Albania: meta da rivalutare
Piccolo neo: gli albergatori. Probabilmente perché il turismo qui è un’attività imprenditoriale giovane e gli albergatori hanno appena investito, o stanno tuttora investendo, in alberghi nuovi o nuovissimi: la sensazione è che, qui più che altrove, la loro priorità non sia fornire la migliore accoglienza, ma recuperare quanto prima i denari spesi. In questa categoria di persone abbiamo trovato più ansia, o scortesia, o propensione ad approfittare del turista straniero che cordialità ed attenzione alle sue esigenze. Discorso diverso per gli affittacamere privati, con minori pretese e grandi sorrisi da regalare.
Strade e autostrade Avevamo letto: solo in fuoristrada. In realtà lungo tutta la costa e sulla grande direttrice centrale le strade sono ottime, spesso nuovissime, benché alcune non del tutto terminate: a volte si è costretti a fare qualche centinaia di metri, o al peggio qualche chilometro, su ghiaia, preparata per quella che pare un’imminente asfaltatura. Discorso diverso per le vie di comunicazione più interne, che portano ad oriente: ad esempio, la direttrice che da Girokastro porta a Korçe è davvero stretta, tortuosa e dall’asfalto disastrato. Tuttavia, una strada indimenticabile per i paesaggi che attraversa e per il senso di avventura che comunica; andando con molta calma, noi l’abbiamo fatta con una Punto. Ma niente paura: anche se continuiamo a crederlo un miraggio destituito di fondamento, abbiamo incrociato dei tir… Quindi, con un po’ di temerarietà, potreste tentare pure in camper. Gli albanesi al volante amano molto il clacson, che suonano sempre immediatamente prima di superarti, che tu sia al centro o all’estrema destra della carreggiata. Suonano negli ingorghi che loro stessi creano, suonano per salutare gli amici, suonano per ringraziare (ma non ringraziano mai se in una strada stretta cedi il passo), suonano per chiedere strada e noi, nel nostro piccolo, abbiamo anche visto una ragazza dall’aspetto davvero mansueto suonare con insistenza ad una mucca (ruminante sulla linea di mezzeria) che un attimo prima era stata ad un niente dall’investire. Se ad uno stop indugi per esplorare la strada in cui devi immetterti, ti trovi affiancato, di qua e di là, da un paio di automobilisti che hanno molta più fretta e sono mooolto più intraprendenti di te; nel frattempo c’è quello dietro che ti incoraggia suonando. Se sei in coda, prima ti supera Tizio; poi, dietro a lui, Caio, Sempronio e compagnia cantante. Immancabilmente tutti si bloccano nella corsia di sorpasso, essendo essa destinata anche a chi avanza in direzione opposta, che puntualmente si presenta. E sorgono ancora ingorghi e grandi imprecazioni di clacson. Le autostrade non costituiscono quella realtà monotona e prevedibile cui siamo abituati: accanto alla sede stradale ci sono spesso chioschi che vendono frutta e verdura locale; ma anche stradine o edifici a cui si accede direttamente, senza bisogno di tanti svincoli e caselli, o gruppi di persone che bivaccano guardando il transito dei veicoli. A volte terminano all’improvviso (tratto tra Valona e Fier): tu prendi un cavalcavia nuovissimo, asfaltatissimo e senz’ombra di barriere o cartelli ed hai la percezione che si tratti di una rampa che punta al vuoto solo perché tutti gli altri – auto, camion e motorini – prendono lo svincolo a destra appena dietro di te, senza eccezione. Già: loro la strada la conoscono. Basta seguire il flusso, che effettivamente poi si arriva dritti a Fier. A destra della carreggiata c’è una striscia di ghiaia che separa l’asfalto dal guardrail, larga un mezzo metro. Su quella, in contromano, avanzano biciclette e pedoni; a volte muli. Ad un certo punto vedi un motorino che si è avventura su quella ghiaietta, verso di te, che già immagini il tipo in sella scivolare e finire sulla carreggiata, tra le auto lanciate a 90 km orari (!) – questo il limite. Dopo un attimo un centauro molto più previdente del pirla di prima avanza direttamente sull’asfalto, sempre in direzione opposta alla tua, ma senza pericolo di sdrucciolare sulla ghiaia. E più tardi, mentre guidi tranquillo dietro ad un mercedes, devi sterzare bruscamente per evitare un frontale con una rombante alfa 156 rosso alfa improvvisamente comparsa alla tua destra, in un gagliardo contromano. Questa è l’autostrada. Ma non si paga.
