Parigi e i gargoyles de Notre-Dame

Decidiamo di visitare Parigi e tramite agenzia riusciamo a prenotare attraverso un’offerta della Futurviaggi il viaggio per una spesa complessiva di 295,00 € comprendente il volo Alitalia da Roma Fiumicino, le tasse aeroportuali e l’albergo centrale (tre stelle) inclusa la sola colazione, ma in più dovemmo aggiungere 25 € a persona per...
Scritto da: Nicola 71
parigi e i gargoyles de notre-dame
Partenza il: 20/11/2003
Ritorno il: 24/11/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Decidiamo di visitare Parigi e tramite agenzia riusciamo a prenotare attraverso un’offerta della Futurviaggi il viaggio per una spesa complessiva di 295,00 € comprendente il volo Alitalia da Roma Fiumicino, le tasse aeroportuali e l’albergo centrale (tre stelle) inclusa la sola colazione, ma in più dovemmo aggiungere 25 € a persona per l’iscrizione alla promozione.

Partimmo da Roma con un’ora di ritardo e addirittura ci cambiarono compagnia aerea (AirFrance). Capimmo che qualcosa stava andando storto, ma salimmo in aereo ugualmente. Solo la mattina dopo sapemmo da Le Figarò che c’era stato il duplice attentato dinamitardo all’ambasciata inglese ad Istanbul. Evidentemente avevano già fiutato qualcosa.

Giovedi: Arrivammo all’aeroporto Charles De Gaulle alle 18,00 circa. Andammo al terminal 2 per prendere la navetta che ci avrebbe portato al Gate C o D. Da qui salimmo sull’autobus Airfrance (conviene andata e ritorno 17 €), il biglietto si può acquistare sul mezzo stesso dall’autista. Questo ci portò dopo 40 estenuanti minuti alla Piazza dell’Arco di Trionfo (comunemente chiamata dai francesi Etoile dopo la morte di Charles de Gaulle nel 1969 (Port Maillot o meglio all’Avenue Grand Armeè)), da qui andammo quindi all’Hotel Flaubert in via Rennequin, 19 – Tel. 146224435 e Fax. 143803234, a 400 mt. Dall’Arco di Trionfo. Parlano bene l’italiano. Dopo aver lasciato i bagagli (solo due capienti valigette 24 ore e l’attrezzatura fotografica onde evitare di perdere tempo prezioso al recapito bagagli dell’aeroporto) tornammo all’Etoile per prendere la Linea Verde (linea 6) della metropolitana che in questo caso è anche capolinea – direzione Nation – e scendemmo alla sesta fermata Bir-Hakeim che è quella della Torre Eiffel.

Ovviamente appena usciti dalla stazione metro ci guardammo in giro e lasciati il ponte in ferro, omonimo della stazione stessa, imboccammo la Quai de Brandly e ad un tratto la vedemmo in tutta la sua canonica bellezza.

La sensazione che ebbi fu di imponente simmetria. Personalmente mi stupì il fatto che quello che avevo sempre e solo contemplato in foto e soprattutto in televisione, ad un tratto mi si presentava dinnanzi completamente illuminata e poi mi stupì molto il fatto la costruzione avesse un colore molto prossimo al marrone e non a quel nero che avevo sempre pensato che fosse! Era anche ridicolo vedere sotto la torre lo Stadio Emile Anthoine gremito di giovani, indifferenti a quello che a noi non faceva distogliere lo sguardo. Tutto è relativo.

Giunti sotto la torre ci stupimmo della assenza di fila e quindi entrammo (10,20 € a testa fino al terzo piano) senza attendere un solo minuto a discapito di quanto ci avessero detto prima di partire.

