Guadalupa: Caraibi d’Europa

Guadalupa: Caraibi d'Europa Lunedì 21 Aprile 2003: Nell’aria c’è una situazione internazionale tutt’altro che limpida, con una guerra appena consumatasi in Iraq, ma c’è anche un pericoloso virus che, seppur diffuso quasi esclusivamente in oriente, ha spaventato in qualche modo Sabrina. In più ci sono da smaltire i...
Scritto da: LucaGiramondo
guadalupa: caraibi d'europa
Partenza il: 21/04/2003
Ritorno il: 05/05/2003
Viaggiatori: fino a 6
Guadalupa: Caraibi d’Europa Lunedì 21 Aprile 2003: Nell’aria c’è una situazione internazionale tutt’altro che limpida, con una guerra appena consumatasi in Iraq, ma c’è anche un pericoloso virus che, seppur diffuso quasi esclusivamente in oriente, ha spaventato in qualche modo Sabrina. In più ci sono da smaltire i fastidiosi postumi di un intervento al menisco del sottoscritto. Ciò nonostante, se Dio vuole, partiamo, dopo un lungo inverno e, ironia della sorte, per il terzo anno consecutivo il 21 di aprile, per la Guadeloupe, nelle Antille francesi.

La sveglia è, come al solito, abbastanza presto: poco dopo le 6:00 siamo già in piedi e con calma ci prepariamo, visto che tutto è pronto e non ci resta altro che far colazione. Federico, invece, dopo alcuni istanti necessari a prendere coscienza della realtà, si fa subito assalire dall’entusiasmo … Meno entusiasmanti sono, al contrario, le condizioni meteorologiche: il cielo infatti è grigio e piove con insistenza.

Alle 7:15 arrivano a prenderci i nonni, col camper, per accompagnarci all’aeroporto e, caricati i bagagli, alle 7:26 lasciamo casa. Un quarto d’ora più tardi, alle 7:42, entriamo in autostrada a Faenza, mentre c’è un tempo da lupi, e ciò non fa altro che aumentare la nostra voglia di arrivare a destinazione.

Alle 8:00 usciamo dall’autostrada e cominciamo a percorrere la tangenziale di Bologna per arrivare, poco dopo, alle 8:19, all’aeroporto Marconi. Salutiamo i nonni, a loro volta in procinto di partire per un breve viaggio nelle Puglie, ed entriamo nella sala delle partenze con il carrello carico di valigie, in cima alle quali sta, come per tradizione, il bimbo sorridente.

Imbarchiamo subito i bagagli, ci concediamo un caffè, oltrepassiamo senza problemi il check-in e ci mettiamo in attesa alla porta numero tredici, dalla quale ci imbarcheremo (sul volo Af 1229) alla volta di Parigi, come accade, sistematicamente proprio il 21 di aprile, da almeno due anni a questa parte. L’attesa è breve così, poco dopo le 9:30, varchiamo la porta, saliamo su di un autobus e raggiungiamo l’Airbus A319 dell’Air France che, in leggero ritardo, alle 10:24, decolla, mentre la costanza con la quale continua a scendere la pioggia è disarmante e solo dopo alcuni minuti di volo, superate in altezza le nuvole, possiamo finalmente vedere la calda luce del sole! Il candido ammasso sotto di noi si dirada solo per un breve lasso di tempo, lasciando intravedere le Alpi innevate, poi riprende il sopravvento e lo tiene praticamente per l’intero tragitto, fin quando, all’aeroporto Charles De Gaulle, dove atterriamo alle 11:40, non lascia definitivamente spazio al cielo sereno.

Usciamo dall’aereo e ci mettiamo in attesa delle valigie, che dovremo per forza ritirare, prima di trasferirci nel secondo aeroporto di Parigi, quello di Orly, da dove spiccheremo finalmente il volo per i Carabi. Attendiamo un quarto d’ora sotto un tiepido sole, poi, alle 12:50, saliamo su di un pullman, i cui vetri eccessivamente oscurati non ci permettono di vedere nulla o quasi lungo i trenta minuti circa di percorso, mentre Federico, stanco per la levataccia, rischia più volte di addormentarsi. Alla fine però ci ritroviamo nella sala delle partenze di Orly, di nuovo carrello alla mano, pronti ad affrontare un altro imbarco.

L’aereo, a quanto pare, è al completo e, purtroppo, i tre posti assegnatici non sono tutti vicini, così, un po’ contrariati, ci mettiamo in attesa, alla porta numero trentadue, di fronte alla quale, poco dopo le 14:00, iniziano le operazioni d’imbarco sul volo Af 624.

Appena saliti sull’aereo, per fortuna, una ragazza francese ci chiede se vogliamo cambiare il nostro biglietto spaiato con il suo: non ci sembra vero di poter risolvere tutti i nostri problemi in così breve tempo, ma siamo proprio di nuovo tutti insieme, comodamente seduti alla fila quaranta e aspettiamo solo l’ora del decollo. Alle 15:26, dopo una lunga rincorsa, il gigantesco Boeing 747 dell’Air France prende quota diretto a Pointe-à-Pitre, sulle isole di Guadeloupe, e poco dopo Sabrina e Federico possono, finalmente, fare un riposino, mentre, sotto di noi, parecchie nuvole impediscono di vedere terra. Quando si diradano s’intravedono alcune isole al largo della costa bretone, poi mentre pranziamo, anche se sono già passate le 16:00, l’oceano si apre davanti a noi e sui video appaiono le miglia da percorrere … ancora più di tremila! Tante, tantissime nuvole dominano la scena per quasi tutta l’attraversata atlantica, poi, a due ore di volo dalla meta, appare il blu intenso del mare, che resta fino a quando non entriamo dentro ad un grosso nuvolone sotto al quale si trova la nostra isola, dove atterriamo, recuperando sei ore di fuso orario, alle 17:51 ora locale.

La Guadeloupe (di cui fa parte, politicamente, anche St. Martin) è un dipartimento francese d’oltremare e come tale è, a tutti gli effetti, un pezzetto d’Europa ai Carabi, infatti useremo anche in questo caso l’euro come moneta e sarà una bella comodità non dover ricorrere al cambio.

Se osservata sulla cartina geografica, poi, Guadeloupe, (che ha una superficie complessiva di 1434 chilometri quadrati) richiama alla mente la sagoma di una farfalla, composta com’è da due isole adiacenti, di origine vulcanica, che formano idealmente le ali. Tuttavia, alla simmetria che si può riscontrare nei contorni non corrisponde alcuna analogia morfologica. Grande-Terre, la parte orientale, presenta un territorio pianeggiante o dolcemente collinare, sfruttato in gran parte per la coltivazione della canna da zucchero. Basse-Terre, la parte occidentale, è invece un’isola alta e montuosa, ricca di colline e rilievi coperti da una foresta pluviale fitta di alberi alti e felci rigogliose.

Fermandosi a riflettere, infine, sulle due isole non si può non rilevare un’apparente contraddizione: l’isola orientale che è più piccola e piatta si chiama Grande-Terre (terra grande), mentre l’isola più estesa e montuosa si chiama Basse-Terre (terra bassa). Il tutto si chiarisce considerando che non fu la natura del terreno a ispirare i francesi che battezzarono le isole, bensì i venti che le spazzano: gli alisei provenienti da nord-est soffiano impetuosi (o grande) sulle pianure di Grande-Terre, ma sono frenati dalle montagne che sorgono a occidente, spirando poi deboli (o basse) su Basse-Terre.

Non soffia affatto, invece, il vento, quando scendiamo dall’aereo, all’aeroporto internazionale di Pointe-à-Pitre, e fa pure molto caldo, ma infondo siamo venuti fin qua anche per questo.

Recuperiamo sane e salve le valigie e in breve scendono le ombre della sera, mentre incontriamo i rappresentanti di Exotismes (lo stesso tour operator che abbiamo utilizzato in occasione del viaggio a Mauritius). Veniamo quindi invitati a salire su di un pulmino che, dopo aver scorrazzato per una mezzora abbondante, scaricando turisti a destra e a manca lungo la costa sud-occidentale di Grande-Terre, ci lascia di fronte all’Hotel Marifa, subito dopo Gosier (la capitale turistica di Guadeloupe), nei pressi dell’abitato di Mare-Gaillard, dove alloggeremo per l’intera durata del viaggio.

Il complesso turistico, già lo sapevamo, non è in riva al mare, ma poco importa, purché sia confortevole, infatti dovremo più che altro dormirci … l’unica cosa che fra l’altro abbiamo voglia di fare questa sera, viste le devastanti conseguenze del fuso orario. Così quando ci consegnano le chiavi della stanza numero 415 (che ci appare abbastanza ampia ed accogliente), dopo una doccia rinfrescante, ben presto ci assopiamo nei nostri letti … domani comincerà la visita di Guadeloupe, che speriamo sia bella almeno quanto è bello, in questo momento, riuscire finalmente a chiudere gli occhi scivolando, dolcemente, nel mondo dei sogni. Martedì 22 Aprile 2003: La giornata comincia prestissimo, con Sabrina e Federico già svegli poco dopo le 4:00 per effetto del fuso orario, poi, circa un’ora più tardi, ci ritroviamo tutti sul terrazzo della camera, con gli occhi sbarrati, a goderci l’alba che infiamma il cielo del caribe.

Con calma cominciamo a prepararci e a sistemare gli zaini fin quando, appena possibile (ovvero alcuni minuti dopo le 7:00), usciamo per recarci a far colazione: non siamo gli unici e questo, se non altro, ci consola. Intanto notiamo le condizioni meteorologiche che non sono ottimali, il cielo infatti è velato, ma credo che prima o poi uscirà il sole a dominare la scena.

