Senegal, Mali e Togo
Prima però un ringraziamento speciale va a Orso, nostro saldo punto di riferimento turistico, e all’agenzia di viaggi Kel12 che coordina e organizza il viaggio.
Undicesimo giorno Trasferimento in auto attraverso il Sahara fino a Timbuktu: durante il tragitto, visita ai vari campi Mauri che si trovano lungo la via dell’Azalai. Delle presenze che umanizzano territori immensi, in cui – paradossalmente – le distanze sono telescopiche. Timbuktu, magari ancora distante qualche centinaio di chilometri, è pur sempre e solo “là… Dietro le dune”. È l’inizio di un mondo sedentario, naturale terminal di tanti spostamenti.
Se Timbuktu é la porta del deserto, il vero modo di conquistare questa mitica meta é dal deserto, dalla via delle carovane. Sysuy in quest’impresa può contare su una guida Tuareg.
Così è descritto l’arrivo: le luci dell’antenna radio, i greggi di capre condotte da bambini tuareg ed infine le donne Maure che preparano la farina per la cena ci annunciano che ci siamo. Le tracce si mischiano e si perdono nella sabbia, fra quelle delle carovane dell’Azalai, nel quartiere dei nomadi, dove da secoli le stesse storie di carovane iniziano e finiscono, con la benedizione della “Croix du Sud”, inconfondibile (almeno ai loro occhi) nel cielo brillante della notte “toimbouctienne”.
Dice il musicista malese Ali Farka Touré, “Per alcuni Timbuktu significa il limite estremo del mondo, ma non é vero. Io vengo da Timbuktu e vi garantisco che siamo al centro del mondo”.
La città si presenta come una cittadina di casette d’argilla costruite sulla sabbia. Argilla e sabbia hanno lo stesso colore, per cui l’architettura sembra parte del deserto, come un frammento di Sahara trasfigurato in forma di blocchi rettangolari sopraelevati.
La letteratura è ricca di memorabili descrizioni di Timbuktu, lasciate dai grandi viaggiatori del Medioevo (come Leone l’Africano), che hanno contribuito a crearne il mito. Di quel tempo d’oro, XV-XVI sec., restano tre moschee: la moschea Djingereber (costruita nel 1327 da El Saheli, architetto Andaluso), la moschea Sankore (che ospitò una famosa università) e la moschea Sidi Yahya (costruita dal marabù El-Moktar Hamall). Interessanti anche altre tracce di un passato glorioso: finestre, porte, colonne e decorazioni di stile marocchino. ^ L’attualità culturale di Timbuktu è rappresentata dalle decine di biblioteche, che raccolgono secolari manoscritti. Tracce di un sapere che ha la leggerezza di fogli di carta, ma la densità di un tempo che non finisce mai. Syusy – lo sappiamo – non può certo trattenersi quando si imbatte in misteri, incartamenti, vecchi libri custodi di tradizioni, storie, segreti… E’ in programma infatti la visita ad una di queste numerose biblioteche storiche: la Bibliothèque Commémorative Mamma Haidara.
Poi incontriamo gli artigiani, famosi per l’antica tecnica dei gioielli derivati dalla tradizione sia Maura sia sudanese della filigrana. Timbuktu sembra aver perso la vitalità di un tempo, ma quando arriva la sera ecco che la città ritrova la sua animazione. Songhay, Mauri e Tuareg invadono le strade. Esplodono canti e si improvvisano danze. In realtà, Timbuctù resta una città opulenta per le caste di borghesi Songhay che l’abitano e che continuano ad avere in mano il commercio del sale. Quanto la notte avvolge i volumi delle case e le forme dei suoi abitanti, ci ritroviamo in un cortile per una serata di danze tuareg: gli uomini si lanciano in danze di guerra, mentre le donne danno il ritmo su tamburi dal suono profondo. Voci acute di ragazze lodano la grazia dei danzatori. Tra i veli color indigo, occhi a volte maliziosi osservano e si lasciano osservare. La magia di un’altra notte africana che si vorrebbe infinita…
Pernottiamo all’hotel Anzalai Dodicesimo giorno Trasferimento da Timbuktu a Mopti, in auto.
