A PASSEGGIO SUL FONDO DELL’OCEANO prima parte

Quello che segue è una sorta di “diario di bordo” scritto in parte durante il viaggio - in forma stringata di semplici appunti - e poi rielaborato nei giorni immediatamente successivi al ritorno, come suol dirsi.... “battendo il ferro finchè è caldo”. Sono memorie scritte per noi stessi, per mantenere vivo il ricordo di quei giorni, e...
a passeggio sul fondo dell'oceano prima parte
Partenza il: 05/07/2003
Ritorno il: 27/07/2003
Viaggiatori: fino a 6
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Quello che segue è una sorta di “diario di bordo” scritto in parte durante il viaggio – in forma stringata di semplici appunti – e poi rielaborato nei giorni immediatamente successivi al ritorno, come suol dirsi… “battendo il ferro finchè è caldo”.

Sono memorie scritte per noi stessi, per mantenere vivo il ricordo di quei giorni, e non pensando al fatto che qualcun’altro potesse leggerle né, tanto meno, che potessero essere utilizzate come riferimento da un punto di vista pratico.

Quindi, se qualcuno volesse approfondire qualche informazione, non ha che da scriverci.

Comunque, adesso, bando alle ciance! E’ ora di iniziare il racconto! GIORNO 1 – SABATO 5 LUGLIO 2003 E’ arrivato finalmente il momento! Gli ultimi preparativi e poi…Tutti ai posti di manovra, si parte! Imbocchiamo la superstrada e … Francia, eccoci!! Magari fosse qui, dietro l’angolo, invece la giornata è lunga. La strada scorre veloce e il traffico è decente, ma il caldo è veramente opprimente. Finalmente quest’anno la deviazione di Colfiorito non c’è più – dopo anni – e questo ci dà un po’ di vantaggio: lo sfrutteremo per incontrare Carlo e Monica a Torino, dal momento che passiamo da quelle parti ed è tanto tempo che non li vediamo! Ci fermiamo soltanto per il pranzo – dalle parti di Modena, come al solito – e per fare gasolio, poi abbiamo preso un appuntamento con loro in un’area di servizio sulla tangenziale. Rimaniamo d’accordo che, eventualmente, ci sentiremo per vederci un po’ più a lungo durante il viaggio di ritorno. Proseguiamo sull’autostrada della Val di Susa addentrandoci fra i rilievi alpini.

Quando arriviamo al casello del tunnel del Frejus un po’ di apprensione, a dire la verità, c’è! E’ la prima volta che ripercorriamo una galleria transalpina dopo tanti anni e dopo la tragedia del Monte Bianco. Imbocchiamo l’ingresso – dopo aver pagato un pedaggio che ci resterà indigesto per parecchio tempo – e restiamo subito piacevolmente impressionati dalla sua spaziosità e luminosità; il traffico è scarso, la “traversata” molto meno opprimente che nelle nostre aspettative. Rivediamo finalmente la luce del sole che siamo ormai sul suolo francese.

Nonostante siamo fra strette valli alpine, si avverte subito la sensazione diversa dei grandi spazi, insolita per noi italiani, che ci accompagnerà per tutta la Francia. L’autostrada diventa subito molto più ampia e il traffico quasi inesistente fa il resto: ora possiamo finalmente sentirci nel pieno del nostro nuovo viaggio “on the road”! Pochi chilometri e siamo a St.Jean de Maurienne, dove abbiamo progettato di passare la notte. Il “Portolano” dice che esiste un’area attrezzata, ma l’unica indicazione che dà è il recapito del municipio…Non molto utile alle otto di sera passate di un sabato estivo! Cercheremo di arrangiarci da soli! Giriamo un po’, ma la ricerca è vana e, per non perdere tempo, dal momento che ormai sta per far buio, pensiamo di chiedere al locale campeggio municipale. Siamo fortunati: è proprio lì che c’è un’area attrezzata per il camper-stop. Il campeggio è confortevole, quattro stelle, con servizi modernissimi. Bisogna tenerlo a mente! GIORNO 2 – DOMENICA 6 LUGLIO 2003 Per prima cosa, è necessario fare il pieno, prima di lasciare St.Jean de Maurienne. Ci dirigiamo al supermercato che abbiamo incrociato ieri sera entrando in paese. Già, al supermercato, perchè – informandoci sulle notizie utili che caratterizzano la Francia – abbiamo saputo che quasi tutti i supermercati dispongono di pompe di benzina e i prezzi sono molto più convenienti che nei distributori tradizionali. E’ domenica mattina e funzionano soltanto i distributori automatici, è l’occasione per scoprire subito che le nostre carte di credito, anche se non c’è nessuna avvertenza, non vengono accettate. Delusi, ma obbligati dal serbatoio vuoto, ci rivolgiamo al distributore Esso di fronte che, per fortuna, è di turno. Qui la carta di credito è accettata e, per di più, il prezzo non è poi così diverso da quello di prima! Non si finisce mai di imparare! Siamo in Francia da poche ore e già abbiamo scoperto diverse cose utili: primo, le carte di credito straniere vengono accettate – oltre che dai “bancomat” locali, ovviamente – solo se c’è un operatore che ti fa firmare la ricevuta; secondo, i distributori tradizionali nei pressi dei supermercati praticano – per evidenti motivi di concorrenza – prezzi non molto superiori e sono una valida alternativa quando gli altri sono chiusi.

Possiamo finalmente ripartire ed entriamo quasi subito in autostrada.

Viaggiare così è un piacere: il traffico è scarso, la strada ottima, la temperatura piacevole, sembra che abbiamo – per fortuna! – abbandonato il caldo afoso italiano. I chilometri scorrono tranquilli e abbandoniamo, pian piano, le montagne e la regione alpina.

Unica eccezione quando imbocchiamo, nei pressi di Lione, un tratto dell’autostrada che da Parigi porta alle spiagge del sud. Evidentemente è tempo di vacanze anche per i francesi e il traffico diventa improvvisamente un’unica fila.

L’autostrada continua ad essere abbastanza intasata anche proseguendo verso St.Etienne, anche perchè siamo ancora vicini all’area urbana di Lione – tant’è vero che l’autostrada in questo tratto è ancora gratuita – e corre a volte fra case e palazzi, con un tracciato spesso stretto e un po’ tortuoso.

Passata questa città, però, si ritorna agli standard precedenti di traffico e di comodità, mentre il nastro d’asfalto attraversa una bella regione di colline coperte di boschi, di cui spesso segue i versanti con continui saliscendi.

Quando arriviamo a Clermont-Ferrand è ora di pranzo e di fare un’altro pieno.

Usciamo dall’autostrada e ci fermiamo nel parcheggio semideserto dell’immancabile hiper-marchè, dopo qualche peripezia per trovarne l’ingresso. Ora il sole picchia forte anche qui.

Poco più di un’ora dopo siamo di nuovo in autostrada per l’ultima tappa del nostro spostamento verso la Loira. Adesso il paesaggio è molto più dolce, spesso addirittura pianeggiante, e l’uscita di Vierzon arriva quasi prima che ce l’aspettassimo. Da qui proseguiamo su strade ordinarie, in mezzo alle case, alla gente; andremo pure più piano, ma ci sentiamo già un po’ più immersi nella vacanza. Per un lungo tratto procediamo lungo il canale che segue il corso dello Cher, passando da un paesino all’altro, con le case su un lato della strada e il canale distante solo a pochi metri dall’altro.

Spesso c’è gente che passeggia sugli argini erbosi, sotto una lunga fila di alti alberi ombrosi.

Il posto è molto attraente, soprattutto con il caldo di oggi. Siamo tentati di fermarci un attimo in uno dei frequenti parcheggi che arrivano praticamente sull’acqua, in uno ci sono anche dei camper, con tanto di tendalino fuori, ma ormai cominciamo a sentire il “profumo” del nostro obbiettivo, il lungo viaggio è quasi finito e non vogliamo rimandare! Infatti non ci vuole ancora molto ed arriviamo a Cheverny.

Trovare il parcheggio che fa per noi non è difficile, anche perchè già un’altra decina di camper ci hanno preceduto. Anche se il castello è ormai in orario di chiusura – del resto avevamo già programmato di rimandare all’indomani la sua visita – facciamo subito quattro passi per il paesino, poche case e una deliziosa chiesetta preceduta da un semplice portico, per verificare orari e prezzi alla biglietteria.

Il pomeriggio non finisce mai. Viaggiando verso nord siamo arrivati a latitudini in cui c’è qualche sprazzo di luce fin oltre le undici, questo fatto disorienta le nostre povere abitudini mediterranee. Ceniamo e poi facciamo ancora due passi in paese, ma poi, quando è il momento di andare a dormire ed è ancora giorno pieno, dobbiamo controbattere alle proteste di Andrea che, avendo – tra l’altro – dormito per buona parte del viaggio, non vede proprio il motivo di andare a letto “così presto”. GIORNO 3 – LUNEDI 7 LUGLIO 2003 Dopo una notte tranquilla e silenziosa, siamo pronti davanti all’ingresso del castello di Cheverny già qualche minuto prima dell’apertura. Sarà il primo di molti castelli che visiteremo nei prossimi tre giorni e, considerato il prezzo medio dei biglietti, dovremo fare una selezione tra ciò che vale la pena di visitare all’interno e dove, invece, si può soprassedere. Due sere fa c’è stata, nel giardino antistante il castello, la rappresentazione dell’opera “Le Nozze di Figaro” e, per questo, sono state allestite delle strutture per il palcoscenico e per il pubblico che ora sono in via di smontaggio. Ormai la parte più ingombrante è già stata tolta, ma possiamo comunque usufruire di una speciale riduzione, dal momento che non possiamo fruire del complesso al cento per cento. Troviamo la cosa molto onesta e ci domandiamo in quanti siti storici italiani sarebbe avvenuto lo stesso. Il castello è un elegante palazzo immerso in un bel parco all’inglese e preceduto da un semplice giardino in cui le parti fiorite delle aiuole sono state sostituite da tracce di breccia che sottolineano le loro forme, che cosa non si fa per risparmiare…Pensiamo! L’attrattiva principale del castello è il suo interno, che sembra essere il più completo di mobilio originale di tutta la valle della Loira. In effetti è vero, il castello è di proprietà privata e, probabilmente, è stato abitato fino a non molti decenni fa. Ha ancora l’atmosfera, tutto sommato, di una casa vissuta; ci ricorda un po’ le Stately Homes inglesi.

