CHIOS – 1.000 cose da vedere
Da Chios a Karfas: mai fidarsi delle prime impressioni…
Per entrare nel porto la nave gira intorno alle malandate mura del castello di CHIOS, costruito dai Bizantini nel nono secolo, ulteriormente fortificato dai Genovesi nel quindicesimo secolo e dagli Ottomani successivamente: memoria di un ricco passato, testimone di un povero presente. Le funi, come nei tempi antichi, vengono legate alle bitte della banchina a ridosso della città vecchia che, da questo lato, non ha più mura e rivela le sue case, nude e spoglie. Qui, come un tempo, arrivano le merci e i passeggeri: dall’occidente, su navi battenti bandiera greca, croce bianca e strisce bianche azzurre simbolo di mare onde e vento, e dall’oriente, su navi battenti bandiera turca, falce di luna e stella a cinque punte su campo rosso. Ma per quanto Chios, data la sua posizione, sia da sempre un ponte fra oriente e occidente, sbarcando, non cogliamo proprio nulla di esotico o mediterraneo, anzi, a primo impatto la capitale dell’isola ci appare come una grigia città industriale, un compatto schieramento di aride case in linea sul mare, una anonima città di quasi 25 mila abitanti, praticamente la metà di tutta la popolazione dell’isola, ben lontana dalle usuali atmosfere delle isole greche. Avendo prenotato un auto con ritiro e riconsegna all’aeroporto, prendiamo un taxi, percorriamo tutto il lungomare e passiamo davanti alla lunga fila di ristoranti, caffè, negozi e librerie che, con la loro vivacità, tutto sommato, migliorano la prima impressione. Il piccolo aeroporto è praticamente situato alla fine del lungomare, all’estremità sud della città, a soli 4 km dal porto; mentre Aldo disbriga la pratica con l’agenzia di noleggio auto, io faccio incetta di cartine e materiale vario al piccolo Ufficio Turistico. Padroni dell’automobile, ci dirigiamo verso la località di Karfas. Attraversiamo un sobborgo dall’impianto urbanistico piuttosto confuso, fitto di strade, composto da un variegato mix di abitazioni, attività artigianali, grandi supermercati, esposizioni di mobili e auto; dopo un paio di km incontriamo una centrale termoelettrica che, con le due ciminiere a strisce bianche e rosse, nasconde del tutto la baia di Kontari, scavalchiamo un piccolo promontorio e, dopo un altro km, scendiamo nella baia di Karfas. Ci fermiamo a fare un po’ di spesa in un piccolo ma fornitissimo market e poi, seguendo le indicazioni per Thymiana, ci arrampichiamo sulla collina dove abbiamo individuato l’insegna Dolphins, lo studios dove siamo diretti. Ci accoglie Kostantinos, il giovane sportivo e stravagante che gestisce gli studios Chios Panorama, ex Chios Dolphins (di cui resta l’insegna). La camera che ci viene assegnata ha un ampio balcone: il panorama è aperto e molto bello, si domina la baia di Karfas e il suo mare azzurrino, lo sguardo spazia sullo stretto di mare fra Chios e la Turchia, sull’orizzonte la bianche case di Cesme. Le ciminiere della centrale termoelettrica di Kontari fanno capolino da dietro le colline del promontorio, ma spariscono nella bellezza e ampiezza del paesaggio che si gode da quassù. Sistemati bagagli scendiamo a piedi sino al mare desiderosi di un bagno.
KARFAS, che si trova a 7 km a sud della citta di Chios, è una delle più famose e frequentate spiagge dell’isola, non solo da parte dei turisti ma anche dei residenti, del resto gli ingredienti per il successo ci sono tutti: sabbia fine, acque poco profonde e tiepide, adatta agli sport nautici, ottima sul piano dell’organizzazione turistica in termini di locali di intrattenimento, hotel, appartamenti, studios, ristoranti, bar e taverne, buoni i collegamenti con mezzi pubblici, vicinanza al capoluogo, aeroporto e porto. La spiaggia è dunque affollata da ogni genere di bagnanti e, da questo punto di vista, non è certo un angolo di paradiso ma la temperatura del mare è tanto piacevole e l’acqua talmente bassa che, alla fine, ce ne stiamo seduti in mare in santa pace. Al tramonto facciamo la doccia in spiaggia, ci asciughiamo e iniziamo la rassegna delle taverne e dei loro menù. La scelta è veramente ampia e variegata, ma alla fine non abbiamo dubbi: la taverna con una bella terrazza di legno sulla spiaggia, il mare vicino e le luci di Cesme sull’orizzonte.
Da Thymianà a Mavra Volia
Dopo un meraviglioso sonno rinfrescato dalla notte che entrava libera dalle finestre spalancate ad accarezzare le lenzuola, appena sveglia, preparo la colazione sul nostro balcone illuminato dal sole sorto dall’Anatolia e tiro fuori dallo zaino i miei libri e appunti di viaggio, religiosamente custoditi e suddivisi in buste trasparenti (…l’unica cosa in cui sono ordinata), frutto di sogni nati in giornate fredde ed uggiose, parole e immagini che finalmente diventeranno realtà. Aldo mi guarda con lo scetticismo divertito con cui si guarda un illusionista di cui si conoscono bene i trucchi: sa bene che, nonostante il mio studio di cartine e note, calcoli di distanze e ipotesi di itinerari, nei prossimi giorni, in realtà, a guidarci saranno i luoghi stessi, la curiosità, il cuore, la nostra ispirazione… ma secondo il mio primo itinerario, ci mettiamo in viaggio, direzione sud. Attraversiamo il paese di THYMIANÀ che dista solo un paio di km dal nostro studios e che ci conquista subito con la sua graziosa piazzetta: due caratteristici caffè, due vecchie e fornitissime botteghe, un panificio e la taverna Roussiko, con due bellissime terrazze, che diventerà la nostra tappa fissa per la sera. La fama e la ricchezza di questa cittadina deriva dalle sue numerose cave di pietra sanguigna con cui sono costruite le belle dimore patrizie di Kampos, i muri di recinzione e molte chiese dell’isola. Un magnifico esempio tale utilizzo è proprio la stessa Chiesa di Thymiana, dedicata ad Agios Efstratios, uno dei più grandi templi dell’isola. Seguiamo le indicazioni stradali per Pyrgi, la strada è buona, ampia e veloce, corre lontana dal mare, attraversa un paesaggio collinare punteggiato di villaggi e sorvegliato dalle pendici spoglie di alture grigie. Un cartello annuncia la regione dei MASTICHACHORI e compaiono i primi alberelli di lentisco. Questa parte dell’isola di Chios è davvero una zona unica al mondo e le ragioni di questa unicità stanno felicemente sposate nella parola Mastichahori: le coltivazioni di alberi di lentisco che, solo qui, producono il Masticha e i villaggi medioevali di origine Genovese, le Chore, che, solo qui, conservano intatto il loro impianto urbanistico originario. I villaggi, in questo arido angolo di mondo, sorsero, si svilupparono e fecero fortuna proprio in funzione della miracolosa produzione del masticha e, degli originari 28, ne rimangono ancora 24: i principali sono Armòlia, Pyrgi, Olympi, Mestà e Vèssa, tutti costruiti tra il XIV ed il XV secolo. Nonostante le distruzioni dei Turchi e il rovinoso terremoto del 1881, in quasi tutti i Mastichahori è ancora ben visibile lo schema originario con le case una stretta all’altra in modo da costruire una fortezza con torrioni difensivi e una torre centrale più alta, solo gli elementi decorativi e i colori delle pietre variano. Le stradine sono strette, fresche e ombrose, simili ai caruggi di Genova, pavimentate di dura roccia, sormontate da volte chiamate voti, tutte conducono alla torre centrale e alla sua piazza: un piacere passeggiarvi nelle ore più calde. Di questi villaggi, la cittadina di ARMÒLIA è la prima che ci viene incontro, come una sorta di alto avamposto dei Mastichahori, e, non a caso, proprio alle porte del paese, una brevissima deviazione sulla destra, conduce ad una delle più importanti fortezze dell’isola, il Kastro Apolichnon, costruita come una sentinella a difesa della regione da Geronimo Giustiniani nel 1446. Ma l’economia di Armòlia non è legata solo al mastica ma anche alla produzione artigianale di ceramiche e, arrivando, non si può proprio fare a meno di notare le esposizioni dei numerosi laboratori che si incontrano lungo la strada. Se volete portare a casa qualcosa da Chios, solo qui trovate un enorme assortimento di oggetti meravigliosamente decorati a mano con motivi di fiori, uccelli e pesci, i prezzi sono convenienti, impossibile non trovare qualcosa che piaccia. Prima del nostro rientro in Italia siamo tornati in uno di questi laboratori di Armòlia per acquistare souvenir, e più ancora che dalla varietà e bellezza dei manufatti siamo stati colpiti dalla gentilezza degli artigiani che hanno insistito per farci assaggiare un ottimo rinfresco casalingo a base di mandarino di Chios e, dopo aver scelto, ci hanno fatto anche un ulteriore sconto. A metà paese, superati un paio di pasticcerie tentatrici, svoltiamo a sinistra per Kalamoti e Kòmi. Questa strada scende dritta verso il mare attraversando una fertile pianura coltivata e rinfrescata da due piccoli fiumi, popolata da una infinità di chiesette e cappelle. Il piccolo centro balneare di KÒMI è costituito da una sola e breve via che, come i due piccoli fiumi che scendono dalla pianura, si arresta bruscamente contro la sabbia della spiaggia. Qualche negozio di articoli da spiaggia e cartoline, un minimarket e una rosticceria, case di villeggiatura e qualche studios: tutto qui. La spiaggia è una delle più belle e godibili dell’isola, lunga e ampia, di sabbia chiara e fine, riparata dal vento, con acqua calda e cristallina, ideale per il nuoto, i bambini e la classica vita balneare. Nella zona centrale della spiaggia, proprio dove finisce la strada asfaltata, ci sono taverne e beach bar che mettono a disposizione gratuitamente lettini, ombrelloni e persino wifi; le zone laterali sono invece completamente libere e praticamente deserte. Data la sua godibilità e facilità di accesso, Kòmi è una spiaggia piuttosto frequentata, ma ben lungi dalla confusione delle nostre spiagge. Se siete in zona e avete un languorino, non perdetevi i ricchi gyros pitta della rosticceria: il gestore è un simpatico uomo, ex pilota di rally, qui approdato per amore dalla natia Corfù, felice di poter nostalgicamente parlare con chiunque conosca il suo paese, Sidari, e la sua celebre spiaggia Canal d’Amour… Riprendiamo il viaggio alla volta di EMPORIÒS e la strada si allontana dal mare per intrufolarsi fra piccoli rilievi coltivati a mastica. Un cartello segnala l’importante zona archeologica dove, sul lato sud est della collina del Profitis Ilias, sono stati portati alla luce i resti di una città del IX – VIII secolo a.C. con due gruppi di case e una acropoli sulla cui cima è stato identificato un Tempio di Atena di cui sono ben visibili due stanze, il pronao e la navata con il basamento su cui poggiava la statua della dea. Il sito può essere visitato seguendo il sentiero che conduce al tempio, da cui si domina il golfo di Emporiòs, e i numerosi oggetti rinvenuti nel corso degli scavi sono visibili nel Museo Archeologico di Chios. Non lontano da qui è stato scavato anche un sito preistorico con reperti datati fra il 6.000 e il 3.000 a.C.. Sulla base di tali importanti testimonianze si è supposto che questo fosse il sito della antica città di Levkonion, la superba rivale di Troia menzionata da Tucidide; tale città era un fiorente centro commerciale e la sua allocazione in questa zona può essere anche suggerita dal fatto che l’antica cittadella sovrasta proprio il porticciolo di Emporiòs che, nel nome, non può che richiamare un “emporio”. Il porticciolo di Emporiòs è un vero gioiellino, molto carino, piccolo, praticamente circolare, sembra quasi un lago vulcanico e, guarda caso, fra i vari ristoranti decorati con reti da pesca, collane d’aglio, peperoncini e pomodori secchi che si affacciano su questo specchio di mare, c’è proprio una attraente “Vulcano Taverna”! Tenendo il lato destro del porto di Emporiòs e seguendo le indicazioni, la strada continua fino alla vicinissima MAVRA VOLIA, forse la spiaggia più famosa e fotografata di Chios. Si capisce quando la strada sta per finire dalle auto parcheggiate sui lati: appena trovate uno spazio, parcheggiate, perché non esiste un parcheggio vero e proprio. La strada finisce a ridosso di un bel pianoro di pietra costruito di recente lungo la spiaggia, ombreggiato da una fila di grandi tamerici, in fondo a destra c’è un bar – taverna. A disposizione dei bagnanti c’è anche una fontanella pubblica, una doccia e una cabina per cambiarsi, ma niente ombrelloni e lettini. La prima baia che si apre davanti a noi è bellissima, mare blu e sassi neri, proprio come vuole il suo nome, Mavra (neri) – Volia (ciottoli), neri come la pece, tondi, lucidi e levigatissimi, perfetti. Proprio da questa spiaggia provengono quelli che sono serviti per lastricare il pavimento della Cattedrale di Chios. Il mare è di un blu denso e cupo, subito molto profondo, percorso da una lunga onda trasversale. Camminiamo verso sinistra fino alla fine della spiaggia, dove i sassi sono molto grandi ma il mare concede un bagno più riparato. Dopo esserci rinfrescati, ci dirigiamo verso la taverna e, percorso il breve sentiero a gradini che supera il promontorio di destra, arriviamo alle seconda baia. Magnifica!! Qui il paesaggio è assolutamente primordiale, selvaggio, assolutamente vulcanico, qui Mavra Volia è davvero la più spettacolare delle spiagge di Chios. Il lido è di grossa ghiaia nera e alle spalle si alza una altissima falesia vulcanica, anzi sembra proprio di stare dentro il cratere del vulcano Psaronas che, per quanto inattivo da millenni, visto da qui, incute ancora timore. Facciamo un altro bagno e constatiamo che, anche da questo lato, l’acqua è subito profonda. Il sole ci asciuga in fretta e ce ne andiamo, ma, prima di lasciare la spiaggia vi lascio qualche consiglio se volete visitarla e goderla appieno: scarpette di gomma per il bagno, vi assicuro che questi sassi sono impegnativi, un buon cappello per il sole, praticamente impossibile infilare stabilmente un ombrellone fra i sassi, andateci la mattina, l’ombra totale arriva abbastanza presto per via della alta falesia alle spalle della spiaggia.
