India fai da te fra i templi rupestri del Maharashtra e le spiagge del Goa
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MUMBAI, Martedì 08/01/13
Il volo di andata per quel che mi riguarda è, purtroppo, mediocre. Parto leggermente raffreddato e questo non aiuta e, nonostante la British Airways sia una compagnia che non ci ha mai deluso (avrò modo al ritorno di ricredermi parzialmente), non riesco a rilassarmi e non dormo quasi per niente. All’arrivo affrontiamo le solite formalità, ma sbrigate molto più rapidamente che la precedente volta a Delhi; anche l’aeroporto internazionale Chhatrapati Shivaji è più moderno di quello della capitale e le indicazioni sono meglio fornite. All’interno dell’aeroporto cambiamo gli euro in rupie (conviene cambiarne pochi perché probabilmente si trovano tassi di cambio più favorevoli all’esterno), acquistiamo i biglietti del treno (484Rs in due per 390 km, l’equivalente di circa 6,68 €!) per le prime due tratte di venerdì e sabato e acquistiamo la corsa in taxi prepagato fino alla stazione dei treni Victoria Terminus. Non abbiamo modo di verificare le tariffe dei taxi, ma i prepagati dovrebbero essere più affidabili, anche se più costosi, quindi sborsiamo le prime 600 Rs. La calura e la polvere ci accompagnano per tutta l’ora di guida fino a destinazione, ma la vista delle classiche immagini dell’India più ci scada il cuore e ci toglie il fiato. Passiamo accanto a numerose baraccopoli, gli “slum” resi famosi da Danny Boyle col suo “Millionaire” e da numerosa letteratura: le sfioriamo appena, rumorosi col clacson del taxi sempre tonante, ma quasi invisibile a quel mondo di disperati, che mostrano sempre dignità da vendere. In questo nostro passaggio tangenziale, le prime immagini di “Shantaram” – il romanzo di Gregory David Roberts su Mumbai e l’India che ho letto tempo fa – riaffiorano prepotentemente: ogni lamiera, ogni cartone o pezzo di plastica o tela è utile per erigere quelle fragili eppur così indispensabili dimore. Una vista che fa riflettere, che provoca tristezza e speranza al contempo; è uno dei pochi momento del viaggio nei quali non mi sento di impugnare la macchina fotografica per immortalare quelle immagini, che resteranno impresse come un marchio a fuoco nella mia memoria. Non so se sia un sentimento di rispetto o sgomento, ma di certo non è disgusto. A Victoria Terminus scendiamo nel lato dei binari a est, attraversiamo l’interno della stazione e arriviamo, senza molti intoppi (a parte il caldo umido delle 13.30) e chiedendo una sola indicazione, all’hotel Traveller’s Inn, che avevo contattato per una camera; subito il gestore ci dirotti nella struttura della sorella, a un isolato di distanza, perché l’albergo è completo, eventualità che mi era stata comunque scritta nella mail. Risolvere i problemi comunque è tipico dell’India (paese dove nulla, o quasi, è impossibile), per cui decidiamo di sostare al Windsor Hotel che ci viene proposto: camera ampia e abbastanza ben pulita, lavabo, doccia e balcone, bagno in comune (con water) pulito al prezzo di 1200Rs, che per Mumbai è un buon affare. Siamo a 5 minuti dalla stazione (per noi è ottimo visto che dobbiamo prendere un treno alle 6.00 di mattina), nel quartiere di Fort, con architettura piuttosto “british” e dove di trovano ottimi ristoranti. Dopo esserci rinfrescati decidiamo di fare un giretto a piedi nei dintorni e quindi imbocchiamo il grande corso chiamato Shahid Bhagat Singh Marg verso sud e arriviamo a Horniman Circle, un placido giardinetto gremito di studenti e anziani di fronte all’Asiatic Library, lo attraversiamo e ci troviamo di fronte alla Cattedrale di St. Thomas, il più antico edificio di epoca coloniale della città. Strano cominciare la visita dei monumenti in India da una chiesa, ma in definitiva è quello che facciamo: l’ingresso è gratuito, l’interno maestoso e candido, con panche in legno d’altri tempi. Proseguendo verso ovest arriviamo a Flora Fountain, importante monumento coloniale in Hutatma Chowk (Piazza dei Martiri), come è stata ribattezzata in seguito al cambio di nomi di parecchi luoghi, compresa la città stessa. Un moderno monumento ai caduti per la libertà del Maharasthra si erge nella piazza. Sono ormai le 17.30, il traffico è in aumento, la gente esce dagli uffici in quella che è una zona prettamente commerciale, e il jet lag e la stanchezza si fanno sentire: torniamo sui nostri passi con gli occhi curiosi e affamati di ogni dettaglio. A proposito di cibo, facciamo una cena rapida e “occidentale” con hamburger vegetariano e sandwich al Cafè Universal, vicinissimo al nostro hotel e frequentato da turisti e impiegati indiani (600Rs), poi acquistiamo 4 banane (20Rs) all’angolo della nostra strada e ci corichiamo in stanza.
MUMBAI, Mercoledì 09/01/13
Sveglia alle 7.00 dopo una notte quasi insonne, non tanto per il posto, comunque afoso, quanto per il mio raffreddore e l’agitazione e lo stress del trovarsi in India. La colazione è compresa nel prezzo, quindi andiamo nella saletta dove viene servita e ci attende… omelette di verdure speziate, toast e chai! Non c’è tregua dai sapori dell’India, ma sono contento, cominciamo subito con la full immersion nel vero mondo quotidiano del paese. Prendiamo un taxi per il Gateway of India (30Rs), dove compreremo i biglietti del traghetto per l’isola di Elephanta, sede di un famoso tempio rupestre indù. Già perché il viaggio di quest’anno sarà dedicato in gran parte, dal punto di vista dei monumenti del Maharasthra, all’architettura rupestre del Deccan, mentre il precedente viaggio in Rajasthan aveva esplorato le dimore e i monumenti Moghul e i luoghi sacri buddhisti a Sanchi. Nell’attesa del traghetto (150Rs) ammiriamo il Gateway of India, un maestoso arco costruito dagli inglesi 102 anni fa, sotto il quale sfilò l’ultimo reggimento britannico che lasciava il paese libero nel 1948; dietro di esso si erge elegante nelle sue linee il Taj Mahal Palace, hotel superlusso tristemente famoso per gli attentati compiutivi il 26 novembre 2008, e la Torre moderna che lo affianca. Un ottimo scenario da fotografia, testimoniato dai numerosi fotografi che vogliono immortalarvi per vendervi poi lo scatto.
La traversata di circa un’ora sul traghetto vale la pena, perché si possono in tal modo scattare ottime foto dei sovracitati monumenti dal mare, si osservano i pescherecci di Mumbai, ma soprattutto si stacca la spina dal caos della città, per giungere in un luogo abitato solo da pescatori e dai soliti venditori ambulanti, non particolarmente insistenti, con le loro colorate bancarelle. Essi ci attendono all’inizio della scalinata e lungo tutta la stessa, subito dopo il trenino (non sprecate 10Rs per prenderlo, evita solo 5 minuti di cammino), e, come detto, non sono molto fastidiosi, quindi è piacevole salire i gradini con calma, sbirciando cosa poter acquistare al ritorno; noi ci siamo fatti tentare, sempre utilizzando la rituale contrattazione, da una statuetta intagliata in legno di Ganesh e Lakshmi, da un magnete per il frigo di Shiva, da una confezione d’incenso e da un’edizione datata in bianco e nero della guida alle grotte. Arrivati in cima, facendo attenzione alle onnipresenti scimmie (una delle quali all’uscita pretenderà da me la sua porzione di mezza banana), possiamo osservare le mirabili architetture rupestri del tempio di Shiva a Elephanta (250Rs): l’ampia sala centrale è sorretta da semplici pilastri non decorati, mentre le pareti sono piene di magnifici rilievi di divinità indù; di particolare pregio sono lo Shiva che compie la sua danza cosmica (Tandava) e il colossale busto nel sacrario in fondo al tempio, che raffigura Maheshmurti, una trimurti di Shiva con tre teste che implicano tre aspetti del dio distruttore e ricreatore. Dopo circa 4 ore di visita, compresi i tragitti in traghetto, siamo di nuovo nella metropoli verso le 13.30, c’infiliamo nei vicoli dietro al Taj Mahal Palace e pranziamo dal consigliato Bademiya (360Rs) con cibo indiano gustosissimo e piccante. Di seguito una sosta d’obbligo al Leopold’s Cafè, per sedare la mia curiosità relativa alla mitizzazione del locale fatta Gregory Roberts in “Shantaram”. Vi sono blandi controlli di borse all’entrata, una birra e un dolce ci costano più del pranzo e notiamo una variegata clientela composta per la maggior parte da occidentali, ma anche da indiani benestanti; una visione piuttosto diversa dall’idea di locale coloniale vagamente malfamato che mi ero fatto leggendo il libro… Comunque il rito andava assolto, quindi ripartiamo soddisfatti dal bar, facciamo una piccola elemosina a una bimba che ci regala un braccialetto di fiori profumati e raggiungiamo il Chhatrapati Shivaji Museum, “amichevolmente” chiamato in precedenza (così è scritto all’ingresso) Prince of Wales Museum (300Rs). Il nazionalismo indiano cerca in ogni modo di camuffare il passato coloniale del paese. Le raccolte all’interno sono molto esaustive e l’esposizione è moderna (l’audioguida è compresa, si paga un sovrapprezzo per la fotocamera, non sono ammesse bottiglie d’acqua e cibi), caratteristiche che lo rendono il miglior museo storico e archeologico indiano finora visitato; da sottolineare le eccellenti sezioni sulla scultura, le monete, Tibet e Nepal, Krishna e i dipinti. Prima di rientrare in hotel, passiamo dalla zona dell’Università di Mumbai, una serie di edifici coloniali, che, se visti indipendentemente dal contesto che li circonda, fanno davvero pensare di trovarsi in Inghilterra (c’è pure una chiesa del campus, con tanto di elegante clock tower). L’Oval Maiden, lì a fianco, è da vedere anche solo per pochi minuti: si tratta di una spianata enorme di prato, dove centinaia di giovani giocano a cricket, lo sport nazionale, venerato quasi a guisa dei rituali religiosi. Per cena chiediamo un time-out dalla cucina indiana (lo stomaco deve ancora ambientarsi bene) e mangiamo con una margherita al Pizza-Hut presso la stazione.