La seconda tappa di oggi è il famosissimo castello di Chambord, distante pochi chilometri. Questo, al contrario del precedente, è un castello reale, il che significa che, per forza di cose, è molto più povero all’interno, dal momento che era uso che il mobilio precedesse la corte nei suoi spostamenti da castello a castello. Già prima di arrivare ci scontriamo con l’ottusità e l’ignoranza del personale: una prima parcheggiatrice insiste a mandarci in un parcheggio molto più lontano adducendo il motivo che quello dove siamo è pieno, anche se chiaramente non è vero, poi, nel secondo, un’altra insiste a farci parcheggiare in una non meglio precisata zona fuorimano, che non riesce a spiegarci, nonostante quel parcheggio sia praticamente vuoto. Ci adeguiamo, per evitare discussioni! Decidiamo di risparmiare i non pochi euro dei biglietti di ingresso e di goderci lo spettacolo dei suoi tetti – con guglie, camini e abbaini – solo dall’esterno. Il castello è, in effetti, molto bello, anche se necessiterebbe di lavori di restauro, soprattutto per i merletti che ne decorano i tetti. Mentre siamo nel giardino ci rendiamo conto che sta per cominciare nel maneggio uno spettacolo di arte equestre. Per tenere acceso l’interesse di Andrea decidiamo che è il caso di movimentare un po’ la giornata, ma i cani non possono entrare. Così mentre Lisa resta a passeggio con Judy, Roberto e Andrea si godono una mezz’oretta di spericolate acrobazie e simpatici sketch equestri.

Quando il gruppo si ricompone la visita volge ormai al termine e ripartiamo dopo aver dato qualche consiglio sull’alloggio – in base a quanto troviamo sulla L.P. – a due coppie di turisti lombardi che abbiamo rincontrato qui, dopo aver atteso insieme al mattino l’apertura del castello di Cheverny.

Il salto a Blois è veramente breve, ma poi la ricerca di un parcheggio è un po’ difficoltosa tra sensi unici e qualche divieto per camper. Troviamo alla fine un posto nel lungo parcheggio ricavato sull’argine della Loira. Dopo aver pranzato in camper attraversiamo a piedi il piccolo centro, per arrivare al castello, scoprendo scorci in cui affiora la città medievale. Questo è un genere diverso di castello. Innanzitutto è un castello di città, il che significa che ha origini molto più antiche delle residenza di campagna ed il suo scopo originario era la difesa, mentre solo in un secondo tempo fu trasformato in una residenza. Tutto questo fa sì che quello che oggi vediamo e il frutto della sovrapposizione e dell’aggiunta di parti in stili molto diversi che si sono “stratificate” nel tempo e costituisce il fascino di questo genere di castelli.

In questo un’ala è gotica, una rinascimentale, una neoclassica e sopravvive anche l’enorme Sala degli Stati, costruita in periodo feudale. Non sarebbe nelle nostre intenzioni visitarne l’interno, ma per accedere al cortile si deve già pagare il salato biglietto e nel cortile si trova la celebre scala elicoidale che, forse, è il capolavoro più interessante di tutto il castello: non possiamo rinunciare anche a questa! Con il portafogli così alleggerito ci sentiamo obbligati a sfruttare i nostri euro fino in fondo e decidiamo, quindi, di fare anche un giro degli appartamenti. Le stanze non sono certo arredate come quelle di Cheverny, ma la sobrietà degli arredi è compensata dalla ricchezza della struttura con elaborate porte gotiche, stupendi camini decorati e soffitti in legno dipinto. Nonostante le ricche decorazioni, qui si ha più la sensazione di trovarsi dentro una fortezza.

Rientriamo al camper, dove Judy questa volta ci ha aspettato, e proseguiamo verso ovest, lungo la riva sinistra della Loira. I castelli qui sono così numerosi che anche questa volta il tragitto è breve.

Parcheggiamo in paese e poi saliamo al castello di Chaumont a piedi, peccato che i torrioni accanto al ponte levatoio siano sotto restauro e coperti dalle impalcature. Di entrare pure in questo non se ne parla nemmeno, ci godiamo una passeggiata nel parco e il panorama sulla Loira che scorre ai piedi della collina, poi si riscende in paese. Riprendiamo la strada e passiamo sull’altra riva del fiume. Siamo alla ricerca di un campeggio perché è ora di fare una bella doccia con qualche comodità. Troviamo un campeggino senza pretese. Non è il quattro stelle – segnalato dalle guide – che cercavamo, ma ha tutto quello che ci serve, compreso un ottima griglia di scarico dei serbatoi. Stasera si cena fuori, nel semplice localino del campeggio, con hamburger, wurstel e patatine e un ottima birra gelata. Non sarà la raffinata cucina francese, ma è tutto quello che offre il convento, dal momento che l’albergo di fronte – una vecchia fattoria elegantemente ristrutturata e appartenente ai Logis de France – fa ristorante solo per i suoi ospiti.

GIORNO 4 – MARTEDI 8 LUGLIO 2003 Mentre stiamo preparandoci per la partenza una signora passa a consegnarci il pane fresco che avevamo ordinato ieri sera; eccezionale, servizio a domicilio!! Poco dopo riattraversiamo di nuovo il fiume e siamo ad Amboise, nostra prima meta di oggi.

Proviamo prima a parcheggiare nel parcheggio degli autobus, ma c’è un cartello di divieto un po’ ambiguo, così ci spostiamo un po’ più avanti, dove non ci sono ambiguità ed altri camper già parcheggiati.

Torniamo sui nostri passi, questa volta a piedi, verso il centro.

Passiamo per le belle vie animate che giacciono proprio sotto il castello e ci dirigiamo subito verso la Clos-Lucé.

Non avevamo realizzato che fosse così lontana! Dopo una bella passeggiata arriviamo finalmente al castelletto, che fu la dimora di Leonardo Da Vinci nei suoi ultimi anni di vita.

L’edificio è un bel palazzotto a mattoni e all’interno gli spazi angusti e la ricchezza di mobilio originale gli danno un fascino particolare, dovuto all’atmosfera che vi si respira, diversa dai pomposi grandi castelli. La cosa più incredibile, però, è il fatto che negli scantinati e, soprattutto, nel vasto parco è stato creato una sorta di parco tematico su Leonardo, con i modelli e le ricostruzioni a grandezza reale delle sue invenzioni e delle sue macchine, con audiovisivi – in svariate lingue, tra cui, finalmente, anche l’italiano – e la possibilità in interagire con queste ricostruzioni.

Fra ponti girevoli, macchine volanti e carri armati, Andrea si diverte un mondo a schiacciare il pulsante che fa sparare una sorta di cannoncino multiplo, con tanto di fumo che esce dalle canne! Continua ad aspettare che il meccanismo si ricarichi per poter pigiare di nuovo il pulsante.

Non riusciamo proprio a staccarlo da lì.

Ci interroghiamo sul perché un parco di questo genere si trovi qui, dove Leonardo ha vissuto solo tre anni, e non nel paese che gli ha dato i natali e che fu il teatro della maggior parte dei suoi lavori.

Perché in Italia non c’ha pensato nessuno? Ritorniamo verso il centro e saliamo al castello.

Vorremmo almeno entrare nel cortile, ma bisogna già pagare il biglietto.

Un rapido consulto, con l’aiuto della guida, e decidiamo che non ne vale la pena.

Vale invece la pena allungare un po’ la strada ed arrivare sul ponte che gli sta di fronte, per godere della vista più bella: il Logis du Roi è l’unico sopravvissuto tra gli edifici che circondavano la vasta terrazza ed il suo fronte gotico che domina il fiume – tra torri e torrette, alte finestre e abbaini – è molto elegante. Breve sosta al solito grande supermercato di periferia e poi lasciamo Amboise.

Prossima tappa Chenonceaux ed il suo elegante castello sul fiume Cher.

Appena arrivati nella bella e affollata area del parcheggio riservata ai camper – ha l’aria di essere un buon posto anche per passare la notte, tranquilla e circondata dal verde com’è – pranziamo, quindi ci avviamo verso l’ingresso del parco. Il castello è preceduto da un magnifico viale, dai suoi eleganti giardini fioriti ed, infine, dalla terrazza sul fiume, dominata da un torrione quattrocentesco, poi un ponticello immette nell’edificio principale.

Essendo Judy con noi, come al solito dobbiamo dividerci.

Lisa ed Andrea preferiscono impiegare il loro “turno” per una gita in barca sul fiume, per apprezzare il castello da una prospettiva diversa – visto che il castello è, in pratica, un vero e proprio “ponte” sullo Cher – e per rispolverare la tecnica di remata (di Lisa, ovviamente), che non è poi così arrugginita! Roberto resta alle prese con Judy, che di tutti quanti è la più preoccupata nel veder allontanare parte della famiglia sulla barchetta (o, forse, non avrà fiducia nelle attitudini marinare di Lisa?!) e, al ritorno degli altri, entra a visitare gli interni, visto che sono compresi nel biglietto già pagato.

Alla fine risultano però piuttosto deludenti: il castello vero e proprio è molto piccolo e la maggior parte dell’edificio è occupata dalle gallerie, abbastanza scarne, che portano fino sulla sponda opposta del fiume.

