Cracovia da vedere ma soprattutto da vivere

5 ragazzi a Cracovia... non solo luoghi da vedere, ma anche avventure e storie da raccontare.
Scritto da: Brabs
cracovia da vedere ma soprattutto da vivere
Partenza il: 22/08/2011
Ritorno il: 29/08/2011
Viaggiatori: 5
Spesa: 1000 €
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Cracovia 22/08/2011 – Primo giorno Ci ambientiamo (Della calma prima della tempesta)

Prima giornata e prime riflessioni in Polacchia. Il bidet e’ assente come c’era da aspettarsi mentre il tempo e’ inaspettatamente mite. Il primo impatto, dopo i 10 gradi sull’aereo che credevo mettessero a repentaglio la mia sia pur inespugnabile salute, e’ stato come un pugno sui polmoni con un’afa asfissiante e un odoraccio letamoso che ricordava un’ambientazione da stalla mal tenuta in cui sarebbe venuto il vomito agli stessi suoi abitanti quadrupedi. Entrando in citta’, per fortuna, i colori e gli odori hanno determinato un deciso sollievo nel mio giudizio rispetto a questa terra angustiata da una storia turbolenta. L’albergo è carino nonostante il prezzo per niente oneroso, le stanze grandi e disegni sulle pareti che ricordano l’art nouveau. Ci facciamo avvolgere dalla gioia tutta italiana per l’aver pagato a prezzo di stamberga un luogo assolutamente apprezzabile e ornato di carinerie fintamente artistiche, fino a quando non entriamo in esplorazione nella camera delle ragazze e notiamo il cozzare stridente dell’assurdo dipinto raffigurante una grossa tigre. La cosa genera in noi comunque un moto di estrema ilarità, per cui perdoniamo la leggerezza di una tale (in Italia imperdonabile) caduta di stile.

La posizione dell’albergo e’ centralissima per cui, dopo aver poggiato le valigie, in poche ore e malauguratamente per i miei piedi, abbiamo già battuto tutta la città vecchia facendoci incantare dai numerosi palazzi storici e dalla maestosa superbia dell’antico castello circondato da mura che lo delimitano. Nella moltitudine di bancarelle sulla piazza del mercato abbiamo potuto scorgere tutti i simboli rappresentativi di questa cultura che sembra perdersi nel dolore delle sue ferite mai rimarginate e abbiamo potuto gustare i piatti (troppo) speziati che il mio gusto osteggia con ostinazione.

Le innumerevoli carrozze che circondano il mercato in cerca di turisti troppo ingenui (nel senso di “pagu bessiusu”) o troppo egocentrici (nel senso di “scioro-dipendenti”), sono guidate soprattutto da donne con maschili abiti da cocchieri, ma dotate con evidenza di attraenti caratteristiche femminili. Mi danno l’impressione di avvoltoi che sorvolano la preda ormai morente, quando ammiccano in modo ammaliante chiedendo ai malcapitati passanti di scegliere di essere divorati dai loro attributi abbondanti, o ricordano le leggendarie sirene che, coi loro canti inebrianti e i loro corpi di travolgente bellezza, attirano Ulisse e i suoi marinai in un vortice di irrefrenabile quanto rovinosa lussuria. Come quei marinai, noi ci tappiamo le orecchie fischiettando allegramente per coprire le loro voci e guardando altrove per non subire il fascino passeggero di un’esperienza che sappiamo già essere una fregatura assicurata.

I numerosi artisti di strada attirano la nostra attenzione, ma il premio personaggio del giorno va di sicuro al fachiro sospeso nel vuoto accanto al quale siamo stati a lungo col dubbio funesto di capire quale incredibile diavoleria avesse escogitato per un trucco di cotanta affascinante bravura illusionistica. Purtroppo di illusionismo non si trattava visto che i turisti si avvicinavano a toccare l’atmosfera che lo teneva sospeso e non c’era nessuna finzione. Non credo che riuscirò a risolvere mai questo dubbio e credo che me lo porterò nella tomba a disturbare il mio sonno eterno.

Camminando per la città troviamo un Kebab e ci aggrovigliamo per i suoi sotterranei credendo siano quelli che abbiamo letto essere caratteristici della città e siamo sconfortati dal trovare una banale sala da fumo, ma non ci lasciamo scappare l’occasione e ce ne impossessiamo fumando tabacco alla banana e sorseggiando la birra locale che sembra avere quel tocco in più per renderci completamente gaudiosi e salottieri. La compagnia e’ perfetta. Nonostante non conoscessi la maggior parte delle persone che hanno intrapreso con me questo viaggio, aleggia una certa serenita’ gioiosa che completa questa prima tappa e che mi rende particolarmente ottimista.

Per oggi e’ tutto, avrei tanto da dire ma non e’ semplice scrivere con questa trappola tecnologica che devo ancora imparare ad utilizzare.

Cracovia 23/08/2011 – Secondo giorno Chiappe al vento (Del come essere nel posto giusto al momento giusto)

Partiamo mattinieri, nonostante il mio disappunto, e molto affamati in cerca di una colazione appagante e, da perfetti turisti al limite fra la completa drollaggine e un certo ammorbidimento bradipale da vacanza, ci facciamo impollare dal primo baretto a 50 metri dalla nostra sistemazione notturna e nella piazza principale e maggiormente turistica. Il ragazzotto al servizio ha la stessa velocità di un amante soddisfatto da un amplesso da urlo quando, in attesa di conferme dalla sua bella, aspira la sigaretta con un sorriso sornione. La sua flemma è fastidiosa ed ha l’ardire di sbagliare l’ordinazione e di venire, con sguardo improvvisamente implorante, ad elemosinare il nostro perdono per un errore che gli costerebbe la metà del costo di una colazione pagata a peso d’oro. E’ probabile che abbia aggiunto alla colazione qualche polverina magica per ammorbidire le nostre coscienze rese blande dalla fame, oppure che l’inaspettata cremosità ed il gusto sopraffino del cappuccino, la dolcezza raffinata dei piccoli croissant ricoperti di zucchero ed il gusto deciso dell’espresso stranamente simile a quello nostrano, abbiano determinato un certo abbassamento della nostra soglia dell’intolleranza, oppure semplicemente c’è stato un equivoco dovuto alla lingua. Sono convinta che quest’ultimo fattore abbia influito fortemente sulla decisione finale di graziarlo. Ma qualcuno non deve essere stato così clemente perchè nei giorni successivi è sparito nel nulla. Probabilmente si è licenziato per i tanti errori commessi, tali che, a fine mese, invece di prendere lo stipendio, avrebbe dovuto ripagare il suo datore di lavoro.