MUMBAI, Giovedì 10/01/13
Ultimo giorno a Mumbai, passato a zonzo per vedere alcuni luoghi importanti. Saltiamo la colazione indiana e ci mangiamo le ottime banane acquistate il giorno prima, fermiamo un taxi che per 100Rs ci porta nel quartiere di Mahalakshmi, a circa 30’ a nord, per vedere i famosi Dhobi Ghat: sono i più grandi lavatoi di Mumbai e forse di tutta l’India e la loro vista dall’alto del cavalcavia ripaga il tempo il danaro speso per arrivarci. Un quadro di India autentica ci si apre davanti: si osserva l’area piena di vasche nella quale ogni mattina vengono lavati migliaia di panni da tutta la città, con meticolosa costanza e impegno dai dhobi, che dividono per tipo e colore i capi; l’immagine è fortissima, dato che baracche di ogni tipo circondano i lavatoi, mentre sullo sfondo troneggia uno dei tanti enormi grattacieli della Mumbai “contemporanea”. C’incamminiamo poi per circa 1 km verso ovest e raggiungiamo il Mausoleo di Haji Ali (altro luogo di “shantaramiana” memoria) e scattiamo bellissime foto dell’edificio, che sorge su un isolotto nel mare, collegato a terra da una stradina in cemento rialzata, che viene sommersa con l’alta marea; percorriamo la via affollata di venditori e mendicanti e arriviamo al monumento, un po’ danneggiato, soprattutto nelle mura esterne (ci sono restauri in corso). La tomba si trova in un sancta sanctorum di marmo immacolato e io entro rispettosamente senza calzature, per un’offerta e qualche foto. Notiamo anche una giovane star di Bollywood firmare autografi alle giovani ragazze in visibilio, mentre alcuni fotografi si propongono per scattare foto di turisti e pellegrini sugli scogli: non temete la foto viene immediatamente fornita ai clienti da una stampante senza fili che i fotografi tengono direttamente sugli scogli! A pochi passi dal luogo della tomba del santo musulmano, sorge l’importante tempio di Mahalakshmi, dea della bellezza e della prosperità: si scattano foto solo dall’esterno, si entra senza scarpe, si osserva la devozione degli indiani per una divinità preposta alla ricchezza. Per concludere il viaggio nei quartieri nord ci rechiamo, non senza difficoltà perché i taxisti non conoscono bene la meta, al Mani Bahvan, la casa museo dove il Mahatma Gandhi ha risieduto dal 1917 al 1934 e da dove ha lanciato la sua politica di disobbedienza civile e non violenza contro l’impero britannico. Il luogo, gratuito ma è doverosa un’offerta, è carico di sentimenti ed emozioni, tanto che la commozione mi coglie quasi impreparato di fronte al giornale d’epoca che annuncia la morte del Mahatma, e mi vengono le lacrime agli occhi nell’apprendere che la “Grande Anima” sia andata in contro al suo triste destino e al suo assassino quasi salutando con un sorriso. Ci sono molti interessanti documenti (la lettera indirizzata a Hitler) e foto di Gandhi, la camera nella quale viveva, praticamente rimasta uguale a come quando era in vita e una sorta di diorama che mostra le tappe più importanti della vita del padre della nazione. In definitiva un luogo molto piacevole, immerso nella pace di uno dei quartieri coloniali più aristocratici della città.
Prendiamo un altro taxi fino al Britannia, uno dei ristoranti parsi più rinomati di Mumbai, e ci abbandoniamo a una delle esperienze culinarie più goduriose del nostro viaggio: cibo eccellente (e costoso 870Rs, ma ne vale la pena) e non troppo speziato (il berry pulao è un must da assaggiare) e soprattutto la incredibile loquacità e simpatia del propietario novantenne che vi prenderà le ordinazioni (vi racconterà di certo del suo viaggio in Italia). Chiedete di andare in bagno e vi faranno passare attraverso le cucine! Pisolino in hotel fino alle 15.30, poi usciamo per l’ultima sfida: visitare il Crawford Market, l’enorme mercato coperto di Mumbai dietro alla stazione ferroviaria, tutti da soli. Dopo qualche esitazione iniziale (del tipo “te vuoi infilarti lì dentro?” alla vista degli stretti ingressi e passaggi tra le bancherelle), ci facciamo coraggio e, nonostante non ci sia traccia di turisti, c’inoltriamo tra i venditori. L’atmosfera è un po’ soffocante e caotica, tuttavia ci muoviamo con tranquillità, nessuno c’infastidisce, facciamo diverse foto e acquistiamo anche qualche cibaria. È un aspetto di Mumbai molto interessante, soprattutto vedere come le aeree del mercato sono raggruppate a seconda delle merci da vendere. Prima di salire in camera ci concediamo una birra gelata e un sandwich al Cafè Universal, poi ci corichiamo presto: domani è il gran giorno, ci aspetta il nostro primo viaggio in un treno indiano.
NASHIK, Venerdì 11/01/13
Viaggio in treno in India! Una prova da tempo sognata e temuta e finalmente arrivata. Alla Cst Station guardiamo il tabellone delle partenze e un ragazzo ci chiede dove andiamo (spesso riceveremo aiuto dai gentili indiani) e ci conferma che il nostro treno parte dal binario 18. Quando arriviamo vediamo decine di viaggiatori indiani in attesa in un’ordinata fila per uno e ci prende quasi un colpo: se dobbiamo fare la stessa cosa e lottare per salire, non partiremo mai! Un cordiale poliziotto nota il nostro smarrimento e ci viene in aiuto dicendoci che quella è la fila per la seconda senza prenotazione e la nostra carrozza “sleeper” è più avanti. I treni indiani sono infiniti, lunghissimi con decine di carrozze, ma dopo qualche passo troviamo la nostra, saliamo ingombrati dai pesanti zaini e ci sediamo nei nostri posti. Il viaggio è sobbalzante, rumoroso per i frequentissimi venditori di chai, acqua e cibo che passano avanti e indietro per il treno una miriade di volte, un po’ scomodo perché i sedili sono delle panche di legno rivestite con un sottile strato di gommapiuma, ma in compenso decisamente affascinante per la moltitudine di persone che si vedono e la vera vita quotidiana indiana che si respira. Un ragazzo ci aiuta a capire dove scendere, poi prendiamo un taxi (troppo costoso, attenzione ai disonesti alle stazioni) per il centro. Arrivati all’Hotel Abishek (525Rs), prenotato dall’Italia, con personale molto disponibile e gentile, ci riposiamo un attimo prima di visitare il Ramkund, uno dei luoghi più sacri dell’India, perché Nashik, dove siamo arrivati, è una delle 4 città dove si tiene ogni 12 anni il Khumb Mela, il più grande ritrovo religioso del mondo. Sarà, comunque appena entriamo nell’area veniamo benedetti in fronte da sedicenti signore che ci invitano a fare una puja con classiche offerte di fiori in piattini di foglie di banana galleggianti: il luogo infatti, altro non è che un’enorme vasca dove scorre il fiume Godavari e dove gli indiani vengono a compiere le loro abluzioni rituali. La vecchietta ci chiede addirittura 400Rs per il rito e devo tribolare non poco per ottenere di pagare molto meno; un consiglio per chi si reca in questi luoghi è di tenere lontano con gentilezza ma anche fermezza chi vuole benedirvi o offrirvi fiori o altro, perché pretenderà sicuramente il pagamento di un “obolo” che non sarà quasi mai volontario o deciso dal turista. È uno dei lati negativi dell’India: gli occidentali sono visti come turisti da spremere fino all’ultima rupia, del resto per molti indiani siamo una fonte di guadagno che può significare benessere per un po’ di tempo, in mezzo a mille difficoltà; pertanto non bisogna prendersela per questi atteggiamenti, solo si deve stare attenti a non essere sempre vittima di questi “raggiri” perché si rischia di perdere parecchie rupie. Comunque finiamo il nostro giro facendo belle foto e una signora indù ci chiede di essere ripresa in un video con me e Irene; altra caratteristica che s’incontra, soprattutto nei luoghi meno turistici, è quella di essere sempre al centro dell’attenzione: nel corso del viaggio ci è stato chiesto di essere fotografati insieme ad indiani grandi e piccoli, ripresi in video e addirittura firmare autografi! Un giorno, esasperato dall’ennesima richiesta (non è che sono insistenti, ma sono tanti, e al ventesimo che chiede una foto si perde la pazienza, perché in realtà noi vorremmo “fare i turisti” non le star) mi spaccio con dei bambini per il signor Brad Pitt e faccio foto e firmo autografi con quel nome! E i bimbi mi chiamano e mi salutano gridando “Hello Mr. Bradpitt!”. Sulla strada per l’albergo decidiamo di provare un’altra tipicità dell’India, così pranziamo a uno dei tanti chioschi per strada con dei succulenti samosa che vediamo friggere in un olio sospetto. Un’esperienza che non si può evitare, il cibo da strada indiano è un ottimo modo per risparmiare e per gustare i piatti di ogni giorno dei locali, saporiti e nutrienti. Tornati all’hotel incontriamo Vinaj, la nostra guida in tuktuk che ci porterà in giro per il pomeriggio: non è propriamente economico (700Rs), ma è un ottimo guidatore, onesto e simpatico e vi tratterà da amici (ci offre anche delle caramelle), chiedendovi di fare delle foto (ovvio!) per il suo album di ricordi coi turisti.
Visitiamo il Sameshwar Temple, dedicato a Shiva, e il Tirupati Temple, che sorge presso una pittoresca cascata, luogo molto tranquillo e bucolico, pieno di giovani, coppiette e bambini. Infine ci rechiamo alla Sula Vineyards, l’azienda vinicola più importante del territorio: sembra strano, ma questa zona è particolarmente adatta alla coltivazione della vite, dunque da buoni italiani amanti dell’enologia non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di assaggiare il vino indiano. Partecipiamo al tour guidato piuttosto rapido e semplice, che comprende però la degustazione di 4 vini (150Rs e ce ne verrà offerto gratis un quinto): pur non essendo esperti sentiamo la grande differenza coi vini europei, soprattutto negli aromi molto intensi e accentuati di frutta e piante, spesso marcati e senza particolari sfumature nel palato. Un prodotto certamente diretto ad altri consumatori, ma quantomeno originale. Ritornati all’hotel ci accordiamo con Vinaj per l’escursione mattutina dell’indomani, poi usciamo per cenare in una specie di tavola calda consigliata dai gestori dell’albergo: il Manas sarà il ristorante “pure vegetarian” dove mangeremo il miglior thali gigante della vacanza (a sole 80 Rs) accompagnato da butter naan e aloo paratha, una piacevolissima sorpresa proprio a due passi da dove pernottiamo.