Decisamente meglio l’esterno, così originale ed elegante.

Siamo molto in ritardo sulla tabella di marcia di oggi, ma decidiamo di effettuare lo stesso la deviazione per Loches.

Ora è il sonno di Andrea a creare problemi e a costringerci a fare la visita separati, con un ulteriore perdita di tempo! Comincia Roberto.

Partendo da Place de Verdun, dove abbiamo parcheggiato, si sale alla cittadella per raggiungere il donjon. E’ ancora aperto, anche se non c’è molto tempo per la visita, ma il giro del torrione e delle rovine che lo circondano non è molto impegnativo, la cosa più interessante è costituita dal panorama della città dalla sua sommità.

Passata la romanica collegiale di St.Ours – con un bel portale scolpito su cui rimangono alcune tracce dei colori originali – si arriva al Logis Royal, che a quest’ora è ormai chiuso, peccato! Un giro un po’ ampio sulla via del ritorno permette di arrivare al centro della cittadina prima di rientrare al camper.

Ora tocca a Lisa, che ripete lo stesso giro, sulle indicazioni di Roberto.

Andrea ancora dorme! E’ così tardi che dovremo rinunciare alla visita di Tour, nostro malgrado! Consultiamo la carta stradale e scegliamo una tortuosa strada secondaria lungo il corso dell’Indre.

E’ segnata come strada scenografica per un lungo tratto della sua lunghezza ed attraversa un bel numero di paesi e paesini, evitando la città ed arrivando dritta dritta ad Azay Le Rideau.

Arriviamo soddisfatti, come al solito, di aver preferito stradine di campagna alle veloci arterie principali ed aver “vissuto” da vicino un altro tratto della bella campagna francese.

Entriamo nel ridente paesino per un giro perlustrativo e poi ritorniamo sui nostri passi nel parcheggio al di là ponte, lungo un ramo del fiume in mezzo al quale un’isoletta è occupata da un piccolo, molto pittoresco, vecchio mulino.

Anche qui, ovviamente, non siamo soli; ci sono altri quattro o cinque equipaggi, ma siamo gli unici italiani.

Abbiamo il tempo di cenare e poi possiamo raggiungere, con calma, l’ingresso del castello per lo spettacolo di suoni e luci.

Alle dieci e mezza inizia lo spettacolo.

Uno spettacolo molto diverso da quello che ci si può aspettare da un classico son et lumiere! Lungo una passeggiata nel parco si svolgono una decina di “scene” e giochi di luce a tema, a volte proiettate sulle mura del castello, a volte fra i rami dei secolari alberi del parco, a volte sui prati.

Un modo insolito di godere delle bellezze di un castello che, pur non essendo tra i maggiori, sembra essere tra i più belli.

Anche Andrea lo apprezza molto. In effetti certi balletti di luce sulle facciate del castello sono proprio affascinanti, resteremmo a guardarli per ore! GIORNO 5 – MERCOLEDI 9 LUGLIO 2003 Ritorniamo al castello di buon ora, tanto che c’è ancora poca gente in giro.

Avevamo qualche dubbio sulla necessità di una visita più… Tradizionale del castello di Azay Le Rideau, ma dopo la bella impressione che abbiamo avuto ieri sera ogni dubbio è svanito. Giriamo il castello in lungo e in largo.

Dentro non è niente di eccezionale, ma l’esterno è davvero bello.

Si potrebbe anche dire che sia il più elegante che abbiamo visto! Piccolo e compatto, semplice nelle sue linee essenziali, ma abbellito dalle eleganti torrette degli angoli e, nella parte superiore, dai ricchi abbaini di pietra chiara che contrastano con il ripido tetto scuro, il palazzo sorge direttamente dall’acqua dei laghetti – in cui nuotano cigni e nutrie – che lo circondano su quasi tutti i lati.

Anche questo gli dà un fascino particolare.

Ci godiamo la visita con calma prima di tornare al camper e riprendere la strada, alla volta di Villandry e dei suoi famosi giardini.

Anche oggi sta rapidamente diventando molto caldo. Per la visita dobbiamo lasciare Judy in camper. Sotto questo sole diventerà velocemente un forno, povera Judy! Speriamo che il ventilatore al massimo sia sufficiente! La nostra visita riguarderà esclusivamente il parco, che per gran parte è tenuto a giardino.

Risparmieremo qualche euro, vedendo, comunque, gli spettacoli più belli che può offrire.

Il giardino è diviso in varie zone, ognuna con il suo carattere.

La prima che incontriamo sembra un giardino, ma, in realtà, sarebbe meglio chiamarla orto, dal momento che le piante che la ornano sono cavoli, fagiolini, zucche ed altri ortaggi di vari tipi che con i loro variegati colori danno alle elaborate aiuole un aspetto “fiorito”.

Saliamo, poi, al “giardino dei semplici” – il giardino delle erbe – formato da piante aromatiche ed erbe medicinali e chiuso da un lungo pergolato di viti.

Più in alto è il giardino dell’acqua, disposto intorno ad un ampio laghetto, da cui l’acqua scende in cascatelle fino ai giardini e al castello.

L’ultimo è il giardino ornamentale, proprio accanto al castello. Il tema qui è l’amore, rappresentato dalle forme geometriche delle aiuole nei suoi aspetti tenero, tragico, volubile, passionale. Il simbolismo romantico vorrebbe le aiuole come dei cuori, ma è così astratto che ci sono casi in cui è davvero difficile riuscire a riconoscerli, anche seguendo le indicazioni dell’opuscolo che ci hanno dato all’ingresso! Davvero unico questo giardino e davvero rilassante camminare sotto gli alberi dei suoi viali, soprattutto camminare a piedi nudi sull’erba dei viali superiori, oppure sedersi ad ammirare i giardini inferiori, mentre Andrea approfitta dei giochi lì accanto.

Uscendo ci fermiamo a bere qualcosa di fresco al chiosco accanto all’ingresso. Il sole ora scotta.

Scambiamo due parole con una coppia inglese in viaggio con una bambina molto piccola… e noi che ci facciamo tanti problemi per Andrea!! Judy sta bene, ma si è bevuta tutta l’acqua che le abbiamo lasciato; cosa strana per lei che, quando è nervosa per la nostra assenza, non beve mai. Deve averne avuto proprio bisogno! Langeais è giusto al di là della Loira, pochi minuti – forse un quarto d’ora in tutto – e ci siamo.

Andrea, comunque, ha avuto il tempo di addormentarsi, cullato dal movimento della macchina, e, come al solito, dobbiamo fare la visita singolarmente.

Comincia Roberto, con una passeggiatina fin dentro il cortile del castello, poi è la volta di Lisa, che fa un giretto un po’ più lungo fra le viuzze del paesino, in cerca anche di scorci caratteristici.

Il castello è in mezzo alle casette e le domina con la sua mole di pietra scura.

Una rampa sale al ponte levatoio e questo penetra nelle mura tra due grandi torrioni cilindrici. Decisamente ha l’aspetto di una fortezza! Con poche concessioni a lusso e raffinatezza.

Peccato che la parte più antica del castello sia in completa rovina.

Riattraversiamo la Loira e prendiamo, sulla destra, una stradina che ne segue l’argine e che spesso è tanto stretta da darci, più di una volta, qualche preoccupazione nell’incrociare altri veicoli.

Tornati sulla strada principale, siamo praticamente già arrivati ad Ussé. Nel grande parcheggio davanti all’ingresso del castello non c’è molto posto.

Ci infiliamo tra altri due camper – qui, contrariamente ai due castelli precedenti, ce ne sono parecchi – e ci godiamo quel poco di brezzolina leggera che c’è pranzando con tutte le finestre aperte ed il ventilatore a manetta.

Questo è il castello più caro in assoluto e, a quanto abbiamo letto sui resoconti di altri viaggiatori, non ne vale nemmeno tanto la pena.

Sarà per la fama che ricava dall’essere l’ispiratore del castello della Bella Addormentata nel Bosco.

Guglie ed abbaini, torri e torrette, gli danno proprio quello che ormai, nell’immaginario collettivo, è l’aspetto del castello delle favole, ma, tutto sommato, ne abbiamo visti di più belli.

Scattiamo qualche foto passeggiando lungo la strada – che costeggia la più bassa delle terrazze che ne sono i giardini – e poi ripartiamo. La nostra strada passa per Chinon e, anziché prendere la tangenziale, entriamo in città per dare un’occhiata anche al castello di qui.

Complessivamente poco è rimasto della fortezza medievale, appollaiata in cima allo sperone di roccia. Percorrere la strada che gira intorno alla collina e poi attraversare il ponte sulla Vienne ci permette di godere della vista del castello in molte delle sue prospettive.

Al di là del fiume ci fermiamo un attimo, qui forse si ha la vista più completa e più bella del castello che domina i quartieri più vecchi della cittadina.

Ci rammarichiamo di non poter dedicargli una sosta più lunga, come avevamo programmato. Sicuramente l’avrebbe meritata, ma le esigenze di Andrea dilatano talmente i tempi che, purtroppo, qualcosa si deve tagliare! Un altro breve balzo e siamo Fontevraud l’Abbaye.

Ci fermiamo nel parcheggio degli autobus, come indicato dai cartelli. In effetti ci sono più camper che autobus! Una lunga viuzza pedonale tra belle casette antiche ed un giardino pubblico ci porta alla vecchia parrocchiale e, di qui, l’ingresso dell’abbazia è a pochi passi.

Le vicissitudini della storia hanno molto provato l’abbazia più grande di Francia fondata nel secolo XII: dal ‘500 alla rivoluzione e poi il carcere che l’ha occupata fino al 1985. La grande chiesa abbaziale, dalle forme romaniche, dev’essere oggi soltanto l’ombra di ciò che era al tempo del suo splendore, con le sue sculture più belle offese dalle ottuse mani sacrileghe degli ugonotti e pochi lembi di affreschi superstiti.

