Firenze – Capo Nord di diario della prima settimana in Germania

Castelli di Baviera, Garmisch, Rothenburg, Turingia, Harz e Lubecca sulla strada verso il grande nord
Scritto da: Nicola27
firenze - capo nord di diario della prima settimana in germania
Partenza il: 05/07/2009
Ritorno il: 08/08/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Domenica 5 Luglio (Firenze – Garmisch, Partnacklamm, Linderhof, Neuschwanstein) Vi racconto della partenza per un lungo viaggio, del poco dormire, della scarsa colazione, dell’aria frizzante di una mattina d’estate. Quest’ultima cosa potrebbe essere un’invenzione, ma mi piace associare a una mia partenza ciò che fa dolce l’estate e così chiaro un mattino. E forse l’alba della nostra partenza è stata un’alba dopo una lieve pioggia notturna. Siamo in due. Più un’infinità di oggetti, vestiti e alimenti per un mese di sopravvivenza. Credo con un margine prossimo al cento per cento di aver fatto colazione all’autogrill con un caffè e un pain au chocolat. Per me i dolci sono importanti. Certo in autostrada non sono il massimo. Nessuna coda. Il Brennero è già alle nostre spalle insieme al resto d’Italia. Purtroppo Micheal Jackson è morto e questa cosa ci accompagnerà per tutto il nostro lungo tragitto. Dico purtroppo, con rispetto parlando, perché ogni radio del globo inonderà da qui in avanti almeno tre volte al giorno il nostro angusto abitacolo con qualche canzone del defunto re del pop. L’Austria l’attraversiamo in un fiat Bravo blu, il mio. E scusate il pessimo gioco di parole… Così per l’ora di pranzo siamo già alle porte di Garmisch. Avevo letto su una guida di queste gole di Partnachklamm. Per attraversarle a piedi ci vogliono un paio di ore al massimo. Per leggere il nome molto di più. Munitevi di impermeabile. Il rumore assordante di un continuo scroscio d’acqua vi accompagnerà tra le rocce. Uno spettacolo favoloso che d’inverno, quando tutto ghiaccia, deve essere ancor più particolare. Particolare da non sottovalutare e che rischiavo di dimenticare è stato il primo tedesco incontrato appena abbiamo messo i piedi a terra. Giuro. Scarponi, calzini col pon pon, pantaloni con annesse bretelle e cappello in puro stile bavarese. Mancavano irrimediabilmente un boccale di birra in una mano e un bracciale di brezel nell’altra. Da Garmisch guidando lungo un lago ci spostiamo verso la meta successiva, Linderhof. Un piccolo castello con un grande parco e una scenografia tutta particolare dentro a una grotta. Ludwig II doveva apparire sicuramente eccentrico ai suoi contemporanei. E a qualcuno fece comodo farlo passare per pazzo. Nei castelli di Baviera si riflette il carattere stravagante di questo sovrano. Questa però non è una guida per cose che, fra l’altro, potete benissimo scoprire da voi. In effetti non saprei come definire quello che sto scrivendo. Probabilmente un diario di viaggio postdatato. Qualcosa per capire cosa rimane. Di sicuro rimane la signora che ci ha accolto nella sua pensione che in Germania chiamano Gasthof. La cuoca tedesca della mensa scolastica nei Simpson. Uguale. I pavimenti in legno che scricchiolano in maniera sinistra e non solo quelli. Un terrazzino con vista del castello di Neuschwanstein. Il più famoso al mondo credo. Cena sul terrazzino a base di omelette della nonna di Francesca, la mia compagna di viaggio (e non solo). La nonna Anna è una brava cuoca e una nonna viaggiante, ma non vi preoccupate che non ce la siamo portata dietro. Nella stanza il più minimo movimento produceva il classico suono sinistro da cigolio della porta. Caratteristico (il suono). Accogliente (la stanza). Nutriente (la colazione). E non poteva essere altrimenti con una cuoca del genere. Miglior definizione? Ostessa. Fussen è un piccolo paese. Tranquillo e mite a poca distanza dalla nostra dimora. Ideale per i classici “due passi” dopo cena. Qualche negozio vende a caro prezzo abiti tipici bavaresi, anche per bambini e bambine o, come dicono i tedeschi, pampini e pampine. Vestiti così assomigliano però più a delle bambole. In tedesco Puppen. Lunedì 6 Luglio (Neuschwanstein – Rothenburg) Della colazione ho già riferito e anticipato sopra. Cammina cammina arrivarono finalmente al castello sotto una pioggia fine e lieve da giornata uggiosa. Avete ragione che nella canzone di Battisti non stava piovendo, ma io così me la ricordo. Alle porte del maniero stava una fila colorata di nani giapponesi ognuno col suo ombrellino ricavato da un origami. Il destino volle che i nostri due protagonisti si accodassero alla fila di nani malefici. Va bene, va bene: due precisazioni d’obbligo. La prima è che non fu il destino, ma la maniacale disposizione all’ordine del popolo teutonico a volerci uniti ai nipponici. La seconda è che i nani malefici non esistono onde evitare incidenti diplomatici col Sol Levante. Tornando a noi eccoci finalmente dentro. Visite a numero chiuso. Obbligo di audioguida. Obbligo di seguire il gruppo. Tempo massimo quaranta minuti, ma forse qualcosa meno. Non trasgredite le regole. Vi ricordo che siamo in Germania. Si fa così e basta. Le domande non sono ammesse. (Non sto scherzando) Qui tutto ha un’aria gotica, romantica e Wagneriana. Insomma una grande scenografia. Anche gli alberi, i ponti e i fiumi non sembrano esser stati messi a caso. Il paesaggio è da fiaba e io mi sento un po’ Hänsel (quello di Hansel und Gretel) perché si è fatta quasi ora di pranzo e in effetti mi mangerei una casetta di marzapane anche se ho scoperto che nell’originale tedesco si trattava di pane speziato (pfefferkuchen). Il cielo si apre mentre arriviamo a Rothenburg nel primo pomeriggio. Nella sosta in autostrada un mezzo strano, un misto tra un aereo e una moto, ci fa sorridere. Ognuno ha il suo cavallo, il suo mezzo per cercare di arrivare alla meta. Alla nostra ancora non pensiamo tanto è distante ancora. Il nostro albergo di oggi si chiama Gotische Hotel (hotel gotico) e si trova quasi davanti al Rathaus (municipio) e raggiungerlo non è quindi difficile. Gotico, ma non troppo. Caratteristico sì. La nostra camera è al penultimo piano e il soffitto ha le travi in legno. Dalla finestra si vede la campagna oltre le mura. Un simpatico baffone dalla voce bassa e profonda ci ha accolto in questa dimora. Dall’ostessa all’oste (che certo ogni tanto qualche boccale di birra se lo fa). Le piccole città delle Germania si sono salvate dalla grande distruzione che ha colpito le metropoli durante la seconda guerra mondiale e il discorso vale anche per Rothemburg. Passeggiamo sulle mura, osserviamo le case a graticcio (quelle in cui il legno si sposa perfettamente con pareti variopinte e balconi fioriti) e io punto già qualche pasticceria. Decido di fare merenda con una Scnheeball, dolce tipico di qui. Praticamente sono quelli che a Firenze chiamiamo cenci e in altri posti chiacchiere. Sono intrecciati tra loro in modo da ottenere una forma rotonda e tenuti insieme da una glassa che può essere di cioccolata o altri gusti. Personalmente speravo meglio. Per rifarsi occorre una cena con un classico piatto: lo stinco di maiale arrosto. Mentre mangiamo un gatto nero ci osserva non senza uno scopo… Martedì 7 luglio (Rothenburg – Weimar) (Da oggi cominciano le filosofiche riflessioni sulla Germania o Cermania) La sala della colazione appare come una vecchia biblioteca con libri polverosi sugli scaffali di legno, qualche ritratto appeso alla parete e dei lampadari in ferro battuto dai quali non mi stupirei di veder colare giù qualche goccia di cera. A questo punto ci aspetteremmo di essere serviti da un Lerch o da un Igor (aigor) della situazione, ma, al contrario, appare una fanciulla mora di aspetto discreto in tipici abiti da cameriera dei primi del ‘900. Quando si scrive a distanza di tempo nella memoria, a volte, si sovrappongono i momenti e non tutto viene incasellato perfettamente in ordine cronologico. Però l’importante è che il ricordo non vada perduto. Questa è la cittadina degli schiaccianoci e degli orsi di peluche. Ogni negozio di giocattoli ne ha almeno un paio giganti di guardia all’ingresso . Uno schiaccianoci soldatino come quello di Tchaikovsky (che non ho mai capito come si scriva). Nella