la cupola dorata da una parte, quelle del Santo Sepolcro dall’altra, il campanile di S. Giacomo (quartiere armeno) a sinistra, bimbi ebrei che giocano accanto a noi e affacciandosi si vede il suq arabo, per evitare il quale gli ebrei scelgono la via dei tetti! Riscendendo al livello di strada e c’incamminiamo verso la zona del S. Sepolcro (quartiere cristiano), ma prima di visitarlo facciamo una sosta in un locale tipico per un panino (che purtroppo per qualcuno si rivelerà fatale) Il quartiere è naturalmente molto affollato da turisti e pellegrini che sostano nelle piazzette e nei bar adiacenti: tavolini si alternano a negozi con mercanzie esposte fuori, dai balconi delle case antiche pendono panni appesi, da un lato s’intravede una delle due cupole grigie del sepolcro, sormontata da una croce; una fontana di marmo rosato, circondata da una cancellata di ferro, occupa quasi tutta una piazzetta, e finalmente ecco la cosa più sospirata del viaggio: la basilica che, secondo la tradizione, è costruita sul luogo della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Gesù. Attualmente si trova all’interno delle mura della città vecchia, al termine della via Dolorosa e ingloba sia quella che è ritenuta la “collina del Golgota”, luogo della crocifissione, sia il sepolcro dove Gesù fu sepolto.

Le prove archeologiche dell’autenticità del Sepolcro risalgono ad appena un centinaio d’anni dopo la morte di Gesù. L’imperatore Costantino, convertitosi al cristianesimo, fece costruire la Basilica costantiniana attorno alla collina della crocifissione: l’edificio rimase in piedi fino al 1009, quando venne distrutto completamente. In seguito una serie di piccole cappelle venne eretta sul sito e quando i crociati conquistarono Gerusalemme nel 1099, iniziarono a rinnovare la chiesa in stile romanico e aggiunsero un campanile. La chiesa, assieme al resto della città, fu presa da Saladino nel 1187, anche se il trattato firmato dopo la terza crociata permetteva ai pellegrini cristiani di visitare il sito. L’imperatore Federico II riconquistò la città e la chiesa nel XIII secolo, curiosamente in un periodo in cui egli stesso era stato scomunicato dalla chiesa. La struttura ha subito vari restauri nel corso del tempo. Nel 1852, per porre fine ai violenti dissidi tra le varie chiese, fu emanato un decreto che assegnò la Basilica quasi interamente ai greci ortodossi, il cui Patriarca vi ha fissato la sede. Dal XII secolo, le famiglie palestinesi musulmane Nusayba e Ghudayya, incaricate da Saladino in quanto neutrali, sono custodi della chiave dell’unico portone di ingresso, sul quale nessuna chiesa ha diritto.