Valuta Non è stato facile trovare un cambio, arrivando in Albania di sabato. Alla dogana ci è stato consigliato di cambiare a Saranda. Così abbiamo fatto, nella via parallela al lungomare, in un bugigattolo accanto a due diverse farmacie tra loro adiacenti (!). Un euro = 138,5 lek. Quindi per il resto del viaggio si moltiplicava il prezzo in lek per 7 + qualcosina: 1000 lek = € 7 (calcolo esatto: 1000/138.5 = 7.22). Bisogna cambiare quanto prima, perché tutti accettano euro, ma con un cambio 1 a 100 che penalizza molto. Dopo varie ricerche siamo riusciti a prelevare soldi con il bancomat con il medesimo PIN italiano alla Raiffeisen bank, che si trova in quasi tutte le cittadine (anche presso un distributore a Ksamil!). Attenzione: chi maneggia l’italiano vi potrà chiedere 4000 lek anziché 400, perché in albanese 100 si dice “milek” e questo genera una bella confusione. 1000 lek per una bottiglietta d’acqua sono davvero troppi (€ 7) e se ve li chiedono è perché intendono milek lek, cioè cento lek (70 centesimi). La carta di credito non ci è stata mai accettata, nemmeno negli alberghi. Richiesta di pagamento di beni e servizi in euro = posto turistico: alla larga.
Guida Lonely Planet “Balcani Occidentali” della Lonely Planet (d’ora in avanti: LP) è la guida che abbiamo usato; a quanto mi risulta, l’unica che si occupi di Albania (stampata nel 2009). Attenzione all’effetto paradosso. Ad esempio, all’albergo Magdalen di Berat, citato come “il migliore B&B economico di tutta l’Albania (camere tra i 17 e i 25 euro)”, ci sono stati chiesti € 50 per una camera. Evidentemente la super recensione di LP ha fatto salire alle stelle le quotazioni turistiche del locale. Segnalo inoltre che, sempre a Berat, non abbiamo avuto il piacere di apprezzare l’ottimo ristorante Bujari. Secondo LP vi si cena dalle 7 alle 9, ma noi alle 8.15 siamo stati respinti con perdite dal gestore, che ci ha fatto capire che era troppo tardi. Kruja: LP parla di un bazar come “luogo migliore del paese per acquistare souvenir”. Ciò che noi abbiamo trovato è una stretta via incuneata tra chioschetti, i cui titolari quasi ti trascinavano all’interno a vedere le loro mercanzie, perlopiù rivolte al popolo dei turisti, tutte prezzate in euro e, se di qualche interesse, molto care. Per il resto abbiamo proficuamente utilizzato le indicazioni della guida.
Il nostro viaggio Prendiamo il traghetto da Venezia, destinazione Igoumenitsa, nord della Grecia. Come usa sulla Minoan Lines, piazziamo un materasso gonfiabile in un atrio (ma il passeggero deve salire il prima possibile per occupare la postazione!). Passaggio ponte per due adulti + auto: € 412 A/R. Partenza ore 14 ed arrivo il giorno dopo alle 11.30 ora greca (le 10.30 in Italia). Nel piazzale di sbarco ci si può procurare una buona cartina dell’Albania. All’uscita dalla zona portuale si prende a sinistra (occhio a non prendere la superstrada per Ioannina) e si sale verso nord seguendo il lungomare; dopo un paio di km, al cartello che indica “Navromati”, svoltiamo a sinistra. Non c’è alcuna indicazione per l’Albania: i greci, i turisti preferiscono che spendano nella loro terra. La stradina fa una doppia curva destra sinistra (cartello sbiadito: Sagiada). Non sembra affatto quella giusta, ma dopo un’altra svolta a destra tutto diventa più semplice e in meno di trenta km si arriva senza più incertezze alla frontiera. La dogana albanese, rispetto a quella greca (dove, a parte un’ora e mezza di coda, tocca scendere noi dall’auto per mostrare i documenti allo sportello), è degna di un paese civile: nuovissima, con quattro corsie e sportello tipo casello autostradale. N.B.: in Albania, al momento, solo la Toro dà copertura assicurativa (controllate la carta verde). Quindi bisogna acquistare direttamente in dogana l’assicurazione che vi copre per minimo 15 giorni (€ 27). A Shkalla, primo gruppo di case che attraversiamo, bisogna prestare molta attenzione: c’è un’indicazione per Mursi ed una strada sterrata