piazza principale c’è un negozio che vende perennemente addobbi natalizi. Lo si riconosce facilmente perché di fronte c’è un bus degli anni trenta con sul tetto giganteschi pacchi regalo. All’interno c’è anche un piccolo museo sulla storia del Natale che sarà migliore di tutti quello che incontreremo da qui a Capo Nord. Delle donnine “elfo” osservano e consigliano. La gentilezza è una cosa che sta cominciando a mancare nei negozi italiani e non solo nei negozi… Non c’è ostentazione di ricchezza in questo Natale, ma ricercata semplicità. Ho nostalgia dei mercatini che quassù in Germania non hanno eguali. Sento l’odore di Kartoffeln che si mescola al Gluwein. Per il prossimo dicembre dovremo passare la mano e accontentarci del finto mercato in Santa Croce. Mi manca perfino l’odore di caramello che di certo non è una cosa che amo però rende tutto molto più Willy Wonka. L’unica differenza è che gli Umpa Lumpa qui non vanno sotto il metro e ottanta. Scusate la divagazione, non è dicembre lo so. È pieno luglio e l’ora di uscire dal Natale. Questo era ieri. Stamani partiamo tranquilli verso Weimar. Tranquilli si fa per dire perché con Enrico non si sa mai cosa aspettarsi. Enrico è un mio amico di Firenze che vive da diversi anni in Germania. Un genio estroso lo definirei. Arriviamo a Weimar che è già ora di pranzo. Troviamo E. In giardino ad aspettarci. Da questo momento in poi un mondo nuovo si aprirà o riaprirà davanti a noi. E so già che non ne usciremo, che non ne uscirò. La zona è verde, tranquilla e la palazzina pare ben tenuta. Primo problema: concetto di socchiuso. Probabilmente esiste in tedesco una traduzione di questa parola, ma io non trovo di meglio che einen Spaltbreit offen. Soluzione: per i tedeschi la porta o rimane aperta o la si chiude, magari a chiave con doppia mandata (soprattutto se è il portone condominiale e sono già passate le cinque del pomeriggio). Secondo problema: turnazione per pulizie condominiali. L’inquilino dell’appartamento del secondo piano a sinistra il giorno x entro l’ora x e non un minuto di più dovrà portare fuori la spazzatura. In caso di notte gelida e improvvisa nevicata sarà suo obbligo restare di ronda e spalare subito la neve dal marciapiede onde non incappare in salate multe comunali o pagare danni a sprovvedute vecchiette che si romperanno il femore su quel manto bianco impunemente lasciato ghiacciare. Soluzione: cambiare casa? C’era anche un terzo problema, ma preferisco l’auto-censura. La nostra auto si svuota di un valigione alimentare. Si tratta delle provviste di E. Che ci siamo premurati di portare dall’Italia. Subito se ne va via mezzo chilo di pasta al pesto. Casa di E. È una camera e una cucina, un ufficio e un magazzino, una libreria e un’enciclopedia, una matrioska di due stanze sul mondo italo-tedesco. Per smaltire la pasta andiamo verso il parco. Weimar o Weimooo, come dicono da queste parti, è la città dove è nata la repubblica tedesca tra le due guerre, è la città di Goethe e Schiller, la città della Bauhaus che non è un negozio per cani, ma una scuola d’architettura. Ma è stata anche una città della DDR e lo si vede nelle facciate malconce di alcuni palazzi, nelle Trabant che ogni tanto s’incrociano per strada, nei semafori caratterizzati dagli omini stilizzati col cappello, da qualche immobile statale anonimo in cemento, dal fatto che da queste parti ci si dimentica del perfetto inglese che molti tedeschi parlano perché qui, fino al ’89, si insegnava il russo a scuola, dal cimitero di guerra russo che si trova nel parco. Proprio nel parco ci coglie di sprovvista un temporale e, ormai zuppi fino al midollo, troviamo riparo nella casa di campagna di Goethe. Non è proprio lui ad aprirci la porta, ma due attempate signore di guardia a quello che oggi è un museo. Il tempo di capire che i soldi spesi per il mio corso di tedesco sono stati uno spreco e la pioggia ci concede un po’ di tregua. Herr Enrico è un’ottima guida e anche un grande intrattenitore. L’unica cosa che gli manca è il provvidenziale ombrellino col quale ogni guida giapponese si fa