Alle 8:15 abbiamo un appuntamento con Daniel di Exotismes, ma non si presenta e alla reception ci fanno sapere che di solito viene al Marifa il mercoledì … poco male: non credo debba dirci molto di più di quello che già sappiamo.

Richiediamo un’auto a noleggio e di lì a poco si presenta un funzionario della Sixt che c’invita ad andare con lui. Andiamo Federico ed io, mentre Sabrina rimane in hotel ad aspettarci. Gli uffici della compagnia si trovano a Bas-du-Fort, poco prima di Pointe-à-Pitre: saranno più o meno dieci chilometri, ma c’è parecchio traffico in direzione della città ed impieghiamo una buona mezzora. Un’altra mezzora richiede la stesura del contratto, poi affrontiamo la strada del ritorno e quando arriviamo al Marifa troviamo Sabrina un po’ preoccupata ed irritata per il tempo impiegato, ma non ne abbiamo nessuna colpa. Ben presto però torna il buon umore e, intorno alle 10:00, possiamo finalmente partire, a bordo della nostra nuova Punto azzurra (targata 786 WWK 971), alla scoperta di Guadeloupe.

Andiamo qualche chilometro ad ovest di Mare-Gaillard, nella vicina St. Félix per vedere una zona sulla quale avevo forti dubbi … dubbi che non vengono affatto sopiti: non vale la pena perdere altro tempo e cambiamo punto cardinale. Andiamo ad est, oltrepassiamo il nostro hotel e raggiungiamo l’abitato di St. Anne, dove facciamo una provvidenziale spesa ed un rifornimento di carburante quanto mai indi-spensabile a giudicare dalla spia della riserva accesa.

Nei paraggi si trova una delle spiagge più note di Guadeloupe: la Plage de la Caravelle, che nonostante si estenda proprio di fronte all’esclusivo Club Mediterranée è di dominio pubblico ed accessibile a tutti. Bisogna solo varcare un cancello girevole che, probabilmente, per sicurezza verrà chiuso durante la notte e ci si trova sull’arenile, tutto di sabbia chiara, bordato da uno scenografico boschetto di palme … ma sarà forse la giornata non troppo limpida e la luce, non proprio giusta, ma il tutto non risalta come dovrebbe, in più, naturalmente, il luogo è fin troppo sfruttato turisticamente.

Ci sistemiamo in prossimità degli alberi, poi facciamo un bagno e pranziamo, mentre il sole piano, piano prende il sopravvento e nel primo pomeriggio il cielo si fa di un azzurro intenso. La luce cambia, le cose si fanno più brillanti e si accendono gli straordinari colori del mare: sembra d’essere in un altro posto e tutto è più bello! Ci godiamo letteralmente la Plage de la Caravelle per tutto il tempo, mentre un ragazzo locale si prende in simpatia Federico e prima gli offre una mezza noce di cocco, poi gli regala un simpatico braccialetto realizzato con le radici della pianta. Il pomeriggio vola via in un lampo e quando il sole assieme al nostro improvvisato amico caraibico se ne vanno, ce n’andiamo anche noi.

In un supermercato di St. Anne acquistiamo un pollo allo spiedo, patatine e baguette, così da poter cenare in camera in previsione di una serata dominata ancora dagli effetti del fuso orario, infatti, poco dopo le otto di sera le palpebre sono già pesantissime e ben presto cediamo alla tentazione di chiuderle, rammentando però questa prima giornata, senza dubbio positiva, a Guadeloupe … e se il buon giorno si vede dal mattino … Mercoledì 23 Aprile 2003: Ci lasciamo sfuggire l’alba ma siamo ancora decisamente mattinieri, infatti, poco dopo le 6:00, siamo già tutti svegli e pimpanti, smaniosi di affrontare un’altra giornata, ma in realtà non c’è fretta perché, ovviamente, le colazioni non potranno essere consumate prima delle 7:00.

Il cielo è particolarmente limpido e credo che cambieremo il programma odierno, che prevedeva un’intera giornata di mare, per visitare una parte di Basse-Terre normalmente dominata dalle nuvole, così da poter offrire anche un po’ di tregua alla pelle, arrossata dopo il primo giorno di sole tropicale.

Alle 8:15 attendiamo Daniel alla recepiton, ma anche questa volta non si presenta. Ci fanno sapere che lo incontreremo questa sera alle 18:30, però a quell’ora, forse, saremo noi a non esserci. Intanto cerchiamo di non perdere altro tempo e prendia-mo a seguire la strada costiera verso ovest, in direzione di Pointe-à-Pitre e Basse-Terre.

Ci lasciamo alle spalle il capoluogo di Grande-Terre e oltrepassiamo il ponte che unisce le due isole, scavalcando lo stretto canale di mangrovie chiamato Rivière Salée, quindi, una manciata di chilometri più avanti, svoltiamo a destra seguendo la Route de la Traversée, l’unica strada che taglia in due l’isola passando per il Parco Nazionale di Guadeloupe.

Il nastro d’asfalto corre tra due ali di fittissima vegetazione toccando, uno dopo l’altro, diversi punti di interesse, il primo dei quali è la Cascade aux Ecrevisses. Parcheggiamo l’auto ai bordi della strada e, seguendo le indicazioni, percorriamo un sentiero che si avventura nella rigogliosa foresta pluviale, ai margini di un torrente, e in breve raggiunge il luogo in cui, con uno scenografico salto, un affluente laterale si getta in una caratteristica pozza per poi confluire placidamente nell’alveo principale. Ci sono diversi turisti che fanno anche il bagno e sarebbe una bell’esperienza imitarli, ma bagnarsi nell’acqua dolce è una delle poche cose che è meglio evitare di fare a Guadeloupe per la possibile presenza di alcuni parassiti che, se contratti, finiscono per scatenare la bilharziosi, una pericolosa malattia. Scattiamo alcune foto, lasciamo scorrazzare Federico per un po’ fra i sassi che fanno da contorno al sito e poi torniamo a percorrere la strada principale.

Ci fermiamo poco più avanti alla Maison de la Forêt, un piccolo centro documentale del parco alle cui spalle, oltrepassato un suggestivo ponte sospeso (che spaventa un po’ Sabrina ma diverte Federico), si dipana un circuito che, in venti minuti di cammino, rende in parte l’idea di quelle che sono le principali caratteristiche della foresta pluviale, fra l’incredibile quantità di specie botaniche presenti ed un tasso di umidità che toglie quasi il respiro.

Lasciamo la Maison de la Forêt che si trova, in pratica, a metà percorso della Route de la Traversée e subito dopo incontriamo le asperità montuose dette Les Mamelles che, per la loro forma, dovrebbero ricordare appunto un seno femminile, ma nonostante tutti gli sforzi non riusciamo a vederle una di fianco all’altra, a scapito, naturalmente, dell’effetto.

Saliamo, allora, seguendo le indicazioni, a Morne a Louis, un’altura dove si trovano diverse antenne e dalla quale si gode di una magnifica vista panoramica a trecentosessanta gradi su Guadeloupe: s’intravede anche, nel tratto di mare oltre le fronde degli alberi, l’Îlet Pigeon, dove andremo nel pomeriggio.

Prima di scendere al mare ci fermiamo, però, ancora una volta: al Parc des Ma-melles, un piccolo parco zoologico e botanico dove possiamo vedere (purtroppo in cattività) l’orsetto lavatore, simbolo del Parco Nazionale di Guadeloupe, ma soprattutto, per la gioia del piccolo, ci aspetta una gradita sorpresa. C’è la possibilità di seguire un percorso attrezzato con un sistema di passerelle che permette di fare una passeggiata mozzafiato alla sommità degli alberi. Sabrina non se la sente, ma noi, “uomini duri”, indossiamo l’imbracatura di sicurezza e ci godiamo un’esperienza davvero unica, sospesi ad oltre dieci metri di altezza.

Alla fine usciamo soddisfatti dal parco e cominciamo a scendere, a tornanti, verso la costa occidentale di Basse-Terre. Raggiungiamo così la Plage de Malendure, da dove partiremo, alle 14:30, per un’escursione in barca alla dirimpettaia Îlet Pigeon, che fa parte della Réserve Cousteau, un parco marino protetto.

Nell’attesa facciamo un bagno: l’acqua è bella e calda, ma Basse-Terre è la parte più vulcanica di Guadeloupe e la sabbia scura non fa risaltare i colori del mare, così ci pensano le palme, allineate sui bordi dell’insenatura, a caratterizzare il luogo, che tutto sommato non è male visto che, infondo, vi dobbiamo passare meno di due ore … Giusto il tempo di rinfrescarci e di pranzare, poi eccoci sul vicino molo in attesa di partire per l’escursione.

Prendiamo il largo, mentre il sole, purtroppo, non abbonda più come al mattino e in prossimità dell’isolotto veniamo invitati a scendere nella chiglia dell’imbarcazione, attrezzata con grandi vetri attra-verso i quali possiamo vedere il mondo sottomarino, che non è nulla di eccezionale se si esclude un grosso branco di pesci attirato, probabilmente, con del cibo, ma il piccolo si diverte e basta questo a renderci felici.

Più tardi ci fermiamo anche nelle vicinanze di un’insenatura per fare snorkeling: Sabrina resta a bordo, perché la mancanza del sole la infreddolisce, ma non si perde grandi cose, poiché la visibilità è scarsa e i pesci sono ancor meno … una piccola delusione se si pensa che dovrebbe essere un parco marino, ma forse le bellezze sono altrove, visto che nella zona abbondano i centri d’immersione. Intanto il cielo è sempre più cupo e quando rientriamo a Plage de Malendure cade anche qualche goccia di pioggia, allora saliamo in macchina e ce n’andiamo.