E’ fuori discussione che dal terzo piano a 276 mt. Di altezza la visione su Parigi è straordinaria e sortisce un effetto particolare vedere la città di notte. Si afferma che si possa vedere, nelle giornate serene, anche la cattedrale di Chartres a circa 80 km di distanza. Rimanemmo per una buona mezz’ora e scrivemmo, come del resto fan tutti, i nostri nomi sulle pareti della torre. Vengono riverniciate ogni 2 anni. Poi ridiscendemmo al secondo piano con l’ascensore e un ragazzo in perfetto tedesco ci disse che era venuto per vedere e fotografare l’oggetto della sua tesi di laurea in ingegneria, ossia il particolare congegno idraulico dell’ascensore. Quando uscimmo contravvenendo alla nostro rigido copione in fatto di cimeli, Gilda mi regalò una minuscola torre-souvenir acquistata dalla miriade di ambulanti senegalesi che si appostano fuori. Va detto che i prezzi sono almeno un terzo in meno rispetto ai prezzi sulla torre. Lungo il Ponte d’Jena e su Place de Varsovie piazzai più volte il treppiedi e scattai con speciali filtri le nostre foto del Trocadero e la Torre Eiffel, mentre Gilda si sedette su dei gradini a scrivere i passi del diario di viaggio. Era così avvenente, assorta su quella moleskine, col basco in pelle nera sugli occhi e con tra le dita la preziosa stilografica che le regalai per il compleanno, che la immortalai sul rullino più volte alla sprovvista.

Poi girammo le spalle alla costruzione simbolo di Parigi e imboccammo Ave de le Nations Unies, Blv Delessert, Rue de Passy e Avenue Mozart. Le strade dello Chaillot sono carine e famose, perché ricche di forni e negozi che vendono prodotti dolciari tipici parigini (La Gallette, la Quiche Lorrain e Pain Chocolat), ma ironia della sorte era già tutto chiuso. Eravamo arrivati tardi. Riuscimmo dopo un bel po’ sul Pont de Grenelle e fotografammo, come programmato, la Statua della Libertà del film “ Frantic ” dove hanno poi girato la scena finale Harrison Ford e la signora Polanski, Emmanuelle Seigner. Da qui tornammo alla stazione Bir-Hakein (linea Verde), mangiammo una baguette farcita al formaggio di capra, mentre rispolveravamo il nostro seppur ottimo francese con il venditore ambulante. Giunti all’Etoile ci concedemmo agli Champs Elysées. Stavamo facendo una scorpacciata di ‘ grandeur parigina ’ tutto in una volta e increduli pensammo più volte che appena una manciata di ore prima eravamo a casa. Andando giù, girammo a sinistra per Avenue Matignon e arrivammo a La Madeline, che si presentava mastodontica nel suo colonnato corinzio di oltre 15 metri e da quella spocchiosa imponenza, capimmo perché Napoleone ne fosse così legato da relegarlo a tempio della gloria militare francese. La temperatura si faceva rigida, entrammo al ritorno in un locale sugli stessi Campi Elisi e prendemmo da bere. Un calice di vino rosso e una spremuta, mentre gran parte del locale seguiva in tv le ultime notizie della nazionale di rugby francese che giocava il mondiale in Australia. Tornammo molto stanchi all’Arch de Triomph che era l’1,00.

Venerdi: Dopo la colazione e un’occhiata a Le Monde per via dell’attentato, andammo a piedi alla stazione alla solita piazza dell’Arco di Trionfo a prendere la metro (linea Gialla – linea 1 – direzione “Chateau de Vincennes”) e scendemmo alla 7 o 8 fermata denominata Hotel de Ville. Scattammo delle foto su quel viale dove Doisneau rese famoso uno dei suoi scatti migliori “il bacio de l’hotel de Ville” appunto. Imboccammo poi Rue de Rivoli e cominciammo a respirare un’aria differente, una dimensione che ci portava prepotentemente verso i primi anni ’80 fatta di botteghe di alimentari ed empori di articoli casalinghi. Gli scorci erano invitanti e tutto era più a misura d’uomo, ma nello stesso tempo al profumo dei dolci appena sfornati si mischiavano dei palazzi di stucchevole bellezza e molti dei quali erano stati trasformati in musei. Era piacevole a livello architettonico il modo in cui i parigini avessero saputo sfruttare l’angolo dei palazzi allargandolo e inserendo quindi in essi delle finestre e balconi. Giungemmo poi a Place des Vosges nel cuore del quartiere Marais, entrando da Rue de Birague e svoltando subito a sinistra per entrare sotto i portici. Mi ricredetti immediatamente sulla simmetria della Torre Eiffel, quando entrai in questa piazza. Potevo contare ben 36 edifici, 9 su ogni lato e anche se adesso vedevo bambini festanti scorazzare per il giardino perfettamente quadrato al centro, la mente mi corse immediatamente al film “ Barry Lindon ” di Stanley Kubrick per via di come il regista seppe descrivere un duello tra gentiluomini del tempo e di come in questo giardino gli stessi signorotti (in carne ed ossa però) si sfidassero per le grazie di una signora. Qui la gente moriva in sfida per via di un onore oltraggiato.