Il trombettista della leggenda finalmente si palesa con le sue note struggenti interrotte improvvisamente, narra la storia, perche’ trafitto da una pallottola in non so quale invasione della città. Versione questa, ci avverte la mini guida stampata che ci portiamo appresso, di uno scrittore americano che i polacchi, in cerca di una facile risoluzione ad una delle loro poche originali trovate turistiche e dal basso della loro poca inventiva, hanno immediatamente accettato e assorbito nella loro storia e tradizione facendolo passare come un loro intoccabile e degno di orgoglio segno caratteristico. Ogni giorno questo signore si sveglia, saluta la moglie e si reca a lavoro sporgendosi dalla torre quattro volte all’ora come un allegro cucù a strombettare questo motivetto a meta’. Mi chiedo se almeno una volta abbia pensato, oltre al prevedibile desiderio di porre fine alla sua allegrissima esistenza, di completare l’esecuzione del pezzo. Il massimo sarebbe se lo facesse e, pentito per l’oltraggio nazionalista verso il suo paese natio, poi si lanciasse platealmente a volo d’angelo sulla piazza creando così una nuova attrazione turistica o favoletta da leggere ai bambini prima di dormire. A quel punto i polacchi andrebbero davvero in un brodo di giuggiole.

Dopo questo scorcio di tristezza assoluta, ci dirigiamo all’agenzia turistica per prenotare la nostra prossima avventura ma la nostra attenzione e’ catturata da un simpatico e giovane culetto messoci in mostra contro la sua volontà da una avvenente ragazzina. Probabilmente, nel tentativo di rivestirsi dopo l’espletazione dei suoi bisogni primari, l’abbondante giovinetta aveva inavvertitamente incastrato la sottana lasciando le sue rosee chiappe sguarnite dei pudici orpelli che la morale severa e dispettosa ci impone e regalandoci quindi impareggiabili momenti di eccitato stupore ed improvvisa ed inaspettata lussuria. Da italiani rispettosi della nota ed illustre tradizione documentaristica, il nostro primo senso di responsabilità ci ha coerentemente imposto di immortalare quell’incredibile e miracoloso spettacolo della natura. Purtroppo la madre insolente si accorge del fattaccio e lei si sistema, ma noi continuiamo a far finta di fare le foto all’inesistente panorama dietro di lei per camuffare di essere dei “piglia in culo” patentati e per evitare che la madre possa rincorrerci e spaccarci in testa la macchina fotografica contenente la preziosa testimonianza di quel meraviglioso momento.

Il pomeriggio vola in compagnia delle sculture di sale eloquentemente illustrateci da quella che, a mio parere, potrebbe essere la donna rappresentante per eccellenza della cultura polacca captata per ora, caratterizzata da un umorismo scialbo e da un distacco ed una freddezza abissali. Troviamo soprattutto statue che riproducono la vita dei minatori, ma anche altre raffiguranti la leggenda di Cunegonda, Madonne e Madonnine varie a cui i minatori chiedevano quotidianamente la grazia di uscir vivi da quel luogo angusto, ed infine la statua di Giovanni Paolo II che dal naso aquilino sembra Ratzinger come se l’autore avesse in qualche modo anticipato i tempi. Visitatori del luogo Copernico, che scoprì una sala, e Goethe, che ci studiava su, fra i più rappresentativi. Diciamo che la nostra guida dalle origini polacche e dall’italiano pessimo e raffazzonato, poteva tranquillamente confondersi con le NeHaiVistaUnaLeHaiVisteTutte statue di sale della grandiosa miniera orgoglio del paese. Il suo anedotto più di spiritoso e ridereccio (per lei, tetro per noi) è stata la statua con una famigliola ben vestita che a quanto pare non aveva seguito la guida per cui era morta nella miniera. Credo di non aver mai sentito una tal voglia di continuare ad ascoltare una guida tanti erano gli spunti di continuo stupore ed ilarità verso un senso dell’assurdo inconsapevole per lei ma estremamente divertente per noi. Oltre all’angosciante sensazione di stare in una tana di talpe e al tremendo terrore di finire la mia vita ivi sepolta e ahime’ viva, il momento piu’ divertente, oltre alle battute assurdamente prive di spirito ironico del nostro simpaticissimo anfitrione, e’ stato un pezzo di Chopin intitolato “Tristezza” fatto echeggiare in una enorme cava buia illuminata a tratti e a suon di musica da tetri faretti, mentre la guida esultava entusiasta per la lugubre esecuzione. In un millisecondo veniamo riportati alla luce, staniamo dalla buca tanto profonda ed estesa da abbracciare, fra cunicoli e piani che scendono alla profondita di oltre 300 metri e per un’estensione totale di 300 Km, tutta l’area sotterranea di una cittadina intera di nome Wieliczka. Questo impatto con la più elevata tecnologia in ascensori da 2 metri quadri e vecchi come il cucco, ci tocca tanto che temiamo per la nostra incolumità, ma non facciamo in tempo a preoccuparcene che, all’aprirsi delle portiere, siamo spinti via malamente verso la folla per liberare il campo a nuovi turisti.

Un’altra prova dell’estrema freddezza e passività da me riscontrata negli indigeni locali è la presenza di quelli da me ribattezzati “uomini cartello”. Essi si trovano per la strada in prossimità dei locali barra negozi che hanno il compito di indicare e pubblicizzare, sostituendo in toto il nostro classico cartello pubblicitario. Non so se si tratti di un loro tratto caratteristico riconducibile in qualche modo a qualche loro sconosciuta influenza genovese o forse scozzese (su questo gli storici ancora dissertano) o qualche ordinanza pubblica, ma essi sono incontrastati uomini oggetto della città, ancor più dopo aver scoperto che prendono uno dei nostri euro all’ora circa. Quello che riceverà il mio premio ad honorem è certamente il poveretto incappucciato sotto il sole cocentemente crudele che ogni mattina, pomeriggio e sera indica il museo delle torture con l’intento di procacciare clienti che, avendo pena di lui, finiscono col cedere ed entrare a vedere due piccolezze storiche di non documentata provenienza con un interessantissimo contorno di aggeggi da tortura da comprare per rendere più briosa e colorata la noiosa vita di tutti i giorni. Il tocco finale ha, sicuramente, l’impronta cibo. Gli italiani, loro malgrado, portano sempre la loro impronta mangereccia, è una caratteristica impressa, viene da sè, non la si può controllare facilmente e siamo sopraffatti dai sapori tediosamente contraffatti delle mediocri pietanze.

