Chile norte – terra di libertà

La certa luce di un giorno ha ali sì dure e sicure che si sperperano nella rosa: sembra che stiano per morire: sembra che tanti anelli abbondino alle dita del giorno, sembra che non torni ad ardere altro orologio con questa sfera: c’è troppa chiarità per il mio piccolo pianeta. Non è così, lo sa la terra nella sua bagnata intimità. I...
Scritto da: Turambar
chile norte - terra di libertà
Partenza il: 03/08/2004
Ritorno il: 24/08/2004
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 3500 €
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La certa luce di un giorno ha ali sì dure e sicure che si sperperano nella rosa: sembra che stiano per morire: sembra che tanti anelli abbondino alle dita del giorno, sembra che non torni ad ardere altro orologio con questa sfera: c’è troppa chiarità per il mio piccolo pianeta.

Non è così, lo sa la terra nella sua bagnata intimità.

I minerali han ricevuto notizie che riverberavano e l’atomo ha cristallizzato un movimento di lampo.

Io assumo questo giorno sottile come una cintura intorno alla tristezza circostante e mi faccio un cinturone, un bicchiere, una nave per emigrare, un oceano di rugiada.

Venite a vedere sull’ape, una cetra di platino, sopra la cetra il miele e sopra il miele la cintura della mia amata trasparente.

Ho trascorso la vita nella gioia e nella sventura ho passato tutta la vita ed altre vite, perciò in questo giorno azzurro ho invitato tutto il mondo.

Non mi salutate entrando, ma non m’insultate neppure.

Sono un piccolo professore: do lezioni di luce alla terra.

——————— Un’ape più un’ape non fanno due api chiare e neppure due api oscure: fanno un sistema di sole, una stanza di topazio, una carezza pericolosa.

Il nostro viaggio comincia a Santiago, dopo quasi una intera giornata di volo. Arriviamo la mattina, dopo un primo assaggio del traffico cittadino ed il tempo di rinfrescarci ci spostiamo alla cittadina di Liray, dove nel quartiere di Santa Marta sorge il Centro di Economia Solidaria.

Questo centro è un luogo di ricerca e sperimentazione pratica di forme di economia alternativa. In Cile il neo liberismo è portato all’estremo e, nonostante quello che raccontano le cifre ufficiali, esiste una larga parte della popolazione che vive con un salario molto al di sotto di quello necessario per vivere. Fortunatamente però non si raggiungono gli estremi di povertà di altri paesi Latinoamericani.

Il funzionamento del Centro è abbastanza semplice, come molte delle sperimentazioni di economia alternativa. Esistono quasi venti piccole società (alcune sono delle società individuali) che fanno parte spontaneamente del Centro. Questo non ha una forma giuridica vera e propria: le società aderenti hanno esclusivamente dei vincoli commerciali fra di loro. Una nuova società viene ammessa a far parte del Centro solo se porterà dei benefici a tutta la filiera delle altre società già presenti. I progetti seguiti sono molteplici: si va dalla coltivazione della terra, all’allevamento, alla trasformazione di prodotti agricoli, alla formazione scolastica (per esempio è stato realizzato un museo campesino con una raccolta di antichi attrezzi), alla commercializzazione. L’interconnessione fra le varie società fa sì che avvengano poi vari scambi diretti fra queste. Se può sembrare ovvio va però evidenziato come questi scambi non avvengano con compravendite di prodotti o servizi, ma in maniera diretta, tramite la contabilità del Centro. Solo al termine dei periodi fiscali avviene un bilanciamento fra le varie società con del denaro corrente.

Il secondo giorno abbiamo cominciato con una breve visita del centro della città, con alcuni dei monumenti e palazzi più famosi. Santiago è una città caotica, con alti grattacieli ed una miriade di casette basse: economiche da costruire ma sufficienti per non crollare al primo terremoto.

——————— Vi racconterò come nasce un vulcano nella mia terra: a Paricutìn o a Chillàn è lo stesso, buona gente: le tribù non sanno i confini e non si divide l’estate.