In questa piazza vissero Richelier e anche Victor Hugo che abitò alla casa n. 6. Poi con molta tranquillità tornammo indietro fino a rue St. Paul, la percorremmo entrando in alcuni negozi di dolciumi e in un altro di cappelli, poi passeggiammo rispettivamente su rue du Figuier e entriamo nell’isola di St. Louis dal ponte Marie. Eravamo sull’isoletta più piccola e da qui puntammo la maggiore più ad Ovest. Notre Dame ci aspettava. Attraversammo quindi il Ponte St. Louis, dopo che da quai d’Orleans, Gilda, seduta da una panchina, disegnò a carboncino Notre Dame, mentre io fotografavo gli archi rampanti che Jean Ravy aveva regalato alla Cattedrale dandole, da dietro, le sembianze di un ragno.

Varcammo l’isola da rue du Cloitre de Notre-Dame e poi ammirammo la stessa dal point zero da quale si misurano tutte le distanze riferite a Parigi. Non fotografai mai la Cattedrale da davanti, perché non potevo permettere a me stesso di ricordare una delle chiese gotiche più famose al mondo con l’intera torre nord fasciata di un’impalcatura. Non nego che la cosa mi rovinò la giornata. Entrammo, dopo aver sminuzzato con lo sguardo i tre portali d’ingresso e il rosone occidentale, e ci spostammo subito sul lato destro per giungere dietro all’altare alla Pietà di Nicolaus Cousstou.

Ci infastidì moltissimo che alcune ragazzine americane si immortalassero in foto con la Pietà alle spalle facendo delle boccacce. Certo Notre Dame in passato era stata addirittura sconsacrata da facinorosi e fu destinata al deposito di vettovaglie, però non mi sembrava il posto adatto per urlare a squarciagola verso l’obiettivo con una Madonna dolorante alle spalle.

Successivamente passammo sotto le vetrate che la leggenda vuole più spesse in basso rispetto che in alto, perché con i secoli le molecole del vetro si sono ”tirate in basso per il peso” e che durante la seconda guerra mondiale sono state di proposito nascoste sotto terra per evitare che le deflagrazioni da bombardamento le riducessero in frantumi. Salimmo quindi i 387 gradini delle torri (mezz’ora di fila e 6 € per il biglietto) e lasciamo al lettore immaginare cosa possa offrire una Parigi a 360° da lassù. Le foto al panorama e ai gargoyles ( per chi non ne è a conoscenza i gargoyles sono i doccioni ornamentali a forma di mostriciattoli celati dietro il corridoio superiore tra le torri) mi rubarono forse mezz’ora e dopo aver toccato la campana di Quasimodo scendemmo.

Non entriamo alla Corciergerie, l’edificio che presagiva la ghigliottina durante la Rivoluzione, ma entrammo nella gotica Saint Chapelle, dove incredibilmente trovai delle vetrate una spanna migliori della sua più illustre rivale Notre Dame de Paris.