Percorriamo a ritroso tutta la Route de la Traversée e quando arriviamo sul versante orientale di Basse-Terre, in lontananza, s’intravede Grande-Terre inondata dal sole … come era logico pensare che fosse! Così una volta arrivati in hotel, alle 17:00, troviamo le condizioni giuste per far fare un breve bagno in piscina al piccolo … poi saliamo in camera a prepararci per cena.

Alle 18:30 incontro, finalmente, Daniel: gli dico, in pratica, di non aver bisogno di niente e mi sincero solo per le informazioni relative al trasferimento dell’ultimo giorno dall’hotel all’aeroporto.

Per cena usciamo in auto, ma lo potevamo fare anche a piedi, infatti ci fermiamo nella vicinissima pizzeria Le Mahogany: niente di speciale, solo quanto basta a placcare i morsi della fame, poi torniamo al Marifa e, ripensando alla bella giornata appena trascorsa (che per Federico è stata addirittura, a tratti, entusiasmante!), ben presto ci addormentiamo … il fuso orario è un osso duro da digerire … più duro della pizza caraibica! Giovedì 24 Aprile 2003: Ancora oggi, al terzo giorno, non è un problema svegliarsi presto, così ne approfittiamo e poco dopo le 7:00 siamo a far colazione, come del resto quasi gli ospiti del Marifa. Alle 8:00, poi, siamo già in strada, diretti ad est lungo la strada costiera.

Oltrepassiamo St. Anne ed arriviamo, fin quasi sull’estrema punta orientale dell’isola, a St. François, dove ci mettiamo alla ricerca del porto, dal quale dovremo, presumibilmente, partire per un paio di escursioni, di cui una completamente organizzata.

Dopo varie peripezie troviamo il porticciolo turistico e, parcheggiata l’auto, mi metto alla ricerca di tutte quante le informazioni necessarie, così, abbagliato dalla mole del catamarano Paradoxe, ormeggiato sul molo di fronte a noi, prenoto, con quello, un’escursione alle Îles de la Petite-Terre per mercoledì prossimo, 30 aprile (e per fortuna che la nostra permanenza a Guadeloupe è di due settimane, perché prima non c’era posto!), poi riesco ad avere la conferma che da quel porto, tutti i giorni, alle 8:00 salpa il traghetto per l’isola de La Désirade. Ora tutto è più chiaro e, in definitiva, per due volte nel prossimo futuro dovremo “correre” per arrivare in questo posto entro le 7:30 del mattino, ma, credo, sarà un sacrificio poi ricompensato. Questa mattina, invece, sono già passate da un po’ le 9:00 quando andiamo nella spiaggia di St. François, la Plage de Raisins Clairs, un bell’arenile di sabbia chiara lambito da uno straordinario mare, nonostante si trovi nelle immediate vicinanze dell’abitato.

Giusto il tempo di sistemare i teli e se ne va il sole … comincia anche a piovere, ma non è il caso di allarmarsi perché si tratta, chiaramente, di una nuvola passeggera, infatti passano non più di dieci minuti e si riaccendono tutti i “riflettori” sulla spiaggia e sulla laguna cristallina di fronte a noi, così ci precipitiamo in acqua a consumare un fantastico bagno … Risaliamo e ci asciughiamo, poi, con Federico, vado a fare una passeggiata lungo il bagnasciuga alla ricerca di una noce di cocco, ma non siamo così fortunati e al ritorno, quando, dopo l’ennesimo bagno, pranziamo all’ombra di un alberello, per frutta ci dobbiamo accontentare delle banane acquistate al supermercato … poco importa, perché il panorama di fronte a noi è bellissimo, la temperatura è gradevole e in questo momento non si può desiderare altro.

Nel primo pomeriggio partiamo alla ricerca di un’altra spiaggia: andiamo più a nord, nel paese di Le Moule, per vedere la vicina Plage de l’Autre Bord, che però si trova sul lato più esposto dell’isola e non risulta particolarmente invitante.

Tagliamo allora per l’interno di Grande-Terre e torniamo nei pressi di St. Anne per andare nella spiaggia del villaggio, che è un tratto di litorale bordato di palme e caratterizzato da un mare particolarmente calmo, anche per la presenza di alcune scogliere artificiali, che ricordano vagamente i nostri lidi.

Il posto è abbastanza affollato ed eccessivamente fruttato turisticamente, ma la presenza dei più classici e fotogenici alberi tropicali crea angoli particolarmente suggestivi e merita senz’altro più d’una toccata e fuga. Facciamo un bagno e ci fermiamo fin quando il disco solare, scendendo tra le fronde degl’alberi, non mette in luce tutta la bellezza del luogo, poi, senza fretta, rientriamo al Marifa.

Più tardi, dopo un’indispensabile doccia, usciamo per cena e ci fermiamo all’Espace Grill, lungo la strada per Gosier. Lì mangiamo pesce, pa-tate e costolette alla griglia: ottimo e a buon prezzo! Poi torniamo definitivamente all’hotel e archiviamo un altro giorno positivo sotto molti aspetti, primo fra tutti lo stupendo mare di Guadeloupe.

Venerdì 25 Aprile 2003: Partiamo intorno alle 8:00 dal Marifa con l’intenzione di andare nel nord di Basse-Terre, dove si trovano un paio di spiagge interessanti, ma giunti sul ponte che unisce le due isole principali di Guadeloupe notiamo parecchie nuvole che stazionano proprio su quella verso la quale siamo diretti … e se ce ne sono parecchie già al mattino c’è il rischio concreto di andare incontro ad una brutta giornata.

Invertiamo subito la rotta e cambiamo programma, sfruttando il vantaggio di essere su di un territorio dalle dimensioni relativamente limitate e di avere, soprattutto, alternative possibili.

Andiamo proprio a Pointe-à-Pitre: capoluogo di Grande-Terre, nonché città più importante di Guadeloupe, ma non sua capitale amministrativa, ruolo che invece spetta a Grande-Terre, sull’omonima isola.

L’agglomerato urbano è piuttosto caotico, a tratti bruttino, con i grandi palazzoni, spesso fatiscenti, che hanno sostituito in toto gli edifici coloniali (ne restano un paio, tristemente assediati dal cemento che avanza), ma noi andiamo, soprattutto, per visitare i coloratissimi mercati. Partiamo da quello della frutta e verdura, per poi passare al pesce ed infine alle spezie … tutto sommato sono abbastanza caratteristici e qualche compera è d’obbligo, così finiamo per acquistare, in pratica, anche la possibilità di scattare alcune foto, per le quali altrimenti bisognerebbe avere quella dose di sfacciataggine di cui noi, invece, siamo purtroppo sprovvisti.

A metà mattinata lasciamo Pointe-à-Pitre e ci avviamo verso il nord di Grande-Terre transitando nel paese di Morne-à-l’Eau, che va curiosamente famoso per il suo cimitero, costruito nello stesso caratteristico stile di tutti gli altri di Guadeloupe, ma particolarmente suggestivo perché situato in una sorta di anfiteatro naturale che lo fa assomigliare, a colpo d’occhio, ad una cittadella in miniatura, nella quale spiccano le bizzarre decorazioni a scacchi bianchi e neri.

Gli abitanti di Morne-à-l’Eau, a detta della guida, sono un po’ irritati dal fatto che il loro cimitero sia, in qualche modo, diventato un’attrazione turistica, allora abbastanza furtivamente scattiamo un paio di foto e con sollecitudine riprendiamo la strada che corre in direzione del mare.

Arriviamo sulla costa nel paese di Port-Louis che, stranamente, ci appare semideserto, quasi fosse una città-fantasma. Tutto il contrario dell’esuberanza che si respira nella sua Plage de Souffleur, dove tantissimi bambini, materializzatisi in questo posto chissà da dove, corrono, strillano, nuotano e ridono, accompagnati dai loro insegnanti.

L’arenile è bello, l’acqua è bella e non ci sono dubbi: passeremo a Plage de Souffleur tutto il resto della giornata.

Ci sistemiamo all’ombra di un grande albero, con i bambini che giocano alla nostra sinistra ed il cimitero del villaggio, costruito esageratamente in riva al mare, a spezzare praticamente in due la spiaggia, sulla destra. Ci rinfreschiamo con un lungo bagno poi, assieme a Federico, vado anche in esplorazione con maschera e boccaglio: il fondale non è male ed in prossimità di una conformazione rocciosa si trovano diversi pesci che restiamo per un po’ ad osservare.

Fra un bagno e l’altro troviamo a mala pena il tempo per pranzare, infatti è difficile resistere al richiamo di quell’acqua cristallina e durante tutto il pomeriggio facciamo la spola fra la spiaggia e l’azzurro del mare con, in lontananza, la severa sagoma di Basse-Terre, sempre sovrastata da qualche nuvola di troppo, a far da sentinella.

Restiamo fino a quando il sole non scende verso la linea dell’orizzonte, allora i bambini tornano alle loro case e nel silenzio più assoluto si accendono i magici colori del tramonto: l’atmosfera si fa inebriante e la calda luce che si diffonde emana scariche di energia allo stato puro che rigenerano mente e corpo, poi le ombre della sera prendono il sopravvento e, ubriachi di nuova vitalità, non ci resta che far rientro all’hotel.

S’è fatto un po’ tardi per via del tramonto e con sollecitudine ci prepariamo per la cena, che consumiamo in un localino di St. Anne (Le Locullus), poi corriamo a letto: non vogliamo perdere l’abitudine di svegliarci presto, così da poter godere quanto più a lungo possibile degli straordinari luoghi che ci può offrire, quotidianamente, Guadeloupe.