NASHIK, Sabato 12/01/13
La mattina viene impiegata per visitare il magnifico sito archeologico di Pandav Lena, stranamente appena citato nella Rough Guide (la mia guida preferita) e addirittura escluso dalla Lonely Guide (che uso in aggiunta della precedente). Devo ringraziare Bikaner, la guida per caso dell’India di questo sito, per avermi consigliato di vedere il sito. Si tratta di 24 grotte, in gran parte decorate da sculture, rilievi e iscrizioni di carattere buddhista, costruite sotto la dinastia Satavahana nel II d.C., raggiungibili con una corsa in risciò (con Vinaj 400Rs, 30’), e situate su un colle al quale si arriva percorrendo una ripida scalinata in circa un quarto d’ora. Alcune grotte sono enormi, veri e propri monasteri (vihara) con celle per la comunità religiosa nei lati e ampie sale basse colonnate per i concili, oppure specifici luoghi di culto, assimilabili alle nostre chiese, chiamati chaitya, alte stanze colonnate in forma di navata, con lo stupa, monumento a cupola che simboleggia il Buddha, in fondo; altre grotte più modeste sono donazioni di laici benestanti, che non rinunciano alla decorazione scultorea, mentre in alcuni punti è possibile intravedere tracce dell’antico colore che ricopriva le statue. L’unicità del sito è data dal panorama mozzafiato sulla città di Nashik e soprattutto dalla pace che vi regna, essendo un sito poco conosciuto, in confronto ad esempio ai più noti siti di Ajanta o Ellora; in caso vi accingiate a visitare quei famosi luoghi turistici, consiglio vivamente di spendere una mattinata anche per Pandav Lena, per apprezzare in silenzio e con calma opere simili e ben conservate. Prima di rientrare Vinaj ci invita a vedere lo stupa moderno all’inizio del sentiero per il sito: appena varchiamo l’ingresso del giardino un monaco buddhista ci chiede da dove veniamo e ci da il benvenuto, entrati all’interno dello stupa (una grande cupola che contiene la statua gigante del Buddha Gautama seduto e placcato in oro), troviamo un monaco che recita mantra continuamente e incenso che brucia espandendo pungenti profumi, un eco impressionante amplifica ogni minimo rumore rendendo l’atmosfera avvolta da un misticismo rilassante. Tornati in hotel liberiamo la camera, i gestori ci permettono di lasciare gli zaini in una stanza di comodo e dunque andiamo a vedere a piedi altri due luoghi di culto importantissimi per la città: il Sita Gumpha e il Kalaram Temple.
Arrivati al primo luogo, ci togliamo come al solito le scarpe e ci mettiamo in fila con altri fedeli per entrare nel cupo edificio che contiene la grotta dove, secondo il mito, Sita, moglie di Rama, si sarebbe rifugiata per scampare al demone Ravana. In realtà nelle guide non si dice molto dell’interno, dunque ad un certo punto ci troviamo di fronte a un cunicolo alto non più di un metro e largo circa mezzo metro, nel quale si deve scendere tramite dei gradini consunti: Irene mi guarda con sguardo incredulo, preoccupato e assassino nello stesso tempo, ma non si torna indietro, la folla pressa! Così scivoliamo dentro appoggiandoci col sedere (l’unico modo possibile, è veramente stretto!) e dopo una sala minuscola e un’altra scaletta verso il basso, arriviamo al cuore del santuario, dove Sita e Rama sono rappresentati con sculture di colore nero; si esce poi da un altro cunicolo e si passa per altre stanzette, una delle quali contiene uno shivalingam, sempre anguste (non vi stanno più di 4 persone) e tramite i cunicoli coi gradini che salgono, ci ritroviamo all’aperto. Torniamo alla luce fieri di aver superato anche questa prova e soddisfatti per aver visto qualcosa che è decisamente fuori dai circuiti turistici più comuni, un luogo sacro da ricordare con la memoria, dato che è assolutamente vietato scattare foto, se non dall’esterno. Un avviso per chi volesse recarvisi (e a mio avviso merita davvero tantissimo per cogliere la forte spiritualità indiana) è di evitare le ricorrenze religiose o i fine settimana e di astenersi per coloro che soffrono di claustrofobia o per chi è sovrappeso: il luogo è veramente strettissimo e soffocante e sentirsi male all’interno di esso comporterebbe difficili manovre per tirarvi fuori; nonostante questo l’esperienza è davvero incredibile.
Nei pressi del Sita Gumpha si trova poi il Kalaram Temple, sorto nel luogo in cui, secondo il Ramayana, Lakshaman, fratello di Rama, tagliò il naso della demonessa sorella di Ravana (Nashik, nome della città, significa “naso”). L’edificio è piuttosto recente (fine ‘700), ma comunque pieno di pellegrini ed è in corso una funzione religiosa. Ci sediamo semplicemente contemplando il posto e ad un certo punto viene allestito una specie di tavolo da mensa sul quale viene messo un grande pentolone ricolmo di riso al curry, che alcuni volontari cominciano a distribuire gratuitamente ai pellegrini; mentre ci allontaniamo per visitare l’interno del tempio, l’anziano addetto a fare i piatti mi apostrofa con un classico “hello sir” e m’invita a prendere un piatto (fatto di foglie di banana secche intrecciate) per me e Irene. Naturalmente non posso rifiutare un tale dono, quindi pieni di gioia mangiamo con le mani il riso bollente sui gradini del santuario. Vediamo poi anche l’interno, con le statue nere di Rama, del fratello e di Sita, e acquistiamo due collane di semi sacri. Prima di affrontare il secondo viaggio in treno per Aurangabad, in second class sitting, ci rilassiamo sul divano d’ingresso dell’hotel Abishek, leggendo qualche giornale indiano e vedendo un po’ di tv. Giungiamo alla meta in ritardo di solo mezz’ora e veniamo portati all’Hotel Panchavati (832Rs) dal servizio gratuito dell’hotel stesso, poi ci sistemiamo e ceniamo al ristorante dell’hotel (550Rs), un buon locale che propone piatti indiani e cinesi.
AJANTA, Domenica 13/01/13
Ajanta! Un sogno da tanto tempo (dagli studi universitari), quello di vedere i resti delle pitture buddhiste più antiche e meglio conservate del mondo. Noleggiamo un’auto con autista presso l’agenzia Ashok (all’alto prezzo di 1650Rs, ma vogliamo un po’ di comodità), raccomandata dalla Lonely Planet e con sede direttamente nel nostro hotel (più comodo di così!) e partiamo alle 8.00 per un viaggio di circa 2 ore. Ci passano a fianco campi di cereali usati per il chapati, alcuni ancora verdi, altri già con le spighe raccolte nei covoni, oltre che a piantagioni di cotone (Aurangabad è famosa per i tessuti) e di canna da zucchero. Dopo una sosta tattica in un bar da turisti per un chai, arriviamo al piazzale dove l’autista ci lascia raccomandandoci di non comprare nulla dai venditori, che sparano alto per via dei tour organizzati, e prendiamo l’autobus per percorrere i 4 km che ci separano dal vero e proprio ingresso; è un po’ fastidioso dover pagare una serie di cose: prima una tassa autostradale usciti di città, poi arrivati al sito, ingresso al parcheggio, parcheggio stesso, autobus e biglietto alle grotte (quest’ultimo 250Rs).
Entrati nel sito ci rendiamo conto che non sarà tutto un idillio e che la magia svanirà presto: purtroppo è domenica e un caos immane di famiglie indiane, scolaresche e gruppi di giapponesi affolla già la prima grotta. In effetti tutta la visita, che si protrarrà dalle 10 fino alle 16 circa (ce la prendiamo con calma), sarà alquanto stressante, con centinaia di indiani che salutano, chiedono foto e autografi, tanto che a un certo punto cominciamo ad ignorarli. Inoltre, all’interno delle grotte più belle c’è sempre gran confusione e ovviamente la visita non è proprio tranquilla. Lo spettacolo del canyon lungo il quale si sviluppano le grotte però è magnifico e le grotte non sono assolutamente da meno: colonne, pilastri e pareti sono spesso arricchiti da rilievi e sculture e in più molte grotte mantengono in ottimo stato di conservazione i dipinti che raccontano le storie delle vite precedenti del Buddha (jataka) e altri racconti legati all’Illuminato. In diverse grotte è necessario togliersi le scarpe e consiglio vivamente di portare una torcia con voi per illuminare le pareti interne a volte lasciate un po’ buie per preservare lo stato delle pitture. Se non avete una buona guida cartacea, troverete all’interno del sito, alcune guide ufficiali che vi illustreranno con competenza le scene più belle, anche se la visita sarà un po’ più veloce (ma potete una volta terminata la spiegazione, rivedere ciò che volete tornando indietro). Le sale sono quasi tutte dei vihara, stanze comunitarie dei monaci, circondate dalle classiche e anguste celle, e chaitya, i luoghi di culto con gli stupa in fondo; tutte le strutture risalgono a un periodo che va dal II d.C. al VI d.C. e si nota chiaramente uno sviluppo decorativo più fine e complesso rispetto a Pandav Lena. Per il resto parleranno le immagini quando vi sarete. La strada sul cornicione del canyon per le grotte è soleggiata, portatevi dunque berretti e acqua in quantità; se visiterete le grotte al mattino presto (l’ideale sarebbe arrivare all’apertura alle 8.00 se riuscite) troverete certamente meno folla e nel primo pomeriggio potrete salire la ripida scalinata verso il belvedere da dove si ammira l’intera ansa del canyon scavato dal fiume, con una splendida vista su tutto il complesso delle grotte. Lo spettacolo deve essere suggestivo soprattutto a ottobre, dopo i monsoni, quando il paesaggio è dipinto dal verde degli alberi e diverse cascate si gettano nel canyon dalla falesia del lato delle grotte. Torniamo, davvero molto stanchi, all’hotel, dove finalmente utilizziamo internet presso l’Ashok travel (30Rs) e consumiamo una cena abbondante (650Rs), dato che abbiamo praticamente saltato il pranzo. P.S.: le scimmie langaur che si rincorrono e si azzuffano sulle rocce presso le grotte, sono uno spettacolo elettrizzante, anche se un po’ pericoloso perché dimostrano di avere una notevole forza (non avvicinatevi troppo) e saltano ovunque, causando a volte la caduta di piccole rocce.