Davanti all’entrata mi sono commossa, non tanto per il significato religioso, ma per quello storico e per la grande energia che questo posto, insieme a tutta la città, trasmette. Appena entrati ci troviamo di fronte alla Pietra dell’unzione, ritenuta il luogo dove il corpo di Gesù venne preparato per la sepoltura (è la tredicesima stazione della via crucis). Sebbene non sia proprio la pietra originale, intorno ad essa vediamo parecchi fedeli che vi strofinano sopra oggetti personali per benedirli. Alla destra dell’ingresso saliamo una ripida scala che ci porta alla Cappella del Calvario (un tempo un’altura, il Golgota, dove c’era una cava di pietra e che fungeva da luogo delle esecuzioni), ritenuta essere il luogo della crocifissione di Gesù: è la parte più riccamente decorata della chiesa. L’altare principale della cappella appartiene alla chiesa greco-ortodossa (infatti un prete ortodosso “dirige” il traffico della fila dei pellegrini), mentre alla chiesa cattolica è riservato un altare laterale, posto nella cappella francescana, che è la prima in cui entriamo e nella quale, mentre siamo in fila, posso ammirare un bel mosaico di Gesù sul soffitto e un affresco sulla crocifissione alla parete. Poi finalmente passiamo davanti all’altare principale, accanto al quale ci sono due pezzi della roccia originale del sito (sotto vetro) e appese le immancabili lampade caratteristiche delle chiese ortodosse: sotto di esso c’è un cerchio in argento con un buco tondo al centro, che rappresenta il punto dove era infilata la croce. Riscendendo entriamo nella rotonda posta sotto la più grande delle due cupole della chiesa, al centro della quale è posta l’edicola del Santo Sepolcro, rivestita di marmo rosso: per sostenere il suo deterioramento, nel 1947 gli inglesi hanno istallato un’impalcatura in travi di ferro. Tutt’intorno ci sono tantissime candele accese: le Chiese ortodossa, cattolica e armena hanno diritto di accesso all’interno della tomba, e tutte e tre le comunità vi celebrano quotidianamente la messa. Purtroppo, proprio per aspettare il termine delle funzioni, siamo costretti a fare una lunghissima fila, schiacciati nella moltitudine dei turisti-pellegrini: sono immersa in un’atmosfera unica tra odore d’incenso, suoni di campane, cori, voci in lingue diverse, processioni di religiosi di fedi diverse e con gli abiti distintivi dei vari culti. L’ingresso al sepolcro avviene attraverso una porticina, che immette una piccola stanza (si entra in pochi alla volta) e poi, abbassando la testa si scende in una specie di grotta dove c’è la pietra di sepoltura. Io sono rimasta in piedi un po’ più indietro, devo confessare quasi imbambolata, perché non sono riuscita né ad inginocchiarmi né a dire una preghiera perché non mi è venuto spontaneo: ho preferito godermi un attimo di concentrazione profonda in un posto sacro e quella sensazione resterà sempre dentro di me (ma naturalmente ognuno reagisce secondo il suo sentimento). Entriamo poi in una struttura adiacente, sormontata dalla seconda e più piccola cupola, che ospita l’altare principale della chiesa (oggi riservata al Patriarca greco ortodosso): davanti all’iconostasi ci sono due troni, uno patriarcale e uno per i celebranti episcopali in visita e, al momento della nostra entrata, vediamo proprio il patriarca, seduto, che presiede ad una cerimonia religiosa. Sul pavimento in marmo colorato è posto un oggetto strano, un omphalos (ombelico) che è una pietra con valore religioso che, posto in un luogo sacro, indica che quello è l’ombelico del mondo, il suo centro. Anticamente uno venne posto a Delfi, nel luogo dell’oracolo e successivamente gli ebrei ne hanno collocato un altro qui. Scendiamo poi delle scale che portano fino alla Cappella di Sant’Elena, che appartiene agli armeni e dove si pensa che Elena abbia trovato la vera croce: il pavimento è adornato con un bellissimo mosaico e sono particolari anche i capitelli delle colonne. Entriamo poi in un’altra cappella, detta di Adamo, posta sotto il calvario e dove un’antica leggenda vuole che il primo uomo fosse sepolto: qui, dietro un vetro, s’intravede un pezzo della roccia originale. Il complesso del S. Sepolcro è un luogo unico, mescolanza di tutto: fedi, architetture, cappelle, altari, mosaici, colonne, capitelli e pietre di stili e provenienza diversi. Si percepisce questa miscela di umanità, culto e energia che è particolare proprio per questo: è di tutti e appartiene a tutti e, purtroppo, è stata rivendicata da tutti. Ma le meraviglie non finiscono qui: saliamo sul tetto e troviamo il monastero Deir al-Sultan, costruito nel diciannovesimo secolo e abitato da una piccola comunità di monaci della Chiesa etiope. Questi credono nella coesistenza della natura umana e divina in Gesù e gli storici sostengono che il collegamento tra il re Salomone e gli etiopi (la loro tradizione afferma con certezza che donò loro questo monastero) è assolutamente certo, anche risalendo alla storia della regina Sheba (Saba) che arrivò a Gerusalemme portando con sé doni ed enigmi per Salomone. Infatti, sulla parete della chiesetta vi è un decoro di epoca recente che rappresenta questa visita (gli uomini al seguito del re sono vestiti come ebrei ultra-ortodossi in abiti formali, con tanto di cappelli neri e boccoli). Davanti all’altare, che s’intravede da una piccola apertura, c’è una parete in legno, intarsiata con decori geometrici in avorio; alla sua sinistra si esce all’aperto sul tetto, dove vediamo monaci seduti a pregare, accanto alle dodici piccole porte verdi, dietro alle quale vi è una minuscola stanza dove ogni monaco trascorre, pregando, la sua giornata. E’ veramente una scena particolarissima! Da qui si esce sulla strada, sempre nella zona cristiana copta: all’uscita-entrata del monastero vi è un’antica colonna che segna la nona stazione della Via Crucis dove, secondo la tradizione, Gesù cadde per la terza volta portando la croce. Dal silenzio del monastero passiamo alla confusione del suq arabo nel quale si snoda la Via Dolorosa, con le stazioni della via crucis: è nuovamente un grande contrasto tra simboli della religione cristiana (anche l’impronta della mano di Gesù su un muro) e botteghe colorate e affollate (un’insegna dice: “Holy rock cafè”). C’ imbattiamo anche in un matrimonio e scopro che qui l’usanza è di sparare colpi tipo fuochi d’artificio, ma io, dopo aver incontrato parecchi giovani soldati armati, scambio questi rumori per spari veri e provo forse l’unico momento di panico del viaggio! Il resto del gruppo era entrato nella chiesa dell’Ecce Homo: mi sono voltata non vedendo più nessuno e, mentre qualcuno mi esortava ad entrare, ho pensato che si erano rifugiati lì dentro per i cosiddetti “spari”. La suggestione della situazione israeliana! Ultima chiesa: quella della flagellazione, nel cortile del convento francescano. Sul luogo sorgeva una cappella medioevale ed oggi vi si ricorda la flagellazione, subita da Gesù, prima della condanna a morte. Purtroppo, per motivi di orari e giorni, non abbiamo potuto visitare il Monte o spianata del Tempio o delle moschee, il luogo più sacro per gli ebrei, dove essi però non entrano. Per questo motivo la nostra guida non ci ha accompagnato, invitandoci a farlo da soli prima della partenza: ma, essendo abbastanza scomodo, abbiamo insistito a farci portare almeno in un punto panoramico da dove si poteva ammirare la cupola d’oro più da vicino. Ci rechiamo allora nella scuola araba di El-Omariya dove veniamo ammessi nel cortile con una piccola mancia: attraverso una grata si ha una splendida vista sulla spianata e facciamo tante foto. Davanti a noi si staglia la Cupola della Roccia, la moschea costruita nel VII sec. dopo la conquista araba, la cui cupola dorata è il simbolo di Gerusalemme (di forma ottagonale con quattro porte che si aprono verso i punti cardinali). I muri esterni sono rivestiti da maioliche e scritte coraniche.