Pyrgi, la città dipinta
Da Mavra Volia percorriamo circa 5 km e raggiungiamo PYRGI, il cosiddetto “villaggio dipinto”, dichiarato monumento nazionale. Questo grande villaggio (non ce lo aspettavamo proprio così grande) sorge su una sorta di altopiano brullo da cui non si vede il mare e, arrivando, sembra solo un grigio ed assolato paesone, nulla si percepisce della sua unicità e bellezza. Parcheggiata la macchina e imboccata la prima via che porta all’interno del paese comprendiamo subito come le grigie case del nucleo storico, una stretta all’altra, hanno porte e finestre affacciate verso l’interno e per questo, chiunque guardava il paese dall’esterno, aveva la percezione di un compatto agglomerato, rotto qua e là solo da qualche piccola finestra, come se si trattasse di una unica, vera e propria fortezza. In passato le pareti esterne delle case presentavano anche parapetti aggiuntivi in modo da potersi muovere sui tetti senza essere visti, come su un camminamento di guardia, ai quattro angoli del villaggio le case assumevano la forma di piccole torri e gli abitanti potevano entrare e uscire dal paese solo attraverso porte fortificate. Il carattere funzionale delle abitazioni era dunque quello difensivo: lo schema di costruzione, la struttura delle case e le mura grigie pare siano da riferire a un preciso disegno imposto dai Genovesi. Ma più ci si addentra in questo paese fortezza, più il fascino di Pyrgi esplode. Per chi non ci abita, le strette stradine lastricate compongono un fitto labirinto, in realtà sono disposte a cerchi concentrici e sono tutte connesse alla piazza centrale dove c’era la torre principale fortificata, dove gli abitanti si potevano rifugiare velocemente in caso di pericolo. A frequenti intervalli appaiono archi traversi e volte di supporto che creano una particolare atmosfera. Ma ciò che rende questo villaggio unico al mondo e che più colpisce i visitatori, sono le “xysta“, il tipo di decorazione genovese a tecnica di graffito che riempie ogni facciata ed edificio del paese. Incredibile… Le facciate delle case sono tutte, ma proprio tutte, decorate con elaborati disegni grigi e bianchi, alcuni geometrici, altri ispirati a foglie, fiori e animali stilizzati. Di notevole effetto visivo, creati con una tecnica detta “xystà”, graffiato, che consiste nello stendere sui muri un intonaco scuro di sabbia vulcanica che viene quindi ricoperto di calce bianca che poi viene ad arte raschiata scoprendo il grigio sottostante secondo il disegno prefissato. Molte delle vecchie case hanno ancora il caratteristico tetto a punta “travaka”, a forma di piramide. Questa tecnica si incontra anche altrove nel mediterraneo (sembra nelle zone del Maghreb, soprattutto in Marocco). Molto spettacolare è l’abitudine degli abitanti di appendere collane di piccoli pomodori sui balconi per la loro essiccazione. Ciò che caratterizza la varietà di pomodori coltivati in questa zona è proprio la procedura di essiccazione, che permette di mantenere la polpa morbida e la buccia secca e dura Sulla piazza principale troneggia la nuova Cattedrale che presenta una decorazione di xysta immensa e impressionante, sul lato opposto, ben nascosta, c’è la piccola chiesa dei Aghios Apostoloi, praticamente una miniatura del katholicon del monastero di Nea Moni, un monumento bizantino ben conservato e decorato sulle pareti esterne dal gioco dei piccoli mattoni che formano archi e bande denticolate. L’interno è ricoperto da pitture murali, risalenti al 1665, opera di Antonios Domestichos e Kenygos da Creta. Un’iscrizione all’entrata principale della chiesa fa risalire la sua ‘edificazione’ all’iniziativa del monaco Simeone nel 1564, ma si riferisce sicuramente ad un’opera di restauro, poiché le caratteristiche architettoniche di questa graziosa chiesa dichiarano la sua collocazione nella seconda metà del XII secolo. Poco oltre la piazza, in una delle vie principali, sorge una casa con una targa ca ricordo della residenza in questo luogo del grande navigatore genovese Cristoforo Colombo. Per noi italiani è un po’ difficile dare credito alla tradizione secondo cui Cristoforo Colombo fosse greco, di Chios in particolare, e discendente di una nobile famiglia bizantina… però la sua firma imitava caratteri greci, lui stesso si definiva Colombo della Terra Rossa, il giornale di bordo ufficiale era in latino ma quello personale in greco, le origini delle sua famiglia genovese non furono mai identificate… Forse qualcosa di vero c’è, in fondo Colombo nasce quando gli Ottomani arrivano a Bisanzio e iniziano la conquista provocando la fuga di molti, Chios allora apparteneva alla Repubblica di Genova, la Terra Rossa è indubitabilmente una caratteristica della parte meridionale di Chios e non delle alture genovesi, insomma nulla vieta che Cristoforo Colombo possa assommare in sé origini italiane e greche, che da questa meravigliosa mescolanza sia nato l’intrepido scopritore del Nuovo Mondo … e davanti a quella targa mi convinco che sia così: Colombo non divide Grecia e Italia ma le unisce! Mentre io e Aldo commentiamo fra di noi la cosa, ci si avvicina un simpatico anziano, lui non ha dubbi, Cristoforo Colombo è nato a Pyrgi, chiamata anticamente “Kolombos” e, a riprova, molte famiglie di Pyrgi hanno tuttora il cognome “Kolombos”. Ma ci tiene a raccontare che lui stesso è un navigatore, che ha passato gran parte della sua vita in mare e che conosce molti porti italiani… e così Stavros, all’ombra dei silenziosi muri decorati di xysta, ci conduce per il Mediterraneo intero, fra coste e isole, porti e ormeggi, bonacce e tempeste della sua avventurosa vita di marinaio… Il rumore di una motoretta che rimbomba sotto la volta della porta di accesso della città rompe questo incantesimo e ci riporta alla realtà…
Da Pyrgi a Chios ci sono circa 25 km, ma decidiamo di allungare un poco la strada per curiosare un po’ la costa a sud di Karfas. Sulla via del ritorno, prendiamo quindi a destra per Kallimasià, il paese della Mastichachoria più settentrionale, completamente distrutto dal terremoto del 1881, oggi sede di un piccolo museo del folklore. Da qui la strada scende al mare presentando due alternative: a destra per la tranquilla Aghios Emilianòs e a sinistra per la popolare AGHIA FOTINIS. Optiamo per Aghia Fotinis e subito ce ne pentiamo data la difficoltà di trovare un parcheggio. La spiaggia è attrezzata con ombrelloni e lettini, ristoranti, bar e taverne di pesce, molto affollata, come tutte le spiagge non lontane da Chios, e con una zona retrostante ricca di hotel, appartamenti e monolocali. Il lido è però grazioso, piccoli sassi chiari, acque immobili profonde e cristalline, una bianca falesia sul fondo: facciamo un bagno e ce ne andiamo velocemente. Risaliamo verso Neohori e Thymianà e deviamo nuovamente verso il mare seguendo le indicazioni per la chiara spiaggia di MEGAS LIMNIONAS, piuttosto simile ad Agia Fotinis ma con acque poco profonde e belle taverne sul mare; da qui continuiamo costeggiando il mare fino a Karfas passando per il piccolo porto naturale di Agia Ermioni. Tutto sommato, ci diciamo che questo tratto di costa si poteva tranquillamente tralasciare, ma giusto rendersi conto di cosa avevamo vicino.
Agia Dinami: un angolo cicladico
Ripercorriamo la strada che porta velocemente a sud, verso la regione dei Mastichachori. Alle porte di Olympi, seguiamo le indicazioni per la Cave of Olympi e imbocchiamo una bella strada asfaltata che corre alta fra le colline. Lungo il percorso si incontra per prima una deviazione a sinistra che scende in una stretta valle percorsa da un fiume porta alle rovine del Tempio di Apollo Faneo e alla vicina spiaggia di Kato Fana, proseguendo invece sulla strada asfaltata si attraversa una zona militare e, dopo 5 km, si arriva all’ingresso della Grotta di Sikìa, ricca di stallatiti e stalagmiti (visitabile ogni 30 minuti dalle 10.00 alle 20.00, chiuso lunedì), e poi la strada, sempre asfaltata, inizia a scendere verso il mare e finisce, dopo altri 2 km, sulla baia di Salàgona e la splendida spiaggia di AGIA DINAMI. Semplicemente e naturalmente perfetta, non manca nulla di tutto ciò che il nostro immaginario greco tramuta in desideri: paesaggio inondato di luce, quasi accecante, alture ondulate, pietrose e assolate, macchia mediterranea che profuma di aromi e salsedine, una chiesetta di pietre grigie e coppi rossi che incide la scena, un morbido seno di fine sabbia chiara, un drappo azzurro di acqua bassa che sfuma verso il blu profondo, tre grandi alberi di tamerici… silenzio, rotto solo dal vento e dal pigro sciabordio del mare. Quando vi arriviamo, nelle prime ore del mattino, Agia Dynami si presenta così, come un puro distillato di Grecia, poi, a poco a poco, arriva un po’ di gente, sistema ombrelloni, seggioline, asciugamani e borse frigo: qui non ci sono bar, cantine o taverne, se si vuole passare la giornata in spiaggia bisogna arrivare attrezzati. Solo la piccola chiesetta offre un poco di ombra e ospitalità: sotto il portico sono sistemate robuste tavolate di pietra, utilizzate in occasione delle feste, dove si può fare un pic nic all’ombra contemplando il mare. Se invece non temete il sole e non siete pigri nell’avventurarvi per un sentierino fra le rocce che parte dalla spiaggia, potrete raggiungere la seconda spiaggia, di ghiaia bianca, accecante, quella che si vede benissimo sul fondo della baia. Qui arrivano solo pochi temerari e la pace è assicurata per tutto il giorno. Ma quando il sole arma le sue lance, dritte e taglienti, annullando ogni cenno di ombra, noi ce ne andiamo.
Olympi: un guscio di pietra
Questo villaggio medievale del XIV secolo, a differenza di Pyrgi, è piccolo, molto raccolto e compatto, spicca sul paesaggio brullo come una vera e rude fortezza. Fra i Masticahori, OLYMPI è quello che, a primo impatto, meglio rappresenta la particolare struttura di questi villaggi, le sue case si presentano, oggi come un tempo, simili ad una ininterrotta cinta di mura impenetrabili con una sola porta di accesso, giustamente è stato inserito nella lista dei monumenti di interesse storico nazionale. Entrare in paese è come entrare in un nido sicuro e ovattato: costruito per difendersi dai pirati e dai Turchi, oggi sembra costruito per lasciare fuori rumori, frenesia, caldo e preoccupazioni. Le sue strette stradine ci portano in un attimo nel cuore di Olympi, la piazza dove si erge ancora intatta la torre difensiva, un quadrato robusto torrione alto almeno 20 metri, dove gli abitanti si rifugiavano in caso di pericolo. Questa tranquilla piazzetta è veramente incantevole, circondata da case di pietra e giardinetti di vasi fioriti, un severo palazzo medioevale a due piani chiamato “Trapeza” e la piccola Chiesa di Agia Paraskevi, ci sono persino due pozzi e sembra proprio di stare all’interno di un castello. Il torrione oggi ospita due invitanti taverne che, con i loro tavolini e il loro via vai di piatti profumati, ci riportano alla realtà e ci ricordano che è ora di pranzare. La taverna Amethistos ha bianchi ombrelloni e un menù irresistibile, i suoi piatti di cucina locale sono inconsueti e non li troveremo facilmente altrove: ci lasciamo tentare da uno assaggio di squisiti involtini di melanzana ripieni di Mastelo, il tipico formaggio fresco di Chios, e poi prendiamo due piatti diversi, io bocconcini di pollo avvolti da bacon in crema di mastika, Aldo filetto di pollo al vino e paprika. Un pranzo in questa piazzetta è un’esperienza indimenticabile. Dopo il succulento pranzetto e un momento di contemplativo relax, riprendiamo l’esplorazione del paese notando che, anche qui, alcune case sono decorate con i tradizionali xistà di Pyrgi. Una anziana signora seduta fuori di casa ci chiede da dove veniamo e se ci piace il villaggio, chiaramente approfitta di ogni passante per scambiare due parole, ma io mi fermo volentieri: sono gli occhi e i racconti della gente i ricordi che più amo del mio viaggiare. La nostra ciarliera vecchietta ci prodiga di consigli sulle spiagge dei dintorni e ci invita a tornare ad Olympi per il Carnevale quando arriva gente da tutta l’isola per la tradizionale festa del Lunedì Grasso in cui si inscena una parodia con personaggi in costume ottomano di cui il principale è l’Agas, una sorta di giudice ottomano, che dirige la festa.