La serata termina fra uno spiedino gigante, la ripetitiva birra del luogo e la sistematica allegria in un tourbillon che ci riporta anticipatamente e (quindi) diligentemente a casa.

Cracovia 24/08/2011 – Terzo giorno Biking Krakow (Di mostri alati, la vie en rose e primi incontri)

Good morning Poland! Dopo la colazione in una viuzza appartata, memori dell’indimenticabile e patetica esperienza di ieri, l’allegra combriccola, come già deciso, dotata di bicicletta da rent a bike (proprio sotto l’albergo), inaugura questa giornata dedicata all’avventura per le strade della città.

In cuor mio, dall’alto del mio estremo divorzio non voluto con una grande abilità coi mezzi di locomozione veloce, spero di non ricavarne nessun danno fisico, come successe ad Amsterdam qualche anno fa col grosso bernoccolo da trauma cranico, ma mi rassicura il fatto di aver scoperto di non essere l’unica imbranata del gruppo, anche se la presenza del temuto contropedale nelle simpatiche “Grazielle” (da me ribatezzate “Rosselle” per sbaglio e sotto l’ilarita’ generale) non mi fa stare totalmente tranquilla.

Nella circumnavigazione delle antiche mura della città, proprio sotto il Castello ed in prossimità dello scorrere di quello che solo ieri abbiamo scoperto essere il fiume Vistola, ci imbattiamo nella statua sputa fuoco del drago già apprezzata il primo giorno per caso in una passeggiata notturna. Il temuto animale vomita folate di fuoco ad intermittenza ma non abbiamo capito con quale frequenza, tanto che ho ancora dolori alle braccia per aver tenuto a lungo la macchina fotografica in attesa di un suo getto infuocato per ricavarne una pessima foto sia a livello stilistico, perchè foto turistica banale e scontata, sia a livello tecnico, perchè completamente sfocata ed incomprensibile.

Torniamo al Drago e alla leggenda che lo accompagna che, come tutte le leggende polacche, come abbiamo avuto modo di capire, è soggetta a molta confusione e soprattutto all’intrepretazione arbitraria di chiunque ne voglia dare spassossamente un finale ed un significato diversi. Leggiamo infatti nella guida che un tempo il drago faceva razzia di giovani donne vergini e per questo il re indisse un bando per la sua cattura promettendo sua figlia in sposa a chi l’avesse sconfitto. Come in tutte le leggende che si rispettino, nessuno ci riuscì finchè arrivò lo sfigato di turno, che stavolta fu un ciabattino, con l’idea geniale per sconfiggere il mostro alato. E fin qui niente di strano. Sull’idea sono ancora tutti d’accordo: egli diede in pasto all’animale una pecora dopo averla riempita di zolfo, ma a questo punto le versioni su come questa pecora uccise il drago si sprecano. Nella guida stampata c’è scritto che il drago, assettato, non si capisce perchè, si recò al fiume prosciugandolo e poi scoppiò dalla troppa acqua. La guida arguta ed in carne ed ossa della Miniera del sale (si ahimè ancora lei), invece, ipotizza come causa della triste dipartita il fatto che il drago abbia eruttato fiamme che a contatto con lo zolfo lo abbiano fatto scoppiare. Stavolta mi trovo, mio malgrado, quasi incline a pensare che la signora per una volta abbia ragione perchè la sua storia è ben più plausibile della prima che fa acqua (mi si perdoni la freddura ma mi ha contagiata la simpatica guida) da tutte le parti.

Lasciati i ragazzi ad una divertentissima mostra di armi antiche nel castello, noi ragazze continuiamo il nostro tour biciclettato costeggiando le rive del fiume già menzionato. Il sole rovente incoraggia giovani e non a stendersi per i prati nel tentativo di colorare le loro bianche carni. Prese dalla foga, percorriamo senza accorgercene km fino ad inoltrarci addirittura in un piccolo bosco alla periferia della cittá, mentre io fischietto la vie en rose e le ragazze mi accompagnano con le loro voci allegre. C’è una certa serenità gioiosa fra noi che raramente ho trovato in compagne di viaggio In un’ora circa di pedalate, un litro di sudore e due kili in meno, ci rendiamo conto di essere tornate al punto di partenza e di aver quindi fatto il giro della città, senza tra l’altro trovare il quartiere ebreo che era la nostra meta agognata. Ci armiamo di coraggio, ma soprattutto di mappa, e proseguiamo fiduciose zigzagando e fischiettando per le strade come se ci appartenessero e come se non avessimo nessuna fretta e con uno strano senso di libertà addosso. Lontane da casa, in una città che improvvisamente sembra essere nostra. Girovagando troviamo finalmente il quartiere ebreo e ci fermiamo all’ombra a cercare riparo dal sole asfissiante. Propongo un caffè in un locale italiano che si trasforma in uno spritzino di metà pomeriggio con stuzzicchini rigeneranti e ci lasciamo andare al riposo pacato e alla chiacchiera come ci si aspetta da tre giovani donzelle come noi inebriate dal campari e dalla magia di colori ed odori appena sperimentata.

All’improvviso, proprio quando stavamo per lasciare il locale, ci si avvicina il proprietario Antonio di origini leccesi che, oltre ad offrirci un ottimo caffè ristretto, ci racconta di essere stato a lungo un impiegato Fiat, con una storia di emigrato da fare invidia alle piú avventuriere specie di uccelli migratori: dapprima a Torino, poi in ordine Cracovia, Sudafrica e Australia finché non si é rotto le scatole e ha detto addio alla sua dipendenza agnelliana per tornare nella citta’ dove aveva lasciato il suo cuore. E’ una persona gioviale e il suo racconto é spedito ed interessante. Non ci lascia andare via prima di averci spiegato che l’Italia disegnata nel suo locale, deplorevolmente priva della bell’isola in cui noi poggiamo le nostre origini, ha questo imperdonabile difetto perchè proveniente da un lavoro in classe di bambini polacchi la cui maestra doveva essere o una grande ignorante in geografia oppure al corrente del gran desiderio di indipendenza sempre più diffuso nella nostra isola tanto da essere definito dalla celebre (per qualcuno) frase: “Sardinia is not Italy”. Ma è arrivato il momento di proseguire per la nostra strada.

