Diario di viaggio a Budapest

Lungo il fiume Tisza e nel parco nazionale di Hortobágy
Scritto da: cappellaccio
diario di viaggio a budapest
Partenza il: 26/06/2004
Ritorno il: 03/07/2004
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Viaggio in Ungheria – Budapest, lungo il fiume Tisza, pianura ungherese – parco nazionale di Hortobágy – (Cicloturismo e Terme)

Si comincia a scrivere un libro come si intraprende un viaggio senza riflettere o come si vivono le prime ore di un amore. Non sappiamo cosa accadrà alla pagina seguente, né come saranno le città che visiteremo, né a cosa ci condurrà quel dolce preludio di tenerezza in cui ci avventuriamo come negli ignoti meandri di un vicolo notturno.” (Antonio Muñoz Molina La città dei califfi)

Detto così sembra molto affascinante, con questo triplice paragone fra viaggi, libri e amori. Volendo, come grossomodo ci si può sempre riconoscere nella descrizione del futuro fatta dall’oroscopo, come dentro allo zaino ci si possono far stare, a forza, addirittura cose che non avresti mai immaginato che ci sarebbero state, anche gli ingredienti di base del nostro viaggio in Ungheria possono essere ricondotti, con un po’ di impegno, alla triade viaggi-libri-amore e possono essere “schiaffati” dentro a questo pentolone (come carne, verdure e paprika nei gulash preparati dalla sapienza dei cuochi magiari e con i quali abbiamo riaccumulato i cuscinetti di grasso perduti nelle pedalate). Allora si parte, cioè si “cuoce”. Vai con gli ingredienti: il treno (be’ quello è un’utopia all’andata, ma una realtà al ritorno), il taxi (ce lo siamo goduti spaparazzati sui sedili), l’aereo (una carretta della Malev, la compagnia di bandiera ungherese, che però serve allo scopo ed è miracolosamente in grado di volare –le hostess erano anche “bone!”, niente steward, purtroppo), gli autobus (le corriere ungheresi erano prive di sospensioni: qui il viaggio era simile a una corsa in Tagadà) la bicicletta (massimo confort: bici da cicloturismo dotate di 21 cambi: Mercedes del ciclismo o quasi… Io, per stare sul morbido, avevo il classico pantaloncino imbottito di spugna), il carretto trainato dai cavalli (capienza 11 posti + il cocchiere; un po’ di scossoni, ma sempre meno che in autobus), la barca (capienza 5 posti compreso il “nocchiero”; ci hanno fornito un cuscino a testa per aumentare la comodità e non abbiamo dovuto pagare per questo “extra” come al circo –all’entrata sei obbligato a prendere il cuscino che ti “offrono” e devi sganciare un’altra sommetta oltre al biglietto d’ingresso), infine i piedi (non era un pellegrinaggio, infatti per quello quest’anno bisognava andare a Santiago de Compostela, ma ci sono stati utili per la passeggiatina a Budapest e in poche altre occasioni non degne di nota). L’aereo abbiamo rischiato di perderlo: infatti la mattina del 26 giugno, una volta arrivati alla stazione dei treni di Ferrara, alle 6.30, abbiamo notato con crescente preoccupazione che regionali, interregionali e pendolini continuavano ad accumulare ritardo e allora ci siamo insospettiti, soprattutto quando hanno affibbiato 10 minuti d’attesa anche al nostro. Eppure avevamo ascoltato il telegiornale: niente scioperi in vista… Era proprio la sfiga: un problema tecnico a Rovigo rallentava tutti i treni, il nostro veniva segnalato con ulteriore ritardo e la corsa veniva limitata a Padova! Mio Dio! L’aereo ci aspetta al Marco Polo di Venezia. Non possiamo prendere il treno, qui non ci arriviamo mai più alla pista sulla laguna. Il mio consorte, espertissimo di viaggi, chiama tempestivamente un taxista di un’azienda locale di taxi. Per fortuna che c’è sempre qualcuno di turno per i casi di emergenza, che