Olympi è un vero gioiello, così piccolo, intimo, semplice e grazioso, da secoli è rifugio e custode della vita di una comunità, nido di sogni e speranze, scrigno di gioie e dolori, da secoli protegge la dimensione umana e annulla il tempo che fuori scorre: quando usciamo dal villaggio, è come passare attraverso la macchina del tempo e tornare bruscamente in un’altra epoca e dimensione.
Le Lacrime di San Isidoro
Il pomeriggio è ancora lungo, quindi, raggiunta Pyrgi, prendiamo la deviazione a destra per Emporiòs ma tiriamo dritto fino alla estrema punta sud dell’isola in direzione di Vroulidia. Questa bella strada asfaltata corre fra innumerevoli boschetti di alberelli di MASTICHA e ci fermiamo a fotografarli. Il Lentisco (Pistacia lentiscus Chia) non è molto alto, le foglie, che rimangono verdi tutto l’anno, sono coriacee e lisce, i frutti, delle dimensioni di un pisello, sono rossi o neri. La resina che fuoriesce copiosa si ottiene praticando delle incisioni sul tronco e si rapprende all’aria sotto forma di masserelle tondeggianti, come lacrime, trasparenti e opalescenti, con un profumo intenso e caratteristico. Assaggiamo la resina che cola… il suo gusto è intenso, penetrante, persistente, fresco e leggermente dolciastro, masticando diventa una pasta malleabile che aderisce ai denti: proprio un chewing gum 100% naturale! Sotto gli alberi viene predisposto un letto di gesso cosicché la resina cade senza attaccarsi al suolo e sporcarsi, poi, viene raccolta, lavata delicatamente, fatta essiccare e conservata in scatolette. Il mastika non è utilizzato solo nell’alimentazione per produrre gomma da masticare e aromatizzare bevande, dolci e liquori, ma anche nella cosmetica e nella farmacologia, nonché dal clero per profumare l’incenso e l’olio santo cresimale. Insomma un alberello prezioso e miracoloso, sicuramente affascinante, come la storia con cui gli abitanti di Chios spiegano il fatto che soltanto qui, a Chios, il lentisco produca il prezioso mastika e il perché tutti i vari tentativi di produrlo altrove siano andati falliti….
Era il 14 maggio dell’anno 249 dopo Cristo quando, sotto le persecuzioni cristiane dell’imperatore Decio, fu martirizzato SAN ISIDORO, un giovane soldato romano convertito al cristianesimo. Isidoro accettò il martirio pur di non abiurare la sua fede, fu legato per una mano e per un piede ad un cavallo e trascinato dalla Chora di Chios fino al luogo dell’esecuzione nel sud del paese, attraverso le foreste di lentisco. Il Santo, straziato dalla sofferenza, piangeva e le sue lacrime cadevano a terra cosicché gli alberi di lentisco, come per miracolo, piansero anche loro alla visione del suo martirio… e così li vediamo ancora noi, testimoni piangenti e silenziosi della sofferenza del giovane Isidoro. Molti popoli giunsero a Chios per accaparrarsi le pregiate lacrime di resina, Romani, Bizantini, Veneziani, Genovesi e, dalla metà del ‘500 fino al 1912 gli Ottomani, fra tutti questi furono però i Veneziani a trafugare da Chios le spoglie mortali di Sant’Isidoro, che oggi riposa nella cappella a lui dedicata nella Basilica di San Marco a Venezia, lontano dalla sua isola e dai suoi alberi piangenti. La strada che scende fino alla punta più meridionale dell’isola è tutta asfaltata e termina con un ampio piazzale antistante la taverna che domina in posizione panoramicissima la baia sottostante. VROLIDIA è assolutamente scenografica, dall’alto è un vero spettacolo: una striscia rosa di grossa sabbia stesa lungo un mare iridescente dai colori che sfumano dal blu al verde cupo, incastonata come una gemma fra alte e bianche falesie spolverate del verde cupo dei mirti… Per scendere alla spiaggia bisogna percorrere una scalinata di pietra non proprio breve, ma vale la pena. La spiaggia non è attrezzata, frequentata soprattutto da giovani compagnie e coppie, nel pomeriggio è per buona parte in ombra, il lido è di minuscoli sassolini bianchi, ma in mare il fondale è di velluto sabbioso. Inutile dire che l’acqua è magnifica, ma non è scontato dire che l’acqua qui è calda e piacevolissima per i lunghi bagni. Risaliamo dalla spiaggia quando arriva del tutto l’ombra e si torna verso Karfas.
Il fiordo incantato di Elinta
Oggi cambiamo strada e puntiamo verso VESSA che dista 19 km dalla città di Chios. Il paese è nascosto in una boscosa valle e, arrivando, appare dall’alto raccolto contro una ripida montagna, bellissimo, nulla sembra turbare il suo tiepido sonno secolare fra le cicale. Vessa, come Olympi, è un piccolo villaggio medievale, caratteristico della parte meridionale dell’isola, le cui torri e mura di cinta sono giunti fino a noi in buono stato, come il tipico dedalo di strade strette che si insinuano tra le case tradizionali su cui domina la chiesa di Agios Demetrios. Vessa è uno dei paesi che più mi sono piaciuti. Giriamo verso LITHÌ e la sua baia dove diamo un’occhiata alla famosa spiaggia che non ci entusiasma per nulla: molto stretta, un nastro sabbioso incastrato fra il mare e la strada piena di taverna e ristoranti, piena zeppa di ombrelloni e lettini, molto affollata. Il fondo sabbioso, la tranquillità delle acque riparate e poco profonde, la presenza di attrezzature la rendono frequentata soprattutto da famiglie con bimbi. Da Lithì la strada inizia a salire e poi corre alta lungo la costa offrendo ampi e bellissimi scorci sul versante occidentale dell’isola che, in questo punto, per il mix di pini, rocce argentee e mare blu, ci ricorderebbe un po’ Karpathos se non fosse per le numerose TORRI GENOVESI che presidiano i promontori. Qui è ben intellegibile l’efficiente sistema di avvistamento e di comunicazione sviluppato dai Genovesi attraverso le torri piantate lungo il profilo dell’isola, sui promontori e sulla punta delle numerose insenature, l’una in vista dell’altra, collegate con differenti sistemi di segnalazione a specchi, bandiere, fuochi e segnali di fumo che venivano utilizzati per lanciare l’allarme su tutta l’isola. Molte delle originarie sessanta torri sono ancora in piedi, con il loro portoncino d’ingresso sopraelevato, e sembrano sorvegliare in silenzio le spiagge più riparate e le baie seminascoste. La baia di ELINDA, quando appare dall’alto, è una visione scioccante e non vedi l’ora di raggiungerla. Per scendere alla spiaggia bisogna prendere al volo la seminascosta deviazione a sinistra: una stretta stradina in cemento con un ultimo tratto sterrato, brevissimo, in buono stato e percorribilissimo. Elinda è una profonda insenatura, un riparato approdo perfettamente disegnato a “U” dalla natura, sorvegliato da una torre genovese ritta come una sentinella, contornato da alte montagne coperte di pini e rocce color dell’argento; una baia chiusa da una distesa di grossa sabbia bianchissima qui deposta nei secoli dai fiumi che scendono dai monti più alti dell’isola, non mancano neppure sorgenti d’acqua vicino alla chiesetta nascosta dalla vegetazione dietro la spiaggia. Il mare è dipinto con i colori delle piume del pavone: blu, con riflessi elettrici e metallici, verde, talvolta con bagliori aurei; l’acqua è immobile e profondissima, gelida: si dice che nel suo gorgo vi sia una nave romana naufragata. Sistemiamo l’auto sotto un grande albero di tamerice e conquistiamo uno dei cinque grandi ombrelloni di paglia piantati dal Comune, entusiasti di questo paradiso: finalmente abbiamo trovato una spiaggia tranquilla e solitaria dove resteremo tutta la mattina in pochissimi. Nonostante l’acqua molto fredda, la nuotata è memorabile per la trasparenza e l’immobilità dell’acqua: mi ricorda vagamente la spiaggia di Nanou a Simi, ma questa è molto più grande, o la spiaggia di Pefko a Skyros, ma questa è molto più luminosa, per me è perfetta, e, a mio gusto, la più bella dell’isola.
Avgonyma e Anavatos: due paesi, due storie
Giunta l’ora di pranzo, lasciamo la spiaggia di Elinda e in 10 minuti saliamo al borgo medievale di AVGONYMA che domina un paesaggio di incomparabile bellezza. La zona centrosettentrionale dell’isola di Chios è molto diversa da quella meridionale, sia nell’aspetto geofisico, decisamente più montuoso, che organizzativo delle comunità residenziali: i paesi sono molto diversi dai Masticahori, sono piccoli e isolati, con le case di pietra grezza e abbracciati alle rupi su cui sono costruiti. All’ingresso del paese troviamo subito la bella taverna, To Asteri, che affitta anche stanze e studios con l’insegna Avgonyma Sunset. L’edificio ha un aspetto severo e solido, interamente costruito in pietra naturale di Chios, nella sala interna ci sono grandi spiedi e grandi tavoli, ma in estate i tavolini della taverna sono sistemati all’aperto, sotto il pergolato della ampia terrazza giardino da cui si gode un magnifico panorama che spazia sul mar Egeo, fino all’isola di Psarà, sulle sottostanti torri di guardia genovesi e la baia di Elinda. Anche qui il menù ci sorprende e proviamo le specialità della casa che ci vengono consigliate: polpette di pomodoro e di horta, kokkoras krasato, un galletto cotto nel vino con cui viene condita una pasta fatta in casa, pistacchi sciroppati e gelato al mastika… la squisitezza del cibo, la bellezza del panorama e la brezza fresca generano una rara sensazione di benessere totale, calma e serenità, un vero peccato non potersi fermare fino al tramonto, qui il sole scende dritto in mare, sarebbe stata un’emozione unica. Avgonyma è un vecchio e pittoresco villaggio dell’undicesimo secolo, costruito come una sorta di paese balcone su una rocca da cui si domina uno dei più bei panorami che offre la natura di Chios, alle sue spalle si stende un altopiano con fitte pinete. Il villaggio è minuscolo, si gira tutto in 15 minuti, gli abitanti sono pochi e si radunano sulla piazzetta centrale dove c’è un’altra caratteristica taverna, le case hanno spessi muri di nuda pietra, con caratteristiche piccole finestre. Recentemente il paese è stato oggetto di riqualificazione e ha ritrovato il suo fascino, molte case sono state restaurate e destinate alla ricezione turistica: qui si ha dunque la possibilità di vivere in una casa antica con tutte le comodità moderne e trascorrere qualche giorno a contatto con una natura magnifica lontano dalla folla.
Da Avgonyma, seguendo una bella strada asfaltata che si addentra nei monti per 5 km tra oliveti e pini, ci dirigiamo verso ANAVATOS: siamo a circa 20 Km dalla città di Chios e al tempo stesso siamo lontanissimi, qui il tempo si è arrestato bruscamente nel 1822… Chios, data la sua posizione, ha storicamente e necessariamente avuto, come tuttora ha, un intenso, anche se non sempre felice, rapporto con la Turchia. Gli Ottomani conquistarono l’isola nel 1566, mettendo fine alla dominazione Genovese, e vi restarono fino al 1912, per ben 356 lunghi anni. Durante la loro dominazione Chios conobbe un periodo di grande sviluppo e l’isola arrivò a contare fino a 100.000 abitanti, gli Ottomani furono molto accorti e lungimiranti nel preservare intatti i meccanismi di sfruttamento commerciale del mastica, già ampiamente collaudati dai Genovesi, e nell’imporre un regime fiscale di estremo favore per i residenti, ma, proprio per la sua importanza economica e strategica, l’isola venne privata di qualsiasi autonomia e sottoposta al controllo diretto di Istanbul. Allo scoppio della rivoluzione Greca nel 1821, l’isola di Chios rimase neutrale, ma nel 1822 i rivoluzionari provenienti dalla vicina Lesvos, guidati da Lykourgos Logothetis, stimolarono la rivolta della popolazione contro i Turchi. La rivolta presto fallì e i partigiani, costretti al ritiro, lasciarono la popolazione in balìa dei Turchi. La reazione ottomana fu tremenda, l’ammiraglio Kapudan Pashà Karà Ali approntò una grande flotta e sbarcò sull’isola un gran numero di milizie affiancate da orde di irregolari che si riversarono come belve sugli abitanti: oltre 25.000 persone vennero uccise, molti catturate e vendute come schiavi. La ferocia raggiunse il culmine nel villaggio di Anavatos dove, dopo un lungo assedio, i Turchi riuscirono ad entrare: molte donne con i loro bambini, pur di non cadere nelle loro mani, si gettarono nel burrone sotto la rocca, tutti vennero massacrati, nessuno sopravvisse alla strage…
Per questo, quando ANAVATOS appare, il cuore si spezza e la commozione è inevitabile. L’impatto è incredibile: completamente deserto, arrampicato sopra un’impervia rocca che lascia senza fiato, case orgogliose e fiere, finestre nere e cupe, silenzio, rotto dal triste lamento delle fronde degli alberi, dalle grida mute di chi non c’è più, vuoto, pieno di dolore, ferocia, eroismo e martirio, morto, animato da immagini del passato e dall’ampio roteare degli uccelli intorno alla rocca, un villaggio fantasma in un ambiente selvaggio. Anavatos giace abbandonato dal giorno del terribile massacro del 1822 e oggi è un monumento nazionale: ma come è difficile staccare il pensiero dalla tragedia di questo luogo e pensare ai giorni in cui vi scorreva la vita, alla perizia e alla fatica con cui gli indomiti abitanti costruirono questo borgo fortificato per difendere il territorio dalle possibili incursioni di navi che potevano gettare l’ancora nella baia di Elinda. Il villaggio non risale, come molti nell’isola, all’epoca medievale ma venne costruito in epoca più tarda a scopi difensivi, già il suo nome, Anavatos, difficile passaggio, rivela la ragione della sua esistenza in quel punto. Sul luogo pare solo di essere davanti ad una inaccessibile rocca sperduta fra i monti, ma se guardate una mappa o meglio una panoramica dal satellite, vi renderete ben conto della sua strategica posizione: Anavatos sorge su una rupe conica a 450 metri di altezza, con un solo accesso da nord est verso le pendici del Monte Epos, affacciata a strapiombo sulla confluenza del piccolo fiume Portes con il fiume Elindas, invisibile e ben celata a chi proviene dal mare, questa rocca sorveglia la valle e la baia di Elinda, scruta il mare verso sud ed ovest. In sostanza Anavatos guardava le spalle alla città di Chios: le mappe aiutano sempre a capire i luoghi e la loro storia.