Prima d’alzarsi c’è un vuoto come di luce appena lavata e poi giunge il velluto a partecipare nei fiori finché una cinta sottile di vapore color di luna comincia a sbocciar da una pietra: s’apre la bocca della terra.

La Fundacion Solidaridad è un progetto storico del commercio equo cileno. Nasce nel 1974, in piena dittatura, per creare una rete di appoggio ai prigionieri politici. La crea la Vicaria di Santiago per volere del Vescovo. Dalla sua fondazione si schiera quindi con gli emarginati: prima quelli del regime militare e poi quelli del regime neo liberista.

Oggi infatti per vivere bene in Cile sono necessari ad una famiglia circa 600 US$ al mese. Molte famiglie però tirano avanti con appena 150-200 US$ al mese. La Fundacion oggi lavora proprio con queste famiglie, che non avrebbero la possibilità di vivere dignitosamente.

Le sfide dettate dall’economia liberista sono però tante. È meglio creare un movimento politico che possa cambiare in toto la situazione “dall’alto” o è meglio lavorare dal basso, cercando di costruire “l’uomo nuovo”? Questo è il grande dilemma a cui si sono trovate di fronte le persone della Fundacion.

La loro scelta è andata soprattutto nella seconda direzione, cercando di mantenere molto vivo lo spirito cooperativistico della loro azione e partendo dalla considerazione che i problemi sono tangibili e presenti per circa 4’000’000 di poveri. Non vogliono tralasciare però a priori la strada politica. Il loro impegno sotto questo aspetto è dimostrato ad esempio dalla forte partecipazione della Fundacion a varie reti di sensibilizzazione in Cile e alle molte alleanze e partecipazioni attive nel mondo del commercio equo e solidale.

I prodotti commercializzati sono molti ed arrivano da una moltitudine di piccoli centri di produzione. Uno dei loro prodotti simbolo sono le arpilleras, cioè dei piccoli arazzi fatti con pezzi di stoffa di scarto. Essi inizialmente erano un veicolo di protesta contro la dittatura, dato che venivano prodotti nei centri di detenzione e poi venivano commercializzati all’estero.

Un prodotto che negli ultimi tempi sta prendendo una valenza maggiore sono le bambole di stoffa. Il Cile, come tutti i paesi dell’America Latina, è bombardato da una forte campagna pubblicitaria statunitense. Anche attraverso le bambole si cerca di imporre un modo di vita e degli standard estetici che non sono propri della cultura cilena. Ecco quindi che Fundacion realizza le bambole con i costumi tipici del popolo cileno, ma anche con le tipiche caratteristiche somatiche dei popoli latini o indigeni. Le bambole commerciali hanno poi un altro aspetto, che porta lentamente all’alienazione dalla realtà per il bambino: sono quasi completamente asessuate. Anche qui la risposta della Fundacion e dei suoi artigiani è di realizzare bambole che abbiano i corretti attributi sessuali, che siano magari incinte o con dei bambini piccoli: che rispecchino insomma quella che è la vita reale.

Oltre a questi due esempi la produzione dei tallers di produzione è molto più ampia e fantasiosa. Va dagli oggetti in terracotta a quelli in pietra, dalla bigiotteria alle marionette, dalle cornici in legno alle decorazioni per l’albero di Natale.

————————— E’ saggio l’uomo che volteggia e ammiccando sul fil di ferro cambia di pelle e di palato cercando il sole o l’equilibrio.

(L’astuzia cambia colore e il conservatore non conserva che le maschere che ha usato, ormai convertite in cenere).

Dopo aver visitato la sede della Fundacion ci siano spostati in un quartiere periferico dove sorge uno dei talleres di produzione: il Centro de Madres Chile Lindo di Pudahuel. Qui siano entrati in contatto con uno dei centri che costituiscono poi la vera Fundacion, cioè la gente che attraverso il commercio equo e solidale può avere una vita dignitosa per la sua famiglia.