DAULATABAD E ELLORA, Lunedì 14/01/13
Dopo aver bevuto un buon tè allo zenzero in camera, partiamo per la nostra seconda escursione nei dintorni di Aurangabad. Prima di arrivare all’importante sito archeologico di Ellora, ci fermiamo a visitare il forte di Daulatabad (100Rs), detto anche Deogiri (collina degli dei), per un paio d’ore circa. Se riuscite ad acquistare una piccola guida cartacea del forte a non più di 100Rs, ve la caverete bene da soli, senza l’aiuto di una guida ufficiale. Le strutture della fortezza sono sorprendentemente ben conservate, nonostante risalgano al XII-XIV d.C., quindi il luogo merita certamente la fatica di una visita. L’ingresso presenta le classiche imponenti porte “a tenaglia”, una serie di entrate che si susseguono fuori asse, orientate in modo da costringere gli assalitori a esporre un fianco, proseguendo negli stretti cortili delimitati dalle mura sulle quali gli arcieri erano appostati per scoccare i loro dardi. Giunti nella prima grande area aperta, si notano alcuni pozzi e vasche per l’approvigionamento dell’acqua e in seguito il tempio dedicato alla Madre India (Shri Bharat Mata). A fianco del cortile del tempio sorge il maestoso ed elegante Chand Minar, un minareto in arenaria rossa alto ben 65 metri (secondo solo a un minareto di Delhi a quanto pare), uno dei monumenti più fotogenici del forte, visibile da diversi punti. Si prosegue verso l’alto, oltrepassando altre porte fortificate e piccoli ma suggestivi palazzi, fino ad arrivare ad un bastione sul quale giace il gigantesco Mandha Tope, un cannone con una protome a forme d’ariete sul fondo. Attraversato un alto fossato si arriva nel cuore della fortezza, la vera e propria cittadella arroccata su uno sperone di roccia davvero inespugnabile: il modesto palazzo che sorge sulla cima, sembra quasi insignificante rispetto alla possenza della vetta di origine vulcanica che somiglia a una fortezza della Terra di Mezzo. Dopo il ponte ci troviamo di fronte al terribile passaggio a spirale, l’ennesima trappola progettata per far strage di nemici: una scalinata buia collega un piano inferiore a quelli superiori, procedendo appunto a chiocciola. Grazie all’avvertimento di alcuni turisti indiani, non imbocchiamo la via nelle tenebre, anche perché la scalinata è totalmente infestata da pipistrelli che riposano sul soffitto e volano dappertutto (io mi affaccio solo per curiosità, ma torno immediatamente indietro). Si può ovviare a questa via tramite una scala all’aperto laterale, poi però si devono fare un paio di scalinate coperte nelle quali per fortuna vi sono meno pipistrelli e più luce (li sentiamo squittire sopra di noi, serve comunque una torcia). La cima della cittadella è, come detto, occupata dal Baradari, un piccolo palazzo ottagonale e da altre strutture come i bagni reali, una grotta di meditazione e altri cannoni enormi; il panorama è naturalmente mozzafiato, su tutta la vallata e le cime circostanti, sulle rovine della fortezza tra le quali spicca il minareto come sentinella.
Tornati giù, proseguiamo con l’autista alla volta delle grotte di Ellora (250Rs), alle quali arriveremo verso le 11.15. Iniziamo la visita dalla grotta numero 1, proseguendo in ordine coi numeri, che in questo caso significa anche ordine cronologico: infatti le grotte da 1 a 12 sono buddhiste (500-750 d.C.), quelle da 13 a 29 sono indù, soprattutto dedicate a Shiva, (600-870 d.C.) e infine le più appartate grotte da 30 a 34 sono di fede giaina (800-1050 d.C.). A differenza di Ajanta, non vi sono pitture qui, a parte qualche sporadico resto, ma sculture e rilievi sono molto più pregevoli, e le architetture rupestri fanno certamente invidia al famoso sito di Petra. Le grotte buddhiste presentano diverse sculture degne di nota e sono molto più imponenti di quelle di Ajanta, soprattutto il maestoso chaitya della grotta 10. Le grotte indù sono un tripudio di sculture di divinità – come detto Shiva, ma anche Durga, Ganesh, Lakshmi – di grandissimo pregio, in particolare le grotte 14 e 15. La scena però è interamente rubata dal meraviglioso tempio di Kailash (la grotta 17), probabilmente il più bel monumento rupestre che abbia mai visto. Difficile descrivere in due parole questo spettacolo dedicato a Shiva, concepito come una copia della dimora celeste del dio e della sua consorte Parvati (il monte Kailash appunto): basti sapere che lascia esterrefatti, è scavato completamente nella roccia, partendo dall’alto, ed è composto di tre edifici principali che si susseguono in asse, circondati da porticati esterni e sculture a tutto tondo di elefanti e colonne immense. Il tutto ovviamente decorato da centinaia di sculture di divinità, mostri e animali, che spesso raccontano episodi mitologici, come la lotta tra Shiva e Ravana. Ammirata questa meraviglia, anche dall’alto (si sale a sinistra della facciata, ma attenzione perché non vi sono cartelli né barriere protettive ed è potenzialmente molto pericoloso!), se non si ha molto tempo è consigliabile tornare al parcheggio (di fronte al tempio in realtà) e farsi portare dal driver, o prendere un risciò, fino alla grotta 29 e alle grotte giaina. Di queste ultime, merita una visita approfondita solo la grotta 32, sostanzialmente una riproduzione in piccolo del tempio di Kailash, con sculture e rilievi però dei Tirthankara, i 24 saggi giaina che hanno raggiunto in passato l’Illuminazione. Anche oggi la stanchezza è tanta, rientrati in hotel saliamo in camera e scendiamo solo per una rapida cena (290Rs), mentre a pranzo avevamo mangiato frutta.
AURANGABAD, Martedì 15/01/13
Dopo alcuni tentativi vani, riusciamo in mattinata a prenotare un hotel a Pune, il Surya Villa, all’esorbitante prezzo di 1760Rs, ma dato che Irene non sta troppo bene (un po’ di febbre e raffreddore) non vogliamo faticare troppo all’arrivo verso sera, così accettiamo. Usciamo poi col driver per l’ultima escursione ad Aurangabad, partendo dalle grotte (100Rs) a nord della città: questi templi buddhisti rupestri non si possono certo paragonare ai siti di Ajanta ed Ellora, ma il grande pregio che hanno è il silenzio e l’atmosfera di pace. Infatti siamo i primi visitatori, dopo di noi entreranno tre uomini (dei quali un monaco buddhista) per pregare di fronte alle immagini del Buddha, e una famiglia indiana di 3 donne e 4 bambini. L’oasi di tranquillità ci sorprende, le grotte sono modeste ma con interessanti sculture e vi sono ovunque tracce di devozione (fiori, incensi e pasta colorata applicata ai rilievi); inoltre il panorama sulla vallata è impareggiabile e ci comunica una sensazione di relax, tanto che facciamo molto volentieri le classiche foto coi bimbi e le signore indiane. Seconda tappa, il Bibi-ka Maqbara (100Rs), detto anche piccolo Taj Mahal, poiché riprende quasi al 100% le forme del celebre monumento di Agra, senza averne però l’eleganza e la ricchezza. Scattiamo delle belle foto della facciata, giriamo attorno al mausoleo, costruito in pietra bianca e decorato con rilievi floreali, nonostante non vi sia la copertura in marmo, poi via verso la terza e ultima tappa del mattino. Il cosiddetto Panchakki (20Rs) è una costruzione di epoca Moghul che, con un ingegnoso sistema di tubature, convoglia le acque da 6 km più a nord fino in città, azionando un mulino ad acqua. Il luogo è oggi una piacevole area dove rilassarsi all’ombra dell’enorme albero di baniano, ascoltando la cascatella di acqua che si riversa nella vasca centrale e curiosando tra le poche bancarelle che vi sono; in aggiunta nel giardino sul retro si trovano le sepolture di alcuni santi mistici musulmani (chisti) e un prete, per una piccola offerta di 10Rs, farà entrare nel sacrario solo gli uomini (alle donne è permesso sbirciare da fuori, ma non si perdono nulla di esaltante). Per pranzo decidiamo di stare leggeri e acquistiamo alle bancarelle frutta, bevande e un po’ di pakora, il fritto di pastella tipico indiano.
Nel primo pomeriggio, dopo il check out all’hotel, andiamo con un risciò (30Rs) al Central Bus Stand, dove ogni mezz’ora parte l’autobus per Pune (211Rs). Il viaggio di circa 5 ore e mezza è un vero e proprio vortice di emozioni, immagini, profumi e colori, molto più entusiasmante, e movimentato, del tragitto in treno; ammiriamo lo spettacolo dell’India che passa davanti al finestrino senza mai distogliere lo sguardo e con la fotocamera in mano: venditori di pesce, macellai che scuoiano capre, vacche che fanno lentamente girare una macina, nomadi che vivono in tende fatiscenti… il tutto inframezzato da brevi fermate in altre cittadine, dove possiamo comprare il cibo dai venditori di strada, come ad esempio degli ottimi involtini di pasta sfoglia. Arrivati a Pune il caos del traffico è inimmaginabile: code indistinte di moto e auto, risciò, persone e soprattutto una moltitudine di luci, insegne e negozi che ci fanno capire come e quanto ci siamo allontanati dal misticismo indiano. Questa città di 3,6 milioni di abitanti è modernissima, molto occidentale e frenetica. Risciò fino all’hotel, doccia e cena allo Yogi Tree: ci sistemano praticamente in una camera nel retro del ristorante che è situato di fianco all’hotel (in pratica la gestione è la stessa), la stanza non è male, ma la posizione è infelice, sebbene notiamo che vi sono altri turisti nella nostra situazione. Per un paio di notti comunque andrà bene. Lo Yogi Tree inoltre è uno dei locali più cool di Pune, nel quartiere di Koregaon Park, frequentato da moltissimi occidentali (anche italiani), alcuni turisti, ma la maggior parte discepoli di Osho, il guru della filosofia new age che ha fondato la sua scuola in questa città. Nonostante sia morto nel 1990, la sua dottrina viene tutt’oggi seguita da milioni di fedeli in tutto il mondo. Tra adepti vestiti con la tunica porpora tipica della setta e borghesi indiani, ceniamo (560Rs) con piatti pure veg accompagnati da acqua e coca cola (non si vendono alcolici, come in tutti i locali vegetariani) e, un po’ scioccati da questa visione, andiamo a coricarci.