Con molta calma attraversammo i 12 archi del Pont Neuf (il più vecchio ponte di Parigi), rue de Seine e Boulevard Saint German des Pres per gli aperitivi e le cartoline. Con l’aiuto della guida tascabile decidemmo di visitare i Cafe dove si erano seduti Juliette Greco e Jeanpaul Sartre, quindi a digiuno ci gustammo un paio di caffè al Cafe de Flore, una buona bottiglia di beaujolais a Les deux Magots in onore di Hemingway e poi attraversata la strada un paio di birre Chimay alla Brasserie Lipp. Passeggiando su e giù ed entrando e uscendo nei negozi di artigiani, brasseries e librerie, Gilda comprò delle locandine storiche del Moulin Rouge e dello Chat Noir cabaret ed io acquistai in una polverosa libreria la versione francese de “La confraternita del Chianti” del nostro conterraneo abruzzese John Fante. Appena si fugarono i soporiferi fumi dell’alcool e salì la fame, ci inoltrammo in una zona da retrogusto etnico piena di ambulanti e dove vedemmo delle bancarelle di fiori, stoffe e frutti di mare. Stupende erano le esposizioni ittiche sia per le originali composizioni, che per i colori naturali che i pescatori avevano saputo depredare all’Atlantico. Le fotografai e posso dire che forse sono le foto che mostrano le più belle sfumature cromatiche che io abbia mai scattato. Inoltre anche le persone erano molto meno frenetiche e convenevoli al posto. Questo fu un posto che mi piacque molto e ci rimanemmo a prendere una spremuta in un bistrot, dove dei ragazzi stavano facendo i compiti e dove l’anziano proprietario iniziò di gusto una chiacchierata con noi per erudirci sul fatto che quando i cosacchi invasero Parigi erano soliti entrare nelle taverne e appena sedutisi battevano i pugni sul tavolo gridando ‘Bistrò!’ che nella lingua russa indica ‘Presto, veloce!’ Da qui il nome rimase per tutti i Cafe d’Oltralpe e non solo.

Mangiammo invece all’uscita una baguette appena riscaldata ed imburrata e due sformati al formaggio pagando una miseria alla ambulante. Cercammo di dialogare con la signora, ma oltre alla abbondante ricrescita che sorgeva dalla sua riga in mezzo, era molto generosa anche nel suo silenzio.

La sera entrammo nel Quartiere Latino e più precisamente rimanemmo a lungo alla piccola Atene. Sembrava di stare in una Mykonos molto più economica. Poi puntammo verso rue du Chat qui Peche, una suggestiva stradina in pavé piena zeppa di giovani alternativi ed artisti di strada. Seppi quella sera da un artista di strada, un sassofonista di Toronto, a cui offrii una birra dopo il suo spettacolo stradale, che quella zona si chiama Quartiere Latino, non perché fosse in passato abitato da immigrati ispanici e italiani, ma perché sede di residenza di quasi tutti gli studenti dell’università parigina la Sorbona e che quindi un tempo qui, si parlasse correttamente il latino! Alle 2,00 rientrammo in camera, rischiando seriamente di perdere l’ultima corsa metro.

Sabato: Dalla stazione metro Ternes vicina al nostro albergo (linea 2 – linea Blu – direzione Nation), usciamo a Place Blanche e troviamo il Moulin Rouge davanti. Pensiamo di incamminarci lungo blvd de Clichy perché ero euforico del fatto che qui dal 1873 vi trascorse gran parte della sua vita Edgar Degas, il mio pittore preferito dopo Caravaggio. La mia euforia si dimostrò legata solo alla mia suggestione, perché la zona si rivelò patetica per via di tutti i locali legati indissolubilmente ad articoli sessuali e a sexyshops. Anche dopo aver visto Pigalle, la sensazione di delusione rimase per via di quelle tanto rinomate dubbie attrattive. Tornammo indietro e ci visitiamo la piazza antistante il Moulin Rouge e scatto la foto bianco e nero più bella di tutta la vacanza. Inforchiamo, quindi, la salita di rue Lepic e ci fermammo a vedere tutte le vetrine di pasticcerie. I contorni in legno delle vetrate mi stupirono perché erano completamente erosi dal sole e il livello di pulizia era molto discutibile. Ci sedemmo su una panchina piazzata appena all’esterno di un alimentari per assaporare la frutta appena acquistata. Era strano vedere questi contorni differenti e il via vai di persone molto poco parigine e molto legati ad un attivo melting pot. Lasciammo poi il posto ad una vecchia e dopo una curva a destra e una miriade di bancarelle di frutti di mare, entrammo a rue Norvins fino a sfociare al Cafe Consulat, dove nuovi e presunti artisti vanno a discutere e a farsi vedere.