riconoscere tra la folla. Il suo tedesco è ottimo e aulico. Grazie a lui assaggio un dolce che poi ricercherò per tutta la Germania. Una specie di cheese cake al cioccolato. Qui da quello che io chiamo alla fiorentina bacherei (forno) si trovano molte cose sfiziose. C’è una famiglia tedesca in Sicilia e noi approfittiamo della loro assenza per usocapionare (abbiamo il permesso) la loro casa anche se due giorni non saranno sufficienti. Più che di una casa trattasi di villetta con annesso giardino. Il giardino risulta essere il luogo più ordinato della casa. Enrico sostiene che si tratta semplicemente di un luogo vissuto. Alla guardia del castello è stato messo un ragazzo alla pari cileno di nome Halos o perlomeno a me piace ricordarlo così. Tipo ameno e latin american lover. Verso cena passiamo a far visita a un centro sociale. Mi stupisce per la pulizia dei bagni che non immaginerei mai così lindi in un posto del genere. Poi ci dirigiamo verso la facoltà di architettura perché stasera c’è una gran festa e soprattutto una gran grigliata con ampia varietà di scelta. Qui la specialità è una sola e si chiama Thuringer Bratwurst ovvero panino a rosetta di 8 cm di diametro con dentro un unico wurstel di 25 cm. Mercoledì 8 luglio (Erfurt, Gotha) Bella cosa il multitasking e non è proprio del computer stasera, ma della mia testa. Perché anch’io riesco a fare più operazioni contemporaneamente. Ascoltare musica, leggere, navigare in internet e scrivere un diario di viaggio. Se volete tra una canzone dei Coldplay, dei Beach Boys, della Bandabardò e dei Counting Crows vi parlo di strane colazioni e qui torno al viaggio verso Nordkapp. Strane colazioni con gli Oro Saiwa immersi nel latte bollente che si sciolgono subito. Questa è la colazione tipica di un italo-tedesco che so già che si arrabbierà per questa definizione di confine. In fondo abbiamo portato a Herr Serena solo due chili di biscotti per poter fare quest’operazione. La casa tedesca era disordinata anche se il termine giusto è vissuta. Giocattoli, vestiti, calzini e giornali lasciati in giro (vorrei scrivere “a giro” come si dice noi a Firenze). Di queste case mi piace il calore, l’uso del legno e l’usanza di togliersi le scarpe lasciandole all’ingresso. L’odore di queste case è diverso e non per le scarpe tolte… Oggi testiamo la puntualità dei treni tedeschi. Prima ci dirigiamo verso il cupo e tetro (specialmente col grigio e la pioggia) castello di Gotha(m city). Dopo un’occhiata sfuggente al maniero e al suo tetto che s’intona perfettamente col cielo, ci affacciamo dall’alto per vedere la città. Vista. Ora tocca ad Erfurt e non vorrei pensaste che noi si viaggia come i giapponesi. La cosa buffa in tutto questo qual è? Che il castello di Gotha è rimasto impresso nella mia testa come una foto mentre di Erfurt il ricordo si è sbiadito. Di sicuro ricordo molti tram, le case a graticcio, i ristoranti italiani, una zona carina lungo il fiume. Ricordo la ricerca di un buon forno e di aver ricercato lo stesso dolce “cheesechocolate” del giorno prima. Ricordo anche l’acquata del giorno prima perché sarà proprio indimenticabile. Herr Enrico ci aspetta nella sua casa mentre tutt’intorno si ode la cavalcata delle Valchirie. (questa è sottile e non ve la spiego però il nostro amico una volta stava in Muntzerstrasse vicino a Wagnerstrasse…) E noi arriviamo e lo rapiamo portandolo nelle campagne verso Apolda e Sömmerda chiedendoci chi ha dato i nomi alle città tedesche. Prima di cena un parco, un altro, ma senza acqua stavolta. Ed ora eccoci verso le tapas, ma prima. Prima uno spettacolo. Un brevissimo inseguimento di un’auto civetta della Polizei. La pazzia esiste anche qui dove tutto è tranquillo e forse la si nota ancor di più e ci fa sorridere. Perché se a un tedesco prende il grullo forse prende più che a un italiano. Torniamo al nostro affollatissimo bar di tapas e qui vi lascio davanti a un dattero ricoperto da una striscia pancetta. Che c’è voluto mezz’ora perché arrivasse e s’era solo tre nel locale! Giovedì 9 luglio (Weimar – Harz, Hexentanplatz e Werningerode)