PUNE, Mercoledì 16/01/13
La colazione che volevamo fare alla German Bakery (una catena di localini nepalesi che sforna prelibatezze europee, dolci e non solo) salta clamorosamente perché è in fase di ristrutturazione! Un peccato perché avevamo assaggiato le sue delizie in una filiale di Udaipur nel nostro primo viaggio in India. Ripieghiamo per una colazione “in casa” allo Yogi Tree, con pancake, lassi e the, alla modica cifra di 300Rs; abbiamo compreso che Pune ci costerà una cifra! Prendiamo poi un tuctuc per l’Aga Khan Palace (100Rs), il luogo dove Gandhi e alcuni suoi sostenitori furono imprigionati dal 1942 al 1944: ora è un museo dedicato al padre della patria, con nostalgiche foto sbiadite della sua vita, una ricostruzione della stanza dove visse e la tomba del suo segretario di fiducia e di sua moglie Kasturba, che qui morirono in prigionia. Nonostante vi sia anche un cenotafio che contiene alcune ceneri di Gandhi, si può dire che nel complesso è più interessante (ed economico) il Mani Bhavan di Mumbay. Passiamo il resto della mattinata girare il centro in Mg Road, in cerca di un’agenzia che ci prenoti l’autobus notturno di sabato per Goa; in realtà lo troveremo vicino al nostro hotel, comunque consiglio vivamente di contattare telefonicamente la Bright Travels (020/26114222), alla stazione di sevizio presso la stazione ferroviaria, per evitare di pagare un rincaro esagerato, come purtroppo abbiamo fatto noi: teoricamente un biglietto su un pullman sleeper non A/C dovrebbe costare 450-500Rs. Alle 12.00 con un tuctuc, raggiungiamo il Museo Tribale, un po’ caro (200Rs), ma molto interessante, soprattutto la parte degli strumenti musicali, dei dipinti tribali, delle maschere di cartapesta e della magia nera. Fate attenzione ai risciò di Pune perché appena vedono un turista tendono ad alzare il prezzo in maniera spropositata, quindi cercate un risciò col tassametro attivo: per una tratta di pochi chilometri ci era stato chiesto da un giovane 200Rs, noi gli abbiamo praticamente riso in faccia e abbiamo preso un risciò col tassametro spendendo 22 Rs! Dopo il museo raggiungiamo a piedi la zona del nostro hotel, pranziamo in un fast food indiano (250Rs) e c’immergiamo nel quartiere più occidentale della città, Koregaon Park appunto. Le strade attorno all’ashram (il centro di culto), l’Osho International Meditation Resort, sono incredibilmente pulite e silenziose, immerse in un verde insolito, circondate da ville e residenze di ricchi borghesi, e vi si incontrano spesso i discepoli del maestro con la classica tunica porpora. Scegliamo di non vedere l’interno dell’ashram, anche perché la visita è di pochi minuti e va effettuata in silenzio, e non siamo nemmeno propensi a passare un giorno al suo interno, perché i costi sono altissimi. Scegliamo invece di passeggiare per l’Osho Teerth, un giardino ben curato e gratuito, aperto al mattino presto e nel pomeriggio, pieno di coppiette, piante, fiori e ruscelli, un luogo dove venire a riposare o meditare, nonostante la pressante umidità e la presenza di qualche zanzara. Prima di rientrare in camera navighiamo un po’ su internet per controllare orari di treni e hotel, prenotiamo una camera a Lonavla per il giorno successivo e cambiamo altri euro in un banco di cambio in zona. Essendo un po’ pigri scegliamo di cenare ancora allo Yogi Tree (420Rs), poi andiamo a letto presto.
LONAVLA, Giovedì 17/01/13
Dopo l’ormai rituale colazione allo Yogi Tree (200Rs), quest’oggi con pasta e caffè nella moka, prendiamo il risciò per la stazione ferroviaria e acquistiamo un biglietto in un treno locale per Lonavla: abbandoniamo la modernità di Pune su un treno senza prenotazione che ci costa solo 26Rs in due! Per fortuna riusciamo a sederci, dopo un’ora e mezza arriviamo a Lonavla e, alle 11.30 circa, prendiamo un risciò per l’Mtdc Karla Resort, una sorta di villaggio vacanze indiano, abbastanza costoso (1500Rs), ma carino, e del resto è l’unica struttura vicino ai luoghi che vogliamo vedere. Ci riposiamo un po’ in camera, mangiando frutta, poi alle 14.00 usciamo con un tuctuc (600Rs) per visitare i due siti più interessanti della zona: le grotte buddhiste di Karla e Bhaja. La prima (100Rs) è un enorme chaitya, il più grande del Deccan, scolpita in una parete rocciosa che si raggiunge con 100 gradini fiancheggiati da numerose bancarelle (per nulla fastidiose comunque).La struttura è alta 14 metri e lunga circa 40 ed è davvero imponente e impressionante; le decorazioni sono più semplice ed arcaiche se vogliamo, rispetto ad altri siti, ma questo perché Karla è molto più antico, risalendo al I-II d.C. Non sono presenti raffigurazioni del Buddha perché in questo antico periodo la scuola principale del buddhismo era quella denominata hinayana, che prevedeva la rappresentazione aniconica dell’Illuminato, così si possono notare immagini dello stupa, dell’albero della bodhi, le impronte e la ruota della legge, in vece del maestro. Comunque diverse sculture sono pregevoli (elefanti, geni delle foreste, stupa, gli stessi ricchi donatori laici) soprattutto nei lati del portico che precede l’ingresso alla grotta; tre porte permettono di entrare nella sala con colonne ottagonali, che presenta in fondo un possente stupa monolitico, grezzo, pesante e con poche decorazioni (solo la balaustra e la harmika sulla cima). Sorprende il fatto di vedere ancora in loco le travi di teak risalenti a due secoli fa e la copertura ad ombrello dello stupa (la chattravali) dello stesso materiale; le travi lignee sulla volta non hanno chiaramente funzione portante, ma sono un retaggio delle antiche architetture in legno costruite prima di quelle rupestri. Fuori, di fronte al monumento, si erge una massiccia colonna monolitica (simhas stambha), sormontata dal tipico capitello a 4 leoni, eredità del regno Maurya di Ashoka, grande patrocinatore del buddhismo; ostruisce parzialmente la visuale della facciata del chaitya, un piccolo tempietto indù, dedicato a Ekviri, una dea oracolo venerato dalla comunità di pescatori koli (questo spiega la presenza di pellegrini, venditori e mendicanti lungo il cammino per il sito). Acquistiamo qualche souvenir – imperdibile il chikki di Lonavla, un croccante di vari tipi, duro come un sasso – poi ci rechiamo alle grotte di Bhaja (100Rs). Dopo una “pittoresca” stradina percorsa in tuctuc, attraversando villaggi e binari, ci attende la solita ripida salita sotto il sole, per giungere al modesto sito buddhista, tra i più antichi dell’India (II a.C.). Le grotte sono quasi tutte semplici nicchie che servivano da celle per i monaci, senza decorazioni, tranne a volte dei fregi sopra gli ingressi raffiguranti stupa, mentre all’interno è presente il tipico giaciglio scavato nella nuda roccia. Tre sono le cose da segnalare: la grotta più lontana alla destra dell’ingresso presenta i rilievi più belli, con l’immagine del Buddha sotto forma di stupa e divinità forse risalenti all’epoca vedica ad esempio Indra e Surya, dio del sole sul carro trainato da 4 cavalli (incredibile come in religione ci siano analogie tra culture così distanti, vedi quella ellenica); in una sorta di rifugio sotto roccia vi sono 14 piccoli stupa decorati in modo semplice con balaustra e harmika, perfetto esempio di donazioni di committenti laici benestanti; di fronte all’ingresso del sito vi è la struttura più bella, un chaitya con colonne ottagonali, rastremate ed inclinate verso l’interno per imitare il legno, e il solito stupa che rappresenta il Buddha in fondo. La sala non presenta il portico decorato di Karla e non ha la facciata, ma un’apertura unica che immette nello spazio coperto, anche qui sono presenti le travi in teak e comunque mantiene un suo fascino, anche perché il panorama sulla vallata sottostante, come a Karla, è stupendo. Torniamo al resort, dove prenotiamo un taxi per arrivare la mattina seguente a Neral, in orario per prendere il trenino per Matheran: il gestore è di una cordialità e disponibilità ineccepibile, ma tenete presente che se farete chiamare il resort spenderete molto di più delle 700Rs circa che sarebbero giuste per la tratta Lonavla-Neral (consiglio di prenotare arrivati alla stazione eventualmente). Il ristorante interno al resort (455Rs) non è nulla di speciale, ma dato che siamo praticamente isolati e fuori città, non ci resta che cenare con le solite pietanze indiane, riso e verdure speziate.