Ci inoltriamo nel quartiere ebreo scoprendo degli angoli davvero deliziosi e tracciando il percorso che accompagnerà anche questa serata in bicicletta fra le vie di questa fascinosa città. Intanto io ed il contropedale ci siamo stretti la mano in segno di amicizia e firmato un patto di non belligeranza che spero duri a lungo, mi accontenterei almeno fino a domani mattina. Patto che non sembra aver ignorato una delle mie compagne di viaggio che, in uno degli sbilanciamenti poco giustificati in un simile paesaggio totalmente pianeggiante, finisce per toccare terra proprio mentre, per caso, i ragazzi tornano da una perlustrazione individuale della città. Praticamente, raccontano in seguito, mentre pedalavano rilassati, vedono una ragazza in difficioltà in mezzo alla strada e che, improvvisamente, alza la mano in segno di frastimo verso un passante che non vuole farle strada e che, sospesa nell’aria (non abbiamo ancora capito perchè) senza pedalare, ad un certo punto, per le forze della fisica ed inevitabilmente, viene rovesciata come un sacco di patate per terra. Si accorgono solo dopo che si tratta della loro compagna di viaggio. Le risate straripano copiose, ma io non me le godo perchè lontana dal divertente episodio e non potrò mai perdonarmelo.

Dopo aver cenato in un tipico ristorante polacco arredato con gusto pacchianamente tetro in onore e memoria di tempi altrettanto tetri e passati, tanto che qualcuno paragonava l’ambientazione al salotto di una zia probabilmente tetra quanto quella brillanteria inutile, ci accingiamo, con le amate bici che d’ora in poi accompagneranno il nostro viaggio, a sciogliere qualche grasso che quel pasto, tetramente (ebbene si ancora) intriso di elementi di disturbo al sapore genuino del cibo, aveva dispettosamente iniettato nei nostri graziosi portamenti. Dopo qualche drink, un destino corrotto dalle nostre precedenti perlustrazioni della zona ci porta senza esitazioni nel quartiere ebreo nel famoso locale Singer segnalatoci dalla guida stampata, anche perché se ce l’avesse segnalata quella in carne ed ossa della miniera l’avremmo scartata a priori temendo di trovarci un covo di ziodde inacidite dalla vita. Questo locale prende il nome dalla nota macchina da cucire presente e funzionante in ogni tavolo, tanto che, fra una birra e l’altra, veniva quasi spontaneo e naturale fare su e giù a suon di musica col pedale inferiore per arricchire, coi nostri ritmi estremamente elaborati, le musiche del locale e, unendo anche l’utile al dilettevole, ricucendo l’orlo dei pantaloni.

A questo punto le nostre strade si dividono da quelle dei nostri compagni di viaggio dal sesso opposto e non facciamo in tempo ad arrivare al bancone del locale che quegli che in questo viaggio pensavamo essere dei nostri bei ricordi del passato, e cioè degli uomini che non ci considerassero come delle candidate al ruolo di protagonista della rivisitazione in veste soap opera della grande saga della donna invisibile, ci avvicinano esibendo le loro originali e per niente scontate armi di abbordaggio, tanto da darmi l’impressione divertita di trovarmi su una fortezza e, come una colata d’olio bollente sugli invasori che, dotati d’ariete, cercano insistentemente di sfondare le porte del fortino, io e la mia compagna di avventura ci sollazziamo ironicamente nel tentativo di difendere le nostre preziose virtù. La conversazione diventa anche inaspettatamente interessante quando alla combattiva compagnia si aggiunge un tenebroso meticcio incrociato fra razze eterogenee e con una famiglia sparsa nel mondo e composta da artisti, categoria alla quale dicono di appartenere tutti i nostri nuovi amici, compreso quest’ultimo che si definisce scrittore e figlio di un famoso mecenate residente in Germania nonché nipote di un compositore di musica classica residente in Uruguay. Ci sfugge il motivo del loro vivo interesse alla precisa descrizione del loro affascinante albero genealogico, non crediamo di certo sia un banale e spudorato modo di agganciare due ingenue turiste italiane, per cui ci lasciamo conquistare dai racconti al limite dell’assurdo dei fantasiosi interlocutori, tanto da farci convincere, non prima di aver comunicato la nostra posizione ai nostri compagni di viaggio, a salire a casa del mezzosangue a vedere la sua collezione di farfalle… oppss no volevo dire di quadri della sua ex. Con noi vengono anche un italiano semi disadattato e di origini vicentine che vive facendosi ospitare da ipotetici amici e che si definisce cantante ed attore e che ci fa da traduttore con quelli che ci tiene a classificare come un architetto, uno scultore, un pittore, un ragazzino tutto tatuato di cui non ci é ancora pervenuta la classificazione e ovviamente lo scrittore e noi che, a fine serata, abbiamo finito col completare il giochino dei mestieri come l’avvocato e l’informatica che tenta inutilmente e pateticamente di destreggiarsi nel mondo dell’arte.

Io ed il mio smartphone iniziamo ad avere un rapporto discreto e continuo a prendere appunti osservando la città ed in balia di innumerevoli spunti di commovente interesse socio-culturale.

Cracovia 25/08/2011 – Quarto giorno Auschwitz-Birkenau (Della necessità di non dimenticare)

La prima parte della giornata é dedicata al completo relax e con le ragazze ci troviamo al solito cafè che ha rapito i nostri cuori col suo fascino d’altri tempi, le sue praline di cioccolato, il suo espresso con panna, la sua musica da atmosfera così delicata e infondente quella serenità che é grande protagonista di questo viaggio e perché no anche la sua rete wi-fi che é disponibile quasi da tutte le parti e gratuitamente.

Fra una cioccolata, un cappuccino ed il già citato espresso rigorosamente ricoperto della sfiziosa panna, le parole scorrono a fiumi e mi fermo ore a completare questo diario di viaggio.