Stamani salutiamo Herr Enrico mentre Silvio ci aspetta per pranzo un po’ più a nord. Un breve percorso in cui ci perdiamo volontariamente in mezzo a un campo infinito di girasoli. Il sole fa capolino in mezzo alle nuvole che corrono. Non piove, ma fa tanto cielo d’Irlanda.

Silvio, a dispetto del nome è tedesco nonché mio amico ed ex coinquilino. Ci sta aspettando quasi in cima a un monte. Der Hexentanplatz ovvero laddove danzano le streghe. Il nostro arriva sul luogo dell’appuntamento con la sua inconfondibile Golf cabrio targata OK qualcosa. Lui solo sa dove ci vuole portare, ma questo non vuol dire che sappia dove andare. Saranno almeno dieci le soste per chiedere indicazioni ai passanti.

Però alla fine ci siamo. Su una piccola funivia diretti in cima al monte delle streghe. Il paesaggio sotto è affascinante ed il luogo ha effettivamente qualcosa di sinistro, ma di fatto è un paradiso per bambini dove si possono fare passeggiate a cavallo o in pony immersi nel verde.

La nostra guida di oggi avanza a un ritmo serrato. Ha già stilato il programma per questa due giorni che passeremo insieme. E quando un tedesco fa un programma questo va rispettato rigorosamente al minuto. Poco dopo pranzo siamo di nuovo in auto. Al solito non conosciamo la destinazione finale, ma ci fidiamo. Werningerode è il nome sconosciuto di un piccolo paese che si rivelerà molto carino. Rido perché all’ingresso in città abbiamo preso il comando della situazione ponendoci alla testa del gruppo conducendo il tedesco fino all’albergo da lui scelto. Suo senso dell’orientamento pari a zero.

Suo senso dell’orientamento pari a zero. L’opposto del suo, immenso, senso di amicizia.

Camera con vista sul castello che, a vederlo da qui, pare proprio quello di Frankenstein Junior. Lassù non c’è Frau Bruker ad aspettarci, ma un bellissimo panorama delle città e una gustosa MonTarte ovvero una gigantesca fetta di torta ricoperta da semi di papavero. Praticamente una droga.

Il luogo che non conosci e quindi non ti aspetti in questa zona di Germania che qualche guida dimentica di includere tra le sue pagine. Un castello gotico decadente con delle sale immense.

Frastornato per l’effetto della torta torno giù insieme ai miei compagni di viaggio. La strada che ci porta all’albergo è un susseguirsi di caratteristiche case a graticcio.

Dormita colossale prima di cena. Ed ecco l’ospite (in)atteso, la nuova ragazza di Silvio, Veronica. E non poteva chiamarsi altrimenti. Dalla Russia con amore.