La strada, come un tempo, finisce ai piedi del villaggio fortificato, si parcheggia vicino alla taverna circondata dalle poche case ancora abitate, appena prima ci sono la piccola chiesa di Agios Georgios e il monumento che ricorda la battaglia e gli eroi del 1822. Non c’è nessuno e siamo gli unici visitatori. Da vicino è evidente come gli abitanti approfittarono della fortificazione naturale di cui gode la località, aggiungendo dal lato accessibile un muro esterno per cingere le abitazioni. Il villaggio è cresciuto nel tempo dal basso verso l’alto della roccaforte e fino alla sommità della rupe, raggiungendo il massimo splendore durante l’occupazione turca. La cittadina è sottoposta a restauri conservativi che, considerato il sito, appaiono molto impegnativi, molti edifici sono pericolanti e pertanto non è tutta percorribile: quello che non fecero i Turchi nel 1822 lo fece il tremendo terremoto nel 1881, sembra già un miracolo che non sia crollato tutto a valle. Le numerose abitazioni all’interno delle mura, molto vicine le une alle altre, sono costruite in pietra grigia, porte basse e piccole finestre ad arco, alcune avevano balconi, probabilmente di legno, molte hanno due piani, caratteristico il dettaglio della finestra nella soffitta come una sorta di posto di osservazione. Sopra la roccaforte c’erano le chiese dei Taxiarchi, a due navate, e della Vergine Maria, l’imponente l’edifico a tre piani, incredibilmente quasi intatto, ospitava l’antico frantoio. Salire per le silenziose vie di Anavatos tocca il profondo dell’anima, i pensieri corrono lontani e il cuore si fa pesante. Non prestate ascolto alle scempiaggini che si leggono in alcune guide turistiche che, con deplorevole gusto del macabro e becero senso di business turistico, raccontano che “sono ancora oggi visibili le tracce del sangue che penetrò abbondante nei marmi del pavimento della cattedrale e ne alterò il colore”, Anavatos non è un film horror e non servono schizzi di sangue per rappresentare la sua storia e la sua tragedia, tutto parla di questo, il sangue di Anavatos è in ogni sua pietra, il grido di Anavatos è in ogni sua muta finestra spalancata nel vuoto…
Il Nea Moni, il gioiello di Chios
Ritorniamo sulla strada che attraversa trasversalmente l’isola, contornata da splendidi boschi e pinete, quindi svoltiamo a destra quando incontriamo il cartello per il NEA MONI, uno dei più importanti monumenti bizantini di Grecia e del mondo. Il Monastero di Nea Moni venne fondato a metà del XI secolo, con una donazione dell’imperatore bizantino Costantino IX Monomahos e di sua moglie Zoe, per ospitare una miracolosa icona della Vergine a lui molto cara. La tradizione racconta che tre monaci, Nikitas, Iossiph e Ioannis, che vivevano come eremiti in una grotta sul Monte Provatàs (quella stessa grotta che poi vedremo nel Monastero dei Agion Pateron), vedevano tutte le notti brillare una luce nella foresta sottostante ma, di giorno, non riuscivano ad individuare l’origine di quella luce. Credendo si trattasse di spiriti maligni incendiarono la foresta nel punto in cui appariva la luce ma le fiamme si arrestarono miracolosamente davanti ad un mirto e fra i rami del cespuglio trovarono una inusuale icona che raffigurava la Vergine, sola, senza Bambino. In quei giorni Costantino Monomahos viveva in esilio a Lesbo e i monaci, ispirati dalla Vergine, gli fecero visita predicendogli che sarebbe divenuto presto Imperatore: Costantino promise loro che, se così fosse accaduto, avrebbe costruito una chiesa nel luogo dove l’icona della Vergine era stata da loro trovata. Dopo qualche tempo Costantino divenne veramente Imperatore di Bisanzio e mantenne la promessa inviando immediatamente ai tre monaci preziosi materiali e abili artisti da Costantinopoli per costruire il Nea Moni, il Nuovo Monastero. La costruzione iniziò nel 1042 e fu completata nel 1055 da Teodora, sorella dell’imperatrice Zoe: la dinastia dei Monomahos mantenne anche in seguito un forte legame con il monastero e lo protesse sempre col sigillo imperiale, gli donò proprietà e rendite. Con gli anni, il Nea Moni divenne il centro religioso e culturale più importante di Chios, uno dei più ricchi e noti monasteri dell’Egeo, con un’importante biblioteca e una rinomata scuola: nel suo momento di massimo splendore arrivò ad ospitare oltre 800 monaci che vivevano in celle situate dentro e fuori le sue mura. Con l’occupazione turca iniziò il suo lento declino finanziario, più volte venne saccheggiato e distrutto da pirati e mussulmani, infine la furia degli gli eventi del 1822 e il terribile terremoto del 1881 lo resero quasi irriconoscibile. Il sisma, in particolare, causò il crollo del duomo, del campanile, e di parte del Katholikon, come pure la distruzione di molti mosaici. Dal 1875 fino ai giorni nostri sono stati fatti molti interventi di restauro per la ricostruzione e conservazione dei monumenti e dei mosaici, cosicché, nonostante le ingiurie subite, oggi possiamo ancora contemplare la bellezza della struttura e la raffinatezza dei decori del Nea Moni, oggi incluso nel catalogo dei monumenti del patrimonio culturale internazionale dell’ UNESCO. Gli edifici del complesso monastico, dedicato alla Kimissis Theotokou, la Dormizione della Madre di Dio, sono distribuiti in un’area di circa 17.000 m2, sono di diversa natura e utilizzo. Il Katholikon, la chiesa principale abbondantemente decorata con marmi e mosaici, si trova nel punto centrale del complesso, mentre l’imponente torre difensiva occupa la parte orientale del sagrato, il refettorio, Trapeza, è posizionato a sud ovest del Katholikon. la cisterna seminterrata dell’XI secolo si è conservata intatta mentre le celle dei monaci sono in totale rovina. Il monastero è circondato da un irregolare, muro di pietra e all’interno del perimetro ci sono altre due piccole chiese dedicate alla Santa Croce e ad Agios Panteleimonas. Di tutto il complesso monastico, l’edificio di maggiore interesse è il Katholikon, di forma ottagonale, decorato con marmi, affreschi e mosaici tra i più belli insieme a quelli del Monastero di Dafni ad Atene e del famoso Monastero di Osios Loukas vicino a Delfi. Le minuscole tessere, fatte di pietre naturali multicolore che formano i mosaici del Katholikon, sono ben più piccole di quelle di Ravenna e disegnano eleganti figure di Santi ed episodi della Bibbia: il bacio di Giuda, la Crocifissione, la Resurrezione di Cristo, sono rappresentati in modo semplice e chiaro, come preziose illustrazioni di un libro sacro. Uscendo, tutt’intorno al monastero, troviamo i resti di innumerevoli insediamenti, mulini e case coloniche di coloni che lavoravano per il monastero, celle per le centinaia di monaci che vi abitavano. Dal Nea Moni alla città di Chios ci sono circa 15 Km, la strada scende dal Monte Provatàs, un grande balcone naturale, con ampi tornanti in continua discesa offrendo bellissime vedute sulla capitale e la costa turca con la città di Cesme.
Viaggiando versi nord: Volissos e Agia Markella
Volissos dista circa 40 km da Chios, in direzione nord ovest, e i 40 km per arrivarci sono spettacolari, una vera scalata alle lisce pareti rocciose del Monte Epos alte 400-450 mt. Da Chios la strada sale subito fra i quartieri alti di Vrontados, la seconda città dell’isola dopo Chios, famosa per i suoi festeggiamenti pasquali in occasione dei quali si inscena una vera e propria guerra di fuochi d’artificio fra due quartieri. Poi, appena fuori del paese, inizia l’arrampicata vera e propria con ampi tornanti, letteralmente strappati alla montagna, e un panorama mozzafiato su Vrontados, la Chora di Chios e il braccio di mare che separa l’isola dalla Turchia. Proprio su una curva che guarda il mare, svetta il piccolo obelisco del Monumento ai Combattenti della Marina Greca morti nella battaglia del Monte Epos nel 1912 dopo un’eroica resistenza contro i Turchi. Quando si finisce di arrampicare, si incontra la cappella di Agios Gerogios Florianòs, dove, a metà di maggio, in occasione di una celebrazione dedicata ai pastori, si tiene una caratteristica fiera con bancarelle che vendono latte, formaggi ed altre specialità locali. La strada corre quindi in quota, come su un altipiano fino al piccolo santuario di Agios Isidoros, poi scollina sul brullo versante occidentale e inizia a scendere verso Volissos, che appare col suo Castello e, più sotto, sul mare, il porticciolo di Limnia. VOLISSOS é il villaggio più grande della zona nord-occidentale, una regione rocciosa dominata dai massicci dei Monti Amanì e Pelineon, la cui vetta tocca i 1297 mt., che la isolano dal resto di Chios. Il paesaggio circostante di colline e alture aride, coperte di erbe secche, ha un che di primitivo e solingo, nei dintorni ci sono borghi diruti, dai Turchi e dal terremoto, molti mulini ad acqua e a vento ormai abbandonati, piccoli eremitaggi. Il turismo che arriva a Volissos è attirato da questo sapore aspro e selvatico, dalla tranquillità e dalle molte spiagge, tutte poco affollate, alcune molto belle: Lefkathia e Limnos sono sicuramente fra le più belle e ampie dell’isola. Volissos vanta inoltre una lunga storia: si trova dove, in antichità, sorgeva una citta eolica e la tradizione vuole che proprio il porticciolo di Limnià sia il luogo natale di Omero. Il villaggio di Volissos, cresciuto all’ombra di una massiccia fortezza, costruita nel VII secolo dal generale bizantino Belisario, figlio dell’imperatore Giustiniano, più volte rimaneggiata da Veneziani e Genovesi, si sviluppa tutto in salita con un groviglio di case, di cui molte in rovina, costruite con la stessa pietra grigia dei monti e del castello. Il paese sembra così una compatta massa grigia, interrotta solo da qualche rara pennellata di calce bianca e dalle belle vie, corte e strette, pavimentate con ciottoli di mare. La chiesa principale è dedicata alla Trasfigurazione di Cristo e la sua festa patronale si celebra il 6 agosto con balli tradizionali. L’imponente castello a forma trapezoidale con sei torri circolari, racchiude dentro alle sue mura vari edifici, cisterne per la raccolta dell’acqua e chiese, cosi come un tunnel che lo collega alla spiaggia e al comune di Pithonas. Poco lontano da Volissos si trova un importante e frequentato luogo di pellegrinaggio, il Santuario di Aghia Markella, la Santa patrona di Chios. Seguiamo dunque le indicazioni per Agia Markella e imbocchiamo la strada secondaria che prima tocca la località di Limnos e poi prosegue per altri 7 km lungo costa passando per una serie di bellissime e tranquille spiaggette completamente deserte. AGIA MARKELLA è una luogo magico e ci siamo lasciati totalmente affascinare dalla suggestiva storia della giovane Markella e dal particolare contesto naturalistico che, come nel caso di San Isidoro, ne ricorda il martirio. Markella nacque e visse a Volissos durante il XIV secolo, la madre era una devota cristiana, il padre mussulmano. Markella era ancora una giovinetta quando la madre morì, ma lei continuò a leggere la Bibbia e a pregare Dio vivendo come la madre le aveva insegnato. All’età di diciotto anni il padre le impose di abbandonare il cristianesimo minacciandola di morte e lei, impaurita, fuggì fra le vicine montagne nascondendosi nel fitto della boscaglia. Il padre, con l’aiuto di un pastore