Sabato 26 Aprile 2003: Per la prima volta apriamo gli occhi grazie al suono della sveglia: splende un magnifico sole e ci avviamo verso il nord di Basse-Terre. Ci lasciamo alle spalle Pointe-à-Pitre, oltrepassiamo il ponte sulla Rivière Salée e ci avventuriamo in quella parte di isola che avremmo dovuto vedere ieri.

Poco dopo l’abitato di Lamentin svoltiamo verso l’interno e raggiungiamo il Domaine de Séverin: una tenuta nella quale si produce canna da zucchero prima e rhum poi. Ci sarebbe la possibilità di effettuarne la visita con l’ausilio di un trenino, ma bisogna attendere quarantacinque minuti e la cosa, per dir la verità, non c’ispira più di tanto, così facciamo una breve passeggiata a piedi fin poco oltre l’ingresso e poi torniamo sui nostri passi a percorrere la strada costiera.

Qualche chilometro prima del villaggio di Sainte-Rose ci fermiamo però al Musée du Rhum e, questa volta, ne effettuiamo la visita. Tutto sommato è interessante, con un percorso che si snoda fra vecchi strumenti del mestiere ed una ricca collezione di insetti provenienti dalle più svariate parti del mondo (molto bella anche se completamente fuori tema), solo non permettono di usare foto e video camere, che vengono addirittura requisite prima di entrare … e chissà quali straordinarie ed esclusive immagini avremmo potuto carpire secondo la direzione del piccolo quanto intransigente museo caraibico.

Prima di proseguire alla ricerca di una spiaggia adiamo nel porticciolo di Sainte-Rose a prendere informazioni circa una eventuale escursione sulla vicina Îlet Caret, ma troviamo tutto chiuso e il frutto delle nostre indagini, per ora, è solo un banale numero di telefono, allora proseguiamo percorrendo l’ultimo tratto di strada che, tagliando per l’interno dell’isola, ci porta all’insenatura di Grande-Anse, nella costa nord-occidentale di Basse-Terre.

Parcheggiamo l’auto e subito mi viene incontro, furtivamente, un Rasta, che nonostante il caldo indossa un pesante giubbotto di pelle: si guarda intorno e mi chiede se fumo … gli rispondo di no, che ho smesso da sei mesi, e questi, dopo un inutile tentativo per farmi riprendere, come se niente fosse, si allontana … ora tutto è più chiaro e forse l’avrà attirato la vistosa bandana gialla che oggi indosso, perché non intendeva certo vendermi un semplice pacchetto di sigarette! Ma la nostra droga preferita si chiama viaggiare e conoscere nuovi luoghi, come la bella spiaggia di Grande-Anse, appunto: tutta bordata di palme, con verdissime montagne alle spalle e contrassegnata da una particolare sabbia dorata, e non bianca, perché siamo nella parte vulcanica di Guadeloupe.

Il mare è invitante e fa un gran caldo, così restiamo a lungo in acqua a cercare refrigerio, poi, dopo pranzo, partiamo subito con l’intenzione di cambiare spiaggia, perché a Grande-Anse non ci sono alberi nelle vicinanze del bagnasciuga e gli unici, piuttosto distanti, si trovano affossati dietro un avvallamento dell’arenile che impedisce alla brezza proveniente dal mare di rinfrescare l’aria, rendendo la temperatura quasi insopportabile.

Percorriamo pochi chilometri fino alla vicina Anse de la Perle, che ha molte caratteristiche in comune con la spiaggia da cui proveniamo ma, questo è importante, ci offre la possibilità di stare all’ombra degli alberi fin quasi in riva al mare, un mare caratterizzato da grandi onde, con le quali Federico ed io lottiamo a lungo. Il divertimento per il piccolo è tale che appena terminato un bagno, della durata di un’ora, chiede quando potrà fare il prossimo … così dopo un po’ lo accontento e alla fine resta giusto il tempo per asciugarsi prima di concludere la giornata balneare.

Sulla via del ritorno passiamo, di nuovo, da Sainte-Rose intenzionati a prenotare l’escursione all’Îlet Caret, ma troviamo ancora tutto chiuso: vuol dire che domani proveremo a telefonare, anche se non sarà facile farsi capire. Intanto, sulla nostra destra, notiamo grossi nuvoloni che scaricano acqua sul centro di Basse-Terre e ci lasciamo un po’ intimorire per le condizioni del tempo nei prossimi giorni.

Arriviamo, senza pioggia, al Marifa e più tardi usciamo per cena nella vicina pizzeria, poi andiamo in un internet-café a sopire i nostri dubbi meteorologici e tiriamo un bel respiro di sollievo quando riusciamo ad appurare che non sono previsti peggioramenti nei prossimi giorni … così possiamo tornare in camera a dormire sonni tranquilli, in previsione anche di una giornata che, domani, prenderà il via molto presto.

Domenica 27 Aprile 2003: Sembra d’essere tornati alle prime mattine, infatti alle 6:00 siamo già in piedi, ma questa volta il fuso orario non ha colpe. Ci aspetta una giornata molto intensa che andiamo ad iniziare consumando la colazione in camera, visto che il Marifa non ce la può offrire prima della 7:00.

Alle 7:00, invece, siamo già in strada diretti a St. François, dal cui porto turistico, alle 8:00, partirà il traghetto per l’isola de La Désirade: una tavola rettangolare di roccia calcarea lunga e stretta (undici chilometri per due), abitata da non più di 1700 anime. Si trova dieci chilometri ad est di Guadeloupe e fu la prima terra che Colombo vide dopo la sua seconda traversata atlantica, quando era ormai a corto d’acqua: da qui il “desiderio di trovare terra” ed il suo nome. L’isola è, fra l’altro, la meno sviluppata e visitata dell’arcipelago ed è forse pro-prio per questo che stimola particolarmente la nostra curiosità.

Siamo in perfetto orario, anzi in anticipo, e quando arriviamo sul molo dal quale salperemo troviamo la motonave Colibrì con i motori già accesi e parecchi passeggeri già a bordo, allora facciamo i biglietti e saliamo anche noi, sistemandoci, all’aria aperta, nella parte posteriore dell’imbarcazione.

Nell’attesa telefono per l’escursione all’Îlet Caret: per fortuna parlano anche italiano e possiamo capirci, però non mi danno buone notizie, infatti sono al completo fino al 6 di maggio, quando noi saremo già rientrati in Italia. Le cose si complicano, ma non disperiamo: abbiamo ancora una settimana di tempo a disposizione e faremo tutto il possibile per riuscire a mettere piede su quell’isolotto. Intanto presto i piedi li poseremo sul suolo de La Désirade perché il Colibrì si è staccato dalla banchina alla quale era ormeggiato e sta prendendo il largo.

Appena fuori dal porto e dalla bar-riera corallina cominciamo a sobbalzare per via delle onde e gli schizzi che ne derivano cadono impietosi su di noi, in più non possiamo cambiare il posto a sedere perché tutti gli altri sono già occupati. Durante la mezzora di attraversata siamo così costretti a subire quella specie di pioggia artificiale, col risultato di giungere a destinazione quasi completamente bagnati, ma non è il caso di drammatizzare perché siamo ai tropici e non credo prenderemo il raffreddore.

Sbarchiamo nel capoluogo, Grande Anse, e subito ci preoccupiamo di affittare due scooter, così da poter visitare l’isola in completa libertà. Carichiamo gli zaini e Federico, poi facciamo un rabbocco di carburante e partiamo alla scoperta de La Désirade, mentre il sorriso smagliante sulle labbra del piccolo sono la prova lampante della sua soddisfazione per l’avventura intrapresa.

Corriamo lungo l’unica strada asfaltata e arriviamo fin sull’estrema punta occidentale dell’isola nella località di Les Galets, dove secondo la guida dovrebbe esserci la possibilità di incontrare le iguane. Infatti ne vediamo alcune, oltre all’originale cactus Tète d’Anglais, che chissà per quale strano motivo si chiamerà proprio “Testa d’Inglese”? Passiamo un po’ di tempo sul posto, poi torniamo in direzione del capoluogo, lo oltrepassiamo e procediamo spediti, lungo la costa, transitando accanto alla spiaggia di Le Souffleur, dove probabilmente ci fermeremo più tardi, e arriviamo nel villaggio di Baie Mahault, quasi all’estremo opposto dell’isola. Lì vediamo le rovine di una vecchia fabbrica di cotone, con un bel cactus di fronte a fargli la guardia … e pensandoci bene la parte sommitale della pianta ricorda, vagamente, il copricapo indossato dalla guardia reale britannica, e forse il suo strano nome deriva proprio da quel particolare! … Chissà? Intanto completiamo la nostra breve visita de La Désirade e andiamo a fermarci, come previsto, nella spiaggia di Le Souffleur.

Un boschetto di palme cresce di fronte ad un tratto di bellissimo mare delimitato dalla barriera corallina, laddove la sabbia è bianca e fine come il borotalco: è un piccolo paradiso, dove regna la pace e la tranquillità, dove i pensieri che pervadono la mente sono davvero pochi e ancor meno sono i turisti presenti. Così Federico riesce anche a trovare tre noci di cocco, che più tardi ripuliremo dalla loro scorza più esterna. Intanto corriamo subito in acqua a goderci un indimenticabile bagno, con la vista sul palmeto e, più lontano, sulle montagne, che fanno, in pratica, da quinta naturale alla scena.