risponde al telefono a qualunque ora. Ci costerà un sacco… Sì, ma perdere l’aereo è peggio… Dopo una mezz’ora, verso le 7.30, arriva il “driver” ancora in “coma” per la levataccia, con macchinone dotato di aria condizionata. In autostrada sfreccia ai 150-160, incurante della patente a punti… Be’ l’aereo è alle 10.05 e il traffico non è intenso, il tempo per arrivare ce l’abbiamo. Dall’aria condizionata dell’auto, in breve, passiamo a quella dell’aeroporto. Io comincio a congelarmi con questo vestitino estivo e questi sandali. Le nostre valigie vengono pesate, etichettate e spedite, i nostri passaporti debitamente controllati, le nostre carte d’imbarco sono pronte. Ci dirigiamo all’imbarco, dove –essendo ormai quasi dura come uno stoccafisso- decido che è il caso di indossare quello che ho nello zaino: K-way e pantaloni antipioggia + calzettoni (nei sandali). Conciata in questo modo sono il fascino in persona! Leo ed io ci dirigiamo alla toilette e una volta espletate le funzioni corporali, rimango per un po’ a girellare attorno al gabinetto in attesa del mio Lui. Manco a dirlo, Leo mi fa uno scherzo che aveva già provato in passato: all’uscita dal cesso, anziché attendermi lì davanti, sparisce. Non avrà ancora finito… No? Resto lì come un’idiota davanti ai WC, infine mi decido all’umiliante controllo all’interno dei bagni degli uomini, quindi, al termine di una ricerca spasmodica, lo individuo seduto in un’area negozi non lontano. Vengo assalita da un raptus omicida (sono già incazzatissima, oltre che stanca e affamata), mentre lui crepa dal ridere. Per sfogare il nervosismo comincio ad ingaggiare un corpo a corpo con il quotidiano El Pais, le cui pagine non si lasciano voltare docilmente. Comincio a pensare che tutta la vacanza sia stata un errore… Non era meglio starsene a casa? (Non sappiamo cosa accadrà alla pagina seguente, né come saranno le città che visiteremo, né a cosa ci condurrà quel dolce preludio di tenerezza…) Lascio le dissertazioni filosofiche per prendere l’autobus che ci porta al velivolo. Un’oretta di volo e siamo a Budapest dove, in teoria, è pronto per noi un taxista, un tizio, un malvivente, qualcuno, insomma, incaricato da Velo-touring (il tour operator che ci ha organizzato il viaggio) di venirci a prendere. Ci guardiamo un po’ intorno. ??????????????? C’è qualcuno con un cartello, ma non con i nostri nomi o quelli del tour operator. “Leo, presto, telefoniamo a qualche responsabile!”. Rispondono che dovrebbe esserci qualcuno (ma dove?). Insomma, ci decidiamo a prendere il minibus dell’aeroporto che ci scarica direttamente davanti al nostro primo hotel: l’Hotel Walzer, un edificio bianco, in collina abbastanza fuori dal centro (non ci sono negozi nel raggio di un chilometro, solo un cimitero e dei fiorai). Finora non è proprio filato tutto liscio… Ho appena smaltito lo stress del viaggio. Mi sono cambiata e non sono più la schifezza ambulante di prima. La mia clessidra segna le due. L’incontro con l’accompagnatore è alle 18.00 in hotel. E qui subentra il secondo ingrediente. Non è proprio la scrittura –del libro- ma la sua lettura. Leo dispone di due gialli, io di innumerevoli dépliant e guide dell’Ungheria e di Budapest, nonché di un paio di romanzi in spagnolo e in italiano. Attanagliati dai morsi della fame aspettiamo l’ora di cena seduti su un divanetto nella hall. Leo divora pagine su pagine, mentre io, trascurando aspetti storici ed architettonici, sono già “atterrata” sul capitolo della guida dedicato alla gastronomia locale. Scopro che anche loro hanno le crêpes (dette palacsinta), i gelati, gli strudel e un dolce spugnoso chiamato somlói galuska, tutte bombe caloriche che avremmo