MATHERAN, Venerdì 18/01/13
Sveglia alle 7.00 per prendere il taxi che ci porterà alla stazione di Neral Junction. Arrivati alle 9.50 circa, lascio Irene a far la fila per prenotare il biglietto del treno di domani per tornare a Pune (60Rs), mentre io vado a far la fila per i biglietti per Matheran (53Rs), una famosas stazione climatica presso Mumbay, che si raggiunge con un trenino a scartamento ridotto molto pittoresco, il quale percorre in due ore e mezza un tratto di 21 km. Ci sistemiamo stipati come sardine, dopo aver risolto un problema di biglietti (una famiglia dello Sry Lanka, gentile ma confusionaria, ha i nostri stessi posti per un errore del bigliettaio), e dopo una buona mezz’ora di viaggio, cominciamo a vedere i primi notevoli panorami, mentre il trenino sale sbaffando per i ripidi pendii. Man mano che si procede la vista diviene sempre più mirabile e i dirupi si fanno sempre più profondi e pericolosamente vicini ai binari. Il trenino va molto piano, attraversa un paio di minuscole fermate dove i soliti venditori propongono succhi e cibo, ma comunque permette ai viaggiatori di scattare ottime foto dei paesaggi, delle scimmie che a volte affiancano i binari e dei vagoni stessi. Arriviamo a Matheran alle 13.30, paghiamo l’ingresso alla cittadina (40Rs) e c’incamminiamo per la via principale coi nostri zaini in spalla, in cerca di un hotel, ma evitando i vari procacciatori. Dopo un primo tentativo fallito, ci accasiamo all’Hotel Paramount (1000Rs), situato in Kasturba Road, una parallela a monte della via principale del bazaar; le camere sono buone, per una notte non ci lamentiamo. Ci cambiamo e imbocchiamo uno dei tanti sentierini in terra rossa battuta che conducono verso i cosiddetti “points”, speroni rocciosi che emergono dalla foresta che ricopre l’altipiano di Matheran, permettendo splendide viste sulle vallate circostanti. Da tener presente che Matheran è una località di “villeggiatura ecologica”, un po’ cara soprattutto nel periodo dei monsoni, che permette la circolazione al suo interno solo a cavallo, con risciò trainati da uomini o a piedi, quindi diviene una vera e propria evasione dal caos e dallo smog dell’India; se scegliete come noi di muovervi a piedi (quasi tutti i punti sono raggiungibili con camminate poco lunghe e poco faticose), ricordate che vi sporcherete di polvere rossa tutti i piedi, quindi è consigliabile usare pantaloni corti e scarpe da trekking facilmente lavabili. Nei sentieri sotto gli alberi s’incontrano cani, scimmie e gente a cavallo, in un’atmosfera di pace surreale. Ci dirigiamo prima verso lo Charlotte Lake, un invaso artificiale che garantisce la riserva d’acqua alla località, poi all’Echo Point, che in realtà non svolge pienamente la funzione del suo nome, ma presenta una vista notevole. Proseguiamo incontrando l’Honeymoon Point e lo spettacolare Malang Point, che permette una visuale a 180°. La tappa finale è il Porcupine Point, detto anche (a ragione) Sunset Point: verso le 17 quasi tutti i visitatori si recano in questo sperone di roccia che permette di godersi pienamente il tramonto, quindi consiglio, come abbiamo fatto noi, di arrivare un po’ prima, scattare foto quando ancora c’è poca gente e il sole non è un impedimento e bere un chai in tranquillità. Anche questo punto permette una visuale meravigliosa, quasi a 360°, con panorami sulla vallata, sui picchi di fronte e sulla falesia scoscesa dell’altipiano di Matheran. Le scimmie e le coppiette rendono il posto ancora più vivace. Rientriamo verso il villaggio prima che il punto si faccia troppo affollato e facciamo un giro nell’animato bazaar situato nella via principale: quando arriviamo ci pare di essere a San Marino o in una località balneare della riviera, non propriamente in India! Negozietti e turisti, indiani soprattutto, sono numerosissimi e noi non resistiamo all’acquisto di un paio di ciabattine di pelle a testa, artigianato tipico della zona. Ceniamo all’indianissimo locale di fronte alla stazione, una locale tavola calda che si chiama Ghawre Restaurant (415Rs), scegliendo piccantissimi polli in intingoli vari; anche questa volta a pranzo abbiamo mangiato snack e frutta, quindi ci riempiamo la pancia per bene e prima di tornare in hotel compriamo cioccolata e succhi di frutta per il giorno dopo. Andiamo a letto presto perché l’indomani ci attende la lunga traversata per Goa.
IN VIAGGIO VERSO GOA, Sabato 19/01/13
La giornata inizia come al solito presto: alle 7.00 c’è il trenino che scende da Matheran da prendere. Per fortuna a quest’ora la carrozza è molto meno affollata, così ci godiamo lo spettacolo del sorgere del sole mentre scendiamo e riassaporiamo in modo migliore i panorami. Dopo una breve attesa alla stazione di Neral, prendiamo un affollatissimo espresso per Pune alle 10.10 ma, grazie alla prenotazione dei posti del giorno precedente, riusciamo, con alcune evoluzioni, a sederci e sistemare gli zaini sotto i sedili; gli indiani sono molto rispettosi e se vedono che ci sono posti prenotati, anche se il treno è pieno all’inverosimile vi faranno passare, spingendo e pressando, e vi inviteranno a sedervi. Attorno a noi migliaia di indiani di tutte le etnie e le classi sociali rendono “vivo” il convoglio e come sempre molte persone mangiano in continuazione, parlano al telefono o riposano. Arrivati alla stazione di Pune chiediamo informazioni su dove si trovi la Bright Petrol Pump e vi giungiamo a piedi in 10 minuti scarsi; abbiamo tempo per un pranzo a una tavola calda vegetariana di fronte alla stazione (210Rs) e poi dobbiamo attendere buona parte del pomeriggio l’arrivo del pulmino che ci traghetterà all’autobus vero e proprio per Goa. Avremmo anche la possibilità di vedere qualcos’altro nel pomeriggio a Pune, ad esempio il Raja Dinkar Kelkar Museum raggiungibile con risciò, ma in previsione dello stancante viaggio ci riposiamo sul muretto della stazione di servizio, leggendo quotidiani e libri. Prendiamo dunque il pulmino, purtroppo in ritardo di oltre mezz’ora, e, dopo un interminabile viaggio nel traffico serale di Pune, saliamo a bordo dell’autobus notturno: le cuccette sono abbastanza ampie per starci in due passeggeri e i bagagli grossi vanno spinti sotto di esse (consiglio vivamente le cuccette in basso e se possibile in seconda fila rispetto all’ingresso, le prime sono un po’ più strette e ventilate). L’autobus fa due fermate: una alle 21.30 circa per una breve cena in una sorta di area attrezzata, la seconda all’1.30 per espletare i classici bisogni: purtroppo la seconda sosta è in mezzo al nulla, quindi per le donne è un po’ complesso, comunque dotate di una torcia Irene e altre ragazze fanno un gruppetto e scortate a distanza dai noi maschi si arrangiano come possono dietro un casolare. L’autobus prosegue veloce in strade a volte tortuose e dissestate, ogni tanto io mi sveglio per qualche manovra brusca e confesso di avere timore per la guida spericolata, ma probabilmente la stanchezza ha la meglio e tutto sommato dormo abbastanza. Alle 7.00 del mattino seguente siamo al Bus Stand di Panjim, la città capoluogo del Goa.
PANJIM (PANAJI), Domenica 20/01/13
Impieghiamo circa un’oretta per trovare la nostra sistemazione: il Park Lane Lodge (1050Rs) è una casa coloniale vagamente decadente, che ricorda da lontano il Bates Motel di Psycho, appoggiato com’è al colle sul suo retro e stretto tra due edifici coloniali più grandi. I signori che lo gestiscono in maniera del tutto familiare sono molto cordiali, educati e disponibili; la camera ha uno stile piacevolmente retrò, con pavimenti in legno, un bagno esterno ad uso esclusivo nostro, il lavabo interno ed è situata in una specie di soppalco defilato sul retro dell’abitazione, con un portico dove si può star seduti a rilassarsi. In più il prezzo è decisamente conveniente, dato che resteremo qui 5 notti. L’alberghetto è vicino alla bianchissima Cappella di San Sebastiano, dove, dato che è domenica, si celebra la messa, pertanto la osserviamo da fuori e scattiamo qualche pittoresca foto al quartiere coloniale di Fontahinas, dove si trova la nostra sistemazione e dove vi sono diverse guest house carine. Arrivati al lungofiume (il Mandovi), ci dirigiamo verso ovest, passando di fronte al Secretariat, l’edificio coloniale più antico della città, e alla statua dell’Abbè Faria, un prete di Goa che emigrò in Francia e diventò uno dei primi ipnotizzatori di professione al mondo. Decidiamo di arrivare al mercato coperto, passeggiando per la piacevole cittadina, e notiamo che molti esercizi sono chiusi dato che è domenica: la presenza cristiana è alta in questa regione e dunque i negozi sono chiusi nel giorno del Signore. Il mercato, invece, pullula di gente ed è diviso, come di consueto, in aree specifiche in base alle merci: passiamo dapprima nella zona del pesce fresco, dove osserviamo magnifici esemplari di granchi giganti, pesci martello, piccoli tonni e molluschi, poi velocemente nell’area della carne (la vista di polli ancora vivi accanto ad animali scuoiati e teste di capra mozzate è decisamente forte). Un rapido passaggio tra le bancarelle esterne di vestiti e cianfrusaglie varie, poi ci inoltriamo nella parte più colorata, il vero e proprio mercato coperto della frutta e verdura: questa zona è molto più luminosa di quello di Mumbai e ci offre uno spettacolo fantastico di merci impilate in modo perfetto; oltre a frutta e verdura (con materie che non abbiamo mai visto) si vendono fiori e incensi per le funzioni religiose (sia cristiane che indù), granaglie, legumi secchi e cereali (varie qualità di riso), spezie di ogni tipo e forma (che acquistiamo a prezzi davvero esigui). La folla di venditori e acquirenti non è infastidita dalla nostra presenza e dalle nostre foto, poiché probabilmente è abituata alla visita dei turisti occidentali, infatti non siamo gli unici come a Mumbai.