Prima di mezzogiorno, con fatica ma anche con soddisfazione, sistemo a dovere le noci, poi pranziamo con davanti agl’occhi lo spettacolo gentilmente offertoci da madre natura, mentre, per dir la verità, ho una piccola preoccupazione per la testa: la carta di credito che ho lasciato come deposito cauzionale per il noleggio degli scooter … speriamo siano gente onesta e non approfittino della situazione! Alla partenza da St. François, questa mattina, c’è sembrato di capire che il traghetto per il ritorno salperà, da Grande Anse, alle 15:45, per questo, dopo l’ennesimo bagno e comunque in forte anticipo, lasciamo la spiaggia e alle 15:00 siamo già a riconsegnare gli scooter. Troviamo però ad aspettarci la signora del noleggio, che subito ci viene incontro e a grandi gesti ci fa capire che la barca sta per partire! … Esplode così, all’improvviso, la fretta: lasciamo le chiavi ai legittimi proprietari, raccogliamo tutte le nostre cose e cominciamo a correre in direzione del molo. Troviamo per fortuna il Colibrì ancora attaccato alla banchina, ma gli stanno già togliendo gli ormeggi. Saliamo a bordo e cinque minuti più tardi prendiamo il largo (le 15:45, probabilmente, era l’orario di arrivo, non di partenza!). L’abbiamo proprio scampata bella: se ce la fossimo presa con più calma non saremmo mai riusciti a salire su quell’imbarcazione e avremmo dovuto passare la notte sull’isola, ma tutto è bene ciò che finisce bene! Sulla via del ritorno vediamo i curiosi pesci volanti, poi, alcuni minuti prima delle 16:00, sbarchiamo a St. François: ci sono ancora almeno due ore di sole e ci fermeremo, probabilmente, in una spiaggia nei paraggi. Proviamo alla Plage de Bois Jolan, poco prima di St. Anne, ma non era segnalata sulle guide e a giusta ragione, meglio andare, a colpo sicuro, direttamente nella spiaggia principale del paese e godersi così le ultime ore della giornata, anche se ci deve essere burrasca in giro perché si è alzato un fastidioso vento che speriamo si calmi presto.

Attendiamo il tramonto e poi facciamo rientro all’hotel: ci siamo alzati molto presto questa mattina ed ora comincia a farsi sentire la stanchezza, per questo decidiamo di cenare in camera con un pollo allo spiedo, in modo da permettere al piccolo di co-ricarsi quanto prima.

E’ stata una fantastica giornata che archivieremo sicuramente fra quelle da ricordare … nonostante l’ultimo vano tentativo di prenotare telefonicamente l’escursione all’Îlet Caret: domani proveremo a battere un’altra strada, con la speranza che sia quella giusta! Lunedì 28 Aprile 2003: L’intenzione sarebbe di passare un giorno intero a Basse-Terre, nella zona notoriamente più piovosa di Guadeloupe, ma quando ci alziamo notiamo che si annidano già diverse nuvole da quelle parti, così prepariamo una valida alternativa al programma.

Intorno alle 8:00 lasciamo il Marifa in direzione di Pointe-à-Pitre e pochi chilometri prima del capoluogo ci fermia-mo nella sua Marina, dalla quale, per tre giorni la settimana, salpa un’imbar-cazione la cui escursione comprende anche l’Îlet Caret. La cosa è molto pubblicizzata e dovrebbe esserci anche una buona disponibilità di posti, viste però le esperienze precedenti ci avviciniamo abbastanza timorosi al banco delle prenotazioni, dal quale ci sentiamo rispondere, invece, con grande sollievo, che problemi non ce ne sono e che dobbiamo solo scegliere il giorno per noi migliore … Scegliamo il primo disponibile, cioè domani, perché non vogliamo assolutamente correre il rischio di perdere la possibilità di vedere uno dei posti, probabilmente, più belli di Guadeloupe. Avremmo voluto, certamente, fare la gita in un’altra maniera (partendo da Sainte-Rose), ma non è stato possibile e, in definitiva, possiamo ritenerci soddisfatti per aver trovato questa soluzione.

Notevolmente più sollevati riprendiamo la strada per Basse-Terre, ma in prossimità del ponte che unisce le due isole ci rendiamo conto che le nuvole di fronte a noi sono davvero troppe per essere appena le 9:00 del mattino … e, normalmente, la situazione può solo peggiorare. Facciamo scattare quindi la valida alternativa: torniamo su Grande-Terre e, puntando all’estremo nord di quest’ultima, passiamo per i paesi di Morne-à-l’Eau e Anse Bertrand fino ad arrivare nel sito noto come Pointe de la Grande Vigie.

Un promontorio roccioso s’insinua nel Mar dei Carabi creando scenari altamente suggestivi ed un sentiero si sviluppa alla sommità delle vertiginose scogliere, mentre il mare spuma alcune decine di metri più in basso. La vista nei giorni più limpidi (non oggi) spazia in lontananza fino alle isole di Antigua e Montserrat.

Passiamo così una buona mezzora a camminare fra le falesie, ammirando il panorama a tratti mozzafiato, poi torniamo all’auto e cominciamo a seguire la strada costiera che scende lungo la costa orientale di Grande-Terre.

Arriviamo in questo modo ad un altro punto panoramico: quello che, dall’alto delle scogliere, domina la vista sulla cosiddetta Porte d’Enfer.

E’ una sorta di fiordo caraibico, al cui interno le acque sono particolarmente calme, mentre all’esterno grandi onde s’infrangono sulle rocce che ne delimitano l’imboccatura … da qui probabilmente il nome Porte d’Enfer (“Porta dell’Inferno” … un inferno chiaramente fatto d’acqua).

Ci fermiamo per un po’ di tempo nell’insenatura: facciamo un bagno e dopo pranzo ripartiamo verso sud, seguendo ad una certa distanza la linea costiera, per poi svoltare nuovamente in direzione del mare a circa metà del lato orientale dell’isola, fino a raggiungere la remota Anse Maurice.

La nuova spiaggia non è nulla di eccezionale, ma neanche la si può scartare (del resto non possono essere tutte bellissime!). Così ci fermiamo e trascorriamo in completo relax tutto il resto del pomeriggio, con il piccolo che gioca, Sabrina che legge il suo libro ed io che mi diletto a realizzare un braccialetto con le radici di scilla (non di palma), simile a quello offerto da un locale a Federico alcuni giorni addietro, poi facciamo un ultimo bagno e, poco prima delle 18:00, prendiamo la via dell’hotel.

Nei pressi di Morne-à-l’Eau im-bocchiamo una strada secondaria che, tagliando attraverso le colline, nella campagna di Guadeloupe, dovrebbe permetterci di abbreviare notevolmente il percorso, ma l’oscurità avanza e ben presto perdiamo la bussola, in più si sente uno strano odore di benzina … meglio desistere: facciamo dietro-front e torniamo a Morne-à-l’Eau così da poter seguire il più sicuro itinerario che passa per Pointe-à-Pitre.

Alle 19:00 siamo al Marifa e più tardi usciamo per cena all’Espace Grill, poi torniamo subito in camera: le giornate rendono bene a svegliarsi presto, ma altrettanto presto poi arriva il sonno … intanto ne è passata un’altra sicuramente positiva e, nel complesso, la vacanza sta scivolando via nel migliore dei modi.

Martedì 29 Aprile 2003: Se, per caso, ce lo imponessero a casa, probabilmente, andremmo su tutte le furie, invece, qui a Guadeloupe, il fatto di alzarsi alle 6:30 è diventato quasi un evento di normale routine.

Facciamo colazione e poco dopo le 7:00 siamo già in strada perché ci aspetta, finalmente, la tanto agognata escursione all’Îlet Caret! La distanza da percorrere in auto non è tanta e c’è tempo in abbondanza, ma, come al solito, il traffico è rallentato in direzione di Pointe-à-Pitre e in più perdiamo del tempo a causa di una ragazza locale che proprio oggi ha deciso di assaggiare, con la sua Clio, la resistenza del paraurti posteriore della nostra Punto (niente di grave per fortuna, perché eravamo praticamente fermi). Nonostante tutto alle 8:30, un quarto d’ora prima del necessario, siamo sul molo della Marina, da dove, alle 9:00, do-vrebbe salpare l’imbarcazione King Papirus, attualmente ormeggiata alla banchina e sulla quale ci apprestiamo a salire.

Alle 9:05 usciamo dal porto e prendiamo il largo in compagnia, al massimo, di altre trenta persone, e siamo pochi perché la barca ne può contenere fin quasi duecento … meglio così: staremo più comodi e Federico potrà scorrazzare liberamente.

Seguiamo la linea di costa verso occidente, passiamo dal centro di Pointe-à-Pitre (dove si trova il mercato) e poi c’inoltriamo nella Rivière Salée, lo stretto canale che separa le due isole principali, transitando fra l’altro sotto a quello stesso ponte che più d’una volta abbiamo varcato negl’ultimi giorni. Soddisfatta in questo modo anche la curiosità del piccolo per quello strano sottopassaggio, procediamo poi spediti fra due rive di folte mangrovie, nelle quali generalmente nidificano diverse specie di uccelli, e riguadagniamo il mare, che in questa zona è particolarmente calmo e piatto, protetto com’è dalla barriera corallina e al riparo dagli alisei.

Poco prima delle 11:00 arriviamo all’Îlet Caret: un minuscolo fazzoletto di terreno sabbioso disseminato di palme che si trova alcune migliaia di metri al largo della costa nord-orientale di Basse-Terre ed in prossimità di una delle più grandi barriere coralline dei Caraibi.