Tra Douentza e Timbuktu si stende il Gourma una regione particolare di steppe semi-desertiche. Grazie al fiume Niger che lo circonda a nord e che funge da barriera climatica, il Gourma è un territorio di savana con le dune. In effetti per la sua latitudine avrebbe dovuto essere un deserto, ma non lo è proprio grazie al fiume che lo protegge e che attraverso falde sotterranee crea numerose pozze.
Lungo il tragitto, Syusy e il gruppo si fermano nei numerosi accampamenti di nomadi Peul, Tuareg e Bella disseminati nel Gourma. Un’occasione per affrontare temi forti, come la questione dello schiavismo, di cui soprattutto i nomadi Bella sono stati nella storia sfortunati protagonisti.
Pernottamento nei pressi di Mopti, nell’hotel Kanaga Tredicesimo giorno Sosta di un giorno a Mopti, per riprendere fiato. Syusy può approfittarne per incontrare gli artigiani costruttori di barche che vivono e lavorano lungo il fiume Niger.
Quattordicesimo e quindicesimo giorno Giro in auto lungo la Falesia Dogon, insieme a una guida Dogon (per chi non lo sapesse una “falesia” è una fascia rocciosa).
Iniziamo dalla falesia di Bandiagara: il paesaggio lascia senza fiato; i villaggi sono “incastonati” nella parete, sfidando le comuni regole gravitazionali. Le linee dritte delle case si alternano con quelle sinuose delle grotte. Predomina il color terra, accompagnato dal silenzio, interrotto solo dal vociare di bambini. Dall’ombra di un vicolo pietroso sbucano file di donne che si recano al pozzo. Il sorriso dei loro sguardi fa immediatamente sentire fra gente cordiale e pacifica.
^ Proseguiamo con una mezza giornata di escursione a pedi sull’impervia e rocciosa falesia Dogon, alla scoperta di due villaggi abbarbicati a nido d’aquila sulle rocce. I Dogon abitano in case di argilla marrone al limite della parete rocciosa; appena sopra di loro, nelle grotte della parete, come in un’immagine speculare, il “villaggio degli spiriti” edificato dai mitici Telem (etnia pigmoide sparita misteriosamente quattro secoli fa), prima dell’arrivo dei Dogon, in argilla rossastra.
Marcia tra ripidi viottoli del “villaggio degli uomini”, le case incastonate nella roccia non sono che estensioni di caverne. È possibile lungo questo sentiero assaporare attimi di vita quotidiana: donne intente a portare acqua, tessitori al loro telaio, anziani che intrecciano corde dalle cortecce di baobab. Attraverso un profondo crepaccio nella roccia si raggiunge il lungo sentiero centrale del “villaggio degli spiriti” da percorrere in silenzio: torri di argilla rossiccia, antichi granai, grotte e necropoli dove solo gli iniziati hanno accesso. Nel pomeriggio si assiste all’uscita delle maschere Dogon. Famose per le loro forme, che richiamano l’arte moderna e il cubismo, queste maschere rappresentano la vita del villaggio. Danzano in modo particolare all’occasione di funerali, per rendere un ultimo omaggio allo spirito del defunto, e per incoraggiarlo a lasciare il villaggio.
Venendo da nord, lungo la Falesia Dogon, sono interessanti i villaggi di Yogou (dove c’è il monolite gigante rappresentante l’incudine dell’antenato mitico Faro), la regione di Sanga (studiata approfonditamente da Marcel Griaule) e i villaggi di Ogol (dove altari monolitici sono in connessione con posizioni di stelle e pianeti) e di Songo (dove vi sono pitture rupestri di notevole Importanza, praticamente una serie di ideogrammi leggibili sia foneticamente che ideograficamente costituendo una vera scrittura ).
Syusy si è ben documentata per approfondire l’aspetto della musica, dell’arte e della danza: il mito dice che Dio, Amma, dopo avere pensato l’Universo, lo ha scritto e poi cantato… Ma sarà solo nel ballarlo avverrà la creazione materiale bella e propria. Pernottamento in accampamenti, sotto la tenda Sedicesimo giorno Spostamento dalla Falesia Dogon a Ouagadougou, in auto.