Girovaghiamo ancora un po’ per Panjim, insolitamente placida e tranquilla, arriviamo fino a Church Square e ammiriamo la fotogenica facciata della Chiesa di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione: le varie rampe di scale che collegano i terrazzi in fronte al monumento, ci ricordano vagamente la scalinata di Trinità dei Monti a Roma. L’edificio più importante di Panjim spicca con la sua mole e il suo color bianco contro il fondo azzurro del cielo ed è un vero piacere osservarlo da fuori, visto che purtroppo, essendo domenica, non possiamo entrare perché si sta celebrando un matrimonio cristiano (insolitamente sull’uscio della chiesa). Ci concediamo un buon pranzo al ristorante pure veg Satkar, dove beviamo uno dei suoi famosi succhi di papaya, e assaggiamo per la prima volta delle specialità dell’India meridionale, masala dosa e uttapam di pomodori e cipolle, eccellenti! (285Rs). Nel pomeriggio, dopo un breve riposino in camera, prendiamo il bus per Candolim (15Rs) per vedere finalmente la spiaggia e il mare in India; uno dei pregi di alloggiare nel quartiere di Fontahinas, oltre al fatto che è decisamente grazioso, è che si trova a 5 minuti dalla stazione dei bus di Kadamba, dalla quale partono tutti i trasporti per raggiungere qualunque parte del Goa. Arriviamo in una località tipicamente balneare, stracolma di turisti russi (saranno probabilmente l’80% degli occidentali) oltre che di americani ed europei, con bancarelle, bar e capanni sulla spiaggia uno a fianco dell’altro, che svolgono, in modo spartano, la funzione dei nostri stabilimenti balneari. Ci sono anche parecchi indiani, perché è domenica, ma sono per così dire “separati” dai turisti occidentali che stanno sui lettini o a sorseggiare birra all’ombra, infatti si stendono al bordo della battigia. Gli indiani sono quasi tutti maschi ed è curioso osservarli mentre si divertono come bambini, si rotolano nella sabbia facendosi scherzi, fanno il bagno quasi completamente vestiti con pantaloncini e canottiera: forse è vero che questo popolo conserva, anche da adulto, un’innocenza infantile che noi perdiamo troppo presto e una spensieratezza che concede loro di vivere dignitosamente in un mondo difficile come il loro. Noi ci sediamo su una specie di pareo acquistato per l’occasione (150Rs) presso i chiassosi indiani, io faccio il bagno in un mare dall’acqua mossa ma calda e infine, dopo un breve passeggiata sulla sabbia, ci concediamo una birra gelata in un capanno, mentre osserviamo il sole che cala e parte un sottofondo di musica lounge. Ritornati a Panjim, la sera ceniamo in un locale consigliatissimo (a ragione) dalle guide, il Viva Panjim, situato a 50 metri dal nostro alberghetto: assaggiamo la cucina tradizionale del Goa, pesce panato, gamberi e calamari in salsa xacuti eccellenti, più il dolce tipico di Goa, la bebinca, e un bicchiere di porto (670Rs).
PONDA E OLD GOA, Lunedì 21/01/13
La giornata è dedicata a conoscere un po’ della cultura del Goa, così ci dirigiamo nella parte centrale dello stato, prendendo il bus per Ponda (20Rs). Una volta arrivati ci affidiamo al solito risciò che purtroppo gonfia i prezzi e per 400Rs ci facciamo portare a visitare due templi e una piantagione di spezie. Il primo è il Mangueshi Temple, un bell’edificio dedicato ad una divinità venerata solo nel Goa, nel quale si può entrare a piedi nudi per ammirare il sacrario argenteo che contiene uno shivalingam e dove si può bere qualche goccia di acqua santa offerta da un sacerdote. Nel cortile del santuario vi è un maestoso deepmal a sette livelli, una torre con nicchie alle pareti, dove vengono accese lampade ad olio per determinate funzioni. Il tempio di Mahalsa è la seconda tappa: anch’esso è dedicato ad una divinità del goa e possiede nel recinto interno un deepmal di ben 21 livelli; purtroppo l’ingresso al tempio vero e proprio è proibito agli stranieri, quindi passeggiamo nel giardino ammirando i begli edifici religiosi da fuori. Entrambi i templi sono stati spostati e ricostruiti nei secoli XVI-XVII d.C. per far fronte alle distruzioni perpetrate dai portoghesi. Il risciò ci conduce infine per una tortuosa stradina collinare alla Savoi Plantation, una piantagione di spezie biologica, il cui tour guidato, comprensivo di lauto pranzo tradizionale del Goa, costa 600Rs a testa: nonostante la cifra un po’ alta, la visita merita assolutamente al 100% (consiglio di scegliere questa piantagione rispetto alla Tropical Spice Plantation, più frequentata dagli occidentali, dunque inflazionata e meno “vera”). C’è da dire che il nostro spostamento dal Maharasthra a diversi km più a sud, nel Goa, ha determinato un netto cambiamento di paesaggio: se prima ci muovevamo nel tipico ambiente secco, montuoso ed in parte arido del Deccan, nonostante la presenza di alberi e campi, ora ci troviamo in un territorio collinare molto più affine al clima tropicale, con alberi rigogliosi, vere e proprie giungle, risaie e tonalità di verde acceso che non avevamo mai visto in India. La simpatica guida che parla un ottimo inglese porta i visitatori in giro per la piantagione per circa un’ora, illustrando molti tipi di piante e curiosità e sfidandoci spesso a riconoscere dalla forma e dall’odore il tipo di spezia. Essendo solo io e mia moglie, il tour è tranquillo e piacevolissimo, tra palme da cocco, banani e decine di piante di spezie: cannella, noce moscata, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano, solo per citarne alcuni, sprigionano profumi intensi inframezzati da colorati fiori tra i quali spicca l’elegante ibiscus. Al termine ci attende il pranzo: da ricordare che al nostro arrivo, prima del tour (che non era stato prenotato) la guida ci ha fatto sedere e riposare offrendoci come benvenuto un succo di un frutto vermiglio (tipo ciliegia) in bicchierini di terracotta, biscotti speziati salati e dolci e cocomero e papaya a fette. Detto questo il pranzo è pantagruelico: servite in ciotole di terracotta e piatti di foglie di banana essiccate, ci vengono portate più di una dozzina di pietanze tradizionali del Goa; ricordo almeno due tipi di riso non condito, la zuppa di lenticchie (dal), vari intingoli piccanti simili al chutney e ai pickle, piatti vegetariani saporitissimi, una gustosa insalata, un sublime yogurt (di capra suppongo, del quale ho fatto incetta), pesci alla griglia e impanati (sgombri e calamari di certo) e un paio di tipi di dolci! Restiamo senza parole e nella calma e tranquillità del portico della piantagione, non ci resta che abbuffarci. La disponibile guida ci spiega dove prendere il bus per Old Goa (15Rs a circa 100 metri) e noi prima di partire assaggiamo anche il feni (un tipico distillato di anacardi non molto alcolico ma pesante), acquistiamo qualche spezia e due bicchierini di terracotta.
La visita alla città di Old Goa, città storica e antico capoluogo della regione, ci riporta al colonialismo portoghese: gli edifici sacri costruiti dai conquistatori sono tutti abbastanza vicini, dunque visitabili in una mezza giornata, e mantengono l’imponenza del loro glorioso passato. Decisamente da vedere sono la Basilica del Bom Jesus (dove è sepolto San Francesco Saverio, importante missionario in Asia), il complesso della Cattedrale della Sé (dedicata a Santa Caterina, con un mirabile altare e una croce ritenuta miracolosa al suo interno) e la Chiesa di San Francesco con annesso il piccolo Museo Archeologico (10Rs, uno dei pochi posti dove si paga come gli indiani). Vicino al fiume si può notare il restaurato Arco del Vicerè (con una statua di Vasco de Gama), dai quali i portoghesi entravano in città, e lì accanto il convento di San Cajetano, con pregevoli decorazioni in legno nel pulpito e nell’altare. Con 10 minuti di cammino si può infine raggiungere la Collina Sacra, dove sono raggruppati i Conventi di San Giovanni di Dio e di Santa Monica (visibili solo esternamente), i resti restaurati recentemente del monastero agostiniano, tra i quali spicca la fotogenica torre, e la Cappella di Nostra Signora del Rosario, un po’ malridotta, ma dalla quale si gode di un ottimo panorama del fiume Mandovi. In attesa del bus per il ritorno diamo un’occhiata a qualche bancarella e acquistiamo un cocco, del quale beviamo il succo e mangiamo la polpa. Piuttosto stanchi rientriamo col bus (10Rs), poi usciamo la sera per cercare un internet point e cenare; scegliamo l’Upper House, un locale molto (troppo!) elegante con aria condizionata alta e clientela occidentale e indiana incravattata. Le porzioni sono abbondanti e il cibo è buono (cito il pollo xacuti), ma i prezzi sono assolutamente troppo alti (1000Rs), quindi consiglio di evitarlo.
CHANDOR, MARGAO, PANJIM – Martedì 22/01/13
La giornata inizia con uno spiacevole imprevisto che ci fa perdere diverso tempo e ci manda a monte il programma quotidiano (anche se poi a conti fatti sarà meglio così): la sera precedente ho dimenticato la fotocamera nell’internet point, quindi molto preoccupati andiamo al negozio all’orario d’apertura (le 9.00) e con grande sollievo troviamo un dipendente che aveva conservato la macchina in un ripostiglio. Ringraziamo vivamente e decidiamo di allentare la tensione con una colazione all’occidentale alla Afonso Guest House, un’alternativa molto carina e un po’ più cara (1500Rs) alla nostra sistemazione. Un ragazzo alla reception parla bene italiano e ci invita ad accomodarci in terrazza, dove gustiamo i sublimi panini di Goa al burro e miele, accompagnati da chai e caffè (190Rs). Ci rechiamo poi all’ormai familiare bus stand per prendere il bus espresso per Margao (30Rs). Una volta compreso il meccanismo dei bus, spostarsi a Goa è un piacere: nei piccoli bus privati (di proprietà del conducente e del controllore) i biglietti si fanno sul mezzo, fermano a richiesta praticamente ovunque e si riempiono all’inverosimile (proprio perché non pubblici), per prenderli dovete chiedere ai passanti e ascoltare i controllori che urlano le destinazioni; gli espressi sono pochi, di proprietà pubblica, vanno direttamente a destinazione senza fermate intermedie e il biglietto, leggermente più caro, si fa nelle apposite biglietterie nelle stazioni. Da Margao prendiamo un bus privato per Chandor (10Rs) e arriviamo al centro del villaggio alle 12.00, per visitare Casa Braganza, a quanto pare la dimora coloniale più bella di Goa (meglio telefonare per accordarsi con la proprietaria prima, come abbiamo fatto noi). Con una donazione di minimo 150Rs a testa possiamo prendere parte alla visita guidata dell’ala ovest della casa (vietato scattare foto all’interno), dove una discendente della famiglia portoghese di proprietari terrieri, illustra diverse stanze, come la sala da ballo, da pranzo, da letto e la biblioteca che contiene 5000 testi antichi; l’arredamento, pregevolmente conservato, comprende vetri di Murano, marmi di Carrara, vasi cinesi e mobili in teak. Tutto mantiene un’atmosfera molto elegante e vintage, un’esperienza decisamente originale per avere un’idea di come vivevano i portoghesi nel XVII secolo. L’ala est è aperta al pubblico ed è certamente meno sfarzosa e più decadente, ma è gestita da un altro ramo della famiglia, per cui eventualmente si deve fare un’altra donazione (noi entriamo solo per servirci della toilette). Dopo aver acquistato un pranzo al sacco a base di samosa e altre polpette di carne in una tavola calda della piazzetta, prendiamo il bus che ci riporta a Margao e facciamo due passi nel primo pomeriggio in questa centro piuttosto trafficato: vediamo il Largo de Igreja, sul quale si affacciano diverse abitazioni coloniali e la Chiesa dello Spirito Santo (purtroppo al momento chiusa). Dato che la città non è molto interessante optiamo per tornare a Panjim e sfruttare il tempo rimanente del pomeriggio per vedere il Museo di Stato di Goa; attraversiamo uno dei tratti più pittoreschi della regione, con verdissime risaie, dimora di bufali e aironi, oltre che luogo di lavoro dei contadini. Il museo che visitiamo è proprio dietro alla stazione degli autobus e contiene una eterogenea collezione di materiali che riguardano lo stato del Goa: le classiche sculture indù con l’aggiunta di pregevoli bronzetti giaina, arte lignea cristiana, mobili antichi appartenenti in parte alla stessa Casa Braganza e in parte all’Inquisizione, una piacevole parte etnografica e altre sale varie, tra le quali spicca la sezione sull’introduzione della stampa a Goa e quella relativa all’indipendenza dai portoghesi. L’insieme risulta parecchio caotico e l’esposizione è certamente datata, ma alcuni pezzi sono notevoli e il museo ha il pregio di essere quasi deserto e gratuito. Prima di tornare in camera facciamo un salto di fianco al Secretariat, in Mg Road, dove, nascosto in un vicolo, vi è un grazioso ed eccentrico negozio di azulejos, piastrelle in ceramica decorate, che consiglio vivamente di visitare: ci sono belle idee per regali e alcune piastrelle che riproducono i disegni di Mario Miranda, uno dei fumettisti più celebri dell’India (troverete i suoi murales al mercato coperto, noi acquistiamo una ceramica a 200Rs). Sulla via per la nostra guesthouse io mi faccio temerario e compro anche un succo di canna da zucchero appena spremuto (10Rs): quando vedrete come lo fanno e che colore ha capirete perché serve un po’ di coraggio, ma il gusto è buono e dissetante (non avrò alcun problema intestinale a riguardo); inoltre vicino a dove dormiamo c’è un piccolo supermarket aperto fino alle 21.00, nel quale ogni giorno facciamo piccoli acquisti di cibarie e beni necessari (come fazzoletti o carta igienica). Per cena scegliamo l’Hotel Vihar, presso il lungofiume, un semplice locale vegetariano con eccellente cucina udupi (del sud), dove diamo sfogo al nostro appetito con cheese kofta, idli e uttapam e infine io mi sbafo anche un dolce dal pungente sapore di limone (350Rs).