La facciata è coperta dalle impalcature dei lavori di restauro che ancora oggi vanno avanti, ma il grande interno è ancora maestoso.

E, poi, che sorpresa! Che ci fanno qui le tombe dei re d’Inghilterra? E’ proprio la necropoli reale dei Plantageneti! C’è addirittura Riccardo Cuor di Leone! Le tombe, con i loro colori vivaci originali, sono il pezzo forte della chiesa e il collegamento con i crociati e con la storia di Robin Hood eccita la fantasia di Andrea, che parte al galoppo, tra navata e transetto, come fosse nella foresta di Sherwood! Continuiamo il giro per l’enorme abbazia lasciando per ultimo l’edificio più interessante: lo chiamano la cucina, ma probabilmente si trattava di un affumicatoio (non è ancora certo il suo effettivo uso) un unico ambiente curioso all’esterno – coi suoi venti camini tutt’intorno e fino in cima al tetto acuminato – quanto interessante all’interno, con il passaggio dalla forma ottagonale a quella quadrata e poi di nuovo a quella ottagonale.

Riprendiamo il cammino.

Pochi chilometri e torniamo lungo il corso della Loira, su una strada che attraversa, quasi senza interruzione, un susseguirsi di paesini addossati ai bianchi dirupi di travertino su cui sono scavate le caverne di un numero impressionante di abitazioni trogloditiche – dicono che questa è l’area con la più alta densità in Europa – che oggi sono spesso adibite a cantine e a punti di degustazione e di vendita degli ottimi vini di questa zona.

Attraversiamo Saumur, dominata dal suo possente castello, alto sulla collina a dominare la città vecchia ed il fiume.

La nostra strada costeggia il centro e ci lascia l’idea di una bella città vivace.

Da qui proseguiamo per Angers.

Attraversato il fiume, non ci fidiamo della segnaletica. Abbiamo imparato che, se hai le idee chiare, in Francia è più conveniente affidarsi ad una buona carta stradale ed al proprio senso di orientamento che alla segnaletica! Ignoriamo, dunque, le indicazioni per Angers e continuiamo “a naso”.

Uscendo dalla città, praticamente all’ultima rotatoria, finalmente l’indicazione “Angers turistique” conferma le nostre intuizioni.

La strada è molto bella.

Corre per tutta la sua lunghezza sull’argine destro della Loira, incrociando, di tanto in tanto, qualche tranquillo paesino appisolato nel caldo del tardo pomeriggio.

Il traffico è scarso.

Ci godiamo la vista del fiume, che ormai – avvicinandoci al mare – ha un letto molto ampio e un aria molto tranquilla.

C’è proprio una gradevole sensazione di pace intorno.

Il traffico non aumenta neanche entrando nella città di Angers.

Arriviamo nella zona che le nostre scartoffie ci indicano adatta al pernottamento senza colpo ferire.

Le indicazioni, però, non sono precise: parlano di Place Larochefoucauld-Liancourt e, quindi andiamo a vederla. C’è un enorme parcheggio per autocarri con un gran via vai di mezzi ed, intorno, un sacco di sporcizia e barboni dall’aspetto poco rassicurante.

No, non è proprio il posto per noi!! Ritorniamo indietro ad imboccare Quai des Carmes, cercando di interpretare altre indicazioni.

Ci siamo! Sopra un piccolo porticciolo turistico fluviale, c’è una piccola area di sosta (teoricamente per quattro mezzi, ma è già occupata da veicoli che col campeggio non hanno niente a che vedere) dotata della solita colonnina del “camper service”.

Quando arriviamo c’è soltanto un camper ungherese, ma nel giro di qualche ora – gli ultimi arrivano a notte fonda – arrivano diversi altri mezzi, tra cui quello di una coppia italiana, ed il posto disponibile non è più sufficiente.

Il posto è carino.

Di fronte, al di là del fiume, ci sono le possenti mura del castello ducale.

C’è anche un bar con una terrazza all’aperto proprio sotto a noi. Ne approfittiamo, appena ci siamo sistemati, per una bella birra gelata che ci sollevi dalla calura di quaggiù. GIORNO 6 – GIOVEDI 10 LUGLIO 2003 La notte non è stata un gran che: caldo afoso e senza la possibilità di tenere le finestre molto aperte, dal momento che siamo praticamente per strada in centro città. Andrea, in particolare, si sveglia con la luna di traverso e si impunta sul fatto che non vuole per nessun motivo uscire a visitare la città. Bisogna dargliela vinta se vogliamo evitare una tragedia. Morale della favola, Roberto esce da solo per un veloce giro di Angers. Si comincia dalla scenografica scalinata che parte giusto al di là del fiume e sale fino al duomo. La facciata è in restauro; peccato, perchè lassù in cima sarebbe stata una bella foto! In giro c’è poca gente.

A poca distanza dalla cattedrale c’è una bella casa a graticcio – enorme, saranno almeno cinque o sei piani – elegante ed in ottime condizioni. Lo stile è molto simile a quello di molte vecchie case in Germania, eppure siamo così lontani! Qui comincia la parte più moderna del centro città: i palazzi diventano più alti e le piazze più monumentali. Poi, ancora pochi passi e si arriva sotto le mura del castello, difeso da una poderosa cinta di mura a massicci torrioni rotondi che si susseguono quasi senza interruzione. La prima cosa che salta all’occhio, però, è il disegno di righe orizzontali bianche e nere – dovuto alla pietra con cui è costruito – che dà alle mura un aspetto ancora più possente, mitigato, però, dai curatissimi giardini fioriti che occupano e vivacizzano quello che una volta era il fossato. All’interno c’è un museo che conserva dei giganteschi arazzi, sarebbe interessante visitarlo, ma il resto della truppa aspetta e quindi è meglio avviarsi sulla via del ritorno. Il camper è proprio laggiù, di fronte, dall’altra parte del fiume. Per arrivarci si passa tra le basse casette della città vecchia, su stradine acciottolate. Non sembra il centro di una grande città, ma manca di personalità. Questa zona è considerata monumento storico. Viene spontanea, una volta di più, una riflessione sulla capacità dei francesi di valorizzare il loro patrimonio.

Appena ci siamo ricongiunti si parte. Basta mancare una svolta e ci troviamo tra le stradine a senso unico del centro, per fortuna ne usciamo abbastanza bene e, in quattro e quattr’otto, imbocchiamo la “quattro corsie” che corre lungo il fiume.

Lasciamo, per ora, la valle della Loira. La riprenderemo nell’ultima parte del viaggio riscendendo dalla Bretagna fino ed oltre Nantes.

Fino a Le Mans ci conduce una comoda autostrada, purtroppo è a pagamento, ma non si può avere tutto! Arriviamo che è ora di pranzo. Ci piazziamo nel parcheggio, a pagamento, della grande Place des Jacobins. Anche qui è molto caldo, il ventilatore – a tutta manetta – ci dà un po’ di refrigerio mentre mangiamo godendoci la stupenda vista dell’abside della cattedrale.

La città vecchia è molto piccola, racchiusa tra antiche mura di origine romana. La cattedrale gotico-fiammeggiante è il fiore all’occhiello della città, ma, tutt’intorno, nella piazza che le sta davanti e nelle viuzze che da qui si dipartono, si trovano incastonati stupendi gioielli medievali e rinascimentali. Alcune sono case a graticcio – dalle facciate arricchite di belle sculture in legno e con vetri a fondo di bottiglia alle finestre – a cui il tempo ha dato spesso un aspetto precario rigonfiando molti muri, schiacciati sotto il proprio stesso peso. In un paio di queste ha sede un museo, vorremmo tentarne la visita, ma Andrea non è della stessa opinione e così, ahimè… Rinunciamo! La piazza della cattedrale possiede un’atmosfera così suggestiva, data dalle ricche case in pietra e dai suggestivi scorci, che è stata il set di importanti produzioni cinematografiche.

Spostiamo il camper sul lato opposto del centro storico, in un’altro comodo parcheggio su Quai Louis Blanc, tra la cinta ed il fiume – questa volta gratuito – per una passeggiata lungo le mura romane. Sono mura insolite: innanzi tutto sono in laterizio e non in pietra, e poi sono caratterizzate da piacevoli disegni geometrici realizzati a mattoni e da inserti di ceramica colorata. Sulla riva opposta notiamo alcuni camper parcheggiati.

E’ ora di rimetterci in marcia. Ci aspetta un bel viaggio, destinazione… Rouen! La strada è lunga e piuttosto monotona, fatta eccezione per pochi tratti in cui il paesaggio diventa più verde e movimentato. Riprendiamo strade a scorrimento veloce soltanto quando siamo ormai a pochi chilometri dalla nostra destinazione. E per fortuna! perchè entriamo in città attraversando chilometri e chilometri di zone industriali e portuali. Alla fine attraversiamo la Senna e siamo praticamente in centro di Rouen.

Visitare la città con il poco tempo che abbiamo è impensabile, ma possiamo sfruttarlo per arrivare sulla corniche de Rouen e goderci il panorama. Del resto la guida dice che la sera è il momento migliore per salire al belvedere de St.Catherine e ormai sono quasi le sette, quindi…

Con qualche incertezza, visto che la segnaletica è quasi inesistente, imbocchiamo la strada giusta: una stradina tra casette senza pretese che si inerpica sulla collina, quasi non sembra di essere in Francia! Ma la strada è quella e l’arrivo alla terrazza del belvedere ce lo conferma.

Tutta la città, enorme, si stende ai nostri piedi, divisa dal corso sinuoso della Senna.

Da una parte, sulla riva destra, c’è il centro e la parte residenziale che riempie un’ampia conca adagiata sul fiume, per poi risalirne i fianchi fino a “colonizzarne”, a volte, le cime delle colline circostanti.