Questa città inizia a piacermi davvero, mi riempie di idee, visioni, storie ed ottimismo. Non capisco se si tratti di lei o se invece sia scattato qualcosa nella mia vita che mi faccia sentire una sorta di felicità che basta a se stessa. Ebbene si Basia (Barbara in polacco) é felice nel suo antro dal sapore di cioccolato che dà sulla strada col suo inseparabile telefono da scrittura.

Queste considerazioni arrivano dopo una delle esperienze più forti della mia vita e cioè la visita ad uno dei luoghi di morte e disperazione più incisivi nella storia dell’uomo. Quella che io definisco come la prova documentata della malvagità insita nella composizione dell’animo umano e che dimostra come la follia di un uomo possa portare un intero popolo alla negazione dell’umanità stessa. Passo la maggior parte del tempo ad Aushwitz, nel sentire la spiegazione della guida, con una sensazione di morte addosso paragonabile a quella talvolta sentita al risveglio da un terribile incubo o al terrore provato nella visione di un film horror che possa definirsi davvero tale. La tensione provata e la pelle d’oca continua si impossessano del mio sentire tramutandosi in dolore non solo fisico. Il mio corpo sembra sentire le stesse sofferenze delle persone che vedo nelle foto, dei racconti che la guida dagli occhi tristi e dalla solennità cupa ci racconta. Ci accompagna nei luoghi dove questi esseri umani arrivavano, dove venivano selezionati immediatamente e spediti a morire subito o dopo qualche mese di terrore, nei luoghi dove dormivano ammassati fra i loro stessi escrementi, nei bagni che lottavano per usare uno di fronte all’altro come animali, nelle prigioni dove stavano in 1 metro quadro in 4 obbligati a stare in piedi tutta la notte per poi andare a lavorare la mattina, nel muro dove venivano fucilati, in prossimità dei laboratori in cui venivano effettuati esperimenti genetici per rendere sterili le cosiddette razze inferiori, nel palo dove venivano impiccati pubblicamente e ripercorriamo lo stesso percorso che facevano quando venivamo condotti nelle grandi sale dove sapevano di dover fare la doccia ed invece venivano uccisi col cianuro, recuperati da ragazzi ebrei selezionati fra i più forti che venivano uccisi ogni 3 mesi per non lasciare testimoni e poi bruciati nei forni crematori o all’aperto per fare più in fretta. Ma anche nella grande piazza dove ogni sera venivano suonate musiche allegre come schiaffo morale oltre che fisico.

Ci mostra gli oggetti delle persone che venivano portate in quei luoghi e che sono l’unica cosa di loro rimasta: spazzole, scarpe, occhiali, valigie. Tutto veniva riciclato. Persino i capelli delle vittime, che venivano utilizzati per fare dei tessuti. Sulle valigie facevano scrivere i loro nomi e la loro data di nascita in modo che pensassero di poterle recuperare in futuro e non avessero così sentore di andare a morire per evitare il panico. Alcune di queste valigie riportano date di nascita molto recenti, di bambini. Essi erano i primi ad essere eliminati nella prima selezione perchè inutili. Loro, gli anziani, le donne, quelle incinta avevano una corsia preferenziale in questo senso.

Mi fa male parlarne. Ma è mio dovere raccontare. La cosiddetta soluzione finale…

Non mi sorprende vedere nelle foto appese alle pareti e che facevano loro per schedarli, degli uomini e delle donne dagli occhi terrorizzati da loro stessi, incapaci di sorridere, privati della loro dignità di esseri umani e braccati dalla morte.

Mi sembra di sentire gli odori di escrementi misti a quelli della sporcizia dei loro corpi e dei cadaveri bruciati e sinceramente mi invade una nausea bruciante e una tristezza infinita.

Nonostante questa sensazione di terrore, sono molto felice di aver fatto questa esperienza che credo sia importante per ogni uomo. Ci sono alcune cose che non si sanno e vedere dal vivo quello che é successo ti rende più vicino alla responsabilità che ogni uomo ha di condannare questa follia e lottare perché non possa più ripetersi.

Ce ne andiamo in silenzio, lo stesso silenzio che sentiamo dentro la nostra sensibilità ferita. Diamo le spalle ai vasti campi abbandonati, sentendo le urla e i pianti delle anime che vi sono rimaste incastrate per sempre per ricordare ai visitatori quello che è successo, la morte, la disperazione, l’oltraggio imperdonabile alla dignità unama.

La sera, tornate nel quartiere ebreo e lasciati i ragazzi alle loro avventure, con la classica “faccia da culo” da turiste “ingiogazzate” (ho cercato a lungo un termine equivalente in italiano ma nessuno è capace di esprimere la stessa divertita sensazione), agganciamo un gruppo di una decina di svedesi e ci facciamo convincere dopo mezzo minuto a seguirli a conoscere i segreti delle discoteche locali e affoghiamo nei fiumi di mojito la tristezza della giornata.

Cracovia 26/08/2011 – Quinto giorno Beerring Krakow (Della necessità di cazzeggiare)

Dopo la visita veloce e casuale alla meravigliosa cattedrale in stile gotico che si trova nella solita piazza del mercato proprio a 100 metri dal nostro albergo e la cui imponente presenza abbiamo sempre fatto finta di non notare e una mediocre cioccolata calda al peperoncino (che di piccante non aveva niente), attendo che le ragazze prendano il loro taxi verso l’aeroporto, non senza un certo senso di dispiacere per la loro anticipata partenza, per iniziare quella che per me sarà un’altra vacanza.

Nonostante la loro partenza sia per me penosa perchè si è instaurato un certo feeling, decido infatti di continuare la mia vacanza in modo indipendente, dedicandomi alla perlustrazione solitaria armata di telefono da appunti e col proposito di riservare questi ultimi giorni alla ricerca di nuove storie e di nuove idee e soprattutto a me stessa. La distanza da casa, il senso di leggerezza e libertà del potermi spostare in modo autonomo con la mia “Rossella” ed il senso di serenità di cui mi sento invasa facilitano questo proposito e sono (forse eccessivamente) entusiasta del mio nuovo progetto.