poi avuto modo di ingerire nelle serate seguenti. Interrompo Leo per torturarlo con la descrizione di zuppe, galuska (pasta fatta in casa che si serve assieme ad altre pietanze) e spezzatini di carne e verdure. Ci riproponiamo di evitare accuratamente lo “hurka” (memorizzare la parola), che è un sanguinaccio riempito con polmoni, fegato e rognoni di maiale e il “temetó”, che non c’entra nulla con la cucina ungherese, ma che significa cimitero…. Dopo questa scena fantozziana giunge finalmente l’ora del meeting e della cena, che molto opportunamente è organizzata in giardino, dove tira un’aria primaverile che richiede almeno un paio di maglioni per me e una giacca di jeans per Leo. Gli altri partecipanti, che adesso cominciamo a conoscere (9 anglofoni e 9 germanofoni) si scaldano con la barackpálinca, l’acqua vite di albicocca che qui si beve come aperitivo, a stomaco vuoto (e il nostro era particolarmente vuoto)! Assaggio anch’io il micidiale grappino (prima e ultima volta) e credo di ricordare che durante il resto della cena l’accompagnatore, István, ci abbia illustrato in inglese e tedesco il programma della serata (visita a Budapest by night) e del giorno seguente (transfer in autobus nella Puzta o pianura ungherese e sbiciclata lungo il fiume Tisza). Il seguito lo si può immaginare: tra la fase digestiva, la stanchezza accumulata e il cicchetto le immagini di Budapest notturna ci sono passate davanti come se le avessimo viste in TV: pura realtà virtuale. Con i sussulti dell’autobus e il rimescolamento che avveniva nello stomaco i monumenti assumevano l’aspetto di un quadro cubista: colonne con angeli, cavalieri o vescovi; ponti con catene, bombardati e rifatti; mercati, Opera, palazzi e lampioni, strade come i Campi Elisi di Parigi, collina da cui si domina la città ma c’è buio e bisogna stare attenti a non inciampare, anche se sotto c’è un mare di lucine accese… Ma dov’è il letto? Alle 5 del mattino una triste scoperta: gli ungheresi non conoscono la tapparella. Non solo nella fase di civilizzazione in cui si trovano non hanno ancora inventato la tapparella o la veneziana, ma nemmeno la tenda pesante, grossa, come quella britannica o francese. Hanno delle tendine trasparenti come il taffettà. Io, previdentissima, mi sono portata la mascherina copriocchi che hanno dato a Leo una volta in cui ha viaggiato in aereo in business class. Purtroppo verso le 6 del mattino la stanza è talmente inondata di luce che pure la mascherina perde efficacia e io mi dimeno nel sonno: sto schiattando per il caldo, pedalo con il fastidio di una fascia antisudore che mi stringe la fronte… E’ la fine. Sono costretta a svegliarmi. La colazione è alle 7.30. Manca solo un’oretta. Oh, nooooooo!!!! Vorrei buttarmi dalla finestra!!! Purtroppo un’analoga scena mattutina si ripeterà durante l’intera vacanza, anche se con qualche variante, soprattutto per quanto riguarda la maniera di trascorrere il tempo dall’alba fino all’ora di colazione. Ci sono i libri e c’è ….l’amore, 3° ingrediente fondamentale. Leo asseriva che la paprika aveva delle proprietà afrodisiache: secondo lui era una specie di Viagra ungherese. La paprika è presente in quasi tutti i piatti, forse anche nei dessert, sebbene in minima quantità. Ma non è il caso di approfondire questo aspetto della vacanza, quindi passiamo agli spettacoli equestri a cui abbiamo assistito nella Puzta. E’ meglio tralasciare anche la descrizione del resto del paesaggio (campi di mais, grano, barbabietole, argine del fiume) perché era del tutto simile a quello della pianura padana: valeva la pena di fare tanti chilometri per ritrovarsi in provincia di Ferrara? Insomma, si diceva, il numero circense