Montmartre alla fine del 1800 era il ritrovo di tutti gli artisti squattrinati d‘Europa che tentavano l’ultima carta per diventare qualcuno e si rifugiavano sulla Butte (collina in francese) non perché fosse una zona d’elite, ma al contrario proprio perché essendo una zona ghettizzata dai benpensanti del tempo, tutto era quindi molto più economico. Ovviamente non poteva che diventare quel posto leggendario dove tutte le più innovative e romantiche idee prosperassero. Lenin, Modigliani, Van Gogh, Degas, Picasso, Edith Piaf popolarono con le loro tragedie e rivalse i famosi locali, cabaret e bordelli della zona alimentando maggiormente la fama di luogo di perdizione. Adesso mons Martyrum (ossia il Monte dei Martiri, a ricordo di alcuni cristiani giustiziati sulla collina nel 250 d.C.) sembra una anziana dama che non si rassegna allo scorrere del tempo e che vive più di passato nostalgico che di presente. Montmartre è un posto fantastico se non fosse per tutti quelli che la svendono ai turisti per qualche euro. Se prima l’aria profumava di idee rivoluzionarie per via di gente che contribuì a forgiare la politica, l’arte e la leggenda romantica europea, adesso perfetti sconosciuti che si professano artisti vivono ancora di rendita sfruttando il nome di chi veramente lo è stato.

In ogni modo passammo le tre ore più belle della vacanza proprio a Montmartre, perché nonostante non eravamo mai stati qui, era paradossale per me e Gilda conoscere già quegli scorci suggestivi attraverso le tele di Gèricault e Corot e le letture su Modigliani e Degas. Sta di fatto che almeno per me veleggiava nell’aria una sensazione simile a quella di un tifoso che giunge allo stadio troppo tardi e all’uscita tutti i compagni gli raccontano di aver assistito alla partita più bella mai giocatasi dalla propria squadra del cuore.

Ci isolammo poi dalla grande massa e cercammo di visitare l’ultima vigna di Montmartre e la chiesa de Le Sacre Coeur che, come pochi sanno, è stata costruita da due cattolici in segno di voto, qualora la Francia avesse superato l’attacco prussiano e i lavori furono iniziati nel tardo ‘Ottocento’ ispirandosi allo stile romano-bizantino.

Gironzolando per la Place du Tertre e rilassandoci sulla balconata antistante la chiesa sembrava di rivivere quelle atmosfere che riportavano al film “Il famoso mondo di Amelie” girato interamente nell’ex quartiere bohemien. Ci bevemmo con gusto una bottiglia di beaujolais con i cantuccini portati dall’Abruzzo e lì per lì decidemmo di dividerci per un po’.

Io con il treppiedi andai a fotografare la funicolare e le storiche scale di Montmartre più volte ritratte dai negativi fotografici di Brassai, mentre Gilda completò il “diario di bordo” con i suoi schizzi a mano libera.

Scendemmo tardi dalla collina completamente rigenerati e a piedi andammo diretti all’Opera Garnier (entrata non oltre le 17,30) per vedere la sontuosità dell’edificio, che venne costruito per volere di Napoleone III, da un architetto che ai tempi era un perfetto sconosciuto: Charles Garnier.

La “Torta Nuziale”, come viene definita dai parigini, ci stupì non poco per via di uno stile non riconducibile al barocco, ne tanto meno a qualsiasi altro stile, ma rimanemmo male per la volta interna affrescata da Chagall, che ce ne scusiamo con i lettori, ma secondo noi è inadeguata per un luogo così classico-barocco. Una volta venuti fuori dall’edificio abbiamo pensato di regalarci un caffè al Cafe de la Paix in Bld des Capucines, 12 che è ubicato subito dopo l’angolo a destra appena si esce dalla stessa Opera. Si dice, infatti, che se si rimane per un po’ di tempo in questo Cafe tutto il mondo ti passerà davanti. Nonostante fosse contro i nostri principi morali spendere diversi euro per un caffè, ma questo Cafe è veramente bello con le decorazioni del XIX secolo.