Mi sento come una bambina che, vista la mamma con un gelato, molla il ciuppa ciuppa per correre a prenderlo, ma, mentre corre, vede con la coda dell’occhio il papà arrivare con lo zucchero filato e cambia traiettoria, ma a quel punto ecco il nonno con un grande palloncino a forma di cuore. La bambina ha troppe sollecitazioni una dietro l’altra e non sa dove andare, vorrebbe avere tutto ma, se non prende una decisione immediata e non si accontenta, rischia di rimanere a mani vuote. E proprio come una bambina mi fermo ad osservare una ragazza che fa le bolle di sapone giganti. Vedo la bolla venire verso di me e, presa da un momentaneo (si fa per dire) spirito infantile, cammino all’indietro sporgendoni in alto verso di lei, finchè non sento qualcosa di duro e mi accorgo di essere entrata con un piede nel passeggino di un bambino fra lo stupore generale delle persone astanti e le risate divertite dei miei compagni di viaggio. Ci mancavano solo gli applausi, anche perchè, se avessi voluto farlo, non ci sarei mica riuscita. Ci è voluta davvero un’abilità che solo pochi maldestri possiedono. Ho sempre pensato di discendere dagli elefanti e non dalle scimmie e questi episodi sono una riprova di questa convinzione. Per fortuna il bambino schiacciato non piange e la madre è gentile e non mi prende a calci.

Ecco la mia sensazione di quel momento in quella che ho voluto ribattezzare Craconia, accogliente e calda cittadina della Polacchia. La freddura sempre più frequente delle mie battute inizia a diventare quasi intollerabile anche a me stessa e gracchia stridentemente, tanto che le mie orecchie stanno per rifiutarsi di ascoltarmi ancora. Credo di essere stata contagiata dalla guida della Miniera del Sale che mi perseguita con le sue battute anche nei sogni. Ad esempio, stanotte ho sognato il suo sorriso divertito quando ci ha fatto vedere le statue di sale degli otto nani chiedendoci se immaginassimo il perché non fossero 7. Il suo ghigno illuminato si è aperto all’improvviso nel sogno colpendomi come uno schiaffo precedendo la divertentissima battuta che i minatori, non potendo tornare in superficie, avevano sostituito Biancaneve con un nano. Sono sicura di avere una personalità disturbata ed una incapacità di comprensione di fondo che mi impediscono di trovare divertente un tale spiritoso anedotto, ma sono certa che si tratti di un limite insito nella mia natura priva della nobile arte dell’ironia.

I ragazzi si assentano tutta la mattina ed il pomeriggio per visitare il museo costruito nella fabbrica di Schindler che dicono essere molto interessante. Si, proprio lui, l’imprenditore che salvò moltissimi ebrei dalla morte sicura nei campi di concentramento, la cui storia è famosa nel mondo soprattutto grazie al film di Spielberg del 93.

Dopo aver salutato le ragazze, afferro la bicicletta e mi fiondo per la città in cerca di storie. Pedalo lungo il fiume e decido di salutare i ragazzi che prendono il sole in quella che ho deciso di chiamare La Paillotte cracoviana: uno stabilimento balneare lungo il fiume dalle acque limpide e pure quanto il pozzo nero di mia nonna e dove delle ragazzine mal vestite, cellulitiche e con seni importanti trascorrono i loro ultimi pomeriggi da piacenti biondine in attesa dello sfaldamento precoce delle loro carni, cosa che qui sembra accadere inevitabilmente verso i 30 anni. Le birre scorrono copiosamente fra risate e commenti alle tradizioni locali finché non decido di tornare in albergo a riprendere forza e coscienza.

La stessa coscienza che sembra non assistermi più tanto quando decido, dopo aver cenato ed abbandonato i ragazzi alle loro avventure e dopo aver voluto tastare il fascino piccantemente vivace del “cane incazzato” o mad dog, di prestare la mia bicicletta ad Andrea l’italiano scroccatetto e dalla memoria di un pesce rosso (citazione) che ha un repertorio di storielle gagliarde che racconta ogni sera cambiando versioni, ambientazioni e personaggi.

Da menzionare é sicuramente quella del suo presunto flirt con Veronica Lario quando faceva il gondoliere a Venezia o la sua confessione di essere in realtà una spia: un giorno CIA per depistarci, il giorno dopo servizi segreti nostrani e finalmente la versione più plausibile: in realtà il KGB gli fece il lavaggio del cervello e lo mandò, con Batman e Robin, a spiare Paperino e Qui Quo Qua.

Cracovia 27/08/2011 – Sesto giorno A casa mia (Della necessità di recuperare la bici)

Apro gli occhi con la simpaticissima consapevolezza che dovrò ripagare la bici e maledicendo la mia flebile resistenza verso personaggi di inesistente affidabilità e talmente affamati che venderebbero anche la madre pur di avere un giorno in più nel mondo per narrare ai discepoli estasiati inconfutabili racconti di vita, tramadando in questo mondo la conoscenza e portando il verbo laddove l’ignoranza regnava sovrana. Annego il mio animo da “pentia” del giorno dopo nel solito cafè facendomi male con tre cioccolate calde rigorosamente big e ricoperte di doppia panna e sullo scorcio dei passanti variegati che percorrono le vie del centro.

Fra gli altri mi colpisce la visione, purtroppo non documentata fotograficamente, di una mamma che porta a spasso suo figlio col guinzaglio. In questi giorni avevamo già visto una scena del genere ma il bimbo non era ancora in grado di camminare per cui abbiamo ipotizzato si trattasse di un supporto per aiutarlo in una delle imprese più importanti nella vita di ognuno di noi. Ma questo bambino camminava, eccome se camminava e non era poi così tanto piccolo, tanto che mi sono chiesta se la madre avesse con sé anche la palettina per raccogliere i bisogni in caso di impellenti e fisiologiche esigenze improvvise.

Raggiungo i ragazzi che mi scarrozzano con le loro bici ed inizia, spinta dal mio obiettivo primario di non finirla senza un centesimo, una nuova avventura a Cracovia: ritrovare l’italiano prima che abbia venduto l’ultimo ingranaggio della mia amica a due ruote. In piedi sulla parte posteriore della bici del mio amico e nell’ilarità generale tanto da meritare la foto di alcuni turisti che ci osservano divertiti, perlustriamo la zona dirigendoci verso il bar dei miei nuovi amici.