Dall’altra – a sinistra, nella direzione da cui siamo arrivati – pochi palazzi e tanti impianti industriali, che riempiono completamente la grande ansa del fiume e in lontananza, a volte, nella periferia più esterna, sbarcano anche sulla riva opposta e si perdono nella leggera foschia.

Qui si sta bene, il posto è tranquillo e c’è un po’ di venticello che mitiga il calore del sole ancora alto. Forse è per questo che le coppiette sedute sulle panchine hanno scelto questo posto. Mi sa che noi turisti roviniamo l’atmosfera! Ce ne andiamo, in fondo dobbiamo ancora trovare il campeggio e non abbiamo la minima idea di dove sia. Lisa si mette alla guida e Roberto studia la città sulle mappe. Forse il sobborgo dove si trova è questo qua, esattamente dalla parte opposta. Ora il problema è arrivarci! Ridiscendiamo seguendo un’altro itinerario in un bel quartiere residenziale, poi ci gettiamo nel traffico del centro percorrendo un tratto lungo la Senna e alla fine, come per incanto, ecco un piccolo segnale che ci indirizza verso Deville les Rouen, la zona che ci interessa. Trovare il campeggio comunale alla fine risulta semplice, anche se il fatto che si trova quasi al capo opposto del paese-quartiere ci fa, per un attimo, temere il peggio. La reception ha appena chiuso, pagheremo domani. L’importante è trovare un buon posto all’ombra, vogliamo a tutti i costi evitare di passare un’altra notte come la precedente! Almeno stasera potremo usufruire di una bella doccia comoda, è già un buon inizio! C’è parecchia gente, anche stranieri, ma un solo equipaggio italiano, oltre a noi.

Il campeggio è semplice, ma essenziale, e non dispone di impianti di scarico. Non importa, potremo scaricare domani a Honfleur.

GIORNO 7 – VENERDI 11 LUGLIO 2003 Ci svegliamo rinfrancati da una notte molto migliore della precedente e andiamo in centro in camper. Ieri sera ne abbiamo visti alcuni fermi nei grandi parcheggi lungo il fiume, sulla riva opposta al centro, probabilmente hanno passato lì la notte. Andremo a dare un’occhiata! Dopo un lungo giro – per raggiungere la rampa che scende al livello dei parcheggi – parcheggiamo accanto ad un italiano e poco distante da uno spagnolo, questa mattina non c’è nessun altro, ma sembra un posto abbastanza tranquillo.

Lasciamo Judy a fare la guardia e ci avventuriamo per la visita di Rouen.

Prima sosta alla cattedrale, tanto cara a Monet, poi arriviamo alla splendida chiesa gotica di St.Maclou. La città ha un aspetto molto più vivace e decisamente più turistico di tante altre, del resto non dobbiamo scordarci che è il capoluogo della Normandia! La cattedrale è molto bella e, mentre indugiamo di nuovo ad ammirarne la facciata, Andrea scopre che poco distante parte il giro del locale trenino turistico. Avevamo promesso che saremmo saliti, prima o poi, su uno di questi trenini e, si sa, ogni promessa è un debito! In fondo il piccolino non è stato poi così intrattabile – anzi! – considerando che è già passata quasi una settimana fitta fitta di cose da fare e da vedere. In fondo se l’è proprio meritato! Il percorso dura quasi un’ora buona e ci fa fare un giro rapido della città vecchia con tanto di spiegazione audio in francese e in inglese, ma l’autista ci distribuisce anche un testo in italiano. Tutto sommato un bel modo per avere una prima idea della città, se non fosse che se ne vanno quasi 13 euro! Rifacciamo, poi, a piedi, una parte del percorso del trenino nella zona più caratteristica della città, piena di turisti e di gente che fa shopping, tra bei monumenti, eleganti negozi ed innumerevoli bar e ristoranti che traboccano di gente. Mangiamo anche noi qualcosa al volo: chi un trancio di una favolosa quiche, chi un Happy Meal di McDonald’s (facile indovinare chi dei tre!!!), e arriviamo fino alla piazza del vecchio mercato.

Una città che ci piace molto, Rouen, così viva e vitale, ricca di opere d’arte; che integra, però, l’antico e il moderno. Accade nella modernissima chiesa di Giovanna D’Arco, dalle linee essenziali che mettono in risalto le splendide antiche vetrate policrome che riempiono la parate dietro l’altare. Oppure con la moderna ricostruzione – poco più di un rivolo d’acqua, ma di grande effetto, che scorre sul lato della via – a ricordo del ruscello che anticamente attraversava il vecchio quartiere dei tintori. Ce ne andiamo con il rimpianto di non averle dedicato, forse, il giusto tempo che avrebbe meritato.

Usciamo dalla città senza colpo ferire, dopo aver fatto sgranchire le gambe alla povera Judy che ci ha aspettato per diverse ore dentro il camper (un gioco sui sassi taglienti del parcheggio che le costerà, come ci accorgeremo subito, ferite ai polpastrelli di tutte e quattro le zampe) ed aver infranto qualche divieto di accesso, per evitare di finire chissà dove nella zona industriale seguendo i sensi unici (del resto bisogna anche dire, a nostra discolpa, che lo facciamo seguendo un buon numero di macchine “indigene”).

La strada che prendiamo è chiamata “strada della abbazie” perchè incontra, sul suo percorso, diversi monumenti di questo genere. Noi ne visiteremo solo una, la più importante.

Abbandoniamo la città attraversando una bella zona collinare coperta di boschi, poi torniamo accanto alla Senna e ne seguiamo il corso per un tratto praticamente quasi sul pelo dell’acqua, incrociando grosse navi dirette al porto di Rouen.

Jumiege non è lontana, ma quando ci arriviamo la stanchezza si impadronisce di tutti (a dire la verità Andrea si era addormentato poco dopo aver iniziato il viaggio e Lisa giaceva profondamente tra le braccia di Morfeo già da qualche chilometro); non resta che fermarsi per un riposino nel parcheggio riservato ad autobus e camper (dotato di pozzetto di scarico e colonnina per il rifornimento d’acqua).

La povera Judy non può rimanere di nuovo chiusa in camper, ma, d’altra parte, per un oscuro motivo – dato che l’abbazia è in rovina e quindi la visita si riduce ad una sorta di passeggiata in un parco – non può entrare, contrariamente a quanto abbiamo visto abitualmente nei giorni scorsi.

Questo ci costringe a visitarla in due turni distinti: cominciano Roberto e Andrea, poi toccherà a Lisa. Deve essere stata un centro importante ed un complesso imponente, come testimoniano i resti della chiesa e del convento che era annesso. La facciata della chiesa e le due torri sono praticamente integre, per il resto solo alcuni particolari, come finestre e qualche bel capitello, danno ormai la misura della ricchezza che deve aver caratterizzato il convento. Complessivamente il fatto di non poter girare liberamente tra le rovine, ma dover seguire, praticamente costretti da nastri bianco-rossi e transenne, degli itinerari più o meno prefissati toglie molto del fascino del mistero e della scoperta che luoghi come questo emanano. Niente a che vedere, purtroppo, col fascino di certe abbazie in rovina che abbiamo a suo tempo visitato in Gran Bretagna! Riprendiamo la strada diretti verso il mare.

Siamo molto in ritardo sulla tabella di marcia, questo ci costringe a saltare la visita di un’altra abbazia – quella di St.Wandrille, che a quest’ora, tra l’altro, è già chiusa – e a continuare direttamente, seguendo sempre il corso della Senna, verso il ponte di Normandia, il terzo e più grande ponte che ne scavalca l’estuario proprio dove sta diventando ormai mare aperto.

Attraversata la zona industriale di Le Havre su uno stradone praticamente deserto – tanto deserto che ad un certo punto pensiamo di aver sbagliato strada – imbocchiamo finalmente l’autostrada che porta al ponte: un autentico monumento di ingegneria con i suoi altissimi piloni slanciati e i numerosi tiranti che sorreggono elegantemente la struttura. Ci fermiamo nell’area di sosta subito prima del casello di pedaggio per dargli un’occhiata da vicino; da qui si può anche salire a piedi sul ponte stesso, ma sta cambiando il tempo e, dopo giorni di caldo afoso, qui soffia un vento piuttosto fastidioso.

Paghiamo il pedaggio ed affrontiamo la ripida salita del ponte per poi ridiscendere dalla parte opposta con un’impressione quasi da montagne russe, del resto qui sotto devono passare le navi dirette a Rouen! Appena ritornati sulla terraferma imbocchiamo la prima uscita e siamo ad Honfleur.

Entrando in città, nell’ultima rotatoria prima di arrivare in centro, un piccolo segnale sulla destra indica la deviazione per l’area attrezzata per i camper. Passiamo un ponte girevole e una quantità di inconfondibili sagome bianche parcheggiate in lontananza ci indica che la strada è quella giusta.

Il parcheggio è un enorme spiazzo non lontano dal mare dotato di due postazioni di scarico e carico delle acque e di innumerevoli prese di corrente. Il tutto è un po’ malridotto, ma per i nostri serbatoi fissi è comodissimo, molto più di tante bellissime colonnine che abbiamo incontrato fino ad ora e che continueremo ad incontrare nei prossimi giorni. E’ affollatissimo, ci sistemiamo in uno spazio tra camper di mezza Europa. Il pagamento avviene tramite l’acquisto di un biglietto di parcheggio valido 24 ore presso un normale parchimetro posto accanto all’ingresso. Pretende solo monete, che noi, naturalmente, non abbiamo a sufficienza. Dobbiamo andare a cambiare gli spicci in città, ci dice la poliziotta di servizio all’ingresso. Cogliamo la palla al balzo per andare a cena in centro, altrimenti – è la scusa – chi troveremmo mai disposto a “spicciarci” dieci euro.

