Siculamente… un weekend da rifare
Indice dei contenuti
Dopo cinque giorni a cavallo dell’Epifania trascorsi a Stoccolma, arrivata l’agognata primavera, io e il mio ragazzo decidiamo di concederci un weekend in Sicilia, spinti non solo dal desiderio di sole, mare e relax, ma anche dalla curiosità di assistere a una tragedia greca inscenata nella famosa cornice della Neapolis siracusana.
Così, un giovedì mattina di fine giugno, partiamo dall’aeroporto di Trieste, direzione Catania-Fontanarossa.
Scacchi, Bougainville e zenzero candito
Arriviamo a destinazione verso le ore 16.00 e ci dirigiamo immediatamente a un rent a car, dove dovrebbe attenderci la nostra piccola utilitaria prenotata qualche settimana prima. E così è, infatti.
Dopo circa un’ora di autostrada, arriviamo in quella che, forse e giustamente, può definirsi “la più famosa cittadina sicula”: Taormina.
Lasciamo obbligatoriamente l’automobile in uno dei parcheggi poco sotto al centro e con uno dei frequentissimi autobus (entrambi a costi modesti) raggiungiamo Porta Messina, per poi farci travolgere dalla chiassosa Piazza Santa Caterina. Con in sottofondo lingue di ogni Paese (perché la bellezza di Taormina sta anche in questo, nell’attrarre curiosi da ogni parte del mondo e far loro dimenticare provenienza e diversità), percorrendo via del Teatro Greco, ci inoltriamo nel teatro antico, costruito nel III sec. a. C., con i suoi scorci mozzafiato che, tra una Bougainville e l’altra, lasciano intravedere l’Etna e la baia di Schisò.
Ma non sappiamo che il meglio deve ancora venire.
Imboccato Corso Umberto I, con i suoi negozietti di souvenir colorati ed invitanti, sbuchiamo nell’inconfondibile Piazza IX Aprile, con la Torre dell’Orologio, la Chiesa di San Giuseppe, gli oleandri in fiore, le zagare del Mocambo Bar e, soprattutto, con l’indimenticabile terrazza-belvedere “a scacchi”, dove la geometria perfetta della pavimentazione si sposa con l’irrazionale blu cobalto della baia di Naxos.
Dopo qualche foto “di rito”, proseguiamo, per ristorarci in Piazza del Duomo, davanti alla cattedrale di San Nicolò, ai piedi della fontana della centauressa bipede datata 1635, e dove assistiamo, per di più, a un improvvisato spettacolo folkloristico di musica popolare.
Purtroppo, però, le ore passano in fretta e, avendo prenotato l’alloggio a Siracusa (circa 120 km più a sud), siamo costretti a rimetterci in strada.
Con l’aiuto del navigatore, varchiamo la soglia del B&B Magnolia circa un’ora dopo e la cordialità dei padroni di casa ci conquista all’istante. Situato nel centro di Ortigia (uno dei cinque quartieri in cui era suddivisa la città antica), è il posto ideale per chi desidera spendere poco, interloquire con persone deliziose, essere in una posizione strategica e cominciare la giornata con abbondanti colazioni (servite su un romantico terrazzo!). Su loro consiglio, consumiamo la nostra prima cena sicula da Mariano, con una pasta alla siracusana e un fritto di paranza, e terminando il tutto sorseggiando zibibbo accompagnato da zenzero candito. Il sapore perfetto per un ricordo indelebile!
Tour (goloso) delle città Barocche
La mattina seguente, scoperto d’aver dimenticato a casa ben più di quanto immaginato, ci convinciamo che la soluzione per degli acquisti rapidi, evitare il caos mattutino di Siracusa e raggiungere Noto nel più breve tempo possibile, sia il mercato locale, aperto tutto i giorni, fornito di tutto. E sbagliamo!
Perché il mercato di Siracusa è un luogo magico, fuori dal tempo e dallo spazio, dove banchi di pesce si alternano a bancherelle di frutta, verdura, dolcetti, squisitezze salate; dove tutti urlano e garantiscono, rigorosamente in dialetto, l’eccellenza dei propri prodotti; dove è ancora possibile, un po’ come accade nei sogni, perdersi nell’odore del pesce, poi della frutta essiccata, poi dei pomodorini pachino, e nelle spezie e nelle olive, fino a non distinguerli più… Solo dopo un’ora, con dei capperi di Pantelleria in una mano e delle mutandine nell’altra, dannatamente in ritardo ma altrettanto felici, siamo pronti per affrontare il tour delle città Barocche!
La prima tappa è… Fontanebianche! Ritardo per ritardo, durante il tragitto optiamo per un rigenerante bagnetto in una delle più belle spiagge della costa orientale, che consigliamo vivamente!
Arriviamo a Noto, nel paese in discesa in cui la pietra prende il posto degli alberi, intorno alle 11 a.m. Fin da Porta Reale, quello che balza all’occhio è la monumentalità di ciò che appena s’intravede: piazza dell’Immacolata, dove si affacciano la Chiesa di San Francesco e la parte terminale del Monastero del SS. Salvatore; piazza del Municipio, con da una parte Palazzo Ducezio e Palazzo Landolina e dall’altro la Chiesa Madre e il Palazzo Vescovile; infine, Piazza XVI maggio con la “convessa” Chiesa di San Domenico. E se di fronte a tanta grandezza è facile sentirsi come un Lillipuziano, per riequilibrare il tutto non resta che fare due cose: salire fino alla terrazza della Chiesa di Santa Chiara e poi premiarsi con un sano cannolo siciliano della pasticceria Costanzo o con una granita al caffè del Caffè Sicilia (nel dubbio, abbiamo provato entrambi! Connubio idilliaco!).