Appena arrivati, incontro immediatamente il fantasioso italiano che mi dice di avermi lasciato la bici nel bar e gli offro immediatamente un mad dog abbandonando l’ateismo per un istante e presentando ai miei compagni di viaggio i miei nuovi amici indigeni. E’ immediato il reciproco piacersi per cui stiamo là a ridere e scherzare e a sentire le storie del giorno: oltre ad essere attore e cantante, cosa che mi aveva detto nei giorni precedenti, il simpatico compaesano é anche un modello di una certa fama ed impressiona i miei amici con descrizioni di piacenti modelle di cui ama circondarsi e che lo trovano così irresistibile che spesso é costretto a scrollarsele di dosso e a rifiutare le loro avances. La sua storia con la Lario invece oggi viene arricchita di dettagli piccanti soprattutto nella fase di corteggiamento e nella sua arresa finale. Io mi sento a casa. Ormai tutti mi chiamano Basia (leggi Bascia) e uomini e donne vengono a salutarmi come se mi conoscessero da tempo.

Il solito locale dedicato alla macchina da cucire Singer (leggi Zingher) si riempie di uomini e donne festanti che salgono sui tavoli a scatenare la loro polacca febbre del sabato sera. Fortunatamente i turisti sono pochi e siamo circondati da persone del luogo che ci fanno sentire a casa nostra e ci accolgono con sorrisi genuini. Qualcuno mi fa anche la corte spietata forse incoraggiato delle varie raffigurazioni erotiche presenti nelle pareti del locale. A quanto pare, sempre teoria dell’italo ormai mezzo polacco, é una leggenda che le polacche siano facili prede degli italiani in vacanza, anche se sono convinta che i miei connazionali non verrebbero mai qui con intenzioni così basse e meschine. Mentre una mora abbronzata come me é molto apprezzata in un universo slavato come questo. Peccato il turismo sessuale non rientri nella lista dei miei hobby, per cui, quando l’alcol rende molesto qualcuno nel locale, acchiappo la bici e scappo via per le strade della città raggiungendo la tranquillità del mio albergo.

Cracovia 28/08/2011 – Settimo ed ultimo giorno Mad dog’s day (Dell’ultimo giorno e della voglia di rimanere)

Ormai i ritmi delle giornate sono totalmente sfasati. Regna una completa assenza di regole, di orari, di programmi e qualsivoglia altro limite alla nostra sempre più incontrollata smania di assaporare questa città in modo spontaneo e disordinato. Sento i ragazzi e saliamo in groppa a quello che dopo questo viaggio diventerà il mio mezzo di locomozione preferito e finiamo nel quartiere ebreo che tanto ci ha affascinati e tanto é stato protagonista inconsapevole del nostro avventurarci per questa città così ricca di spunti variegati.

Ci infiliamo nel mercatino domenicale di roba SperoPerLoroUsataMaNonCiMettereiLeManiSulFuoco a cercare cibo. C’è da dire una cosa: l’abbigliamento polacco é un miscuglio spurio fra certi film italiani degli anni 50 e certi film cupi ed ingrigiti sul comunismo. Non si curano di queste piccolezze, sono più concentrati su altre cose e appaiono più felici, rilassati anche se indicibilmente fuori moda per la nostra dimensione ultra fashion continua e compulsiva.

Tuttavia, il premio della giornata di oggi va comunque assegnato e sicuramente alla ragazza che attende accanto a noi la lunga baguette con formaggi e altre salsette deturpanti tipica di questo strano paese, con la cuffietta e gli occhialini da piscina. La mia grande capacità osservativa di donna non mi da una mano perché é solo Andrea ad accorgersene e a segnalarcela in preda all’entusiasmo incontrollato per aver vinto la quotidiana gara di individuare il personaggio più meritevole dal punto di vista stilistico e comportamentale. Questa donna rischia comunque di battere ogni altra sagoma incontrata finora e credo che la domanda del perché una donna vada a pranzare una tranquilla domenica mattina con un’amica sostituendo gli scontati addobbi delle grandi occasioni con gli abituali accessori da piscina rimarrà a lungo un tarlo irrisolto nella mia mente desiderosa di risposte ad un dubbio comportamentale di cotanto interesse scientifico. Forse, dopo lo spuntino, aveva intenzione di farsi un bagnetto rilassante ma soprattutto purificante nelle limpide acque del fiume, oppure, uscita dalla piscina, aveva avuto la grande idea di tenere i trendissimi oggetti per regalarci quel momento di intensa ilarità o anche lei, come i bambini locali, era solita frequentare le fontane dotata di salvagente e maschera e boccaglio in cerca di sollievo alla calura intollerabile.

Fatto é che il premio della giornata le viene aggiudicato senza dubbi o ripensamenti e lascia anche un ampio distacco al Lando Buzzanca polacco che, coi suoi pantaloni celesti, il giacchino elegante e il ghigno di indescrivibile espressività, si ferma in visibilio ad osservare l’allegra marcia della parata militare di un manipolo di obesi e tristi boy scout, e che, col suo sguardo ammaliante, era il favorito alla conquista del primo posto dell’ambito premio.

Dopo numerose birre e un misero panino pocanzi citato ci dirigiamo verso l’albergo a riposare le membra spossate e finalmente riesco ad aggiornare questo diario. Riguardando le foto sul mio letto, mi rendo conto di aver clamorosamente dimenticato, forse in un momento di imperdonabile superficialità, di menzionare la coppia più stravanata del viaggio che qualche giorno fa transitava accanto alla panchina nel parco dove riposavamo dopo lunghe camminate sotto il sole rovente. Come in uno strano sogno si palesano davanti a noi l’uomo più alto del mondo e la donna più bassa del mondo che passeggiano a loro agio. Mi domando: sono amici? e, se si, amici recenti o da una vita? stanno insieme? e, se sì, non è tremendamente difficile fare tante cose come ad esempio il sesso? Ma soprattutto hanno consapevolezza della loro estrema originalità nel presentarsi assieme in un parco dove degli allegri turisti italiani stanno cazzeggiando in un bollente pomeriggio di sole? So esattamente che non sono cavoli miei, ma la mente si pone questi interrogativi di curiosità morbosa pur non volendolo, nonostante te ne importi quanto di sapere quanti cuccioli ha fatto il gatto del tuo collega di lavoro.