locale, individuò il nascondiglio e appiccò il fuoco per costringerla a uscirne. Markella per sfuggire corse verso il mare, ma suo padre scagliò una freccia ferendola. Il sangue della fanciulla macchiava le rocce evidenziandone le tracce, Markella pregò intensamente Gesù perché gli scogli si aprano sotto di lei sottraendola al padre e questo accadde: tutto il corpo viene inghiottito dagli scogli, tranne la testa. Quando il padre la raggiuge, furioso e accecato dall’ira, la decapita con un colpo di scimitarra e getta la sua testa in mare. Il fatto suscita sgomento e a lungo gli abitanti del villaggio cercheranno invano la testa della povera Markella per darle sepoltura; solo dopo molti anni, dei marinai, seguendo una luce che sembrava galleggiare sull’acqua, la trovarono e la portarono alla suo villaggio natìo. Il SANTUARIO di AGIA MARKELLA appare tranquillamente e serenamente adagiato sulla bella spiaggia sabbiosa che porta lo stesso nome. Il luogo è riparato dal vento, grandi alberi di tamerici si chinano dolcemente sulla sabbia, il mare è un’immobile e invitante tavola blu, sul fondo la grande veranda della taverna con i suoi colorati tavolini: più che un luogo di pellegrinaggio sembra un ameno luogo di villeggiatura, più che un luogo di martirio sembra un luogo di pace, tutto ricorda solo la semplicità, la purezza e la freschezza della giovane Markella. Gli abitanti di Volissos si prendono cura con gran devozione di questo santuario e il 22 luglio, il giorno dedicato alla santa, organizzano la più grande celebrazione religiosa di Chios a cui partecipano molti pellegrini provenienti da tutta l’isola, insieme ai chiosesi emigrati in altre zone della Grecia o all’estero. Nel cortile del monastero si trovano bancarelle che vendono souvenir religiosi, riproduzioni di icone e contenitori di plastica per attingere l’acqua dalla fonte miracolosa; numerose sono le celle dove i pellegrini o i semplici visitatori possono trovare ospitalità per la notte. La chiesa è molto piccola, ma piena zeppa di icone e stendardi che raffigurano la santa e i drammatici eventi delle sue ultime ore di vita. In 20 minuti a piedi dalla chiesa si raggiunge il luogo dove la santa morì martire della propria fede e dove l’acqua santa zampilla dalle rocce: accanto a questa fonte avvengono guarigioni e miracoli e, come a Lourdes, i pellegrini percorrono questo sentiero fiduciosi, lasciano fiori, accendono lumi nella cappella e attingono l’acqua dalla fonte. Il sentiero inizia in fondo alla spiaggia e, anche se non si è in cerca di un miracolo, è molto suggestivo: serpeggia lungo una piatta scogliera ai piedi di incombenti rocce scure di origine vulcanica, rasenta sempre il mare e termina ad una minuscola e semplice cappella. Lungo il percorso, in più punti, le rocce evidenziano grandi macchie rossastre e sanguigne che, nei giorni della festa della Santa, si dice diventino ancor più evidenti a ricordare le tracce lasciate da Markella nella sua fuga… Proprio ai piedi della cappella, invece, fra gli scogli, zampilla la sorgente termale da cui sgorga abbondante acqua ferruginosa, rossastra, dolce e tiepida, che non può che ricordare il sangue: questo è il luogo dove Markella venne decapitata e il suo sangue si mescola ancor oggi con l’acqua del mare… se arrivate sin qui, pellegrini o turisti che siate, non perdetevi questo percorso ma, vi do un consiglio, fatelo la mattina, nel pomeriggio, il sole picchia sulla nera scogliera di Markella rendendola un immensa piastra rovente. Ritorniamo alla spiaggia, prendiamo i nostri asciugamani dalla macchina e ci godiamo per un po’ il mare fresco, anzi freschissimo; quindi pranziamo alla taverna della spiaggia con sardine grigliate e una strepitosa quanto inusuale insalata greca a base di salicornia sottaceto, capperi, foglie di portulaca feta e pomodori. Ci rimettiamo in viaggio. Ripassiamo da LIMNOS fermandoci a guardare la sua meravigliosa spiaggia: qui si trovano semplici studios, taverne e snackbar, poco altro, vedo anche gli Zorbas Apartments e quasi mi pento di non aver dato retta a Isabella… dietro la collina c’è LEFKATHÌA, una meravigliosa e riparata mezzaluna di sabbia con acqua cristallina e un beach bar che organizza party serali apprezzati dai giovani, quindi il sonnolento porticciolo di LIMNIÀ, da cui partono i collegamenti per l’isola di Psarà, con qualche semplice taverna di pesce. A sud di Limnià, sulla strada costiera cha da Volissos porta a sud, si apre una zona pianeggiante di origine fluviale con un paesaggio aperto e piuttosto piatto, meno suggestivo del tratto precedente, con una buona offerta di taverne, rooms e studios che si affacciano sulle spiagge sabbiose di MANAGROS, lunga 1,5 km, la più grande dell’isola, e MAGEMENA. Poi la strada torna a salire verso il caratteristico villaggio medioevale di SIDIROUNTA abbarbicato su uno sperone roccioso in posizione molto panoramica dove, come ad Avgonyma, si trovano piccole e antiche case di pietra in affitto: il lato occidentale del villaggio è una e vera e propria terrazza sul mare da cui si gode di tramonti magnifici. Il tratto di costa da Siridounta a Elinda è uno di quelli che più ci sono piaciuti, il nostro asfaltato corre alto con bei panorami sull’Egeo e, di sotto, si susseguono diverse piccole spiagge, quasi neppure segnalate dalle mappe, meravigliose e completamente deserte, raggiungibili con brevi deviazioni sterrate che si diramano (senza indicazioni) ai bordi della strada principale. La bellissima METOCHI è invece raggiungibile senza alcuna fatica perché la strada principale scende per un attimo al mare e costeggia la spiaggia: basta parcheggiare sul bordo della strada sotto una tamerice, svestirsi e tuffarsi, se poi avete voglia di un gelato c’è una piccola taverna dietro la spiaggia. L’aria è caldissima e così facciamo: non resistiamo alla tentazione di una rinfrescata! Ripreso il viaggio ci fermiamo a fotografare dall’alto le belle baie di Tigani e Makrià Ammos, quindi, raggiunta Elinda, risaliamo i monti verso Avgonyma in direzione di Chios, percorrendo nuovamente la strada di ieri e che ci era particolarmente piaciuta.
I Monasteri di Agion Pateron e Agios Markos
Questa volta, un paio di Km prima del monastero di Nea Moni, prendiamo la deviazione sulla destra per il monastero di AGION PATERON, il più alto fra tutti i monasteri, quasi sulla vetta del Monte Provatàs. La deviazione è brevissima e tutta asfaltata, ma piuttosto stretta e ci auguriamo di non incontrare nessuno che provenga nel senso opposto: il monastero, con grande effetto scenico, appare all’improvviso, inaspettatamente immenso e curatissimo. Il complesso monastico di Agios Pateron, dei Santi Padri, è stato costruito intorno alla santa grotta in cui vissero i tre monaci, Nikitas, Iossiph e Ioannis, autori del ritrovamento miracoloso della icona della Madonna che ha dato origine alla fondazione di monastero di Nea Moni. Dopo la fondazione di Nea Moni, questa grotta continuò comunque ad essere utilizzata da asceti come luogo di eremitaggio e preghiera. Il monaco Jeremiah da Creta, nel 1688, vi costruì la prima chiesa e alcune celle, poi, nel 1868, il santo monaco Pahomios originario del vicino villaggio di Elata, ampliò il complesso e lo portò ad essere il più grande centro monastico dell’isola e una dei più famosi centri di agiografia. Oggi è un monastero di semi-clausura in cui si tengono ritiri e incontri spirituali, ci vivono stabilmente quattro monaci e un guardiano, l’entrata alle donne è vietata dopo il tramonto. Ci fermiamo titubanti davanti alla immensa costruzione non sapendo che fare, ma il guardiano si affaccia da un terrazzo e ci fa segno di entrare. Varcato il portone ci accoglie un austero monaco, alto e barbuto, si informa della nostra provenienza e il viso si apre subito in un ampio sorriso quando gli diciamo che siamo italiani, conosce la nostra lingua e i nostri grandi luoghi sacri, ci fa entrare nella sala degli ospiti e insiste per offrirci acqua fresca e lukumas profumati di mastika, ci accompagna poi a visitare la chiesa principale decorata con affreschi molto particolari che raffigurano una infinità di santi ed eremiti. Quindi ci dà accesso alla Santa Grotta dei tre Santi Padri: immensa e stupefacente, una vera chiesa sotterranea con tanto di seggi, lampadari e altare.
Lasciamo questo mistico luogo di silenzio e pace, ripercorriamo la stradina fermandoci a scattare una foto del Nea Moni dall’alto, proprio sotto di noi, immerso nella boscaglia dove i tre Santi Padri videro la luce misteriosa… da qui si ha proprio l’immagine più bella del Nea Moni. Tornati sulla strada principale, superiamo la deviazione per il Nea Moni, che abbiamo già visitato, ma poi deviamo ancora a destra seguendo l’indicazione per il monastero di AGIOS MARKOS e AGIOS PARTHENIOS. La deviazione è brevissima e ripidissima, gira intorno al picco aguzzo del monte Penthodos e conduce a questo monastero, vero nido d’aquila, appollaiato sula cima dello sperone roccioso come una torre di vedetta. L’ascetico Parthenios, originario del villaggio di Dafnonas, iniziò la costruzione dell’attuale monastero nel 1886 e vi avviò una scuola di pittura religiosa; data la sua posizione, il monastero divenne anche punto di riferimento e appoggio per l’esercito greco durante la liberazione dell’isola dai turchi nel 1912. Oggi due soli monaci vivono nel monastero, mantengono la chiesa e custodiscono la ricca biblioteca. Dal piazzale antistante il monastero parte un piccolo sentiero che porta alla graziosa cappella costruita intorno alla grotta utilizzata un tempo come luogo di eremitaggio e preghiera: da qui lo scenario naturale e paesaggistico è magnifico, sembra di poter volare aprendo semplicemente le braccia. Se volete visitare questo luogo, ricordatevi di arrivare al monastero prima delle 18.00 e di chiedere di aprirvi la cappella prima di scendere ad essa.
Neppure 500 metri sotto il monastero di Agios Markos c’è l’antico Monastero di KOURNAS dedicato alla Zoodochos Pygi. Fondato durante l’occupazione genovese fra il 1346 e il 1555 da monaci domenicani e dedicato a Maria Vergine Coronata, nel 1658, durante la dominazione turca, fu trasferito alla chiesa ortodossa ed annesso al Nea Moni come sezione femminile: a quell’epoca risale la bella chiesa riccamente decorata. Il monastero oggi non è più attivo, ma ogni anno ospita ancora una grande festa in occasione della ricorrenza della Zoodoschou Pigi. Dopo un kilometro si arriva al villaggio di KARYÉS, un carinissimo villaggio costruito ai piedi delle lisce pareti del Monte Troulos e disposto come le gradinate di un teatro greco davanti alla splendida vista panoramica sulla città di Chios, Kampos e le coste dell’ Asia Minore. Il villaggio di Karyes, che non conta più di 700 abitanti, ha grande abbondanza di acqua fresca e il centro è attraversato da un piccolo torrente che rende particolarmente belli e rigogliosi i grandi alberi di platano e di noce che ombreggiano i kafenion. Dopo 4 km siamo alle porte della città e incontriamo un ultimo monastero, la recente costruzione della Panagia Voithias, la Madonna del Soccorso, dove le suore producono lavori artigianali e ricami, quindi, lasciati i luoghi dello spirito ci tuffiamo inesorabilmente nel groviglio trafficato delle strade di Chios e torniamo alla base.