La cena meriterebbe un capitolo tutto per sé. Per il cibo, ovviamente, ma anche per il luogo. Mi ritrovo nel piatto una bistecca di medie dimensioni, cotta al sangue, con una coperta immensa di fughi e patate arrosto. Birra ceca a un euro. Del dolce non ho memoria, ma sono sicuro di averlo perso. Però è grave il fatto che non me lo ricordi.

Credo che per organizzare tutto questo l’amico Silvio abbia fatto un lavoro certosino.

Venerdì 10 luglio (Werningerode, Braunschweig, Etingen)

Un treno a vapore ci aspetta, ma prima cominciamo la giornata con una di quelle colazioni da togliersi il cappello. Silvio si perderà anche nei posti, ma è bravissimo a sceglierli. Chapeau! Ed eccoci quindi all’inseguimento del treno. E non è una battuta perché la nostra guida prima di trovare la stazione giusta c’ha messo un po’. Ma ora siamo pronti per la grande rapina. O forse sono loro che rapinano noi col prezzo del biglietto. Vale la pena però godersi il viaggio in mezzo alla foresta anche se qualcuna riesce ad essere indifferente in mezzo a tanta bellezza continuando a sfogliare un giornale scritto in cirillico. La destinazione finale, al solito e anche qui, è una scusa per il viaggio. Perché lassù, in cima a quel monte di cui non ricordo il nome ci saranno sei gradi (proprio quelli che troveremo a Nordkkap) e un tempo che mia nonna avrebbe definito “birbone”. La foresta che attraversiamo ha un che di Vallombrosa (luogo non molto lontano da Firenze nda). Gli alberi sono verdissimi. Si può stare fuori, nello spazio tra un vagone e un altro. Respirare il vapore, ma anche l’aria frizzante e gelida: quella che sveglia i polmoni. Penso ora che è stato un percorso lunghissimo eppure se n’è andato via veloce e non parlo di quello in treno. Eppure riscrivendone adesso sembra allungarsi. E non perché è un romanzo a puntate che sembra non finire mai. Torniamo verso casa o meglio verso la casa dello studente e ing. Silvio a Braunschweig. Siamo sotto la pioggia e la visita è abbastanza veloce. Nella cattedrale c’è una mostra di piante e alberi da frutto. Idea originale. È arrivato il momento più bello. Etingen è un minuscolo paese nel mezzo di non saprei dirvi cosa. Ci arriviamo col buio e con l’acqua, ma senza problemi perché S. Conosce la strada di casa sua. L’accoglienza e la cena di stasera saranno tra i ricordi migliori di questo viaggio. La famiglia di Silvio è al completo. Anche la nonna è presente, almeno per salutarci. Birra, vino, carne alla brace, salse, antipasti. Capisco ora cosa vuol dire imbandire la tavola. Cosa vuol dire avere dei buoni amici lo sapevo già per fortuna. Non vi voglio far scappare la lacrimuccia, ma è così. Spero che Silvio non abbia dimenticato tutto il suo italiano. Io il mio poco, scarso tedesco l’ho già scordato. Sabato 11 luglio (Etingen – Lubecca) La mattina ci congediamo dalla famiglia di Silvio (e da lui medesimo) dopo esserci concessi una bella colazione casalinga e un giro nel parco-giardino della sua “villa”. Foto di rito prima della partenza. Per dirla alla maniera di S.: che grandi! Il tratto in auto di oggi è breve. Circa 200km per arrivare quasi in punta alla Germania. Prima di ricongiungerci con l’autostrada che da Amburgo porta a Lubecca attraversiamo Luneburg e delle foreste immense. Una sosta legata alla mia incontinenza mi fa scoprire ancor di più quanto siano puliti i tedeschi e quanto rispetto ci sia del bene pubblico da queste parti. Anche se si tratta di un wc chimico nel mezzo di un bosco. Superlindo. Arriviamo a Lubecca dopo pranzo. Qui, “qualcuno”, nella fase di scarico dei bagagli, attenta alla mia mano, chiudendomela nella portiera. Ancora oggi ne porto i segni e non è per far sentire in colpa l’autor dell’insano gesto che lo dico. La città la conosco anche se l’ho sempre vista intorno a Natale quando qui tutto cambia. Linda è già pronta a farci da guida. Linda è un’altra mia amica tedesca nonché ex coinquilina. In città c’è fermento e gruppi musicali spuntano da ogni dove. Saliamo in cima al campanile di una chiesa di cui sarebbe un miracolo se mi ricordassi il nome. Mi piace il colore dei tetti dei campanili che si confondono con il cielo che quassù sta cominciando a cambiare colore tendendo a un celeste più intenso. All’ingresso della città c’è una porta che si chiama Holstentor. Dentro c’è un museo molto carino sulla storia delle città della lega anseatica. E anche qui, come in tutte le città anseatiche è buffo notare le facciate in mattoni rossi delle case che sembrano prolungarsi oltre i tetti nello sforzo di toccare il cielo. Casa di Linda è piccola, ma accogliente con i pavimenti in legno che scricchiolano al nostro passaggio. La sera la nostra guida di oggi decide di farci scoprire un ristorante molto tipico (dove chissà perché non mi aveva mai portato…). Vi consiglio di provarlo. L’atmosfera fa molto (o quasi) ritrovo di vecchi balenieri anche se la clientela di oggi è molto più inn e i prezzi non sono più quelli del XVIII sec. Non per niente il locale si chiama Schiffergesellschaft qualcosa. Fatevi mettere nella Historische Halle. Tavoli lunghi in legno, strani lampadari e modellini in legno di vecchie barche. Il cibo? Non male…soprattutto un dolce sui cui vengono “spruzzati” dei frutti di bosco. Eisbecher mit frischen Früchten. Andiamo a letto abbastanza satolli. Abbastanza perché la mia porzione di gamberetti non era poi troppo grande. (Forse era una porzione per stomaci normali). Domenica 12 luglio (Lubecca, Travemunde, Timmendorfer Strand )