Due ore dopo siamo belli pimpanti e ripartiamo festosi verso il solito quartiere dove abbiamo appuntamento per cena con l’italiano e una polacca da me conosciuta il giorno precedente e che ci pacca clamorosamente seguendo, a detta dell’impiantato in polonia, la piacevole consuetudine femminile delle donne del posto di lasciare ad aspettare per ore gli ignari maschietti senza compiere il sia pur minimo gesto di avvisarli della loro prolungata o il più delle volte totale assenza. Si ma io sono una donna! Adesso che ci penso forse la sorridente ragazza nutriva un certo interesse per me e mi ha lasciata lì ad invecchiare di 30 anni per farmi provare quello che per i suoi coetanei maschi é normale routine e per alimentare così il mio inesistente interesse nei suoi confronti. Mi sento tradita nel mio orgoglio di eterosessuale convinta e la lascio, in un eccesso d’ira incontrollata, all’Hugh Grant polacco che é ogni sera allo Zingher totalmente ubriaco e a cui l’alcol ha ormai privato della capacità di ricordare qualsiasi momento del suo passato tanto che ogni sera si ripresenta e sarebbe solo una perdita di tempo, nonché una rottura di palle perché capisce una parola su 1.000, star lì a dirgli di averlo già conosciuto e gli porgi rassegnata (e anche un po’ divertita) la mano e ti presenti per l’ennesima volta. Con lui non avrebbe problemi perché ogni giorno potrebbe fargli il pacco ed il giorno dopo non dovrebbe intristirsi inutilmente con noiosi cazzettoni. Anzi il loro rapporto si rinnoverebbe continuamente, ogni giorno sarebbe come il primo.

Alle nove e un minuto ci allontaniamo dal luogo dell’appuntamento, fissato per le nove, e l’italiano ci seguirà solo dopo poco tempo per aggiornare le nostre menti poco abituate ad una mentalità cosmopolita come la sua, sulle sue vicissitudini di girovago perfettamente integrato nella avventurosa quotidianità cracoviana. Ha un anedotto spiritoso su tutti gli argomenti possibili e, quando si parla di famiglia, dice di averla dovuta abbandonare per la “carriera” e, nostalgico ed anche un po’ teatrale, ci racconta dell’incontro di suo padre calzolaio e la madre, sua cliente, a cui il padre aveva fatto le scarpe più grandi per farla tornare una seconda volta. Che snocciolata di sdolcinatezza, mi commuovo quasi fino a sentire una versione diversa del loro incontro e anche più mielosa il giorno dopo. La cosa mi mette allegria, anche se talvolta mi stufo un pochino di ascoltare questa rastrellata di immaginazione fervida ed incontrollata e mollo la presa sfinita. In compenso mi regala storie continue. Non sapevamo ancora, ad esempio, che, nel suo gruppo musicale, ci fossero anche il bassista degli Scorpions, quello dei Doors e anche il chitarrista di David Bowie e che il suo variegato animo d’artista lo avesse portato inevitabilmente anche alla radio. Inoltre c’erano tutti i presupposti per la produzione di un film se solo avesse avuto un po’ del suo super impegnato tempo per scrivere la storia che già era impressa nella sua fantasiosa immaginazione. E’ talmente convincente nel racconto che decidiamo immediatamente di finanziare il suo progetto che vuole presentare alla televisione polacca e perché no anche a quella nigeriana, paese in cui ha deciso di trasferirsi di lì a poco avendo succhiato ormai ogni soldo ai cordiali e magnanimi polacchi. Il suo desiderio di trasferirsi in quella nazione ricca di opportunità imprenditoriali deriva da progetti di varia natura e di grande valore businessistico che abbracciano la maggior parte dei campi dove una mente illuminata al pari della sua possa arrivare e che non si limitano al mondo della redditizia fabbrica del cinema nigeriano col suo film dal successo assicurato. Inoltre ha lasciato il suo cuore in Nigeria quando una delle sue ex dai comportamenti libertini tanto da definirle (parole testuali) “tutte troie”, lo ha abbandonato per partire in Svizzera in cerca di qualcuno che, oltre all’amore, potesse garantirle almeno un tetto sotto il quale dormire. La sua poesia mi incanta e quasi cedo al suo fascino quando fa apprezzamenti alle mie chiappe e mi dice che una “bottarella” me la darebbe pure, nonostante le italiane non gli piacciano.

Dopo aver salutato gli amici del bar, ci dirigiamo verso il centro e si aggiunge a noi una biondissima siberiana dagli occhi da cerbiatta ed amica del nostro compaesano che ci porta in giro per la città nei locali più nascosti e sotterranei, facendoci vivere sensazioni del tutto genuine di un viaggio che continua a regalarci emozioni uniche.

Scopriamo così finalmente luoghi caratteristici senza insegne nascosti all’interno di palazzi che solo le persone del luogo conoscono e che le guide non segnalano, la calorosa sensazione di appartarci nei famosi locali scavati nella pietra originati dalla loro esigenza di nascondersi in tempi neanche tanto lontani. La nostra conversazione è molto intensa, parliamo di attualità, problemi sociali in un inglese raffazzonato ma vivace che sembra sgorgare dalle nostre bocche come un getto di moltitudini di accenti sfasati, parole italianizzate e a volte anche sardizzate, un po’ di spagnolo, due parole in tedesco, tutte le lingue ma di polacco zero, neanche una parola, manco un “si”. Alla fine beviamo tanti mad dog che finiamo con l’esprimerci con Nina, la ragazza siberiana, persino nella sua lingua. E lei ci capisce…

Nina ci parla della sua voglia di andare via dal suo paese e adesso anche dalla Polonia. Le piacerebbe vivere in Italia. L’ultima volta che si sono visti lei e Andrea, sette mesi prima, si sono imbucati ad un matrimonio all’insaputa di lei che ha capito tutto solo dallo sguardo smarrito dello sposo nel tentativo di riconoscerlo quando lei è andata, ignara di essere lì a scrocca, a porgergli i suoi più cordiali auguri. Andrea, dal canto suo, aveva tutte le ragioni di questo mondo per trovarsi lì, le disse… Non aveva mai visto un matrimonio polacco ed era curioso.

Brindiamo felici sollevando i nostri bicchierini colorati dal tabasco del cane pazzo e con la strana sensazione di far parte della magia di questa città che domani abbandoneremo con malinconia ma che promettiamo di visitare nuovamente il prima possibile.

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