Arrivare in centro è una bella passeggiata.

C’è un sacco di gente in giro e la cittadina ha proprio l’aspetto di un centro di villeggiatura. Scegliamo un ristorante consigliato dalla guida che, ovviamente, si trova al capo opposto del centro e, per di più, quando ci arriviamo scopriamo essere al completo. Mentre decidiamo sul da farsi una famiglia belga si ferma ad ammirare Judy – che, guarda caso, è un pastore belga! – ne nasce una conversazione su mille argomenti e, tra le altre cose, ci consigliano una bistrò che si affaccia sul porto vecchio. Rompiamo gli indugi e ci avviamo, visto che ormai è tardi e lo stomaco comincia a reclamare! E’ per noi il primo vero pasto alla francese. Con il fresco di questa sera una bella zuppa oppure un prelibato filetto – naturalmente entrambi di pesce e alla normanna – ci stanno benissimo!!! Prima di tornare al camper non possiamo non approfittare di una coloratissima giostra vecchio stile che fa bella mostra di se all’ingresso del porto vecchio per la felicità di Andrea e di molti altri bambini. Ormai è quasi buio. Sta finendo un’altra lunga giornata.

GIORNO 8 – SABATO 12 LUGLIO 2003 La giornata comincia con la visita di Honfleur, che nei progetti originali avremmo dovuto fare nella serata di ieri, ma che i ritardi accumulati ci hanno impedito. Non tutti i mali vengono per nuocere! Oggi è sabato ed è giorno di mercato, la cittadina è invasa in tutto il centro da bancarelle di ogni genere e c’è anche un gran via vai di gente, tra turisti e locali. Un modo simpatico per visitare una cittadina che non ha particolari interessi artistici o monumentali, ma che, nel suo insieme, è molto piacevole.

Ripercorriamo la strada che avevamo fatto ieri sera fino alla darsena del porto vecchio, circondata di case alte e strette, colorate a tinte vivaci, e sorvegliata – all’ingresso, che oggi è chiuso da un ponte girevole – da un severo palazzetto in pietra che è quasi un fortino. Poi saliamo alla piazzetta della chiesa, in legno, che, con il suo originale campanile isolato che ricorda la forma di una capanna, è l’edificio più interessante della cittadina. Anche qui è pieno di bancarelle. Facciamo qualche acquisto anche noi, è impossibile trattenerci! Prima di lasciare la città, è d’obbligo una fermata ad un supermercato per i necessari rifornimenti.

Poi via, alla volta di Caen, ma scegliamo di seguire per un buon tratto la strada costiera e passare per Deauville-Trouville, una delle località balneari più “in” di Francia.

Le due cittadine – unite e divise, nello stesso tempo, da un porto canale gremito di barche da diporto di ogni genere e dimensione – traboccano di folla e sarebbe difficile, anche volendo, trovare un posto per parcheggiare il nostro camper. Il nostro veloce passaggio ci lascia la sensazione di un’atmosfera familiare, simile a quella delle nostre località balneari mediterranee, complice, forse, il bel sole che splende oggi.

Prima di arrivare a Caen, decidiamo di riprendere le strade a scorrimento veloce, per entrare in città nella maniera più conveniente ed arrivare direttamente ai monumenti che sono il nostro primo obbiettivo. I nostri sforzi, però, sono vani perchè, arrivati all’Abbaye aux Dames, scopriamo che non ci sono parcheggi adeguati alle nostre dimensioni. Finiamo per parcheggiare lungo il bacino portuale della città. Sì, il bacino portuale, Caen non è una città di mare, ma, come molte città in Francia, è servita da una fitta rete di canali ed ha, comunque, un suo porto. Tornando a noi, pranziamo in camper sotto la provvidenziale ombra di alberi secolari e poi iniziamo a piedi quella che, invece, doveva essere una veloce visita soltanto di alcuni monumenti.

Appena avviati dobbiamo subito fermarci: il ponte girevole a pochi passi dal camper si sta aprendo. Andrea è incantato da tutta l’operazione e dal successivo passaggio delle barche in attesa. Il caldo è opprimente e in questo primo pomeriggio le strade sono quasi deserte.

Torniamo all’Abbazia delle Donne – che una volta era, ovviamente, un convento femminile – e poi raggiungiamo il castello. Al suo interno restano quasi soltanto ruderi di quelli che erano gli edifici originali, mentre è stato costruito un modernissimo edificio che ospita il Museo di Belle Arti.

Usciamo, un po’ delusi, dall’altro ingresso – anch’esso munito di barbacane – e scendiamo alla gotica chiesa di St.Pierre, che è per noi la rivelazione di questa città (le guide non ci avevano preparato alla sua bellezza, tanto che avevamo quasi deciso di non arrivarci).

Raggiungere a piedi la romanica Abbaye aux Hommes – anticamente convento maschile –è troppo impegnativo, preferiamo spostarci in camper, percorrendo gli ampi viali che chiudono a sud il centro.

L’abbazia è imponente ed il suo interno, seguendo precisamente i dettami dello stile romanico, scarno ed essenziale. Molto vivace e colorata è invece la grande piazza fiorita che, alle spalle dell’abbazia, precede la neoclassica facciata principale dell’ex-monastero e su cui si affacciano anche le suggestive rovine dei una più piccola chiesa gotica.

E’ ora di andare, anzi, a dire la verità, abbiamo ampiamente sforato anche oggi i nostri piani. Lasciamo Caen con il ricordo, complessivamente di una bella città, di cui abbiamo tralasciato, volutamente, la visita del Memoriale per la Pace, anche se molti lo indicano come il suo più importante e toccante monumento.

I momenti storici più importanti per la Normandia sono due. Il primo, ma più recente, che tutti conoscono e ricordano, è lo sbarco che nel 1943 ha dato, praticamente, il via alla liberazione dell’Europa dal nazismo. Ce n’è un altro, però, molto più antico e un po’ meno conosciuto che ha interessato la Normandia e il suo figlio più celebre. Tutti hanno almeno sentito parlare di Guglielmo il Conquistatore, ma, forse, non tutti sanno che era Duca di Normandia. Be’, questa giornata è, in pratica, dedicata a lui. Caen era la sua capitale e il castello di Caen era il suo castello, ma, ci domandiamo, si può andare in Normandia e non cedere al fascino di visitare il castello in cui nacque? La risposta, ovviamente, è no! E, così, eccoci a lasciare il capoluogo verso sud e prendere la strada per Falaise.

Arriviamo in paese proprio dalla strada che offre le viste più spettacolari del donjon, costruito a strapiombo sopra una rupe, quindi parcheggiamo, cercando inutilmente di approfittare dell’ombra creata dal grosso camion che ci sta accanto. Il giro sotto le mura, intorno alla collinetta la cui sommità è occupata dal castello, ci porta, alla fine, nella piazza principale, circondata dai soliti edifici pubblici in stile neoclassico e dalla parrocchiale gotica. Si sta avvicinando la festa nazionale del 14 luglio ed anche qui, come in tutta la Francia, si sente già lo spirito della festa con addobbi e bandiere.

Dalla piazza comincia la breve salita che porta all’ingresso del castello, è ancora aperto, ma proprio in quel momento passa la macchina del custode che sta uscendo. Con una improvvisata conversazione in francese ci spiega che sta chiudendo, che possiamo anche entrare per una discreta e veloce visita del cortile e che dobbiamo chiudere il cancello dietro di noi.

Almeno, questo capiamo…E questo facciamo! Per andare a Bayeux da qui, il percorso più breve taglia per la campagna seguendo una serie di strade secondarie.

Seguiremo questo tragitto. Forse non sarà il più veloce, ma certamente il più interessante.

La scelta è azzeccata: arriviamo a Bayeux ad un’ora più che decente dopo aver attraversato una bella zona di campagna cosparsa di gradevoli paesini, insomma la campagna francese più vera! Non molto facile è invece l’accesso in città, arrivando da una strada secondaria ci imbattiamo in ponte della ferrovia sotto cui non riusciamo a passare per una manciata di centimetri e la deviazione a cui siamo costretti ci porta su strade che mancano di indicazioni per il centro.

Perdiamo un bel po’ di tempo e, alla fine, fatichiamo parecchio anche nell’orientarci fra le viuzze della città vecchia, finendo – dulcis in fundo – in una zona che dovrebbe essere pedonale, o giù di lì. Per fortuna i francesi hanno pazienza! Le nostre scartoffie riportano indicazioni imprecise e piuttosto contraddittorie sulle possibilità di pernottamento. Diamo un’occhiata in giro e alla fine troviamo, in pieno centro, il grande parcheggio di Place Despaillienes – anche questo attrezzato di colonnina e pozzetto – dove si trovano già una mezza dozzina di camper, tutti francesi e tedeschi.

Anche stasera finiamo per cenare tardi. Ormai è diventata un’abitudine, ma almeno sfruttiamo in pieno la provvidenziale lunghezza delle giornate di quassù.

Dopo, c’è giusto il tempo della “passeggiatina igienica” per Judy! GIORNO 9 – DOMENICA 13 LUGLIO 2003 Ci svegliamo dopo una notte tranquilla, nonostante siamo nel centro della città di Bayeux.

Ci spostiamo subito con il camper e parcheggiamo a pochi passi da museo che custodisce la famosa tapisserie de la reyne Mathilde. Siamo i primi turisti ad entrare dopo l’apertura, tanto che alcune finestre non sono ancora state chiuse e, se vogliamo vedere l’audiovisivo di introduzione, dobbiamo chiuderle da soli.

L’arazzo – un genere di arazzo molto particolare, anche perchè molto precedente a quelli che, di solito, siamo abituati a vedere – è un capolavoro unico, che racconta, è proprio il caso dire così, in svariate decine di vivacissime scene – antenati dei fumetti moderni – la storia che portò all’invasione normanna della Gran Bretagna: quella per cui Guglielmo divenne “Il Conquistatore”.