Il medioevo di Mestà
Torniamo verso sud alla scoperta di Mestà e la sua zona. Seguendo le indicazioni di una vecchietta, poco prima di Mestà deviamo a sinistra per SARAOUNDA: la strada è interamente sterrata, piuttosto lunga, stretta e con tornanti nell’ultimo tratto, decisamente impegnativa, soprattutto se si incontra qualcuno che proviene dal senso opposto. Il panorama è bello, ma dopo tanta fatica, la spiaggia non ci sembra neppure così imperdibile e particolare, così risaliamo velocemente e proseguiamo verso Mesta. Alle porte della città prendiamo a sinistra la deviazione asfaltata per Trahillià e da questa si prende poi a destra per Avlonià che si rivela per noi la migliore. AVLONIA’ è una bella e riparata spiaggia di piccoli ciotolini e grossa sabbia chiara, acqua bellissima ed immobile, cristallina come solo la Grecia sa regalare, temperatura ottimale, ideale per una intera mattina di bagni e sole. Alla spalle della spiaggia c’è un ampio spiazzo dove parcheggiare e una cantina dove si possono acquistare bibite fresche e snack. Non è attrezzata e non ha un filo d’ombra, pertanto bisogna arrivare con quanto occorre in base alle proprie esigenze. Data la sua accessibilità da Mestà e godibilità anche per i bambini, Avlonià è piuttosto frequentata dalle famiglie, soprattutto locali, anche se in modo molto lontano dal nostro concetto di affollamento: quando arriviamo, nella prima parte della mattinata, è praticamente deserta. Verso mezzogiorno si sistema accanto a noi una numerosa e rumorosa famigliola locale con nonni, ragazzotti, genitori e cagnolino: ombrelloni, sedie, borse termiche, pallettoni e palloni interrompono l’incanto delle prime ore del mattino. Mentre io e Aldo facciamo il bagno, conversiamo fra di noi commentando i nostri giorni di vacanza e, per quanto Chios ci piaccia moltissimo, in questo momento, non possiamo fare a meno di lasciarci andare ad un nostalgico rimpianto per la magia degli immensi lidi, deserti e silenziosi, di Lesbo… non l’avessimo mai fatto! Il nostro vicino di spiaggia, con due bracciate si infila nella nostra conversazione e, con un buon italiano imparato durante il suo corso di laurea in medicina a Perugia, vuole a tutti costi convincerci che è Chios la più bella e la meno turistica delle isole Egee… non c’è spazio per alcuna replica e veniamo travolti dalla orgogliosa difesa della sua isola, alla fine, però, diventiamo amici quando gli dico che Vessa è uno dei paesi che più mi sono piaciuti in Chios: stavolta ci abbiamo azzeccato, è il suo paese! La famigliola a questo punto ci invita a pranzare con loro sotto l’ombrellone, purtroppo li dobbiamo lasciare, ci aspetta Mestà… Le distruzioni del 1822 e il terremoto del 1881 sembrano non aver affatto sfiorato MESTA’, la cittadina meglio conservata dei Masticahori che conserva perfettamente intatto il suo fascino medievale, le sue case di pietra, le sue vie acciottolate, i passaggi voltati e le torri. Mestà è veramente unica, del tutto diversa da tutti gli altri villaggi di Chios e della Grecia in genere, assomiglia molto ai nostri borghi umbri o toscani e solo i quartieri meno frequentati del centro storico di Rodi sono similari. Arrivando, restiamo colpiti dalla compattezza della sua cinta muraria fatta di case cieche verso l’esterno e prive di finestre, quelle che ci sono state chiaramente aperte in epoca recente. Se guardate un’immagine di Mestà dal satellite, la sua antica forma di fortezza pentagonale è ancora ben distinguibile, con la punta più acuta rivolta a nord-ovest verso il mare e ben fortificata e la base del pentagono appoggiata alle colline. Casualmente parcheggiamo proprio vicino alla torre di nord-ovest, una delle tre rimaste, chiamata militas, oggi abitata da una famiglia che ne ha ingentilito l’aspetto severo con fiori e tendine. Il nome militas, mlitare, è forse dovuto al fatto che, essendo orientata verso il mare, rappresentava il primo baluardo difensivo in caso di attacchi pirateschi dalla costa. Un tempo, l’unica porta d’ingresso al paese era la “Porta del Capitano” che veniva aperta all’alba e chiusa al tramonto, oggi si può accedere al villaggio da cinque ingressi aperti per le esigenze del traffico dei residenti, ma sembra comunque di passare da antichi posti di guardia. Varcato l’ingresso troviamo un modo antico e lontano: un dedalo ordinato e compatto di vicoli attraversati da volte e archi, un puzzle di antiche abitazioni dell’epoca Genovese, indipendenti e al tempo stesso legate tra loro, una addossata all’altra, senza soluzione di continuità. Ma il labirinto è solo apparente, in realtà tutto segue un preordinato disegno che converte verso il centro del villaggio, il suo punto vitale, dove ora c’è la piazza e la chiesa principale, dove una volta c’era la torre centrale di difesa. La torre centrale, dopo quella della militias e le altre 4 torri esterne, costitutiva infatti la seconda linea di difesa e la sua sopraelevata torretta centrale, più alta di tutte le altre costruzioni, era posta in vista della torretta di Merovigli che, costruita all’esterno del paese sulla parte più alta della collina sopra Mesta, sorvegliava come una sentinella il territorio e l’intero sistema difensivo della città. L’imponente torre centrale è stata del tutto demolita a fine ottocento per far spazio alla grande chiesa dedicata ai Taxiarchi, gli Arcangeli Michele e Gabriele, pertanto il cuore del paese è ancora la piazza principale, chiamata “Livadi”, l’unico spazio aperto del villaggio, con il pozzo principale chiamato “funtana” e la Cattedrale. Per il pranzo ci fermiamo proprio sulla piazza e scegliamo “O Meseonas” una caratteristica taverna con i tavolini all’ombra di grandi alberi e bianchi ombrelloni, gestita da Ioannis e Despina Bournia. I piatti si scelgono all’interno e c’è l’imbarazzo della scelta. Gli abitanti chiamano la loro chiesa “Nuova Taxiarchi” per distinguerla dalla “Vecchia Taxiarchi“, ben più piccola e antica, e vanno molto orgogliosi del fatto che sia la più grande chiesa di Chios e una delle più grandi dell’intera Grecia. In effetti è un opera monumentale e lo spazio angusto circostante la fa sembrare ancora più grande: con la macchina fotografica è impossibile averne un’immagine intera, bisogna accontentarsi dei dettagli. La chiesa ha una scalinata d’accesso bidirezionale in cima alla quale si erge la torre campanaria, entrambe sono costruite con belle pietre di Thymianà. Il sagrato ha decorazioni in ciottoli bianchi e neri secondo la tradizione di Chios e nel nartece si possono notare alcuni resti della torre. All’interno ci sono tre navate con pilastri monolitici, purtroppo ricoperti di malta e colore: la navata centrale è dedicata a Taxiarchi, quella a nord è dedicata a Agios Haralambos e quella a sud agli Apostoli. Molte le icone e le offerte votive dei fedeli, soprattutto di quelli che, avendo origini in Chios, vivono in altre località della Grecia, negli Stati Uniti e in Australia, in Russia o in Egitto dove c’è una comunità di Mestà. Non da meno i contributi in denaro degli emigranti hanno reso possibile la realizzazione di tale monumento che ha richiesto 10 anni di lavoro, dal 1858 al 1868, cosa che sarebbe stata impossibile solo con le offerte dei residenti che, in ogni caso, hanno tutti contribuito, secondo le personali possibilità, con appezzamenti di terreno, indennità di denaro o lavoro volontario. All’interno del paese esistevano ben 19 Chiese, fuori dalla cinta muraria altre 17, a testimonianza dell’importanza di Mesta, alcune esistono tuttora, altre sono andate distrutte o adattate ad altri utilizzi. Fra quelle più antiche si possono ancora vedere la Vecchia Taxiarchi, Paleo Taxiarchi, dell’XI secolo, che dopo essere stata un monastero divenne la chiesa principale del villaggio fino alla costruzione della Nea Taxiarchi, e quella di Aghia Paraskevi, l’unica che non venne saccheggiata dai Turchi nel 1822. Riprendiamo la macchina e in 4 kilometri raggiungiamo il porto di Mestà, LIMENAS o LIMANI MESTON, il porto naturale più riparato e ampio dell’isola, considerato la Porta Ovest dell’isola perché consente l’ormeggio anche alle grandi navi che effettualo i rifornimenti all’isola: il grande specchio d’acqua immobile luccica di stelle argentee con il riflesso del sole in controluce, il lungomare profuma di salmastro e le taverne richiamano l’attenzione sui loro piatti a base di pesce, una che si chiama “O Sergis since 1922” ha tavolini, sedie e tovaglie blu che si confondono con il mare. Continuando lungo la frastagliata costa occidentale si incontrano le baie di Didima, Potamoi, Agia Irinis ed Elata. Pieghiamo quindi verso l’interno e dopo 3 km incontriamo ELATA, un altro villaggio medioevale fortificato, costruito su una ripida collina e ancora ben conservato, proseguiamo per altri 4 km e arriviamo a Vessa e da lì ad Armolia.
I martiri di Agios Minas
Sulla strada da Armolià a Thymianà faremo due deviazioni. Poco prima di Tholopotami prendiamo a destra per la Panagia Sikelià, l’indicazione è ben visibile venendo dal nord e del tutto invisibile venendo da sud, ma all’andata mi ero segnata i riferimenti e la imbocchiamo sicuri. La strada corre alta su un crinale collinare, privo di abitazioni e verdissimo, mirti e alberelli di mastica creano una coltre compatta e profumata, non incontriamo alcuna ulteriore indicazione e così continuiamo a seguire fiduciosi la strada finché, in lontananza, appare fra il folto degli alberi la cupola bizantina della chiesa che cerchiamo. La PANAGHIA SIKELIÀ è un’isolata basilica orientaleggiante con una decorazione particolarmente elaborata: squisiti intrecci di mattonelle creano trine di cotto e suggestivi chiaroscuri, le ceramiche danno un tocco di inaspettato e frivolo colore, la cupola e gli archi della unica navata creano una struttura mossa e danzante. La piccola basilica, che risale al XII o XIII secolo, è un vero gioiello ed uno dei più importanti monumenti bizantini dell’isola, purtroppo la troviamo chiusa e non riusciamo a vedere i suoi affreschi che, pare, siano ancora quelli originari dato che non hanno rivelato nessuno strato ulteriore. Il suo ricercato decoro e la sua posizione in totale isolamento, hanno fatto pensare che si trattasse del Katholikon di un monastero andato distrutto, ma di questo monastero non c’è alcuna traccia: l’unica certezza è questa gemma nascosta fra gli alberi, il suo caldo colore e le sue pareti increspate come un abito leggero dal vento, il suo silenzio e la sua pace, dimenticata del tempo, dalle rovine e dalle distruzioni, dagli uomini.. Tornati sulla strada principale, superato il villaggio di Tholopotami deviamo ancora a destra seguendo l’indicazione per Kallimasià e Agios Minas. Quando il Reverendo Padre Minas costruì il suo monastero tra il 1572 e il 1595 sulla cima di una collina appena fuori dal villaggio di Neohori neppure lontanamente avrebbe immaginato che questo luogo sarebbe tristemente passato alla storia.
Durante l’occupazione turca la scuola del monastero di AGIOS MINAS aveva continuato nella sua missione e la biblioteca si era arricchita acquisendo notevole importanza. Ma venne la primavera del 1822 e l’intera isola venne sconvolta dai massacri Ottomani a seguito delle rivolte per l’indipendenza: il 2 Aprile era il Sabato Santo, nel Monastero di Aghios Minàs si rifugiarono 3.500 persone, soprattutto donne e bambini, sperando nella pietà e nella salvezza. Non fu così, tutti perirono, massacrati nei cortili del monastero o bruciati vivi dentro la cappella…. Dopo il massacro, qualche monaco tornò ancora ad Agios Minàs ma nel 1932 fu convertito in monastero femminile e le suore avviarono una scuola di ricamo e cucito. Le suore oggi sono una decina, la maggior parte anziane, una di queste ci accoglie al severo portone di ingresso e ci accompagna a visitare il monastero: tutto è semplice, lindo e ben curato, l’unica frivolezza è il pavimento del cortile, un grande tappeto arabescato fatto di ciottoli marini bianchi e neri. Quando entriamo nella Cappella è inevitabile rivivere gli eventi: la riproduzione del dipinto Chios Massacre di Eugene Delacroix esposto all’ingresso è la prima cosa che la suora ci mostra e commenta, poi ci invita a guardare le macchie sul pavimento della cappella che, ci dice, esser state prodotte dai corpi bruciati …. esco …. ma la suora mi fa cenno di seguirla verso un piccolo Mausoleo nel cortile e qui, come in un grande pietoso reliquiario illuminato da una lampada perpetua, sono conservate le ossa dei martiri, quello che rimane delle 3.500 vittime di Agios Minàs, e le porte della cappella, quello che rimane dell’antico monastero… e ora sembra tutto così lontano e irreale: tutto è candido e ordinato, le farfalle girano attorno alle corolle dei fiori, l’aria profuma di cera e incenso, il cielo è luminoso e chiaro, un traghetto proveniente dalla Turchia solca il mare tranquillo lasciando una lunga scia di spuma bianca….