dei cavalieri della Puzta: eccolo. Cavalcavano tenendo il piede destro sul posteriore di un cavallo e il piede sinistro su quello di un altro cavallo e con le redini dovevano governare un totale di 5 cavalli. Tutto questo l’abbiamo visto stando seduti su un carretto tirato da due cavalli che ci trasportava nelle steppe del parco nazionale di Hortobágy, dove c’erano anche maiali, pecore, mandrie di buoi grigi e di cavalli da tiro ungheresi di razza nonius. L’altro aspetto interessante dell’Ungheria che abbiamo conosciuto erano le terme. Ci siamo andati cinque volte. Abbiamo frequentato sia quelle affollate di alcune cittadine famose per le loro acque curative sia quelle semideserte, nei paesini di campagna, dove c’era solo la “panziò” (la pensioncina in cui eravamo alloggiati) e la piscina termale. In città l’acqua era limpida, anche se manteneva la caratteristica puzza dovuta alle sostanze benefiche, mentre nei villaggi assumeva una colorazione marrone e c’erano molte sostanze in sospensione e data l’assenza di bagnini ovunque, mi chiedo quali sorprese c’erano da attendersi allo svuotamento delle piscine (sempre ammesso che le svuotassero mai). In una delle foto che invio si può vedere una delle piscine più “in” in cui ci siamo tuffati. Notare l’età media dei bagnanti… La temperatura variava dai 27 ai 38 gradi, limite massimo che il corpo potesse sopportare senza riportare ustioni. Nel gruppo di ciclisti di velo-touring io sono stata senz’altro l’utente più entusiasta delle terme. Vorrei che anche l’acqua della piscina di Copparo avesse la stessa temperatura (sicché verrebbe totalmente a cadere la necessità di un viaggio in Ungheria date le strabilianti somiglianze fra i due luoghi: Puzta e Pianura Padana – noi abbiamo sempre a due passi Abano e Montegrotto Terme, comunque). E resta solo da aggiungere un ultimo tocco da chef al calderone: la gita in barca. Uno squadrone composto da 5 barche si stacca dal porticciolo sul fiume Tisza: è il gruppo di 20 partecipanti al tour “Terme e natura nella Puzta Ungherese”, dislocati su varie imbarcazioni pilotate da barcaioli indigeni. Il tempo è nuvoloso, ma non piove. Lungo le rive del fiume si vedono aironi rossi, bianchi e cinerini che volano via al nostro passaggio e due persone che remano su una canoa. Tutto a un tratto mi sorprende il verso di una nitticora. Ben presto, una volta oltrepassata una chiusa, dal fiume si passa al lago artificiale creato dallo sbarramento delle acque della Tizsa, un paradiso per uccelli, insetti e zanzare, per cui rappresentiamo un piatto prelibato. Ci sono anche prati di ninfee e canneti. Con il venticello che ci colpisce in pieno c’è da battere i denti, così mi metto sia il mio impermeabile che quello di Leo, che fa lo spavaldo e rabbrividisce in maglietta. Manca solo un pizzico di … paprika. Nonostante il parere di Leo non mi sembra il caso di comprarne una ghirlanda l’ultimo giorno, durante la nostra visita alla capitale. Ci aggiriamo svogliati sugli spalti del bastione dei Pescatori e scattiamo qualche foto al bel panorama sul Danubio e su Pest e alla Chiesa di Mattia. Non essendo noi turisti americani tutti i monumenti di Budapest ci sembrano troppo “nuovi” (neogotici, neoromanici, neobarocchi), comparati con l’antichità dei monumenti non solo di Roma, ma anche di Ferrara. Il cielo è imbottito di nuvole scure. Pioviggina, ma non ci si può lamentare: in fin dei conti questa è l’unica giornata uggiosa della vacanza. Torniamo all’hotel Walzer alle 3 del pomeriggio. Quante ore mancano alla cena? Viszontlátásra (arrivederci in ungherese, lingua ugro-finnica e perciò incomprensibile).



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