Inseguendo orizzonti aperti e campagne brulle, raggiungiamo Modica dopo poco più di mezz’ora di automobile. Decidiamo di scendere dalla parte alta a quella bassa, quindi, dopo una capatina all “U’ Pizzu o Belvedere”, ci concentriamo sulla Chiesa di San Giorgio, con le sue aiuole e giardini pensili, la facciata solenne e l’altare argenteo, per poi raggiungere San Pietro e i “Santoni” lungo Corso Umberto I. Ma le energie stanno per esaurirsi e noi siamo nel posto giusto: perché la città spaccata è oramai conosciuta anche per il suo cioccolato fatto-come-gli-Aztechi e allora è d’obbligo ricaricarsi nella storica pasticceria Bonajuto!
Con ancora un certo retrogusto di cioccolato salina (dal potere gattopardesco, ovviamente) arriviamo a Ragusa. Ma sarebbe meglio dire Ibla, perché le luccicanti maioliche del campanile di Santa Maria dell’Idria sono il simbolo della città vecchia, che dà i natali ai sangiorgiari, a tutti quelli che, dopo il terremoto del 1693, non hanno voluto abbandonare il colle dove sorgeva la chiesa del loro patrono. Solo dopo una lenta ed appagante passeggiata fino al Giardino Ibleo, passando per Piazza del Duomo, raggiungiamo Ragusa “Nuova”, caotica e diversissima ma non per questo meno affascinante.
Lungo i 40 km che dividono Ragusa da Siracusa non resistiamo alla tentazione di fermarci prima alle rovine di Akrai (prima colonia interna fondata dai siracusani) e poi a Palazzolo Acreide, un piccolo gioiello di architettura barocca.
La giornata più lunga dell’anno la concludiamo con una passeggiata serale nel centro di Ortigia, tra piazza Archimede, via Roma e Piazza del Duomo, che offrono locali davvero per tutti i gusti (e tutte le tasche!).
Una capatina sulla costa
Dedichiamo la mattinata del terzo (ed ultimo) giorno al relax. Infilato il costume, prima ci rechiamo all’Oasi faunistica di Vendicari, un luogo ideale per gli appassionati di birdwatching e natura selvaggia, per poi proseguire fino a Portopalo di Capopassero, all’estrema punta meridionale della Sicilia, dove una lingua di sabbia bianca (e poco affollata) incontra un mare cristallino e lascia all’orizzonte la vista della solitaria Isola delle Correnti (raggiungibile anche a nuoto). Lo spuntino lo consumiamo sulla via del ritorno, a Marzamemi, un piccolo paesino di pescatori dal fascino irresistibile, popolato da coloratissime barche e da una vecchia tonnara, attorno alla quale sono nate oggi tante piccole osterie, dai piatti economici e modesti, ma la vista e l’atmosfera vi ripagheranno sicuramente!
Siracusa, la grande bellezza
Dopo tutto questo azzurro, ritorniamo a Siracusa, la città dalla bellezza senza tempo. Il caldo si fa sentire, quindi cominciamo con una passeggiata nella Giudecca, il vecchio quartiere ebraico della città, dove viuzze strette e adombrate permettono di unire l’utile al dilettevole. Attraversando via del Teatro, arriviamo in Piazza Duomo dove, però, riceviamo la prima brutta notizia: nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia non è possibile osservare il “Seppellimento”, capolavoro del Caravaggio, aperto ai turisti solo dalle ore 11 alle 14! Proseguiamo, quindi, la nostra visita con un giretto tra il Palazzo municipale (cercate il lucertolone!), Palazzo Beneventano del Bosco, il Duomo e il palazzo Arcivescovile; poi, imboccata via Pincherali, arriviamo alla Fonte Aretusa, la storica riserva idrica della città, con la sua acqua mitologica e i lussureggianti papiri. Dal lungo mare, risaliamo fino alla macchina, per dirigerci prima alle catacombe di San Giuseppe e, poi, alla Neapolis. Qui arriva la seconda brutta notizia: le prime sono visionabili solo con guide autorizzate all’incirca ogni trequarti d’ora, missione impossibile.
Non ci resta che entrare nella zona monumentale della città, dove l’amaro per ciò che non si è visto lascia subito il posto allo stupore di trovarsi innanzi a un Anfiteatro romano del II d.c perfettamente conservato, a un impressionante altare utilizzato per le ecatombi (l’Ara di Ierone II) e, soprattutto, a delle prigioni ante litteram, l’immensa Latomia del Paradiso. Ma come tutti i veri turisti (per caso) che si rispettino, ciò che finisce per attrarci è quella strana caverna lunga e stretta, soprannominata dal Caravaggio “l’Orecchio di Dioniso” (doveroso testare l’acustica perfetta!).
Tutti a teatro
Capiamo che è giunta l’ora di varcare la soglia del grandioso Teatro greco nel momento in cui una fiumana di persone, di tutte le età, ci passa accanto tra un agrumeto e l’altro. Sta per cominciare lo spettacolo.
Nell’antico teatro della Neapolis, infatti, da 99 anni, per un mese, riprendono a vivere i personaggi del teatro greco classico, e per noi, quella sera, è Edipo Re a lasciarci senza parole: per la profondità del testo, per il tormento di un uomo che diventa catarsi collettiva, per un allestimento scenografico monumentale, per quel silenzio inatteso di 3.000 persone (questa la capienza del teatro); per la gioia di sentirsi parte di un tutto (fatto anche di luce, che con il suo declino fino alla notte più buia, sembra rendersi partecipe).
Salutiamo questi tre giorni meravigliosi con una cena tutta vegetariana in Piazza San Giuseppe e un’ultima passeggiata nel centro della città.
Ma alle luci di Ortigia, riflesse e amplificate nell’acqua, promettiamo di ritornare presto.