Il King Papirus si ferma a breve distanza dal bagnasciuga e noi scendiamo in quel piccolo paradiso, dove cielo e mare non si toccano ma si sfiorano, inframmezzati da una sottile linea bianca e da una magistrale macchia di verde: quando madre natura riesce a fondere, con tale armonia, gli elementi primordiali a sua disposizione non c’è scampo e si viene subito rapiti dal sublime risultato che ne scaturisce e dalla vista di così tanta bellezza.

Corriamo immediatamente in acqua a consumare uno di quei bagni che resterà per sempre nella memoria, e intanto continuiamo a guardarci intorno: per assurdo dispiace quasi battere le ciglia e privarsi per un istante di quel paesaggio da sogno.

Esploriamo anche il basso fondale che circonda l’isola, ma non vi sono conformazioni coralline nelle immediate vicinanze e il tutto va a scapito della fauna ittica, decisamente scarsa. Riusciamo comunque a trovare alcune splendide stelle marine che fotografiamo e poi riponiamo con cura nel loro habitat.

Poco dopo mezzogiorno ci viene offerto un originale aperitivo in riva al mare, poi alle 13:00 saliamo sul King Papirus per pranzare, ma vi restiamo il minimo indispensabile perché torniamo quanto prima a crogiolarci fra gli straordinari riflessi del mare. Sarà forse anche l’effetto del punch, ma sembra di vivere un sogno ad occhi aperti: il sole, che si è spostato alle nostre spalle, ora esalta la vista dell’acqua cristallina sullo sfondo della piccola isola bordata di palme … è fantastica! … quasi irreale! … come l’oggetto che vola poco sopra la cima degl’alberi (un modulo 770 o un capannone, a seconda dei punti di vista … ma Sabrina non ha bevuto il punch!).

Intorno alle 14:00 risuona nell’aria la sirena del King Papirus: dobbiamo, nostro malgrado, tornare a bordo e lasciare l’Îlet Caret … Così, poco dopo, mentre navighiamo verso la Rivière Salée, tengo fisso lo sguardo sull’isola che si allontana e Sabrina mi chiede se ho perso qualcosa … «Sì», gli rispondo idealmente, «un pezzetto di cuore … ma ormai ne ho lasciati tanti in giro per il mondo!».

Siamo tutti estremamente entusiasti per l’esito dell’escursione e procediamo navigando al ritmo della musica caraibica fino alla Marina di Pointe-à-Pitre, dove approdiamo qualche minuto dopo le 16:00.

Facciamo alcune compere in un negozietto vicino all’imbarcadero e poi andiamo a St. Anne, nella Plage de la Caravelle, dove incontriamo di nuovo il personaggio dei braccialetti e dove aspettiamo che scenda il sole a chiudere degnamente il sipario su di una giornata, a dir poco, memorabile.

Più tardi torniamo nella stessa cittadina anche per cena e, rammentando i favolosi scenari di Îlet Caret, trascorriamo una piacevole serata, in riva al mare, al ristorante Koleur Kreol.

Mercoledì 30 Aprile 2003: Siamo davvero insaziabili: la sveglia, infatti, questa mattina suona addirittura qualche minuto prima delle 6:00, perché ci aspetta un’altra escursione e dobbiamo essere, di nuovo, a St. François entro le 7:30, per imbarcarci sul catamarano Paradoxe che ci porterà alla scoperta delle Îles de la Petite-Terre: un minuscolo arcipelago situato pochi chilometri al largo della costa sud-orientale di Grande-Terre e formato da due isole principali (Terre-de-Basse e Terre-de-Haut), oltre a qualche isolato scoglio.

La spia della riserva di carburante è accesa già da un po’ di tempo, ma la ignoro per non correre il rischio di arrivare in ritardo, memore di quanto successe un anno fa a St. Martin proprio con la partenza del catamarano … questa volta, invece, arriviamo in perfetto orario, anzi siamo i primi a salire a bordo! La giornata è un po’ ventosa, ma splende il sole quando prendiamo il largo, intorno alle 8:00, lasciandoci alle spalle il porto di St. François. Subito cominciamo a cavalcare grandi onde, mentre, sulla destra, ci supera la motonave Colibrì diretta a La Désirade (con i passeggeri nella parte posteriore già bagnati dagl’immancabili schizzi).

Per arrivare a destinazione servono oltre due ore di navigazione durante le quali sembra d’essere sulle montagne russe, ma ne vale sicuramente la pena. Ce ne rendiamo conto quando entriamo nella laguna cristallina che si trova fra Terre-de-Haut e Terre-de-Basse, sbarcando proprio sulla magnifica spiaggia di quest’ultima, tutta di bianchissima sabbia e bordata dall’immancabile palmeto, sotto al quale ci sistemiamo prima di correre subito in acqua. Così, mentre Sabrina, limitata da un fastidioso torcicollo, si gode un normale bagno (se normale si può definire, considerata la bellezza del posto), Federico ed io indossiamo maschera e boccaglio e andiamo in esplorazione nella barriera corallina antistante la baia: vediamo numerosi pesci e a lungo restiamo a rincorrerli nel tentativo di scattare alcune foto, così il tempo passa e in breve si fa mezzogiorno.

Pranziamo all’ombra delle palme, con davanti agl’occhi i magnifici colori del mare ed il soffio dell’aliseo ad accarezzarci il volto: si sta divinamente bene, soprattutto quando, finito di mangiare torniamo in acqua a farci cullare dalle onde e quasi ci perdiamo la partenza per una breve escursione a piedi sull’isola.

Ci aggreghiamo in extremis al gruppo e seguiamo il comandante del catamarano, immedesimatosi per l’occasione nei panni della guida turistica: possiamo così vedere, oltre al faro che piace tanto a Federico, la bassa vegetazione tipica di un clima piuttosto arido, in mezzo alla quale si nascondono alcune iguane, che si fanno anche relativamente avvicinare. Poi raggiungiamo il lato dell’isola più esposto all’azione dei venti e caratterizzato da alte scogliere sulle quali si abbattono, con forza, le onde dell’oceano.

Camminiamo per più di mezzora sotto al sole e torniamo piuttosto accaldati, ma non è un problema, è solo un’ottima scusa per tornare ad immergersi nel delizioso specchio d’acqua prospiciente il palmeto e restarvi per tutto il tempo, fin quando, pian piano, i nostri compagni di viaggio non tornano sull’imbarcazione, allora, senza fretta, li seguiamo.

Poco prima delle 16:00, placidamente, prendiamo il largo lasciandoci alle spalle le Îles de la Petite-Terre, con la vista che spazia davanti a noi su Grande-Terre e tutta Guadeloupe, a sinistra sull’isola di Marie-Galante e a destra su La Désirade, sotto la chiglia, poi, scorrono le acque dell’Oceano Atlantico e sulla testa abbiamo il cielo terso dei Carabi. Il moto ondoso, fra l’altro, si è notevolmente affievolito rispetto al mattino ed è un vero piacere veleggiare nel silenzio per le due ore che ci separano dal porto di St. François, dove arriviamo, con la calda luce del tramonto, intorno alle 18:00.

Con calma rientriamo al Marifa e più tardi usciamo per cena al ristorante Baobab dell’Hotel Toubana, nei pressi di St. Anne, dove mangiamo pesce ed aragosta, mettendo così, degnamente, la parola fine ad un’altra magnifica giornata.

Giovedì 1 Maggio 2003: Dopo due giornate intere passate in mare, con le escursioni all’Îlet Caret a alle Îles de la Petite-Terre, decidiamo di dedicarne una completamente alla terra, e quando si parla di terra, come massima espressione di quest’elemento, a Guadeloupe si parla, ovviamente, di Basse-Terre, dominata dall’imponente sagoma del vulcano La Soufrière, tuttora considerato attivo.

Poco dopo le 8:00 lasciamo il Marifa e raggiunta Pointe-à-Pitre, mezzora più tardi, varchiamo il solito ponte sulla Rivière Salée, mettendo di nuovo piede (o ruota) sull’isola di Basse-Terre. Percorriamo quindi la già nota Route de la Traversée e arriviamo sul mare a due terzi circa della costa occidentale, cominciando a seguire la strada costiera in direzione sud.

Oltrepassiamo la località di Malendure, con di fronte l’Îlet Pigeon e arriviamo, dopo un’infinita serie di curve, nel villaggio di Vieux-Habitants, dove si trova il piccolo Musée du Café, che però decidiamo di non visitare. Passiamo oltre e, in breve, raggiungiamo la città di Basse-Terre, capoluogo dell’omonima isola nonché capitale amministrativa dell’intera Guadeloupe, nonostante conti meno di un terzo degli abitanti di Pointe-à-Pitre.

Anche qui però non c’è niente di interessante da visitare e abbiamo già percorso diversi chilometri, per questo Federico comincia a dare segni di irrequietezza. Per fortuna in vece proprio da Basse – Terre si comincia a salire verso la cima del vulcano La Soufrière, la più alta vetta dell’arcipelago con i suoi 1457 metri … e il piccolo si mostra subito più attento ed interessato.

La strada, con pendenze a volte assurde, s’inerpica sul fianco della montagna attraversando tratti di foresta pluviale e termina nel parcheggio chiamato La Savane à Mulet, a quota 1142 metri. Da lì si dovrebbe vedere, in tutta la sua imponenza, la parte terminale del vulcano che, invece, come spesso accade, è nascosta dalle nuvole. Fa anche abbastanza freddo, così ci copriamo sommariamente prima di cominciare a salire lungo il sentiero che in poco più di un’ora conduce alla vetta.

Il terreno è molto accidentato ed il paesaggio, a tratti nel sole e a tratti fra le nuvole, pervaso com’è, spesso, dall’odore sgradevole dello zolfo appare quasi irreale e dantesco.