Come nella maggior parte dei gruppi produttivi anche questo è costituito in prevalenza da donne. Alcune giovani madri di famiglia ed altre già in pensione. In questo centro si producono soprattutto oggetti in stoffa, come le bambole di cui si era parlato o maschere di carnevale. Stanno però facendo degli esperimenti di produzione di oggetti in carta riciclata, come cestini, bigiotteria e vassoi da portata.

Questi oggetti hanno una doppia valenza. Oltre ovviamente ad essere prodotti commercializzabili e quindi costituire fonte di reddito, permettono di sfruttare in maniera diretta fogli di giornale riciclati. Danno quindi lavoro non solo alle persone del taller, ma anche a quelle persone che per sbarcare il lunario vanno in giro per la città a raccogliere giornali e cartoni. Ed ovviamente aiutano l’ambiente perché effettuano un riciclaggio diretto di materie altrimenti destinate alla discarica.

Essere accolti da queste persone è stato molto importante per noi. Raramente infatti si ha la possibilità, anche nel commercio equo e solidale, di entrare in contatto diretto con gli artigiani. Qui invece abbiamo avuto la possibilità non solo di conoscerli dal punto di vista produttivo, quindi vedere come costruiscono gli oggetti che poi vendiamo in bottega, ma di capire come realmente vivono e quali sono le soluzioni che sanno mettere in campo per fare quello che il mercato neo liberista gli vorrebbe impedire. ————————- Uno di più, tra i mortali, profetizzo senza vacillare che malgrado questa fine del mondo sopravvive l’uomo infinito.

Il terzo giorno ci ha portato sulla costa, a visitare il Retiro en Tierra del poeta più famoso del Cile: Pablo Neruda. La casa è esattamente quello che racconta il poeta, cioè il suo angolo di tranquillità, dove potersi ritirare per comporre versi. Lontano dalla città e dal frastuono della gente.

È quindi piccola. O meglio, con ambienti piccoli. Evidentemente amava il divertimento, ma non il lusso sfrenato. Aveva ogni cosa necessaria per poter accogliere gli amici e i conoscenti, ma non aveva ampi saloni da ballo o immensi tavoli da pranzo. Le stanze sono piccole, organizzate in maniera simile alle cabine di una nave. Amava circondarsi di “tesori”. Lui si definiva un collezionista, ma l’impressione è che raccogliesse di tutto. Probabilmente, come molti viaggiatori, amava circondarsi degli oggetti che gli ricordassero particolari momenti della sua vita. Oppure oggetti che stimolassero in lui sentimenti particolari, come le polene delle navi (a cui era solito dare dei nomi propri).

La casa ospita anche la sua tomba, cosí che per l’eternità possa guardare il mare tanto amato. Per la verità non è stato sepolto in questo luogo da sempre. Pinochet, che di sicuro non lo amava, aveva deciso di inumarlo (contro la sua volontà) nel cimitero di Santiago. Alla fine della dittatura hanno permesso almeno che, seppur con quasi vent’anni di ritardo, i suoi ultimi desideri fossero rispettati.

————————- Io torno al tema dissanguato come un generale dell’oblio che sempre vede la sua sconfitta: non solo i morti morirono nelle braccia della battaglia, nella prigione, nel castigo, nelle steppe dell’esilio, ma anche noi, anche noialtri, noi che ancora viviamo, si sa bene che ci uccisero.

Il Parque de la Paz, ovvero l’ex centro di tortura e detenzione di Villa Grimaldi. Il quarto giorno ci ha portato ad un incontro diretto con quello che è uno dei momenti più tristi e famosi del Cile: la dittatura di Pinochet. L’11 settembre 1973 a Santiago, dopo alcuni anni di governo socialista di Allende, un colpo di stato orchestrato dagli Stati Uniti portava al potere un generale militare che dichiarò: “È finito il caos. Inizia un periodo di ordine e di pace”.

La pace però era solo una facciata. Tutte le persone che avevano avuto a che fare con il governo precedente o che erano solamente sospettate di essere dei simpatizzanti della sinistra vennero ad uno ad uno arrestati e portati in centri di detenzione illegale. Villa Grimaldi era uno di questi. Un centro per il quale transitarono migliaia di persone e dal qualche centinaia di esse non uscirono vive.