Chios: la città dei Giustiniani e di San Tommaso
La città di CHIOS non è sicuramente la più bella ed elegante dell’isola, non è neppure un luogo ameno in cui soggiornare, ma, per quanto se ne parli male, decidiamo di dedicarle comunque un paio di ore e, dobbiamo dire, qualche sorpresa l’abbiamo avuta. Il centro pullula di negozi, ristoranti, librerie, edicole, internet point, bar e locali da cui esce musica internazionale che si mescola con quella ellenica tradizionale. Il lungomare è proprio lungo lungo e perennemente percorso dalle auto e dai camion che arrivano e vanno verso la banchina del porto dove attraccano i traghetti. Traffico, rumore e olezzo di idrocarburi non scoraggiano gli abitanti di Chios a far sosta ai tavolini dei caffè dove ci si incontra con gli amici e si sbrigano gli affari: qui ci si rende ben conto che Chios vive di vita autonoma e che non considera il turismo come una delle principali entrate. Il cuore della città moderna è Plateia Vounaki: la trovate facilmente, di poco arretrata dal mare, coronata dall’oasi verde dell’ampio parco comunale. Con il mare alle spalle e i giardini davanti vi orienterete facilmente, i parcheggi per le auto sono sulla destra, a ridosso del castello, a sinistra parte la Via Aplotaria che con le sue diramazioni costituisce il centro commerciale della città. Sempre sulla sinistra della piazza trovate la caratteristica Moschea di Abdul Medjit, con il suo scuro minareto, trasformata in Museo Bizantino, la Pinacoteca ospitata in un basso edificio che ricorda i magazzini veneziani e il centro culturale “Homerion”, situato in un palazzo donato alla città nel 1974 da Micheal e Stamatia Xyla, sede di importanti eventi artistici e culturali fra cui il festival dedicato alle Danze Greche tradizionali, alle rappresentazioni teatrali di aneddoti dell’isola, canzoni, mostre di pittura e ricami. Praticamente in fondo a Via Aplotaria si trova la Cattedrale di Agios Victores costruita nel 1881 con accanto della Biblioteca di Korais, un bianco edificio con l’ingresso a tempio, una delle più ricche in assoluto di tutta la Grecia, a cui si associa il Museo di Filippou Argenti con i suoi rari manoscritti. Se volete visitare il Museo Archeologico, lo trovate un poco più a sud, nella zona dell’Università e dello Stadio, alla fine del porto. Alla fine conveniamo che la città moderna di Chios non ha alcun fascino, del resto, gli antichi palazzi genovesi sono stati costruiti tutti fuori dalla città, nella contrada chiamata Kampos, e, dal punto di vista urbanistico, la zona antica della città di Chios è tutta racchiusa nella sua fortezza. Il CASTELLO di Chios, di cui sono ancora ben conservate alcune sezioni della cinta muraria, le torri ed una delle porte, venne costruito dai Bizantini nel IX secolo, ulteriormente fortificato dai Genovesi nel XV secolo e dagli Ottomani successivamente. Fortemente danneggiato nel corso dei secoli dalle piraterie e dal terremoto del 1881, il forte è stato oggetto di restauri che hanno ridato vita alle Prigioni e alla fontana di Krya Vrysi, uno degli emblemi della città. Lo stemma della Famiglia Giustiniani, formato da tre torri sormontate dall’aquila imperiale, è ben visibile sulla torre settentrionale del castello. L’intero corpo fortificato era circondato dal mare e da un ampio fossato attraversato da ponti. L’entrata del castello è a sud, vicino al porto, dove c’è la monumentale Porta Maggiore: varcate le mura di entra nella città vecchia che, incredibilmente, è tuttora abitata e dove nulla sembra esser cambiato da quando i turchi l’hanno abbandonata dopo la sua rovina… Il quartiere interno costruito a partire dal X secolo in età Bizantina, conserva molti elementi Genovesi e Turchi, gli uni accanto agli altri. Sulla Piazza del Castello si affacciano antichi edifici restaurati di cui uno è occupato da un invitante caffè pasticceria e l’altro da un negozio di prodotti artigianali, in fondo c’è il Cimitero Ottomano, pieno delle caratteristiche stele di pietra decorate, e, appena dietro, la mole turrita del severo Palazzo Giustiniani accanto alle Prigioni. Prendiamo la via principale contornata da antiche case turche con la parte superiore di legno, alcune sono restaurate e molto belle, altre in totale rovina e cadenti, passiamo accanto alla Moschea Bairaklì ed arriviamo alla suggestiva chiesa bizantina di San Giorgio, protettore di Genova. Arriviamo quindi ai bastioni settentrionali e alla spianata dove si trovano, perfettamente restaurati, i Bagni Turchi; saliamo sugli spalti orientali ancora massicci e contempliamo lo stretto canale di mare con la Turchia sull’orizzonte, poco lontano c’è la fontana Krya Vrysi in bianco marmo dell’Asia Minore che dispensa l’acqua di una antica cisterna. Arrivati all’ultima torre chiamata Koulas individuiamo anche le chiesette di Agios Georgios Kehri e di Agios Nikolaos. In questa zona a ridosso del porto, la città vecchia è ancora più cadente, eppure abitatissima, i bimbi giocano a pallone su spiazzi polverosi circondati dalle rovine o a nascondino fra le case cadenti: qui le banchine del porto sono vicinissime e le mura sono state del tutto spianate, qui la violenza della distruzione è stata totale. Andiamo a riprendere la macchina e passiamo accanto alla Fontana Turca di marmo bianco di Melek Pasha, un grazioso esempio del tardo barocco turco; ci fermiamo anche ad osservare il cartello che attesta il gemellaggio fra la città di CHIOS e due città italiane. La prima di queste è GENOVA. Nonostante lo stretto legame fra due città durato un paio di secoli, solo nel 2001 è stato ufficializzato un vero e proprio gemellaggio, da cui, poi, hanno avuto origine una serie di intensi scambi culturali. Nel settembre 2005, invece, si è celebrato il gemellaggio con ORTONA. Il legame con questa città della provincia di Chieti è curiosamente dovuto alla comune venerazione per San Tommaso Apostolo. Scopriamo così che un altro grande Santo è passato per Chios…. Secondo un’antica tradizione, SAN TOMMASO iniziò la sua opera di evangelizzare dalla Siria, passando poi in Mesopotamia, dove fondò la sua prima comunità in Edessa, l’attuale Sanliurfa turca, poi raggiunse Babilonia, dove fondò un’altra comunità presso cui visse sette anni. Quindi si spinse fino all’India sud-occidentale, che raggiunse via mare nell’anno 52, dove iniziò la predicazione nella città portuale di Muziris e fondò successivamente numerose comunità cristiane in tutta la regione del Kerala. Dall’India si recò in Cina per poi tornare ancora in India sulla costa sud-orientale del Coromandel morendo a Mylapore e lì sepolto. Nel III secolo avvenne nel sud dell’India una delle prime violente persecuzioni anti-cristiane e i fedeli vollero salvare le ossa di San Tommaso trasportandole nella sua prima comunità, Edessa, da cui, poi, vennero traslate in un luogo ritenuto ancora più sicuro: l‘Isola di Chios. San Tommaso riposò in pace per ben 1.000 anni, fino a quando, nel 1258, arrivarono a Chios alcune galee armate che facevano parte della spedizione militare organizzata nell’Egeo da Manfredi, Principe di Taranto e futuro re delle Sicilie, desideroso di estendere il suo dominio in Oriente dove l’Impero di Bisanzio era ormai in agonia. Dopo il saccheggio dell’isola, il 10 agosto, Leone Acciaiuoli, comandante delle 3 galee di Ortona, aiutato da pochi compagni fidati, trafugò da Chios le ossa di S. Tommaso e la lapide marmorea che le copriva, spiegando immediatamente le vele per l’Italia. Il 6 settembre 1258 Leone e le sue 3 galee entrarono nel porto di Ortona e la popolazione portò in processione ossa e lapide fino alla cattedrale dove S. Tommaso ancora riposa, ormai da più di 750 anni.
I sobborghi di Chios: Vrontados e Daskalopetra
Prendiamo la strada per Vrontados, costeggiando sempre il mare, e arriviamo ad incrociare una fila di bellissimi MULINI. Arrivando, quasi non si nota il piatto molo che si protende verso il mare e i caratteristici mulini sembrano sorgere dal nulla, quasi galleggiare, specchiandosi vanitosi nell’acqua cristallina e immobile. Questo piccolo angolo di Chios mi è piacito molto e trovo che, oltre ad essere molto fotogenico, abbia anche un fascino molto particolare. I 4 mulini, anche se sono vicini ad una strada trafficata e circondati da un quartiere ordinario che sembra indifferente alla loro presenza, riescono ancora a trasferire la suggestione di altri tempi, complice anche il loro stato di parziale e sommario restauro che non ha cancellato dalle pietre le cicatrici del tempo, complice anche la odierna trascuratezza che lascia un certo alone di nostalgia per i giorni in cui le loro pale giravano allegre al vento, complice anche la presenza di bagnanti locali, anziani e ragazzini, che cercano refrigerio dalla calura non sulle spiagge ma nel semplice e umile mare sotto casa. Percorsi circa 7 km dalla Chora, arriviamo quindi alla spiaggia di DASKALOPETRA, una delle più famose spiagge dell’isola che, con piccoli sassi e acque cristalline, assomiglia a una spiaggia delle Sporadi. L’area circostante è molto verde, fresca e lussureggiante, piena di hotel, appartamenti, monolocali, ristoranti, bar e taverne rinomate per i piatti a base di pesce fresco. La località è nota anche con il nome di Vrissi tou Papà, Fontana del Prete, per via della fontana costruita ai tempi dell’occupazione turca e che ancora fornisce acqua potabile, ma il suo monumento più famoso è la Daskalopetra, la Pietra del Maestro, una grande roccia, lavorata nella sua parte superiore in modo da assumere la foggia di un sedile, facente parte di un antichissimo santuario dedicato alla dea Cibele. “Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti lutti addusse agli Achei…” eccomi qui, che emozione, seduta sulla pietra di Omero a declamare i suoi versi…. La tradizione vuole che in questo luogo fossero portati i ciechi e che tra questi ci fosse anche Omero che, seduto sull’enorme masso, recitava i suoi immortali poemi ai suoi discepoli. A parte la suggestione della leggenda, il luogo, con i suoi grandi alberi e la sua meravigliosa vista sul mare, è comunque molto bello. Il grande sedile di roccia, alla cui base sono scolpiti dei piedi a zampa di leone, è al centro di uno spiazzo quasi circolare contornato da una sorta di rustica gradinata, appena accennata e pure ricavata dalla roccia: l’insieme può sembrare proprio un’antica aula universitaria in plein air.
Le segrete dimore di Kambos
Sulla via del ritorno, superata Chios e arrivati all’aeroporto, lasciamo la strada principale che costeggia il mare e ci addentriamo nel reticolo labirintico di KAMBOS. Questo stranissimo, affascinante e suggestivo quartiere si stende in una zona pianeggiante a sud della città di Chios, lunga circa 10 km e larga 2 km, una verde oasi protetta e nascosta dalle colline su cui oggi corre, come un anello di asfalto o un cammino di ronda, la strada che dall’aeroporto va verso Karfas toccando poi Tymianà, Neochori, Vavili, Vasilioniko per finire ancora all’aeroporto. La sua posizione interna ed arretrata rispetto alla costa, naturalmente difesa dalle colline che formano una sorta di cinta murata, suggerisce la volontà di creare un quartiere riservato, defilato e protetto dagli attacchi improvvisi dal mare. Difficilissimo, se non impossibile, orientarsi nel dedalo di Kambos, le indicazioni sono pochissime, quasi inesistenti, le stradine si assomigliano tutte, i muri di cinta e i grandi alberi delle antiche dimore nascondono i pochi punti di riferimento: ma datemi retta, meglio non spendere energie nel cercare di individuare gli sparuti cartelli segnaletici o nel decifrare le mappe, meglio andare a caso e prestare invece bene attenzione a quello che vi scorre intorno… questo labirinto è fantastico! Come sappiamo nel 1346 l’isola venne occupata dai Genovesi che ne mantennero il possesso fino il 1566. I Genovesi occuparono Chios senza spargimenti di sangue, vi facevano inizialmente scalo con le loro navi dirette a Smirne, poi iniziarono a stabilirvisi ottenendo dall’impero bizantino permessi e privilegi commerciali divenendone dominatori assoluti. Animati dal loro spiccato spirito mercantile e considerate le caratteristiche climatiche e geofisiche dell’isola, svilupparono e ‘industrializzarono’ la coltivazione del masticha e quella degli agrumi, avviarono la sericoltura e società di trasporto marittimo; sfruttarono la manodopera locale e imposero tasse, ma assicurarono 200 anni di pace, sviluppo commerciale e splendore economico. KAMBOS, la “pianeggiante”, era il quartiere residenziale dei nobili genovesi, qui, fra il XIV e il XVI secolo, vennero edificati i loro palazzi, gli Archonticà, secondo il gusto e lo stile architettonico genovese ma utilizzando la meravigliosa pietra dalle sfumature sanguigne estratta dalle vicine cave di Thymiana. L’architettura di questi palazzi o ville ha uno stile tutto suo, non rintracciabile in nessuna altra parte delle isole dell’Egeo, e del Mediterraneo in genere: le case sono imponenti e solide, di due o tre piani, hanno scalinate, nobili accessi ad arco, sontuosi portali con gli stemmi delle nobili famiglie, portici con colonne in marmo, finestre con piccole volte, balconi e cancelli lavorati, soffitti affrescati, il tutto splendidamente animato dalle studiate alternanze cromatiche di pietre di Thymiana dalla diverse sfumature. Ogni residenza aveva giardini lussureggianti, famose le coltivazioni di raffinate orchidee e di profumati agrumi, fra cui il particolarissimo Mandarino di Chios con cui ancora oggi si aromatizzano liquori e rinfreschi; i cortili erano abbelliti da pergolati in fiore e vasche sulle quali galleggiavano eleganti ninfee o fiorivano i loti. Oggi come allora, queste dimore stanno ben nascoste dai loro giardini, irrigati dai caratteristici pozzi chiamati manganos azionati da grandi ruote che attingono l’acqua, solo i grandi alberi di agrumi sbucano scuri e rigogliosi dietro le alte pareti dei muri di cinta dando a questa zona il senso di una vera e propria foresta. Si legge che le ricche dimore costruite dai Genovesi in questo quartiere fossero circa 200, le stesse vennero sempre abitate, mantenute, ampliate ed arricchite nei secoli successivi di dominazione ottomana dalle famiglie aristocratiche locali ed oggi molte sono di proprietà degli armatori locali, la nuova classe dirigente di Chios che controlla metà delle navi cargo della flotta ellenica. La rovina del quartiere, come per il resto dell’isola, arrivò nel 1822, durante la violenta repressione Turca, ma la più parte delle dimore venne distrutta dal terremoto del 1881, altre vennero costruite sulle loro rovine nei decennio successivi. Di quelle rimaste, molte sono oggi ancora abbandonate e in rovina ma altre, restaurate sono diventate alberghi dove è possibile entrare a curiosare come il romantico Riziko Mansion, quasi un cottage bretone in versione mediterranea, il seducente Perivoli Hotel, col suo museo del cedro, oppure il lussuoso Argentikon Luxury Suites, un vero castello dove sognare di soggiornare almeno una volta nella vita. Percorrendo in auto le stradette di Kambos senza una meta precisa, incontrerete questi palazzi, così, casualmente, vi stupiranno. La villa dei Perivoli è uno degli edifici più belli di Kambos, costruito dopo il terremoto del 1881 e restaurato tra il 1979 e il 1980, interamente edificato in pietra di Thymiana, con meravigliose scale, abbellite da colonnette scolpite e corrimani in pietra, un elaborato cancello eclettico, un bel cortile lastricato a sassi bianchi e neri con fontana e cisterna per l’acqua. Il palazzo degli Argenti, considerata come una delle 100 dimore medioevali più belle al mondo, è stato riportato al suo originario splendore grazie ad un minuzioso lavoro di restauro degli anni ’30, ora ospita il lussuoso Argentikon, gestito ancora oggi dalla stessa famiglia presente sull’isola da più di sei secoli, custodisce arredi, oggetti, mobili antichi, la storia di una famiglia e, al tempo stesso, di un’isola. Se le antiche dimore Rallis e Petrokokinos restano in rovina, meglio conservati, costruiti o riedificati dopo il terremoto del 1881, ci sono i palazzi Kasanova, vicino al torrente Kokkalàs, Mavrokordato, il cui portale è sormontato da un grande stemma dei Giustiniani, Zygomala, Kalouta, Kalvocoressi e Mitarakiko, uno dei più grandi di Kambos. Quest’ultimo è stato la residenza della famiglia del pittore greco Yannis. Mitarakis (1897 – 1963) che utilizzava proprio il piano terra come atelier: forse vi è capitato di vedere le sue ‘forti’ vedute di Santorini…. Tetteriko è infine un’altra grande antica residenza con un edificio principale, due dependance, un grande cortile lastricato con la fontana, un parco di 4 ettari: il palazzo, distrutto dal terremoto del 1881, venne ricostruito e nel 1990 dichiarato monumento nazionale insieme ai palazzi Mitarakiko e Perivoli.