Alla fine di questo viaggio invidierò molto le colazioni che si fanno nei paesi nordici. Poi bisogna aggiungerci il fatto che quelle preparate in casa hanno un valore aggiunto. Anche stamani tavola super-imbandita.

Ci aspetta un tour in battello sul canale che circonda Lubecca. Laghetti e spazi d’acqua anche balneabili non mancano.

I luoghi di villeggiatura da queste parti si chiamano Travemünde e Timmendorfer Strand. Si riconosco purtroppo benissimo anche da lontano perché una catena di hotel ha deciso che era il caso di costruirci un palazzone da 30 piani. Tutto ciò che sta sotto per fortuna si salva e molte case hanno dei tipici tetti di tegole blu. Sulla spiaggia si noleggiano delle specie di sdraio. Ho detto “specie” perché sono come dei divanetti coi tetti di paglia per ripararsi dal vento: gli Strandkörbe. Per evitare che poi la gente ci si sieda “a gratis” sono stati apposti dei piccoli cancelletti con lucchetto. Pare che l’accesso alla spiaggia in alcuni punti sia a pagamento.

Nel frattempo l’ora di pranzo se n’è andata da un bel po’. Lo stomaco reclama e io lo accontento con un paio di panini ripieni con pesce fritto e una salsa strana, ma buona. Avvertenza: non è una cosa per stomaci leggeri!

Periodo molto vitale questo, sulle coste dell’Ostsee (mar Baltico) tanto che perfino a Timmendorf ci imbattiamo in una fiera di paese con tipicissima musica tedesca che mi è stato impedito filmare dalla mia amica… (onde non avvalorale alcuni stereotipi sui tedeschi) Sotto qualche goccia di pioggia riprendiamo la via di casa. Stasera tocca a noi cucinare e ormai tutto il mondo sa che la mia specialità dell’anno sono i rigatoni al forno con la besciamella. L’esperimento è riuscito anche in terra straniera. Vedo facce soddisfatte intorno a me. Quanto verde tutto intorno, e ancor più in là, sembra quasi un mare d’erba, e leggero il mio pensiero vola e va… (non sono proprio impressioni di settembre…) p.s. con questa giornata si conclude la parte in terra di Germania del nostro viaggio verso Capo Nord. Presto, ma non troppo conto di pubblicare il resto sugli altri paesi e sul ritorno da queste parti.



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