Attraverso piste e sentieri si attraverseranno i villaggi Dogon della pianura, una delle regioni più interessanti, ma meno visitate dei paesi Dogon. In questa regione, i Togu’na (le case dove si riuniscono gli anziani) sono realizzate con pilastri in legno scolpito, rappresentanti maschere ed antenati mitici. Si tratta di una delle ultime occasioni di incontrare l’arte africana ancora inserita nel suo contesto.
La Pianura Dogon porta fino in Burkina Faso, è una occasione per osservare le stelle e cercare di capire come e perché Sirio e la sua invisibile compagna sono state sempre visibili da quella parte, se osservate secondo canoni e tecniche locali.
^ Diciassettesimo giorno Da Ouagadougou arriviamo in auto alla frontiera del Togo. Le Temperature medie sono di 32°C la massima e 23°C la minima.
Una pista attraverso la catena collinare dell’Atakora conduce all’incontro dei Tamberma. Un popolo che per ragioni di difesa ha trovato rifugio da secoli nella catena montuosa dell’Atakora, su un territorio dall’accesso difficile che ha permesso di sfuggire a tutti gli influssi esterni e principalmente alle tratte negriere verso il nord Africa islamizzato. Secondo gli specialisti le loro origini li accomunano ai Dogon del Mali: con loro condividono una fedeltà assoluta alle proprie tradizioni animiste. Prova ne è la presenza di grandi feticci, a forma fallica, all’entrata delle loro case. Le dimore, di singolare bellezza, sono in forma di minuscoli castelli costruiti su tre piani. Architetti di avanguardia come Le Corbusier sono rimasti colpiti per la plasticità delle forme di queste dimore fortificate. Con il permesso accordatoci dagli abitanti entriamo nelle loro case per comprendere il loro stile di vita. Pernottamento al campo.
Diciottesimo giorno Regione Tamberma – Sokode.
Continua l’incontro con i Tamberma e la visita delle loro case fortificate. A Sokode, in serata, danza del fuoco. Al centro del villaggio un gran fuoco illumina i presenti, che iniziano le danze al ritmo incalzante dei tamtam. Alcuni danzatori in stato di trance si lanciano nelle braci, le prendono in mano e se ne cospargono il corpo, le mangiano, il tutto senza riportare alcuna ustione. Coraggio? Autosuggestione? Magia? difficile spiegare una tale performance.
Pernottamento all’hotel Central Diciannovesimo giorno Trasferimento in auto da Sokode a Lomè.
In tutta la regione del litorale del Benin e del Togo, il voodoo è la religione tramandata dagli antenati ed è praticata con fervore. Quest’esperienza religiosa è molto più ricca e complessa dei cliché diffusi in Europa, secondo i quali il vudù non sarebbe altro che una bassa forma di magia nera. Si tratta invece di una religione che dà senso e ordine alla vita di milioni di persone, qui e altrove nel mondo. Nel pomeriggio assistiamo alla celebrazione di Goo voodoo, dio della kola. Al ritmo sfrenato dei tamburi, l’improvviso scatenarsi di una trance. Gli adepti di Goro – in trance- si truccano con del talco bianco. Voodoo “pulito”, che non ama libazioni a base di olio di palma, ma solo gin e… Sangue di alcuni animali.
Pernottamento all’hotel Ibis Lome Centre Ventesimo e ventunesimo giorno Lomè, cerimonie Voodoo.
Syusy incontra un guaritore che tratta i suoi malati a base d’erbe e sacrifici sui vari altari che riempiono la sua corte. Assiste poi ad una celebrazione dedicata a Koku, il Vudù della guerra. In un villaggio perso nelle erbe della savana. Una volta in trance gli adepti di Koku si feriscono con pezzi di metallo.
Uscita delle maschere Zangbeto, grandi maschere coperte di paglia colorata. Zangbeto rappresenta gli spiriti non umani, le forze della natura e della notte che hanno abitato la terra prima ancora dell’uomo. I portatori delle maschere appartengono ad una società segreta e la loro identità è sconosciuta ai non-iniziati. Le maschere devono conservare un’entità indipendente, avente vita propria.
Pernottamento di nuovo all’hotel Ibis Lome Centre.
In serata trasferimento in aeroporto e imbarco per Roma.