sulla sinistra. Niente paura: dopo un km, più o meno, diventa asfaltata e lo sarà fino al mare. Sono dieci km, grosso modo, e dopo un curva a novanta gradi appare il castello di Ali Pasha, cinta muraria triangolare edificata agli inizi del 1800. La strada finisce lì, davanti ad un largo canale. Per passare sull’altra sponda una chiatta trainata da funi d’acciaio trasporta veicoli e passeggeri (€ 2). E ci troviamo fin da subito in uno dei siti irrinunciabili dell’Albania: Butrint (vedi LP). Minimo due ore il tempo della visita, che comprende un piccolo museo e che segnalo in positivo per il bellissimo teatro con lo spazio dell’orchestra allagato per l’innalzamento della falda freatica. In negativo per la soluzione adottata dagli albanesi per preservare i mosaici di terme e battistero dagli agenti atmosferici: una densa copertura di sabbia! Quando poi al museo ne vedi le foto ti prende lo sconforto per il tesoro che hai sfiorato ma non ti è stato concesso di vedere. Dopo un km di ottima strada si entra in Ksamil. Alcuni scheletri di palazzi sono addossati su se stessi, i pilastri spezzati, le solette trasformate in piani inclinati. Scopriremo da Kella, di cui dirò in seguito, che si tratta di demolizioni operate dalla polizia urbana in seguito al decreto del 2009, con cui le autorità decisero che nessun edificio sarebbe più sorto abusivamente. Molti ignorarono l’imposizione, dato l’andazzo degli anni precedenti. E invece sono entrati in azione i bulldozer, muovendosi sulla base delle variazioni rilevate dalle foto satellitari: gli è bastato spezzare i pilastri portanti. Restano quegli scheletri riversi, lasciati sul posto per risparmiare le spese di rimozione delle strutture, ma credo anche a monito per i potenziali futuri abusivisti. Vale la pena di fermarsi qui. Il mare è trasparente e ci sono molte camere private. In fondo al paese, di fronte all’ultimo distributore ed immediatamente prima di un grande edificio circolare, c’è una piccola stradina con un cartello: “rooms to let”. Qui, nella sua casa nuovissima, abita Kella; da lei abbiamo trovato ospitalità per € 30 ed una quantità di informazioni e commenti sull’Albania e la situazione albanese in un ricco italiano appreso alla TV. Da casa sua parte una passeggiata lungomare che porta al centro di Ksamil ed offre una interessante visione sia delle spiagge che delle strutture di cemento accartocciate sulla collina. Diciotto km a nord c’è Saranda. È “la meta” per i turisti locali. Noi vi abbiamo fatto tappa: camera prenotata tramite Edialtour (agenzia turistica albanese) all’hotel Dea, con acconto pagato tramite carta di credito e voucher speditoci per mail. Niente da fare: il proprietario la stanza non ce l’aveva tenuta e ci ha trovato un posto in un altro albergo (ho mandato mail di protesta a Edialtour). Come dire: non fidarsi troppo dell’organizzazione albanese. Tornando a Saranda: per noi è un luogo da evitare accuratamente, benché lo si debba inevitabilmente attraversare per proseguire sulla costiera ionica. A meno che non vogliate immergervi nella sua roboante vita notturna: noi abbiamo percorso di sabato sera un buon tratto della strada che la attraversa – in lenta coda – e sul piccolo marciapiede veleggiava una bellissima gioventù. A Saranda, a nostro parere, il territorio è stato totalmente devastato da una sconsiderata cementificazione, priva di ordine e pianificazione. Non c’è un lungomare, se non nel minuscolo cuore della cittadina. Il resto è un’unica strada stretta soverchiata da condomini e scheletri di condomini di sei, otto, dieci piani. Scivoli vertiginosi si perdono giù verso il mare, in riva al quale si intravedono cantieri e ancora condomini, ogni scivolo terminando in un cul de sac. Non ci sono parcheggi e la sera la strada diviene un calvario di auto in coda che avanzano a passo d’uomo nelle due direzioni, senza possibilità di sbocchi o strade alternative. Il panorama della cittadina è intasato da un universo di grattacieli, dei