All’interno della Cupola della roccia c’è la grande roccia su cui, secondo la tradizione, Dio fondò il mondo e su cui Adamo, Eva, Caino e Abele compivano i sacrifici rituali e su cui Abramo avrebbe dovuto sacrificare il figlio Isacco. Attorno a questa pietra Salomone, secondo la Bibbia, fece costruire il I tempio intorno al 1000 a. C, ponendo al suo interno l’arca dell’alleanza. Gli ebrei non vengono in questo luogo perché non essendo chiaro quale fosse l’esatta ubicazione del tempio di Salomone, temerebbero di calpestare il suolo enormemente sacro del sancta sanctorum.

Più in fondo si vede la moschea di E-Aqsa, che durante le crociate era la sede dei cavalieri Templari (che presero il nome da questo luogo). Questo luogo è sacro alle tre religioni: agli ebrei in quanto sede del Tempio, ai musulmani perché, secondo la tradizione, il profeta Maometto venne assunto in cielo dalla roccia situata all’interno della Cupola della Roccia (che da essa appunto prende il nome) e ai cristiani che ricordano le numerose visite di Gesù al Tempio. Con queste meravigliose immagini negli occhi torniamo in hotel per la cena e ci prepariamo al ritorno.

Consiglio vivamente a tutti di fare questa straordinaria esperienza.

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Gerusalemme: la Cupola della roccia

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