Camminiamo, in salita, fino a circa metà del percorso, poi decidiamo di scendere: Federico in realtà vorrebbe proseguire e arrivare in cima, ma non ci sembra il caso perché più in alto si finisce completamente dentro alle nuvole e nel pomeriggio ci aspetta almeno un’altra passeggiata.

Percorriamo a ritroso il sentiero e torniamo al parcheggio, quindi scendiamo al livello del mare fino a Basse-Terre, ritrovando anche una temperatura più caraibica. Da lì riprendiamo a seguire la strada costiera, che, poco dopo, doppia il punto più meridionale di Guadeloupe.

Risalendo verso nord ci fermiamo a pranzare nella spiaggia di Grande-Anse: il mare, qui particolarmente agitato, non è bello, ma l’arenile, tutto di sabbia nera come la pece e fiancheggiato da grandi palme, è davvero particolare, con in più la sagoma delle vicine isole di Les Saintes a caratterizzare la linea dell’orizzonte. Fa invece molto caldo quando, poco prima delle 14:00, riprendiamo la strada e percorriamo i pochi chilometri che ci dividono dal villaggio di Trois-Riviéres, dove si trova il Parc Archéologique des Roches Gravées, istituito per salvaguardare delle rocce sulle quali sono incisi alcuni petroglifi realizzati dagli indiani Arawaks, antichi abitanti dell’isola. Ma oggi, primo maggio, si festeggiano i lavoratori anche a Guadeloupe e il parco è chiuso … peccato perché non credo che avremo neppure l’occasione per tornarci, prima della fine del viaggio.

Continuiamo a seguire la linea costiera verso nord, fin quando, in prossimità dell’abitato di Saint Sauveur, deviamo a sinistra e torniamo a salire in direzione del vulcano, mentre la benzina comincia a scarseggiare e si accende la spia della riserva (niente di grave se non avessimo già incontrato diversi distributori chiusi a causa della suddetta festività).

Torniamo anche sotto alle nuvole prima di arrivare nel parcheggio dove termina la strada, ma non piove, così possiamo affrontare in tutta tranquillità il sentiero che, passando nella fitta foresta tropicale, arriva, in circa mezzora, alla seconda delle tre cascate di Chutes du Carbet, la più facile da raggiungere e, forse, la più spettacolare, con i suoi centodieci metri di altezza.

Restiamo per un po’ ad osservarla dal basso, saltellando da un sasso all’altro fra i rigagnoli d’acqua (alcuni dei quali caldi!) che scorrono tutt’intorno alla sua base, poi prendiamo a seguire il sentiero che, sulla via del ritorno, è tutto in salita: sono oltre trecento gli scalini da affrontare ed è un vero sollievo alla fine potersi mettere comodamente a sedere in auto. E’ tutta in discesa, invece, la strada che torna sulla costa e risparmiamo così un sacco di carburante, mentre cominciamo ad attraver-sare una zona caratterizzata da bananeti a perdita d’occhio.

Poco prima della cittadina di Capesterre-Belle-Eau percorriamo lo scenografico tratto di strada soprannominato Allée Dumanoir, fiancheggiato da due file di altissime ed eleganti palme reali, poi, finalmente, troviamo un distributore aperto così, dopo un provvidenziale rabbocco, possiamo tirare un bel respiro di sollievo.

Ormai è tardi per raggiungere una buona spiaggia (del resto era previsto che oggi non saremmo andati al mare) ma è anche presto per rientrare alla base, così ci fermiamo per una breve visita al Valombreuse Floral Parc: un giardino botanico, per dir la verità, abbastanza trasandato che però ci ha offerto la possibilità di vedere (in libertà) un simpatico colibrì.

Alle 17:30 usciamo dal parco e poco dopo viaggiamo spediti sulla superstrada che corre in direzione di Pointe-à-Pitre. Abbiamo l’impressione di essere di ritorno da una spedizione, perché è stata una giornata intensa e, a tratti, faticosa, ma è valso la pena viverla sotto molti aspetti (peccato solo per i petroglifi) … e tutto sommato, considerate le caratteristiche della zona, sono state buone anche le condizioni del tempo.

Dopo aver percorso 220 chilometri a spasso per Guadeloupe, alcuni minuti dopo le 18:00, arriviamo al Marifa. Facciamo una doccia e poi usciamo per cena alla pizzeria La Rome des Îles, nella Marina di Pointe-à-Pitre, quindi, stanchissimi ma felici, torniamo in camera a goderci un meritato riposo.

Venerdì 2 Maggio 2003: Ci restano ancora due giorni da passare a Guadeloupe, due giorni che vorremmo dedicare quasi completamente al suo splendido mare. Così ci alziamo con l’in-tenzione di andare all’Îlet du Gosier, un fazzoletto di terra situato poche centinaia di metri al largo della costa meridionale di Grande-Terre. Trascorso però giusto il lasso di tempo necessario a fare colazione, il cielo si copre quasi completamente di nuvole. Soffia l’aliseo e, in teoria, le condizioni del tempo non dovrebbero peggiorare ulteriormente, cio-nonostante crediamo non sia il caso di passare l’intera giornata su di un isolotto e invertiamo il programma odierno con quello previsto per domani.

Puntiamo così verso est, confidando sul fatto che, in qualsiasi momento della giornata, se le nuvole dovessero decidere di aprirsi, probabilmente lo faranno a partire proprio da quel punto cardinale.

Lungo il tragitto vorremmo fermarci a St. Anne per visitare un mercatino artigianale, ma i negozietti che lo compongono sono ancora in gran parte chiusi, allora continuiamo a macinare chilometri e raggiungiamo St. François, da dove imbocchiamo poi la strada che, in breve, ci porta a Pointe des Châteaux, il punto più orientale di Guadeloupe.

Parcheggiamo l’auto laddove termina il nastro d’asfalto e, a piedi, ci avviamo a risalire il promontorio roccioso che sta di fronte a noi, sul quale svetta una enorme croce, mentre, come sperato, esce fuori prepotentemente il sole.

Saliamo lungo i 145 scalini che portano al punto panoramico, dal quale la vista spazia su ben due mari: a destra l’Oceano Atlantico e a sinistra il Mar dei Carabi, con di fronte l’inconfondibile sagoma de La Désirade. Ci godiamo lo spettacolo poi scendiamo con l’intenzione di andare, questa volta, al mare, visto che per fortuna il cielo mostra sempre più ampi spazi di sereno.

Andiamo nella vicina Anse Tarare, che si trova sul lato settentrionale del promontorio e si raggiunge prima per mezzo di uno sterrato e poi camminando per alcuni minuti lungo un sentiero fra la vegetazione.

La spiaggia, dalla sabbia chiara e dall’acqua stupenda, è però l’incontrastato regno dei nudisti di Guadeloupe la cui presenza, naturalmente, non ci disturba … la cosa che invece c’infastidisce notevolmente è sapere di dar loro fastidio, soprattutto quando intenzionati a fare una ripresa del luogo con la telecamera veniamo incredibilmente fermati da un signore …bello e simpatico almeno quanto i suoi genitali penzolanti! L’arenile è una meraviglia, ed è anche molto riparato, fin troppo: in acqua si sta benissimo ma fuori non c’è vento e la temperatura è quasi insopportabile, così, dopo una breve esplorazione subacquea, pranziamo e poi ce n’andiamo altrove.

Grondanti di sudore percorriamo poche centinaia di metri, forse un chilometro, e poi svoltiamo verso il mare, sullo stesso lato del promontorio, per raggiungere Anse à la Gourde: meno scenografica di Anse Tarare, ma con la stessa acqua cristallina, senza nudisti e, soprattutto, battuta da una gradevole brezza. E’ esattamente il posto che stavamo cercando: ci accampiamo, facciamo un lungo bagno refrigerante e poi restiamo a goderci con spensieratezza il caldo sole dei Carabi, fin quando, intorno alle 18:00, mentre passa lungo la spiaggia un caratteristico carro trainato dai buoi e, contemporaneamente, si avvicina l’ora del tramonto, ci avviamo senza fretta in direzione dell’hotel.

Prima di arrivare al Marifa ci fermiamo anche nel mercatino artigianale di St. Anne (che questa volta sta chiudendo i battenti) e acquistiamo un paio di magliette, poi più tardi, dopo esserci sistemati a dovere, usciamo per cena e andiamo, di nuovo, alla Marina di Pointe-à-Pitre: il posto ci piace ed è un vero peccato non averlo scoperto prima.

Fra i diversi ristorantini presenti lungo il molo del porticciolo questa sera scegliamo Le Sextante, dove mangiamo buon pesce e aragosta, prima di accompagnare Federico, stanchissimo, a letto e concludere così un’altra (l’ennesima) giornata positiva.

Sabato 3 Maggio 2003: Al suono della sveglia mi alzo a scostare le tende: anche oggi, nell’ultimo giorno intero che passeremo a Guadeloupe, splende un magnifico sole e ci sono ottime probabilità che lo faccia fino a sera … Non male: dodici giorni di sole e solo due ore di nuvole (ieri mattina) … Possiamo così gridare al cielo tutta la nostra soddisfazione e al tempo stesso ringraziarlo per tanta clemenza.

Ci alziamo con un po’ più di calma del solito e andiamo a far colazione quando sono già passate le 7:30. Niente di grave perché oggi dobbiamo percorrere pochissima strada: vale a dire i dieci chilometri o poco più che ci separano dalla cittadina di Gosier.