ANJUNA, Mercoledì 23/01/13
È finalmente giunto il momento dello shopping estremo: il mercoledì è il giorno in cui ad Anjuna si tiene il famoso e pittoresco mercatino delle pulci! Naturalmente ci spostiamo coi soliti bus, l’espresso per Mapusa (11Rs) e il bus per la località di mare (10Rs). Anjuna è un piccolo villaggio sul mare a nord di Panjim, famoso per essere stato uno dei primi luoghi frequentato dagli hippies negli anni ’70, mentre oggi è una meta di villeggiatura non solo per “sballoni”, anche se si vedono ancora alcuni personaggi di certo originali; arriviamo verso le 9.30, quando l’atmosfera è ancora tranquilla e sonnolenta e c’incamminiamo sulla spiaggia verso sud per raggiungere il mercatino, passando accanto a numerose vacche che sembrano godersi il tiepido sole mattutino sulla sabbia. L’immagine della spiaggia è davvero idilliaca: palme che si sporgono sopra la sabbia, capanni adibiti a bar e un mare calmo e azzurro con pochi bagnanti. Giunti all’ingresso del mercatino (si fa per dire perché in realtà è immenso), decidiamo di prenderci un lassi di banana e un succo di cocomero seduti in un capanno sulla spiaggia, guardando il mare e ascoltando lo sciabordio delle onde. Siamo entrati pienamente nel ritmo “take it easy” di Anjuna. Entriamo nei meandri del mercato alle 10.00: le bancarelle si trovano sia sotto le palme che affiancano la spiaggia, sia lungo due lunghe direttrici che puntano verso l’interno, arrivando fino alla stradina asfaltata alcune centinaia di metri dopo, dove si sviluppano altre banchetti. In certi punti vi è un vero e proprio intrico di venditori che richiamano l’attenzione dei passanti (molti russi ed europei) in ogni modo. La maggior parte della merce è abbigliamento vagamente hippie, pantaloni, maglie, tessuti, bracciali e collane in vari materiali, tè e spezie, statuette in legno, pietra o metallo e vari altri oggetti in continua ripetizione. Contrattare è di fondamentale importanza, anche nel modo più spietato, abbassando il prezzo drasticamente fino a quando non si ha una concezione più precisa di quanto sia il reale valore della merce; l’importante è decidere quanto un oggetto può valere in India, non fare il rapporto in euro, altrimenti, dato i prezzi irrisori si rischia di prendere tutto senza contrattare. Non ci si deve focalizzare solo su una bancarella (molte vendono le stesse cose) e si può far finta di andar via perché il prezzo è troppo caro: a quel punto i venditori abbasseranno la cifra e vi chiederanno una vostra offerta che dev’essere inferiore a quanto volete pagare. Un esempio? Abbiamo acquistato 5 braccialetti in serie molto semplici che al primo “how much?” costavano 450Rs, all’irrisorio prezzo di 50Rs (il che significa ovviamente che il venditore ci ha comunque guadagnato). La rovina di queste contrattazioni sono i russi che, essendo spesso facoltosi, comprano i pezzi senza mercanteggiare, dunque a volte i venditori restano su prezzi troppo alti perché sanno di poter vendere a quei turisti. Alla fine del giro di due ore e mezza e dopo molta pazienza consumata il risultato è il seguente: 5 braccialetti già citati più altri tre in cuoio, 2 confezioni d’incenso, 3 etti di tè, una t-shirt, una gonna, due paia di pantaloni, uno per me e uno per Irene, per un totale di 16 euro circa. Dopo un pranzo in uno dei capanni con sandwich e birra (350Rs), ci stendiamo finalmente al sole vicino all’acqua e io mi addormento quasi subito. Quando mi sveglio sia io che Irene facciamo a turno il bagno in un’acqua caldissima e calma e assaporiamo delle belle ore di relax. Verso le 17.00 decidiamo di rientrare, passando per un ultimo giro veloce al mercatino: l’atmosfera è ora più rilassata, evidentemente i pullman dei viaggi organizzati sono andati via, spuntano alcuni soggetti quanto meno particolari e si sentono le prime musiche di happy hour. Noi però dobbiamo tornare sull’affollatissimo bus per Mapusa e poi per Panjim. La sera scegliamo per cenare il Venite, un locale molto romantico a Fontahinas, con stretti balconcini aggettanti sulla strada sui quali si mangia; i piatti tipici del Goa sono forse un po’ costosi (870Rs), ma ricercati (io assaggio l’ottimo squalo in salsa speziata) e tutto sommato direi che ne vale la pena.
PALOLEM, Giovedì 24/01/13
Ci alziamo presto in modo da poter prendere l’espresso per Margao delle 7.30 e poi la coincidenza delle 8.30 per la località balneare di Palolem (30Rs). Dopo circa 3 ore di viaggio lo sforzo viene pienamente ricompensato: la spiaggia di Palolem è qualcosa di paradisiaco, molto simile alla fantastica immagine che solitamente si ha delle battigie tropicali. Una lunga fetta di sabbia a mezzaluna, chiusa alle estremità da due promontori, si affaccia su un mare calmo e pulito, con il fondale che digrada lentamente, le palme si sporgono sulla sabbia e decine di capanni sotto di esse fungono da bar, ma anche da sistemazioni per la notte. La poca gente e il solo rumore delle placide onde sulla battigia rendono il luogo quasi surreale, di certo non simile all’India che siamo abituati a conoscere. Stendiamo il nostro pareo e iniziamo a prendere il sole. Ogni tanto qualche massaggiatore propone i suoi servizi, le venditrici ci invitano a visitare i loro negozietti tra un capanno e l’altro e i pescatori offrono passaggi in barca per altre spiagge, ma non recano troppo disturbo. La bassa marea allarga ancor di più la spiaggia, l’acqua è perlopiù molto calda, la vista della spiaggia dal mare è splendida. Verso le 12.30 andiamo a pranzare alla German Bakery (l’abbiamo trovata finalmente!), che è situata un po’ all’interno rispetto alla spiaggia, in una stradina asfaltata: prendiamo un veg burger, un’omelette e un sandwich con formaggio di yak (sublime e consigliatissimo), oltre ai deliziosi dolci europei a fine pasto (570Rs). Abbiamo altro tempo per stenderci nuovamente al sole, fare un altro bagno e scattare tante foto prima di dover riprendere il bus (l’ultimo è alle 16.00 circa). La sera siamo pronti per la nostra ultima cena del viaggio e torniamo da Viva Panjim, dove assaggiamo il famoso maiale Vindaloo (piccantissimo), i gamberi con chili e un pesce panato squisito; concludiamo con caramel pudding, porto e feni (635Rs). Al ritorno in camera si preparano i bagagli, è tempo di tornare a casa…
IL VIAGGIO DI “RITARDO” Venerdì 25/01/13
Non vi annoierò col racconto del viaggio di ritorno che si allungherà di molto, perché per via di un ritardo nel volo Mumbai-Londra perderemo la coincidenza e saremo costretti a pernottare presso l’aeroporto di Heathrow e prendere un volo per Bologna il mattino successivo (tutto pagato da British Airways naturalmente, compreso tragitto in bus, cena e colazione). Aggiungo solo che se doveste, come noi, prendere un volo alle 7.00 dall’aeroporto di Dabolim a Goa, un taxi vi costerà dalle 700 alle 900 Rs e impiegherà circa 40 minuti.
Il viaggio è terminato e io e Irene siamo appagati, felici e, soprattutto, abbiamo una tranquillità che prima di partire ci mancava. Ci siamo rilassati e abbiamo vissuto l’India con entusiasmo. L’India, dal canto suo, ci ha travolti con un ciclone di emozioni e noi ogni tanto favoleggiamo già sulla nostra prossima visita in quel luogo fantastico.