quali solo una piccola parte portata a compimento: la sera le finestre illuminate insistono su un ambito minimo rispetto all’estensione delle costruzioni vista alla luce del sole. Basta. Conviene continuare verso nord, dove troveremo luoghi ancora pressoché incontaminati o ancora relativamente preservati dalla speculazione edilizia. Ad esempio Borsh, dalla lunga spiaggia bianca, o Porto Palermo, con i resti di un castello di Ali Pasha. Oppure Ial (sul cartello ”Iali”), raggiunto su indicazione di un ragazzo reduce dall’università di Trento. La piccola baia è dominata da un’ingombrante struttura alberghiera riservata ai militari. In spiaggia è un susseguirsi di bar e ristoranti molto discreti. Visti dal retro, baracche quasi fatiscenti. Di fronte, molto graziosi e caratterizzati ognuno da un particolare tocco stilistico. In fondo, a destra guardando il mare, c’è un piccolo albergo che pare affitti bungalow. Noi siamo andati dalla parte opposta: al termine della strada asfaltata una piccola indicazione manda a sinistra verso un hotel. Abbiamo dormito qui. Da qui il gestore ci ha indicato una spiaggia “vergine”: dieci minuti di sterrata che si dipana in direzione opposta alla baia. Ci spiega: “C’è solo un po’ di immondizia”. La spiaggia “vergine” è davvero incantevole: quattro persone in tutto ed un mare cristallino. Bisogna però guadagnarsela. Il “po’ d’immondizia” si rivela essere una discarica che si estende ai lati della stradina per almeno trecento metri. Qui troviamo le uniche persone di colore che vedremo in Albania: un ragazzo di meno di trent’anni con la moglie ed un figlio che non deve averne ancora dieci. Stanno separando la spazzatura: il vetro accatastato, la plastica in vari sacchi neri, il metallo in un mucchio. Continuano a raccogliere cose in questo grande spiazzo maleodorante, a mani nude, il bimbo con loro. Il naso dopo un po’ si abitua – forse. Noi camminiamo in fretta verso la spiaggia vergine. Due ragazzi ci vengono incontro. Strano: hanno entrambi il fazzoletto sul naso e corrono. Penso si siano feriti tuffandosi, o forse in una rissa. No: solo la puzza. L’indomani scopriamo che il nostro albergo non si può segnalare tra i consigliabili per una questione pretestuosa insorta al momento di pagare la stanza: si era concordato un prezzo di 5000 lek (35 euro circa) ed il proprietario, quando gli ho posato sul bancone la banconota, ha preso a digitare sulla tastiera della calcolatrice, adducendo questioni relative al cambio sull’euro e chiedendo altri 500 lek., cosa che ho contestato immediatamente, dato che la nostra trattativa si era conclusa sulla valuta locale. Ha lasciato perdere, ma l’impressione di avere avuto a che fare con un personaggio piuttosto losco – o comunque non molto ospitale – compromette la valutazione di quell’albergo. Il nostro programma prevede di raggiungere all’interno Berat, altro sito patrimonio dell’Unesco. Prima però vorremmo prendere un ultimo bagno. La spiaggia che fa per noi la vediamo nel salire la prima rampa del passo Llogaraja. È raggiungibile da una sterrata, ma da sopra dove siamo il mare è turchese, la spiaggia lunga e bianca, quasi deserta. Decidiamo di tornare e scopriamo quanto sia complicata l’inversione a U su quella salita. Ci tocca continuare parecchio prima di trovare il piccolo spiazzo laterale che ci consente la manovra. Dunque, se vi interessa questa spiaggetta, occhio all’ultima stradina sterrata, che scende a sinistra immediatamente prima dell’inizio della salita al passo. La strada, con cautela, si percorre sino in fondo. Qualche difficoltà nel risalire per le trazioni posteriori (alla nostra Punto ha fatto un baffo!). Ripreso e superato il passo Llogaraja scopriamo – con un ultimo bagno – quanto sia bello lo Ionio appena lasciato rispetto all’Adriatico, con alghe e acqua più torbida. Non faremo più bagni se non sulla via del ritorno, e sarà ancora Ionio. Da Valona, che saltiamo a piè pari, l’autostrada (che presto si interrompe) porta