Alcuni nostri amici appena tornati da Parigi ci dissero che per arrivare all’Opera e saggiarne il fascino è emblematico arrivarci da Avenue de l’Opera e a posteriori posso dire che avevano ragione, anche se noi invece ci arrivammo da dietro venendo appunto dalla Butte. La zona dell’Opera è la zona ricca di Parigi, dove si scorge la ’grandeur ’ guardando gli edifici che son diventate banche, sedi di redazione di giornali nazionali e i più grandi centri commerciali per altolocati. Si nota dal colpo d’occhio che è il posto preferito delle signore e turisti che circolano con buste di Gaultier, La Fayette o Fauchon ed Hédiard. Qui intorno partono i grandi viali parigini e noi quindi ci incamminammo lungo Blvd des Italiens, Blvd des Capucines e per finire Blvd de la Madeline. Essi furono realizzati nel XVII secolo per trasformare le vecchie mura della città in passeggiate alla moda e divennero famosi al punto che nel 1800 il termine boulevardier indicava chi amava mettersi in mostra lungo i viali. Da Place de la Madeline è suggestivo percorrere la Rue Royale (dove al n.2 catturarono Maria Antonietta nel suo rifugio) e al bivio scegliemmo di proposito di andare a sinistra fino alla Place Vendome. La piazza ci sembrò subito qualcosa di fuori dal comune e sulla guida leggemmo che rappresenta l’esempio di eleganza del XVIII secolo. Qui vi morì nel 1848 Chopin, César Ritz ci insediò al n.15 il famoso albergo e originariamente la piazza fu costruita per ubicarvi le accademie ed ambasciate, ma alla fine fu destinata ai più potenti banchieri e gioiellieri. Passeggiammo sfiniti sotto i portici e studiammo bene la colonna dedicata alla battaglia di Austerlitz, che domina il centro della piazza, ma Gilda mi fece notare con un pizzico di rammarico che lo splendore regale ha lasciato spazio ai soldi dei magnati arabi e giapponesi e ai gioielli di Chaumet e Boucheron in vetrina. Da lì andammo incredibilmente a prendere la metro in Place de la Concorde, perché desideravo fotografarla con quella luce di luna piena. Non avrei più avuto un’occasione di questo tipo. La foto più bella immortalò contemporaneamente la sagoma di spalle della statua di Bordeaux, insieme all’obelisco egizio e la lontana torre Eiffel, il tutto immerso in un cielo giallo ocra al vespro con la luna piena pronta al passaggio di consegna. Questa piazza occupa quasi 10 ettari di terreno e durante la Rivoluzione francese i parigini le cambiarono il nome originario da Place Luigi XVI in Place de la Revolucion e vi piazzarono la ghigliottina dove furono giustiziati oltre 1000 persone tra cui il Re Luigi XVI, Maria Antonietta, Danton e Robespierre. Al centro della piazza che cambiò ancora nome in quello attuale, venne poi posto l’obelisco di Luxor e otto statue rappresentanti le otto più importanti città transalpine. Ritornammo in camera verso le 00.30 con delle foto fantastiche, un ricco diario di viaggio e la consapevolezza che culturalmente avevamo assimilato parecchio.

Domenica: Ci siamo alzati relativamente presto per preparare le valigie e dopo una lauta colazione usciamo diretti per gli Champs Elysées. Avevamo visto questo posto in diverse ore del giorno, ma di domenica mattina sembrava offrire il meglio di sé. Il viale dei Campi Elisi fu iniziato nel 1667 per ampliare la visuale che partiva dai Giardini Tuileries e fu considerato la ‘ Via del Trionfo ’ dai francesi da quando furono riportate a Parigi le spoglie di Napoleone nel 1840.

Noi ne percorremmo un bel po’ e poi girammo su Avenue Montagne. Nel XIX secolo questa strada era ritenuta di tendenza per il Giardino d’Inverno, noto locale all’avanguardia per pochi o per coloro che sperimentavano nuovi suoni e strumenti musicali. Adesso si presentava ancora fiero del suo passato, mostrando alberghi e boutique quasi inaccessibili. Questa strada conduce verso Place e Pont de l’Alma (qui c’era un monumento dedicato all’indipendenza americana, che i fans di Diana Spencer hanno convertito al ricordo della donna scomparsa), giriamo a sinistra per entrare sul Pont Alexander III. Questo ponte è noto per gran parte della popolazione italiana per via dello spot della Ferrero Rocher girato con Juliette Binoche, ma al di là di questo, il ponte è uno spettacolo di architettura Art Nouveau, con tutti i cavalli alati, gli angeli, tritoni, ninfe e lampioni cesellati. Lo zar Alessandro gli diede il nome perché pose la prima pietra in occasione di un suo viaggio a Parigi nel lontano 1896.