Pensieri sulla terrazza della Taverna Roussiko
E siamo alla fine della nostra vacanza, ci dirigiamo a Thymianà, il paese dalle è sabato sera e la Taverna Roussiko è più affollata del solito, c’è anche una lunga tavolata con coppe piene di confetti rosa per festeggiare il battesimo di una bimba. Saliamo sulla terrazza più alta, quella sopra i tetti da cui si domina il paese, le tavole sono apparecchiate con cura e i lumini accesi mandano romantici bagliori sui grandi bicchieri: è un vero piacere cenare quassù, l’aria è fresca e il cielo vicino, il vociare allegro della gente locale sulla piazzetta giunge come un’eco smorzata ed ovattata dalle antiche pietre delle case circostanti, il vino è fresco e i piatti profumano d’oriente… Il cielo sopra di noi è buio e già messaggero di una notte limpida, ma verso Kambos e i monti abitati da monasteri, dalla parte dove è tramontato il sole, tornano ancora bagliori corruschi…. bassa sull’orizzonte una luminosa stella solitaria si fa sempre più grande e brillante, un diamante che cattura lo sguardo finché non appare sulla scena una sottilissima e meravigliosa falce argentata, una lama di luce bianca, la Luna….. CHIOS, nella sera, diventa un pensiero unico e prepotente…. Nell’aria il profumo dei gelsomini si mescola con quello degli agrumi: limoni cedri mandarini e arance; arriva da sud il profumo intenso del masticha, dai monti scende quello dei pini, dalle colline quello dei mandorli amari e del timo violetto… I villaggi medioevali, gli antichi monasteri, le ville patrizie genovesi, le case turche del kastro, tutta la storia che non si può ignorare se si vuole capire l’atmosfera dell’isola… Le mille voci della sua gente, i versi di Omero e la musica di Mikis Theodorakis, entrambi figli di questa terra, le mille lingue dei suoi invasori, bizantini, veneziani, genovesi, turchi e ora l’inglese dei turisti e degli emigranti… La regina degli oceani e del mare, le sue innumerevoli navi, i suoi impavidi navigatori, marinai, armatori, forse anche Cristoforo Colombo…. I testimoni di Cristo, i grandi Santi, monaci, eremiti abitatori delle grotte, una martire fanciulla che ora protegge l’isola….. Gente comune, contadini, uomini, donne, vecchi e bambini diventati eroi per aver versato il loro sangue su questa terra rossa, rossa come il loro sangue, rossa come questo cielo….
INFOMEMO
Questo racconto fa parte dei miei DIARI dell’EGEO del NORD, le isole che abbiamo visitato in questa zona sono Thassos, Samotracia, Limnos, Agios Efstratios, Lesvos e Chios. Tutte queste isole sono state da noi visitate nel mese di Agosto e le abbiamo trovate tutte gradevoli, sotto ogni profilo: tranquille, genuine e poco affollate. Solo Thassos e Chios, in agosto, sono un poco più affollata delle altre: Thassos per la sua vicinanza alla costa Tracia è meta prediletta sia da turisti Greci che Bulgari, Chios è molto frequentata da turisti di origine isolana emigrati in UK, USA, Australia e che vi tornano con amici e conoscenti, discreta anche la presenza di Turchi data la vicinanza e i frequenti collegamenti: Chios è l’unica isola greca in cui abbiamo trovato guide turistiche, menù, indicazioni anche in turco. CHIOS si presta molto a una vacanza varia e ricca di ingredienti: nella stessa giornata si possono alternare momenti di totale relax marino, percorsi di interesse naturalistico e paesaggistico, passeggiate per antichi paesi, visite a suggestivi monasteri e siti carichi di storia e leggenda. Così abbiamo organizzato le nostre giornate dedicando buona parte della mattina al sole e il mare, il momento più caldo della giornata al pranzo in un paese caratteristico con successiva passeggiata per le ombrose viette e facendo tappa, sulla via del ritorno, nelle località di interesse che si incontravano… CHIOS, per un turista curioso, è una vera miniera di cose e luoghi di interesse, alcuni unici al mondo come il mastice e le architetture medievali dei suoi paesi in cui oriente e occidente si sposano armonicamente, impronte bizantine, genovesi e veneziane si mescolano a tracce arabe dando vita a paesaggi urbani estremamente suggestivi. La pietra sanguigna e la terra rossa, le montagne di pietra nuda o coperte da boschi, le spiagge bianchissime o nere di lava, il mare azzurro intenso o verde smeraldo colorano il paesaggio di Chios, eppure, nonostante la varietà paesaggistica e i motivi di interesse, Chios rimane ancora fuori dall’attenzione del turismo italiano (greci, anglosassoni e nordici in genere ci sono). Nessun tour operator italiano offre pacchetti per questa meta, del resto le strutture turistiche sono quasi tutte di piccola dimensione, sia alberghi che ricettività familiare, e ciò rende, sicuramente e fortunatamente, problematica l’accoglienza di grandi numeri. CHIOS è di dimensioni notevoli pertanto, come Lesvos, in una settimana è impossibile vederla tutta, ma già se ne potrà conoscere buona parte si riusciranno ad apprezzarne particolarità e fascino; non può assolutamente essere una meta mordi e fuggi, ne restereste delusi, non è un’isola che si abbraccia con un colpo d’occhio, è complessa e articolata, un vero mosaico di tessere molto diverse sia dal punto di vista paesaggistico che urbano, ci vuole un po’ di tempo a raccoglierle e metterle insieme. CHIOS non piacerà ai frettolosi che vogliono un’isola di pronto consumo, non piacerà ai pigri, a chi non ha interesse alle vicende umane e insegue solo un elenco di spiagge; CHIOS piacerà moltissimo a chi possiede occhi che vogliono vedere e conoscere, a chi ha interesse per la storia, a chi ha il cuore vicino agli uomini.
CHIOS come raggiungerla:
Il mezzo più comodo e veloce per raggiungere Chios dall’Italia è sicuramente l’aereo: prendete un volo su Atene e da lì un volo interno (ca.100 euro a testa) vi porterà in 50 minuti sull’isola. Noi abbiamo utilizzato voli low cost EasyJet + voli interni Olympic In alternativa al volo interno è possibile prendere dal Pireo un traghetto, la rotta è ben servita da Blu Star, Nel Lines e Hellenic Seaways che partono praticamente tutti i giorni, partenza 3 volte la settimana anche dal porto di Lavrio: con i traghetti lenti ci vogliono almeno 8/9 ore, con i veloci 5/6. Nella nostra vacanza di 16 giorni abbiamo abbinato Chios e Lesvos (vds. diario “Lesvos – il Regno della Poesia” pubblicato su Maldigrecia o Tpc) e pertanto il nostro itinerario completo è stato: volo Milano – Atene (Easy), Atene – Salonicco – Lesvos (Olympic, chiaramente c’era anche il volo Atene Lesvos diretto, ma per noi era più comodo questo), Lesvos – Chios (2 ore di traghetto Blu Star Ferries euro 20 a testa, acquistato in loco il giorno stesso della partenza). Chios – Atene (Olympic), Atene – Milano (Easy).
CHIOS come muoversi:
L’isola è grande, ben 848 km2, praticamente 8 volte l’isola d’Elba: con 213 km di coste è la quinta isola della Grecia. Indispensabile un’auto o una moto grande, impensabile visitarla con i mezzi pubblici o con uno scooter facendo base in un unico luogo. Abbiamo percorso circa 800 km in 8 giorni pieni e abbiamo necessariamente tralasciato una buona fetta del Nord. Le strade sono tutte belle, asfaltate, in buono stato, anche in agosto, il traffico è piuttosto limitato e circoscritto alla zona Karfas – Chios – Vrontados, vicino alle spiagge più frequentate si trova un poco di confusione ma si parcheggia comunque senza particolari problemi: per il resto, pur non essendo deserta come Lesvos, si incontrano poche auto. L’isola è praticamente divisa in 2 parti, piuttosto differenti: la parte sud, con bassi rilievi, i villaggi del Mastichahori e le spiagge più conosciute, belle e frequentate, la parte nord, con alte montagne, piccoli villaggi e molti monasteri o eremitaggi, coste più frequentate sul lato orientale, praticamente deserte sul lato occidentale. Abbiamo acquistato on-line con il broker AutoEurope un auto basic, euro 258 (compreso rimborso franchigia) pagati tutti alla prenotazione con carta di credito; ritiro in aeroporto la domenica mattina e riconsegna in aeroporto la domenica mattina della partenza. Modello consegnatoci Volkwagen Polo 1400 contratto Hertz. L’Aeroporto di Chios è 4 Km dal porto, il tragitto in taxi porto /aeroporto ci è costato 8 euro.
CHIOS dove dormire:
Le soluzioni sono diverse, dipende da quanto tempo avete a disposizione e che genere di vacanza avete in mente. La prima soluzione è fare punto base nella zona centrale dell’isola e spostarsi in giornata verso i luoghi di interesse con percorsi sempre diversi: Kambos, Tymiana o Karfas vanno bene, sia per gli itinerari turistici durante la vacanza che per la vicinanza a porto e aeroporto. Abbiamo scelto Karfas, pensando di stare vicino al mare, poi al mare di Karfas ci siamo stati una sola volta il giorno del nostro arrivo. Abbiamo soggiornato al CHIOS PANORAMA – Chios Dolphins, www.chios-panorama.gr, tel. +30.2271043562 mob. +30.6948249111 Sulla collina sovrastante la baia di Karfas, gestita dall’esuberante e sportivo KOSTAS, generoso e ospitale, pronto per ogni informazione e necessità. Impagabile il terrazzo vista mare, la notte potevamo lasciare tutto spalancato e l’aria fresca entrava a meraviglia. Le camere, piuttosto piccole, spartane e senza pretese, sono fornite di tutto quanto occorre, i bagni sono vecchio stile ma il wifi era gratuito e accessibile dalla stanza. Economico e tranquillissimo. Una seconda soluzione potrebbe essere dividere la vacanza fra un soggiorno a nord, in zona Volissos, e un soggiorno a sud, in zona Pyrgi – Olympi. Ma se devo esser sincera, il cuore l’ho lasciato ad Avgonyma e alle sue case di pietra che guardano il mare e il tramonto, a 10 minuti dalla baia di Elinda… prendete nota SPITAKIA di George Misetzis, tel. +30.2271081200, 2271020513-4, 2271042702, mob. +30.6974175471, e-mail kratisis@spitakia.gr.
CHIOS dove mangiare:
A Chios si mangia benissimo e, soprattutto, si possono gustare piatti diversi rispetto al resto della Grecia. Nel corso del racconto, ho spesso citato le cose buone che abbiamo assaggiato nelle taverne dei vari paesi dove, oltre ad una piacevolissima atmosfera, abbiamo sempre trovato qualche novità da provare. Chios mi ha confermato che l’Egeo del Nord è la zona della Grecia in cui si mangia meglio in assoluto: la cucina non ha dovuto adattarsi ai gusti del turismo internazionale e conserva inalterati i sapori di un tempo, ha piacevoli contaminazioni orientali, utilizza un maggior numero di ingredienti e li associa con maggiore cura. Pertanto Samotracia, Limnos, Lesbo e Chios rappresentano un viaggio enogastronomico fantastico. Non dimentichiamo poi che Chios è la patria del mastice e del mandarino, protagonisti di tanti dolci, sorbetti, marmellate e……
A parte le diverse taverne via via citate faccio solo un appunto particolare per il nostro:
POYSSIKO (Roussiko) a Thimianà, lo trovate al centro del paese, vicino alla grande chiesa a fianco della quale potete parcheggiare. E’ una taverna bellissima, situata in una antica casa di pietra, alcuni tavolini sono sistemati nel cortiletto fiorito, altri su un piccolo terrazzo sopraelevato, altri ancora su un tetto piatto: a mio avviso, questo è un posto bello, fresco e suggestivo dove cenare. L’ambiente e la tavola sono molto curati, l’insieme ha un aspetto piuttosto elegante e rimarrete davvero stupiti nel constatare che i prezzi sono assolutamente in linea con le altre taverne. La qualità dei cibi è ottima e vengono anche ben presentati. Non mancate di dare una sbirciata all’interno dove sono esposti bellissimi costumi tradizionali e vecchie fotografie. La spesa è sempre stata fra i 25€ e 30€ in due. Straconsigliata.
CHIOS cosa comprare:
A Chios si possono comprare cose meravigliose che non si trovano altrove. Il Masticha, il leader indiscusso, dolci, biscotti e caramelle, liquori, saponi e linee cosmetiche, polvere e pasta di masticha per uso gastronomico, perle di masticha grezzo. Gli agrumi, leader mandarino e cedro, marmellate e gelatine, liquori, essenze e dolci. Mandorle, pistacchi e fichi, in tutte le variabili possibili. Le ceramiche di Armolià.