Capraia: fuga d’inizio estate
Il pulmino del Relais “La Mandola”, percorrendo l’unico chilometro di strada asfaltata che collega il porto con il vecchio borgo, in pochi minuti ci porta al grazioso ed accogliente hotel che domina il golfo con le sue panoramiche terrazze-giardino. Con inquadrature da cartolina la bella ma gelida piscina d’acqua di mare, riparata da muretti di pietra e ombreggiata da un grande gelso.
La nostra camera elegante e spaziosa nei toni del blu e del panna richiama vagamente negli arredi e nei tendaggi un romantico gusto provenzale.
Siamo a pochi passi dal torrione difensivo cinquecentesco che domina il porto e dall’elegante palazzo del Comune, da poco restaurati. Un susseguirsi di antiche stradine lastricate in pietra porta alla grande chiesa gialla di San Nicola, con l’ampio sagrato acciottolato che la sera si anima delle grida e dei giochi dei bambini. Qualche buganvillea, rosa e viola, colorati gerani e fioriti oleandri sbucano dai muri di sasso dei piccoli giardini delle case che, ancora chiuse, sono abitate quasi tutte da turisti. Gironzolando per queste stradine di mattina prestissimo o nelle prime ore della sera, si respira l’atmosfera speciale ancora intatta di inizio estate, un’atmosfera fuori dal tempo fatta di silenzi e di profumi familiari come il buon odore del pane appena sfornato. Sulle semplici case di pietra domina imponente il Forte San Giorgio, eretto dai Genovesi nel’400, emblema dell’isola e segno tangibile di un passato glorioso. Da qui parte una delle tante strade bianche che, perdendosi nella macchia mediterranea, portano nel cuore selvaggio e solitario dell’isola. Infatti, a Capraia la “vita” si concentra nello spazio ristretto del porticciolo, con i suoi ristoranti, bar, qualche negozietto, luogo d’incontro e passeggio di turisti e dei suoi pochi abitanti, meno di un centinaio, oppure nei locali del borgo vecchio dove si gusta una cucina a base di pesce.
Ma noi che siamo attratti dalla bellezza selvaggia dell’isola, nonostante il caldo e il sole cocente, seguiamo più di un sentiero. La breve passeggiata al belvedere, di mattino presto, prima di colazione, o al chiarore della luna, offre grandiose viste sul mare aperto, l’Elba, il Forte e la costa rocciosa e frastagliata che strapiomba nel mare e ci regala l’emozione di scorgere qualche coniglio selvatico che saltella tra la colorata macchia o che immobile ti fissa da una roccia.
Alcuni cartelli didattici con esemplari della flora e fauna locale ci ricordano che siamo in un’area protetta, in un parco naturale istituito nel 1996 per preservare uno dei pochi angoli ancora rimasti indenni da speculazioni, rifugio per pochi amanti di una natura incontaminata e selvaggia.
Più faticosa la salita verso la colonia agricola penale istituita nel 1873 e chiusa nel 1986 di cui oggi restano solo edifici in rovina. Sul versante del porto vi erano le case per i detenuti e per le guardie, le stalle, i porcili, i pollai e grandi terrazzamenti dove si coltivavano viti, ortaggi, ulivi. Dall’alto le vedute sul porto tra fioritissimi mirti bianchi e oleandri selvatici che s’insinuano nel torrente (“vado”) vicino al porto sono davvero splendide e ci ripagano degli sforzi e del caldo sofferto.
Un sentiero impervio e ripido che costeggia le scoscese pareti rocciose porta giù fino alla Punta dello Zurletto lambita da un mare che si colora d’azzurro smeraldo e turchese. Un altro più sicuro e pianeggiante si spinge fino alla piccola chiesetta di Santo Stefano, persa tra una macchia mediterranea ricca d’intensi profumi e colori. Ma l’isola, attraversata in lunghezza da sentieri, offre passeggiate ben più lunghe ed impegnative. La costa rocciosa e scoscesa é quasi ovunque inaccessibile e quindi per godere le bellezze di un mare incredibile ci affidiamo a Maurizio, il capitano- geologo che con il suo gommone rosso fuoco ci fa scoprire i segreti delle tante grotte che bucano la costa nord occidentale, dove l’oro dello zolfo cristallizzato, le venature violette della roccia e l’azzurro trasparente dell’acqua creano suggestioni intense ed uniche.
Il buio impenetrabile che proteggeva la grotta-rifugio dove più di vent’anni fa la foca monaca veniva a partorire, violato un tempo dai pescatori che la cacciavano e oggi dai turisti, suscita in noi una forte emozione.
Negli spuntoni di rocce pennellate dal giallo dei licheni, dove colorazioni ferrigne, rosa, grigie ed ocra si mescolano tra loro, ognuno può riconoscere, come nelle nuvole del cielo, le forme più fantastiche, liberando la propria fantasia. La iena, il coccodrillo, l’elefante, la rana, l’onda, il turco con il turbante ed il profilo di Dante riaffiorano dalla roccia per pochi istanti ogni qualvolta il capitano li evoca.
L’azzurro di un cielo terso, senza nuvole, esalta i colori delle rocce e della macchia mediterranea dove predomina il giallo dei cespugli.
Ma è a Cala Rossa dove la tavolozza dei colori diventa straordinaria. Qui il grigio perla del basalto e il rosso cupo si spartiscono a metà, con una demarcazione netta, seguendo una linea obliqua che pare disegnata ad arte, la grande parete convessa, incredibile sfondo ad un mare trasparente, dalle colorazioni cristalline, richiamo irresistibile per le numerose barche.
L’origine vulcanica dell’isola, segnata da due violente eruzioni, è tradita dal nero cupo di rocce affioranti dal mare, su cui spesso si mimetizzano scuri e smilzi cormorani. Ma il padrone incontrastato di questa terra è il gabbiano reale, che ha la meglio anche su quello corso di cui avidamente mangia le uova. La macabra vista della femmina che, dopo aver ucciso a beccate il proprio piccolo che per qualche malformazione non potrà volare, si nutre delle carni lacerate e strappate dal petto, ci riporta di colpo all’immagine di una natura che oltre ad essere bellissima è anche spietata nelle sue inesorabili leggi per la sopravvivenza.
Dal gommone ci godiamo il susseguirsi di cale, di scogli su cui i gabbiani nidificano e vanno a morire e di torri d’avvistamento e di difesa incredibilmente a strapiombo sul mare come quella dello Zenobito che proteggeva a sud l’isola contro le incursioni saracene e controllava il canale di Corsica o la suggestiva Torretta del Bagno, proprio sotto al Forte San Giorgio, parte terminale di un camminamento protetto che scendeva al mare.
Tra tante rocce e pareti scoscese un’unica piccola spiaggetta “La Mortola”, raggiungibile solo in barca, che capricciosamente appare e scompare con le mareggiate mosse dal libeccio e dal grecale. L’acqua verde e trasparente è davvero invitante e non rinunciamo ad un bagno veloce e tonificante. Quando il pulmino ci riporta al traghetto, a malincuore ci stacchiamo da quest’angolo appartato, aspro e solitario, fatto di silenzi, di profumi, del rumore del vento, del mare e dei versi umani dei gabbiani.
Mentre la nave toglie gli ormeggi ripenso alle parole dette con orgoglio dal capitano Maurizio. “Noi si è guardato avanti!”. Infatti, quando nelle vicine isole del Giglio ed Elba ci si faceva allettare dal facile turismo, qui si puntava sulla gelosa salvaguardia della propria terra. Così, nella speranza che questo rimanga anche in futuro, vediamo l’isola sfumare in lontananza.