Non è possibile descrivere le parole che ci sono state dette da Cecilia Bottai, una sopravvissuta a quei giorni terribili. Lei stessa, a distanza di molti anni dalla detenzione e dopo che molti di questi anni sono stati passati all’estero, prova delle strane sensazioni a parlare di quel centro e accompagnare i gruppi di visitatori.

Le uniche parole che possono descrivere quelle sensazioni sono quelle scritte da Gladis Diaz, un altro sopravvissuto: “Y aqui en este lugar espantoso, donde se vivía minuto a minuto en una situacion limite, yo vi a muchos, a decenas, que ya no están con nosotros, mis hermanos desaparecidos, tener un comportamento de coraje, de dignitad, de victoria.

Si te golpean tanto, si te torturan, si te matan, es porque tienes cosas que ellos quiren, que ellos necesitan, que ellos no tienen. Que ellos quieren arrabatarte. Y eso puede ser información, puede ser dignidad, puede ser valentía, puede ser fuerza interior, pueden ser principios, pueden ser razones poderosas para luchar, vivir y morir, puede ser amor inconmensurable a tu pueblo, a los seres humanos desvalidos, puede ser tu decisión de ponerte al lado de los débiles, quando era tan fácil optar junto a los poderosos. Puede ser ese tremendo sentido que esa juventud tan especial de los años 60 y 70, le habia dado a sus vidas. Y a ellos, a los que estaban aquí en la Villa Grimaldi, torturàndonos a nosotros, les faltaba todo eso. Todo eso que a nosotros nos sobraba.” —————————- Io che crebbi dentro un albero avrei molte cose da dire, ma appresi tanto silenzio che ho molto da tacere: questo si conosce crescendo senz’altro godimento che crescere, senz’altra passione che la sostanza, senz’altra azione che l’innocenza, e dentro il tempo dorato, finché l’altezza lo chiama per convertirlo in arancia.

Dopo alcuni giorni a Santiago ci siamo trasferiti dove inizia il Grande Nord cioè nella capitale della III Regione di Atacama: Copiapò. Qui lo scenario cambia. Se a Santiago eravamo agli albori di una primavera che cominciava a dare i primi segnali con i mandorli in fiore, qui si stendeva attorno a noi solo il deserto. Il deserto di Atacama è uno dei più piccoli del mondo: misura “appena” 200’000 Km2. In compenso è il più arido. La piovosità è molto scarsa, appena qualche goccia nelle stagioni intermedie mai sufficiente a meritare il nome di pioggia. L’esperienza del deserto è interessante. Vicino a Copiapò abbiamo avuto modo di raggiungere una zona dove il deserto è di sola sabbia. Nulla vi cresce. Il silenzio è poi incredibile: quando il vento non spira e nessuno parla è pressoché assoluto e quasi inquietante. Camminare scalzi fra le dune è però molto divertente. La sabbia, fine come borotalco, fa affondare come se ci si trovasse in una pozza d’acqua. Non tutto il deserto però è sabbioso: la maggior parte è composto da montagne di roccia o di terra. In alcune zone poi si hanno delle elevate concentrazioni di sale, memoria dell’antico oceano che ricopriva queste terre. Si possono quindi trovare degli immensi giacimenti di salgemma oppure delle lagune piatte e ricoperte da una patina salmastra di sale e terriccio. —————————— Mi perdoni il mio nemico se persi tanto tempo a parlare con sabbie e con minerali: non ebbi alcuna ragione, ma appresi molto silenzio.

Mi piace toccare e consumare le pietre di ogni giorno: il granito color mosca, che si sgrana e si diffonde sui litorali del Chile.

Nessuno sa come giunsero queste statue alla costa.

Benché adori lo splendore dei fosforescenti bengala, i castelli di fuoco fatuo, amo nella pietra il cuore, il fuoco che lì si trattenne: l’intransigente permanenza.