Il museo possiede quest’unico, stupendo, pezzo, ma è inutile dire come siano stati capaci di valorizzare questo patrimonio – di per sé già di inestimabile valore – con filmati, commenti audio, audiovisivi, plastici, spiegazioni, approfondimenti, ricostruzioni ecc. … Tanto che si potrebbe quasi passare l’intera giornata ad approfondire la sua storia ed il suo significato.

Ahimè…Quanto abbiamo da imparare, noi italiani, a proposito di valorizzazione! Anche Andrea rimane incantato dai ricami colorati, sulla stoffa, che disegnano navi, guerrieri, battaglie e castelli nei minimi dettagli, nello svolgersi dei suoi 70 metri, tanto che torniamo a notare i singoli particolari riscorrendo l’arazzo in tutta la sua lunghezza per una seconda volta, prima di uscire.

La cattedrale non è molto distante e sarebbe un peccato non farci un salto. E’ considerata una delle più belle di Normandia e anche noi concordiamo con questo giudizio.

Purtroppo è domenica ed è l’ora della messa, così la visita all’interno si limita ad una “sbirciatina” giusto da oltre la porta principale, in compenso le giriamo completamente intorno all’esterno godendoci le guglie e i pinnacoli che caratterizzano il suo gotico. E’ ora di dirigerci verso le famose spiagge normanne, ma sulla strada ci sono cose meritano una deviazione. Seguiamo strade secondarie fra dolci colline, in una bella campagna rigogliosa – passando anche nel paese di Creully, dominato da un bel castello – e su stradine sempre più strette arriviamo al cinquecentesco castello di Fountaine Henry. Il castello è di proprietà privata ed oggi è chiuso. Non saremmo comunque entrati a visitarne l’interno, ma dovremo accontentarci di vedere dal cancello anche il prezioso esterno. Ripartiamo, le acque della Manica sono ormai ad un passo e, quando ci arriviamo, continuiamo a seguire la costa verso ovest per qualche chilometro fino ad arrivare ad Arromanches les Bains. Questo paese fu un punto strategico durante i giorni che seguirono le prime fasi dello sbarco perchè qui fu montato un enorme porto prefabbricato i cui resti sono ancora visibili nel mare che gli sta di fronte. Per questo sono stati realizzati proprio qui un piccolo ma interessante museo sullo sbarco – ed in particolare sulla realizzazione del porto, di cui illustra la geniale progettazione dei componenti modulari – e un cinema a 360 gradi, che proietta su una serie di schermi posti intorno agli spettatori, un filmato risultato di una intelligente, ed a volte commovente, fusione di immagini originali dell’epoca e di riprese moderne realizzate con tecniche particolari.

Ci fermiamo sulla sommità della collina sopra il paese, nel parcheggio a pagamento accanto al belvedere, raggiungiamo il cinema (entrano solo Roberto e Andrea perchè Lisa resta con Judy), poi torniamo in camper per il pranzo, rinfrescati dalla brezza marina, e subito dopo scendiamo al museo con l’immancabile trenino turistico che funge da navetta gratuita.

E’ il nostro primo impatto con la marea; ora è bassa e c’è qualche centinaio di metri di sabbia prima di arrivare all’acqua del mare. Sul tratto rimasto in secca giacciono alcuni grossi relitti di metallo dei pontoni che formavano il porto, corrosi ed incrostati, tra cui stanno giocando bande di bambini. In giro – sia sulla sabbia che nell’acqua – c’è un sacco di gente: chi passeggia, chi gioca, chi prende il sole. La tentazione di arrivare fino all’acqua è forte e ci lasciamo andare alla prima delle nostre camminate su quello che, per la metà del tempo, è, in effetti, il fondo del mare. Qui non si ha molto la sensazione che questa è una situazione temporanea e che fra poche ore il paesaggio sarà completamente diverso. C’è così tanta gente in giro che non si percepisce l’incertezza di questo precario equilibrio tra terra e mare, che poi, in fin dei conti, equilibrio proprio non è, visto che presto il mare ricomincerà a guadagnare terreno.

Una breve, ma interessante, visita al piccolo e affollatissimo museo e ripartiamo.

Ancora pochi chilometri verso ovest e, a Longues sur Mer, prendiamo la deviazione che ci porta sulla cima della scogliera. Qui si trova ancora una delle tante batterie di artiglieria che i tedeschi misero a guardia delle coste francesi e che, insieme a tutto un complesso di postazioni fortificate, presero il nome di Vallo Atlantico.

Il posto è piuttosto inquietante, ma suggestivo: sparpagliate fra i campi di grano quattro arcigne casematte in cemento armato proteggevano altrettanti cannoni – di cui oggi rimangono solo alcuni, corrosi dalla ruggine – rivolti verso il mare, mentre più in basso, sulla scogliera vera e propria, il bunker del comando dirigeva il tiro, protetto da nidi di mitragliatrici e postazioni di mortai.

L’attacco delle truppe alleate colpì in pieno uno dei cannoni e ne danneggiò gravemente un altro; il resto del reparto si arrese e, da allora, tutto è rimasto sospeso nel tempo a testimonianza di quei giorni della pazzia umana.

Proseguiamo, sempre ad ovest, fino a Colleville sur Mer. Una stradina – così stretta che è diventata a senso unico – ci porta direttamente sulla spiaggia.

Anche qui tanta gente: bagnanti, surfisti, gitanti della domenica.

Il posto è molto bello, subito dietro la spiaggia comincia la valletta da cui siamo arrivati e c’è molto verde. I grandi parcheggi a ridosso della spiaggia ormai sono quasi vuoti, ma nell’ultimo ci sono dei camper che sembrano attrezzati per restare qualche giorno.

Basta salire poche centinaia di metri lungo il sentiero che si arrampica sulla collina per arrivare ai piccoli monumenti innalzati a memoria dei reparti militari americani che pagarono un alto tributo di sangue su queste spiagge. Sono stati realizzati sopra altri bunker tedeschi e tutt’intorno, sul fianco della collina, si vedono piccoli dossi e cunette che sembrano i resti di trincee e ripari.

Secondo la guida questo è il miglior punto panoramico su Omaha Beach, che si estende da qui per chilometri e può essere abbracciata, d’infilata, in un’unico sguardo. Impressionante pensare quante vite sono state sacrificate qui in poche ore ed ora riposano nel vicino, smisurato, cimitero militare americano.

La nostra visita dei luoghi dello sbarco volge al termine, pochi chilometri verso l’interno e prendiamo la superstrada che ci porterà fino a Cherbourg.

Passiamo accanto al piccolo paese di St.Mere Eglise. Dai tetti delle case spunta la sagoma del campanile della parrocchiale, le cui guglie segnarono il destino del paracadutista americano che vi si impigliò col suo paracadute e che fu immortalato per sempre nel film Il Giorno più Lungo.

Nostro obiettivo è l’estrema punta della penisola del Cotentin, quindi entrati a Cherbourg non ci fermiamo nemmeno; attraversando la periferia, dopo aver trovato la strada giusta più per “fiuto” e senso di orientamento che seguendo la segnaletica, proseguiamo direttamente sulla strada che porta a Cap de la Hague. Dopo aver incontrato un’enorme complesso nucleare protetto da fili spinati e da una doppia recinzione elettrificata degna dei lager nazisti, il paesaggio diventa progressivamente più aspro e selvaggio, le eriche e le felci prendono il posto dei boschi e i muretti a secco che dividono le proprietà fanno pensare a panorami molto più nordici.

Scendiamo finalmente in riva al mare a Port Goury: quattro o cinque case intorno al porticciolo con un piccolo ristorante, che probabilmente ha anche qualche camera, un ufficio turistico, chiuso per la tarda ora, e un piccolo gruppo di servizi igienici pubblici impeccabili, se non fosse che il vento ha ammucchiato negli angoli interni una quantità di foglie secche.

A prima vista non sembra ci sia molta gente, ma quando arriviamo nel parcheggio – sterrato, ma, come al solito, dotato di colonnina per l’acqua e pozzetto di scarico per i wc a cassetta – ci accorgiamo che ci sono già almeno una ventina di camper, tanto che prendiamo forse l’ultimo posto ancora disponibile a ridosso del muro; c’è già parecchio vento e non vorremmo che durante la notte possa rinforzare.

Il sole stasera pare non voglia tramontare mai, ma, quando lo fa, ci regala uno grande spettacolo: la sua palla rossa scende lentamente tra la sagoma del faro, che svetta su un isolotto roccioso poco distante, ed una grossa croce di pietra dalle forme vagamente celtiche.

GIORNO 10 – LUNEDI 14 LUGLIO 2003 Ci svegliamo da una notte tranquilla e addirittura fredda: è la prima volta che siamo costretti ad entrare nei nostri sacchi a pelo.

La passeggiata mattutina di Judy è l’occasione per osservare, con un po’ di calma, il panorama che circonda Port Goury.

Nel mare davanti a noi, oltre la grande faro dell’isolotto, ci sono un altro paio di piccoli fari che, evidentemente, segnalano degli affioramenti di scogli.

La corrente, a pochi metri dalla riva, è tanto forte da sembrare un fiume che scorre indipendentemente dal resto delle acque circostanti. La potenza dell’acqua si vede chiaramente quando incontra degli scogli emergenti e, al suo passaggio, forma due piccole onde. E’ davvero impressionante.

Non lontano la costa si alza lentamente ed il pendio, prima di diventare scogliera, è occupato dalle case di un minuscolo paesino e da un boschetto, che sembra il parco di una villa. L’aspetto degli alberi ricorda i pini marittimi, chissà se è possibile a queste latitudini? Ieri sera a colpirci erano stati i colori che il sole, ormai prossimo al tramonto, dava a questo lembo di terra, oggi possiamo notare meglio i particolari.