a Fier. Da qui proseguiamo per Lushnie per approdare a Berat. Prima notte al centralissimo hotel Tomari, con botta da 50 euro, ma compresa abbondante colazione. La mattina dopo incontriamo un ragazzo che ci offre un appartamentino privato a € 15: chiedere al bar posto al primo piano nel vicolo dietro al ristorante Bujari (vedi LP per un riferimento più preciso). Iniziamo la visita di Berat. Presso il museo medievale non troviamo l’audioguida (pare che l’addetta sia in ferie). Incontriamo però un giovane restauratore, che ha trascorso un anno a Bologna per specializzarsi, il quale si offre di farci da guida alla “Teke” ed alla “moschea del Sultano”: incontro fortunato. Riprendiamo la nostra escursione. Di buona lena affrontiamo la salita per la “Kala”, davvero dura nei trentotto gradi di Berat. Decidiamo di fare tappa già al museo etnografico. Qui abbiamo un altro incontro fortunato con il sovrintendente dei musei della città. Ci spiega che la stanza più interessante del museo è la “sala degli ospiti”, dal nome fuorviante perché in realtà si trattava di un locale dai molteplici usi: di riunione tra famigliari, di rappresentanza, di incontri allargati tra parenti o colleghi, di ricovero per gli amici ospitati, di luogo di elezione, con il suo soppalco protetto da grata, per istituire fidanzamenti, dato che la ragazza in età da marito poteva osservare non vista il pretendente di turno per una valutazione preliminare, vincolante per gli stessi genitori. Ciò è tanto vero che – ci ha raccontato il professore – nei documenti cittadini risultano alcune istanze rivolte da ragazze alle autorità per veder riconosciuto il loro diritto di scelta anche contro il parere dei famigliari, che vennero accolte e fatte valere. Conversiamo per un po’ con il sovrintendente, il quale ci racconta delle sue trasferte italiane, in particolare a Milano, dove è riuscito ad ottenere il sostegno di Arci Milano, Cariplo e Regione Lombardia per il restauro della moschea che ospita il museo delle Icone di Onufri (che visiteremo più tardi). Noi ci complimentiamo per come a Berat si sia riusciti a conservare il quartiere antico e lui ci spiega che il merito va al suo predecessore. Durante il regime comunista di Hoxha, tutti i luoghi di culto vennero rasi al suolo. Per evitare che questo accadesse in Berat, l’allora sovrintendente escogitò una strategia che ha salvaguardato chiese e moschee. Ha cambiato nome e destinazione d’uso di questi edifici: l’uno biblioteca, l’altro magazzino, quell’altro ufficio o archivio, l’altro ancora deposito di grano, di legname o di derrate alimentari. Ci congediamo, visitiamo il museo e riprendiamo la salita (forse conviene usare l’auto, ma avendo presente che l’acciottolato è molto scivoloso). La “Kala” è una cinta muraria al cui interno c’è un intero quartiere. Vediamo il museo Onufri, con tanto di targa che certifica quanto raccontato dal professore. Il resto è parecchio deludente, visto che le sei o sette chiese della Kala sono tutte sbarrate. In qualche caso riesco a infilare in una fessura la macchina fotografica con flash attivato e scopro che sono affrescate e contengono pure icone dorate. Ciò non fa che aumentare l’amarezza e l’incomprensione per il fatto che in Albania non si valorizzi il patrimonio culturale e storico, laddove sia sopravvissuto alle barbare distruzioni di Hoxha. Il dieci agosto ritorniamo verso Lushnie e sulla strada facciamo tappa alla cantina Çobo (leggi Ciobo). Una deliziosa ragazza, che si trova in vacanza dai parenti viticoltori, ma da molti anni vive a Trento, ci mostra la cantina, ci fa assaggiare un vino aromatico e robusto (e per l’Albania carissimo: 8 euro a bottiglia). Ripartiamo con il nostro piccolo investimento in sette bottiglie stivate nel baule, solo in seguito chiedendoci se il vino potrà sopravvivere al clima albanese per i quattro giorni di viaggio che ci rimangono (è sopravvissuto!). Ci lasciamo trascinare da LP in una tappa a Kruia, prima di dirigerci ad oriente