Attendiamo sul minuscolo molo prospiciente il suddetto centro abitato, da dove, poco prima delle 9:00, prende il via il servizio di barche che permette di arrivare all’Îlet du Gosier, una scheggia di terra situata a soli seicento metri dalla costa. In pochi minuti di navigazione approdiamo così su di un’altra piccola isola tropicale, forse un po’ troppo sfruttata, perché si trova molto vicina alla zona più turistica di Guadeloupe, e forse neanche troppo ben curata, vista la sua notorietà, ma comunque carina.

Ci sistemiamo all’ombra di una scilla quando il luogo è ancora, praticamente, deserto e subito corriamo in acqua a goderci lo splendido mare (qualche centinaio di metri più al largo c’è anche una discreta barriera corallina).

Intorno alle 10:00 però arriva sull’isola il King Papirus, l’imbarcazione che ci ha accompagnato all’Îlet Caret, oggi probabilmente affittata da una discoteca (l’NRJ), del cui nome è completamente tappezzata. E’ strapiena di giovani locali che hanno tutte le intenzioni di fare festa … e quando scendono sulla spiaggia mettono fine alla quiete che fino a quel momento regnava incontrastata.

Pranziamo e consumiamo l’ultima delle quattro noci di cocco che avevamo trovato nei giorni scorsi, poi, intorno alle 15:00, lascia mo l’Îlet du Gosier.

Risaliamo in auto e raggiungiamo St. Anne, perché vogliamo concludere la visita di Guadeloupe laddove l’avevamo cominciata dodici giorni fa … a Plage de la Caravelle.

Scivolano via così, piacevolmente, le ultime ore di questo viaggio: facciamo un bagno e poi mi diletto a costruire braccialetti, mentre arriva il “maestro” di questa arte e quando mi vede viene a complimentarsi, poi il sole scende magistralmente fra le palme e va a chiudere, in pratica, il sipario sulla vacanza. Una vacanza che, invece, vogliamo goderci fino in fondo e per cena mangiamo bistecca di squalo e aragosta al ristorante La Rose des Vents, nella graziosa Marina di Pointe-à-Pitre, poi ce ne andiamo in camera a dormire: domani mattina ci aspettano le valigie da fare, l’auto da consegnare e tutto quanto quel che segue … perché l’Italia, nostra croce e delizia, ci sta aspettando a braccia aperte

Domenica 4 Maggio 2003: La sveglia suona alla stessa ora delle altre mattine: non che ci sia qualcosa di particolare da fare, anzi c’è tempo a sufficienza perché partiremo solo nel primo pomeriggio, ma ci sono tante piccole faccende da sistemare e vorremmo rimanere anche un po’ di tempo da trascorrere sui bordi della piscina.

Dopo colazione, più per curiosità che per altro, andiamo a vedere la Plage de Petite Havre, la più vicina al Marifa … niente di eccezionale, soprattutto se paragonata a quanto abbiamo visto fino ad oggi. Ripartiamo subito e, dopo una piccola ma necessaria spesa, lasciamo Sabrina al Marifa, mentre Federico ed io andiamo alla Sixt di Bas-du-Fort a consegnare l’auto.

E’ domenica e troviamo tutto chiuso, così telefono alla sede centrale per avere istruzioni, ma alla proposta di portare l’auto all’agenzia che si trova in aeroporto mi oppongo con forza e ci accordiamo per lasciare le chiavi alla réception dell’hotel. C’è solo un piccolo particolare: l’auto è già in riserva da un po’ di tempo e non abbiamo nessuna intenzione di mettere altra benzina, così percorriamo i dieci chilometri che ci dividono dal Marifa sfiorando a mala pena il pedale dell’acceleratore. Alla fine però, con sollievo, parcheggiamo l’auto e consegniamo le chiavi (a Guadeloupe abbiamo percorso la bellezza di 1250 chilometri).

Ne approfittiamo anche per saldare il conto dell’hotel (che consiste nella sola tassa di soggiorno) e poi saliamo in camera da Sabrina, che nel frattempo ha finito di sistemare la prima valigia. Completeremo invece più tardi la seconda perché ora vogliamo andare in piscina a fare qualche bagno e a goderci gli ultimi caldi raggi di sole caraibico.

Poco più di due ore passano in fretta e in men’ che non si dica si fa mezzogiorno, così saliamo nuovamente in camera: pranziamo, facciamo una doccia, chiudiamo tutti i bagagli e alcuni minuti prima delle 14:00 siamo già, in “abiti civili”, comodamente seduti alla réception in attesa del pulmino che ci accompagnerà all’aeroporto.

Consegniamo le chiavi della stanza e, puntuale, un quarto d’ora più tardi arriva il mezzo grazie al quale, già prima delle 15:00, ci presentiamo nella sala delle partenze dell’aeroporto internazionale di Guadeloupe.

Affrontiamo una lunghissima coda per imbarcare i bagagli, ma non è un problema perché infondo dobbiamo, soprattutto, ingannare il tempo che manca al decollo. Poi, per oltrepassare il check-in, ci fanno anche svuotare completamente lo zaino per controllarne il contenuto e, con pazienza, dobbiamo ricomporlo prima di arrivare, finalmente, in sala d’aspetto.

Ci rimane giusto, giusto il tempo per gustare un gelato, poi lo speaker annuncia l’imbarco del nostro volo dalla porta numero tre.

Le operazioni necessarie per sistemare a dovere tutti i passeggeri all’interno del gigantesco Boeing 747 dell’Air France sono, come al solito, abbastanza macchinose ma alla fine, in leggero ritardo, alle 17:30, il volo Af 621 prende quota diretto a Parigi … arrivederci Guadeloupe! In breve saliamo sopra alla nuvole e ci lasciamo alle spalle il caribe, poi, riportando le lancette dell’orologio avanti di sei ore, altrettanto velocemente sopraggiunge … … Lunedì 5 Maggio 2003: La mezzanotte è passata da poco e splende ancora il sole, neanche fossimo a Capo Nord … ma, naturalmente, la nostra, è una mezzanotte virtuale. A quella reale, invece, stiamo correndo incontro e, anche lei, velocissimamente sopraggiunge, caratterizzata da una bellissima stellata e da un minuscolo spicchio di luna.

La distanza da percorrere è tanta, ma le ore pian piano passano fino a quando, attraverso il finestrino, notiamo le prime luci dell’alba sull’Europa.

E’ un alba caratterizzata da tante nuvole che si diradano solo per un attimo, lasciandoci intravedere le coste francesi, poi scendiamo di quota e ci tuffiamo al loro interno, emergendo solo a poche centinaia di metri dal suolo, ormai in vista dell’aeroporto di Orly, dove atterriamo, senza problemi, alle 7:22.

Non si può certo dire che a Parigi vi sia bel tempo: infatti quando usciamo dall’aeroporto piove e i trenta gradi di Guadeloupe sono solo un lontano ricordo.

Ci trasferiamo in autobus da Orly al Charles de Gaulle ed impieghiamo quasi un’ora, il doppio dell’andata: anche in quel caso era lunedì, ma il lunedì di Pasqua (quindi festivo) e le condizioni del traffico erano tutt’altra cosa.

Una volta arrivati nell’aeroporto principale della capitale francese imbarchiamo i bagagli ed affrontiamo una lunghissima fila per oltrepassare il metal-detector, al termine della quale un’addetta della sicurezza chiede di poter aprire lo zaino di Federico estraendo, dal suo interno, il “micidiale” boomerang di plastica che, a quanto pare, viene considerato un oggetto pericoloso … E’ semplicemente assurdo, perché è solo un giocattolo! … Ma anche il responsabile della sicurezza non dà l’autorizzazione a farlo passare e dobbiamo lasciarglielo (in realtà è già passato, senza problemi, altre tre volte in questo viaggio). Facciamo dieci passi e, naturalmente, il piccolo si mette a piangere, allora lo prendo per mano e torno con lui a chiedere la restituzione del maltolto, ma non c’è niente da fare: dobbiamo per forza rinunciarvi! Ci mettiamo in fila per salire, dalla porta numero 72, sul volo Az 365 e intanto arriva l’addetta della sicurezza, probabilmente divorata dai sensi di colpa, e restituisce il boomerang a Federico … E’ stata una storia incredibile … finita bene, ma assolu-tamente da raccontare! In ritardo di quasi un’ora, alle 11:30, l’Md-80 dell’Alitalia spicca il volo diretto a Bologna, mentre continuano ad imperversare le avverse condizioni meteorologiche e la Francia è, praticamente, sotto ad un unico corpo nuvoloso.

Sabrina e Federico cedono quasi subito alla tentazione di fare un pisolino poi, più tardi, pranziamo. Nel frattempo, sotto di noi, finalmente, si vede terra: sono le Alpi innevate e, poco dopo, ecco l’Italia completamente libera dalle nuvole.

L’aereo comincia a scendere lentamente di quota e tocca terra, all’Aeroporto Marconi di Bologna, alle 13:00 in punto. Ritiriamo sani e salvi i bagagli e poco dopo siamo fuori ad abbracciare i nonni.

Subito partiamo verso Forlì e, chiacchierando del più e del meno riguardo la vacanza, alle 13:45 entriamo in autostrada, per uscirne, a Faenza, alle 14:20, dopo una breve coda per lavori in corso, quindi, meno di venti minuti più tardi, alle 14:39, siamo davanti al cancello di casa per mettere la parola fine ad un altro fantastico viaggio.

Abbiamo così “catturato” un’altra perla di quell’immaginaria collana di isole che incornicia ad oriente il Mar dei Carabi … tante ancora ne restano, ma tanta è anche la nostra voglia di viaggiare e, chissà, forse un giorno potremo idealmente dire di aver conquistato, per intero, quell’ambito tesoro.

 Dal 21 Aprile al 5 Maggio 2003



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