Le quattro mastodontiche colonne erette sui due ingressi rinforzano con il peso i piloni e mantengono l’equilibrio statico di questa costruzione e va ricordato che esso è costruito in un’unica campata. A mio avviso le migliori cartoline in bianco e nero di Parigi sono quelle che vedono questo gioiello protagonista. Noi senza che nessuno ci vedesse scrivemmo con un pennarello sul parapetto, la data del nostro passaggio e verremmo forse a ricalcarla al nostro ritorno qualore ci fosse.

Riprendemmo la passeggiata, dopo lo stupendo panorama al quale assistemmo dal ponte, e visitammo dall’esterno, su Avenue W. Churchill, il rinomato palazzo delle collezioni d’arte Petit Palais. Finimmo il giro alla stazione metro (Champs Elysées-Clemenceau) e dopo tre fermate in direzione “la Defense” giunse l’ora di salire sull’Arch de Triomph.

La struttura ci meravigliò dal primo giorno perché non potevamo mai immaginare che fosse alta 50 metri! Da sopra si scorge perfettamente perché chiamano Etoile (stella in francese) la piazza sottostante, difatti da qui s’irradiano dodici viali coi nomi di importanti comandanti dell’esercito napoleonico, ma la visuale su Parigi è totale e per chi ama la fotografia non c’è posto migliore. L’arco più famoso del mondo fu fortemente voluto da Napoleone dopo la vittoria di Austerlitz del 1805.

Visitammo nella ridiscesa anche il museo interno e tornammo in hotel a riprendere i bagagli e dall’Etoile prendemmo l’autobus per l’aeroporto Charles de Gaulle.

CONCLUSIONI: Sembra chiaro agli occhi del lettore che i due protagonisti, nonché scrittori del presente resoconto, hanno volontariamente rinunciato alla visita dei musei parigini del Louvre e Museo D’Orsay perché essi avrebbero occupato tutto il tempo a disposizione. Appare ovvio che Parigi verrà visitata una seconda volta dove completeremo le sopraccitate mancanze e in più vorremmo aggiungere la torre di Montparnasse, il cimitero degli artisti di Pére Lachaise, la reggia di Versailles e le zone delle Tuileries e dello Chaillot, dove in quest’ultimo siamo stati troppo sommariamente nel primo giorno di permanenza. Gilda inoltre, al nostro ritorno in una libreria di Lanciano, trovò una guida di tutte le abitazioni ancora esistenti dei 100 più grandi personaggi che hanno vissuto a Parigi o dove sono nati o deceduti. Sarà un ottimo mezzo per conoscere meglio la città. Di Parigi conserviamo delle foto che molte volte ci rimane difficile pensare siano state scattate da noi, anche se siamo consapevoli di essere dotati di una efficientissima attrezzatura. A rendere eccezionali però queste istantanee è stato sicuramente il soggetto immortalato, più che gli autori.

In questa breve vacanza di Parigi ho preferito senza dubbio il Marais e quella zona sanguigna della Rive Droite, prima del Quartiere Latino e più precisamente tra la Senna e Saint Germain des Pres. Gilda invece dice che, se avesse una sola mezza giornata da trascorrere a Parigi, gradirebbe stare sull’Ile de la Cité, Ile St.Louis e sulla romantica parte subito a ridosso della Rive Gauche. Per intenderci quest’ultima zona è l’isolato delimitato dalla rue du Cloître – Notre-Dame, dalla rue d’Arcoles e dal quai aux Fleurs, che conserva ancora l’atmosfera e l’aspetto dell’epoca precedente alla rivoluzione urbanistica del prefetto George Eugene Haussmann. Entrambi però siamo rammaricati nel non considerare Montmartre in questa lista, perché rimane un posto favoloso, ma lo stanno rendendo un luna park e questo ci rattrista oltremodo.