verso il lago di Ohrid. Scelta infelice, come già spiegato in intro. Deviazione sconsigliata. Tuttavia: la strada verso Progradec attraversa una Tirana relativamente deserta (per nulla triste) e il tragitto verso Elbasan si arrampica in cima al mondo, su crinali che si affacciano a tratti su distese di vegetazione, a tratti su paesaggi lunari, aspri, inabitati. A Elbasan si trova l’unico complesso industriale visto in Albania: una vasta area occupata da blocchi rettangolari di dimensione variabile che compongono un unico grande blocco rettangolare di un monocolore ocra. L’aria di decadenza ed abbandono è attenuata dagli esili sbuffi di fumo biancastro in equilibrio in cima a vetuste ciminiere di mattoni rosso scuro. Ora puntiamo decisi verso est, inoltrandoci in una valle segnata da un fiume; incontriamo sporadicamente piccoli sperduti gruppi di case, oppure un insieme di due o tre ristoranti piazzati nel nulla sulla rotta dei viaggiatori. Ci fermiamo per la notte in un motel del tutto improvvisato, nel quale un personaggio tarchiato e trasandato ci mostra la stanza e 2000 lek, per farci capire che quella è la tariffa (€ 15). Gli do subito le banconote e quello, grattandosi e gesticolando, si chiude in una sua stanzetta da scapolo. L’indomani giungiamo nel bellissimo borgo di Lin, adagiato su lago di Ohrid. Da una stradetta principale si dipartono viottoli fangosi e stretti, animati da muli carichi di fascine e uomini. Al ristorante albergo della piazzetta incrociamo tre motociclisti italiani in partenza. Chiediamo all’oste due caffè grandi, una colazione con burro e marmellata. Lui risponde: “Mangiare” assentendo. Poi arrivano i due grandi caffè e null’altro, tranne, per venti minuti, trambusto dalla cucina. Siamo piuttosto inquieti. Sono le otto del mattino, ma temiamo che ci arrivi un quarto d’agnello per colazione. Nel frattempo il bar si anima. Gli avventori iniziano la giornata con grandi bicchieri di raki, la grappa locale. Un cameriere allestisce il nostro tavolo con tovaglia, coperti e condimenti. La nostra inquietudine cresce. Infine arrivano due piatti ovali, ciascuno dotato di: omelette annegata nel burro, feta, due qofte (polpette cilindriche) e cetrioli. Non è andata poi così male. Accanto il cameriere posa due enormi ciotole, l’una piena di burro, l’altra di marmellata. E pane tostato! Ora nel caffè affollato siamo gli unici a mangiare, ma tutti sembrano meravigliarsi solo quando spalmiamo il pane con il burro e la marmellata. Con grande dedizione terminiamo il tutto (compreso un nuovo “grande caffè”) per un conto di 800 lek, ovvero sei euro. E fino a sera non dovremo spendere altro per il cibo. Costeggiamo il lago, sul quale molti ristoranti risultano forniti di loro private appendici: piattaforme sull’acqua che ospitano alcuni tavolini (manco fossimo in un poster delle Maldive). Progradec ha un bel lungolago, ma non pare così cosmopolita come la descrive LP. Facciamo giusto due passi, ma la nostra meta è il viaggio! Direzione Korçe. Non siamo entrati nella città, ma abbiamo optato per l’escursione suggerita da LP a Voskopoja: secondo noi imperdibile per le chiese che si possono tutte visitare all’esterno (affreschi) e – con un po’ di fortuna – anche all’interno, cercando nei pressi qualcuno che apra. A Permati un “turista per caso” suggeriva l’hotel Arveno. Non c’era posto e quindi ci siamo rivolti all’hotel a destra prima del ponte d’ingresso alla città. Scelta pessima: nel bar accanto – forma circolare – era asserragliato un calpestatore di tastiere che fin quasi a mezzanotte ci ha torturati con le sue chincaglierie elettroniche a volume assordante. A Girokastro, l’indomani, abbiamo visitato la casa “Zekate”, non bella come la casa – museo etnografico di Berat, ma comunque interessante. Alla fortezza non siamo saliti: a quel punto impelleva il richiamo del mare, dove abbiamo trascorso l’ultima giornata albanese prima di imbarcarci a Igoumenitsa per il rientro. Sigh. Gianstefano Gaia