In alto, in posizione strategica, ci sono le solite, immancabili, tetre, sagome scure dei bunker tedeschi, con al centro grandi aperture buie, orbe dei grossi pezzi di artiglieria.

Ripartiamo e, poco dopo, nel paese di Auderville, svoltiamo su stradine laterali che ci permetteranno di rimanere più vicini al bordo delle scogliere.

La strada è a tratti molto stretta ed alterna bellissimi panorami sulle falesie e su spiagge appartate – a ridosso di una di queste, in basso, vediamo un altro parcheggio affollato di camper – a tratti immersi in valli coperte di felci e vasti prati di erica.

Ci fermiamo nel parcheggio del Nez de Voidriet (con servizi igienici e fontanella d’acqua e servito da un semplice chiosco di ristoro, utilizzato soprattutto dagli escursionisti che percorrono la grande randonnee costiera), da qui proseguiamo a piedi per qualche centinaio di metri fino al punto panoramico che si trova sulla cima del nez vero e proprio e che permette di spaziare con lo sguardo sulle scogliere circostanti, con panorami mozzafiato a strapiombo sul mare.

Proseguiamo restando, per quanto possibile, sulle strade secondarie e queste ci portano nel paesino di Vauville (da queste parti sembra che i toponimi terminino tutti con ville!), il villaggio è veramente carino, ma il pezzo forte sono le ortensie: cespugli di dimensioni enormi – impossibili per i nostri climi – piantati un po’ dovunque e con una varietà di colorazioni impensabile. E’ Lisa, stavolta, a rimanere incantata! Scatta comunque qualche fotografia, anche se è convinta, già in partenza, che non renderanno certamente gli splendidi accostamenti di colori e le emozioni che ne derivano.

Oggi è il 14 luglio! E festa nazionale, in onore della presa della Bastiglia. E il nostro serbatoio è quasi vuoto.

Viene in nostro soccorso un provvidenziale supermercato, aperto nonostante la festività, nei pressi della cittadina di Carteret. Dev’essere una mosca bianca perchè c’è una quantità di gente impressionante e bisogna stare in fila anche per attraversarne il parcheggio. E’ la prima – e sarà pure l’unica – occasione in cui percepiamo nell’aria del nervosismo, che non ci aspettiamo, considerando quale pazienza e “disciplina” hanno sempre dimostrato i francesi fino ad oggi.

Prossima tappa Coutances, dove c’è da vistare la bella cattedrale.

Parcheggiamo lungo una delle strade principali, quasi avessimo un’utilitaria, ma in fondo non diamo fastidio a nessuno e, infatti, nessuno ci dice niente.

La chiesa non è lontana e la visita non dura molto, certo non è all’altezza di certi gioielli che abbiamo visto da poco, ma merita certamente una breve fermata! Sull’edificio dell’hotel de ville – che si affaccia sulla stessa piazza – sventolano così tante bandiere francesi che fatichiamo a contarle, ma che gli danno un’aria contemporaneamente imponente e sbarazzina.

Sono giorni che, passando per paesi e città, vediamo manifesti e cartelli di tutti i tipi che indicano festeggiamenti e spettacoli pirotecnici in onore della ricorrenza. Di conseguenza il ragionamento che sorge spontaneo è: se ci sono fuochi d’artificio quasi in ogni cittadina, immagina che razza di spettacolo metteranno su a Mont St.Michel, la “merveille”, una delle mete turistiche più famose di Francia! Sì, la nostra ultima destinazione di oggi è proprio la “perla della Normandia”.

All’ingresso del parcheggio rimaniamo un po’ perplessi dal cartello che indica che alle 19, ora di chiusura del parcheggio, tutti i mezzi devono essere usciti, causa la marea crescente. Chiediamo spiegazioni alla parcheggiatrice che ci dice che, quando questo parcheggio “chiude”, possiamo trasferirci, per la notte, in un altro parcheggio sulla terra ferma.

C’è ancora qualcosa che non ci convince e anche le indicazioni delle nostre scartoffie non ci aiutano.

Ci sistemiamo nell’enorme area sterrata riservata ai veicoli da campeggio ed insistiamo a chiedere ulteriori informazioni ad un’altro equipaggio italiano (qui c’è, naturalmente, gente da tutta Europa e non mancano neanche i nostri connazionali che, anzi, sono uno dei gruppi più nutriti). Veniamo a sapere che il parcheggio non chiude alle 19, ma diventa libero, e che nessuno ti butterà fuori a meno di un preciso rischio dovuto alla marea, che, però, è alquanto improbabile. I nostri interlocutori stessi hanno già passato una tranquillissima notte proprio qui.

Buono a sapersi. Certo non c’è paragone tra la serata passata di fronte all’abbazia illuminata ed una passata tra le case del villaggio. Rimarremo qui, senza dubbio, anche perchè, restando sulla riva del mare, potremo sperare in un qualche alito di brezza che mitighi un po’ il caldo di oggi.

Pranziamo – anche se ormai sarebbe quasi più ora di far merenda – e subito dopo ci avviamo sul terrapieno che unisce l’isola alla terraferma.

La piccola, ripida, collina che costituisce Mont St.Michel è circondata, in basso, da una possente cerchia di mura – che le dà l’aspetto di una fortezza – e sovrastata dalla slanciata mole dell’abbazia. All’interno un piccolo borgo fiancheggia l’unica strada, che sale – prima dolcemente, poi con una ripida scalinata – fino all’ingresso dell’abbazia.

Saliamo direttamente all’abbazia, soffermandoci appena lungo l’affollatissima strada che dev’essere stata molto suggestiva, fiancheggiata com’è da edifici antichi e da case a graticcio, ma che adesso è invasa da negozi e negozietti di chincaglieria per turisti e souvenir da quattro soldi di ogni genere e bar e ristoranti pronti a spennarti anche per un bicchier d’acqua.

Fra vetrine, insegne, tende ed espositori multicolori, non resta ormai niente dell’atmosfera del borgo medievale.

Una cocente delusione per le nostre aspettative! Per fortuna la maggior parte della gente ormai sta tornando a casa e la visita del complesso è abbastanza tranquilla.

Ci godiamo con calma la spoglia chiesa romanica ed il suo sagrato – che è una terrazza panoramica affacciata sulla baia – il piccolo chiostro pensile e le tante sale, piccole e grandi, a volte austere come quelle di un castello, a volte ingentilite da colonne, capitelli ed acuti archi gotici.

In una delle sale c’è l’esposizione del progetto che tra alcuni anni restituirà alla collina la sua natura di isola.

Dall’alto della terrazza, in cima alla collina, la vista spazia su tutta la baia, che adesso è un’immensa distesa di sabbia. Ricorda un deserto con tanto di piccole dune e contorte valli, percorse da rivoli di acqua salmastra.

Una miriade di puntini colorati sono altrettante persone che camminano in quella “terra di nessuno” da e verso il lontano bagnasciuga, distante al culmine della bassa marea anche 17 chilometri. Una passeggiata che attrarrebbe molto anche noi, ma ci trattiene quello che si dice a proposito della presenza di sabbie mobili; non sappiamo se sia vero, ma la voce ha comunque radici antiche, visto che ne parla anche l’arazzo di Bayeux! Scendendo passiamo per il vecchio cammino di ronda.

Ora c’è molta meno gente.

All’ufficio turistico ci informiamo sul programma dei festeggiamenti per la serata e, in particolare, sui fuochi d’artificio. Incredibile! Quest’anno non c’è niente! Ma come, proprio qui?! La solita fortuna! Li hanno fatti l’anno scorso e, magari, torneranno anche a farli nel prossimo, ma per quest’anno non se ne parla! Tanto più grande è l’aspettativa e tanto più grande è anche la delusione, e l’aspettativa di Andrea era molto, molto grande! Povero Ciccio, questa proprio non ci voleva! Per fortuna, appena rientriamo a casa (che per noi ora è il nostro camper, naturalmente!) e ci spostiamo in una posizione più comoda e più defilata rispetto ai raggi del sole, ad Andrea bastano pochi minuti per fare amicizia con il nuovo vicino, poco più grande di lui, che viene da Roma.

Meno male, la delusione passa in secondo piano rispetto alla possibilità di giocare, una volta tanto, con un altro bambino che parla la sua stessa lingua.

Ormai sono le 19 passate ed improvvisamente, sotto lo sguardo vigile di un pompiere e di una pattuglia di gendarmi, arriva l’onda di marea! La gente la sta aspettando e c’è anche chi si è portato dal camper sgabelli e sedie a sdraio. Non è certo uno Tsunami, ma la velocità con cui il fronte gira intorno alle antiche mura, percorre i bassi fondali ed arriva fino a pochi passi dal camper ci fa un po’ impressione. L’acqua continua a crescere per diverso tempo coprendo progressivamente banchi di sabbia sempre più alti, fino a riempire l’intera baia. Il mare, che era, forse, lontano chilometri, ora è a due metri dalle nostre ruote e già qui è profondo un mezzo metro buono. Alla fine siamo virtualmente isolati: qualche centimetro d’acqua ha parzialmente invaso anche il parcheggio per le auto, che è più basso del nostro.

Qui la marea è davvero uno spettacolo! Cala pian piano la sera. Sono passate da poco le undici; mentre stiamo amabilmente chiacchierando con i nostri vicini delle rispettive esperienze di viaggio ed il cielo è finalmente scuro, dei rumori lontani attirano la nostra attenzione.

Sono fuochi d’artificio! Lanciati dall’altra parte della baia, probabilmente ad Avranches. La lontananza li fa poco più che puntini, ma sono già sufficienti ad eccitare la fantasia dei bambini.

Be’, meglio di niente! Possiamo andarcene a letto.

… Il viaggio continua …



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