Per fare comprendere al lettore il nesso di quanto vi stiamo dicendo voglio proporre un esempio calzante; Gilda era seduta davanti a La Mère Catherine su Place du Tertre, quando due signore belghe vedendola disegnare sulla nostra moleskine la cupola de le Sacre Coeur, le si avvicinarono chiedendole se in caso il disegno era in vendita! Avremmo potuto chiedere ai due ingenui belgi 10 € e vendere un disegno che Gilda non avrebbe mai venduto in un altro posto. Questo è sintomatico del fatto che molta gente si riversa in questo posto credendo che una qualsiasi persona sia una pittrice per il semplice fatto che indossi un cappello in pelle, senza considerare l’ipotesi che la stessa presunta artista sarebbe potuta essere giunta a Montmartre per la prima volta in vita sua appena 5 minuti prima di loro. Secondo noi 3 pittori su 4 che sono lì, sono semplici ritrattisti con buone doti tecniche, ma che mirano ai cospicui guadagni.

Riguardo alla storia di Parigi mi ha stupito la rivoluzione urbanistica protratta dal prefetto Haussmann (tra il 1853 e il 1869) che ha avuto il nulla osta per abbattere interi quartieri proletari affinché potesse restaurare, abbellire, ma soprattutto controllare una Parigi in sommossa con lunghi vialoni come gli Champs-Elysées, Rue de Rivoli e Bldv Haussmann stesso, che sarebbero serviti alla polizia per sedare focolai rivoluzionari. Da questo nacque l’idea de l’Etoile dalla quale partono le comode 12 famigerate strade rettilinee.

Gilda, invece, considerava curioso che lungo il sottomarciapiede delle strade di Parigi scorresse sempre dell’acqua fino a mezza mattinata. Ci dissero in metropolitana che questo era dovuto al fatto che tutti i negozianti della collina di Montmartre, la mattina lavando il pavimento dei propri negozi spazzassero l’acqua in strada. L’accumulo di tutti i reflui da bottega produceva il bizzarro incanalamento fino a valle. Per finire desideriamo informare pienamente il lettore sul nostro conto per potergli offrire un quadro veritiero ed evitargli quindi a sua volta sgradite sorprese che noi, viste le nostre caratteristiche, non abbiamo incontrato.

In viaggio difficilmente ci si presentano problemi di comunicazione visto che in due abbiamo il vantaggio di esprimerci in 5 lingue diverse e fortunatamente tra queste c’è un perfetto francese che i parigini sembrano esigere se vengono interpellati da un turista. Per questo viaggio in due abbiamo speso 1.000 €, comprendenti addirittura gli spostamenti per arrivare da casa nostra all’aeroporto di Roma. Questa spesa limitata è in parte dovuta al fatto che i pasti li consumiamo presso gli ambulanti o in sobri ed economici chioschi mordi e fuggi e per principio cerchiamo di non acquistare souvenir, perché preferiamo sostituirli con le nostre foto bianco e nero, a colori e con il resoconto del diario di viaggio della mia ragazza, arricchita da eccezionali rappresentazioni in carboncino e matita. Il racconto è stato scritto a quattro mani da due giovani con età compresa tra i 33 e i 25 anni che cercano nel viaggio ogni forma di cultura e che fanno partire il viaggio settimane prima che arrivino a destinazione per via di una ricerca certosina sulla storia del posto, quindi questo racconto sarà utile soprattutto per chi come noi cerca questo tipo di immersione. Abbiamo già scritto per Turisti per Caso riguardo ad Amsterdam (Titolo: Amsterdam e le sue tre X ) e stiamo preparando Praga, Madrid, Roma e Mykonos e ci farebbe piacere se ci veniste a leggere. Non vogliamo chiudere con le famose parole d’ordinanza di re Enrico IV, che prima di convertirsi al cristianesimo disse ‘Parigi val bene una messa,’ o con quelle del leader dei Doors che invece disse: ‘Dopo la costruzione di Parigi hanno buttato il progetto nella Senna ’ ma con parole molto meno importanti, ossia le nostre: ‘Di notte Parigi strizza l’occhio ad un romantico viaggio di coppia, ma se si è soli la vostra anima può sempre accompagnarvi’.



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