Il deserto di Atacama non è però disabitato. Persino nelle zone piú impervie è possibile trovare delle cittadine di notevoli dimensioni. La ricchezza di questa terra è infatti poco sotto la superficie in forma di pietre e di minerali. Dall’ottocento il Cile si è infatti distinto nell’economia mondiale per i giacimenti. Inizialmente si estraeva principalmente salnitro, facilmente reperibile a cielo aperto nei salares. Questa materia ha avuto una importanza sempre crescente nell’economia moderna, finché nell’ultimo secolo non è stato sostituito da composti più economici derivati da altre produzioni. Le miniere di salnitro (conosciute come salitreras) non si sono però estinte. Hanno saputo adattarsi all’economia moderna, estraendo oltre al salnitro anche tutta una serie di altre sostanze preziose come lo iodio o il litio.

Hanno però lasciato nella loro storia degli esempi molto interessanti di archeologia industriale, come la città fantasma di Humbertstone e la salitrera Santa Laura. Queste sorgono letteralmente in mezzo al nulla e sono un chiaro esempio del tipo di sfruttamento e sviluppo che avevano queste terre. La compagnia che doveva sfruttare un determinato giacimento aveva però la necessità di trasferire un elevato numero di persone nei pressi dell’installazione. Ecco quindi che costruiva una vera e propria città dal nulla dove poter alloggiare i dipendenti. Queste città erano lontane dai normali centri, ma erano dotate di una serie di agevolazioni che le rendevano tutto sommato dignitose per chi sarebbe poi andato a fare un lavoro fra i peggiori della Terra. Era quindi sempre presente un teatro con cinematografo, campi da calcio e basket, scuole, ospedale e spesso anche una piscina. Oltre ovviamente a quello che serve ad una normale comunità, come uno spaccio, dei negozi, una chiesa, un mercato. Anche le miniere attuali e le principali fonderie si basano sullo stesso sistema, la compagnia che frutta il giacimento si fa carico anche di costruire una città vivibile per i suoi dipendenti.

Miniere ce ne sono di tanti tipi. Quelle più famose sono quelle a cielo aperto, dato che sono le più impressionanti. Chiquicamata è la più grande per estensione, anche se ne esiste un’altra in Cile che estrae di più (1’500’000 t di roccia lavorabile al giorno). Noi ci siamo dovuti accontentare di vederla da fuori, ma già le dimensioni delle colline di detriti di alcune centinaia di metri di quota e le dimensioni dei mezzi di lavoro sono impressionanti.

Esistono però altri sistemi di sfruttamento industriale delle miniere, come quella “a sprofondamento” di El Salvador. Noi abbiamo potuto visitare questa miniera grazie al lavoro svolto dalla Municipalità di Diego de Almagro, che ha contattato la CODELCO per organizzare la nostra visita. Un miniera a sprofondamento funziona esattamente all’opposto di una miniera a cielo aperto. Invece di scavare verso il basso e di sollevare il materiale si fanno dei tunnel sotto il giacimento e poi lo si fa lentamente crollare all’interno di appositi mezzi che portano la roccia ai centri di lavorazione. Detto cosí suona veramente molto pericoloso, ma l’impressione che abbiamo avuto è che il sistema sia sicuro. Fra l’altro le moderne leggi impongono standard di sicurezza e di tutela della salute discreti che riescono per lo meno a limitare alcuni danni alla salute dei lavoratori come la silicosi.

Dove non sono presenti dei giacimenti molto grandi che possano giustificare questi enormi investimenti arrivano i piquineros (letteralmente scalpellini). Questi sono gruppi di persone di solito abbastanza ristretti (possono essere ad esempio un famiglia, ma a volte anche solo due fratelli) che comprano una piccola concessione e seguono la vena di metallo fino a che non si esaurisce. Nei pressi di Inca de Oro (anticamente una grossa città che viveva collegata ad una importante miniera d’oro) abbiamo conosciuto una coppia di fratelli che sta sfruttando una vena d’oro tutto sommato abbastanza ricca. Attraverso il risparmio di alcuni anni hanno potuto comprare una macina per lavorare la roccia aurifera ed ottenere cosí oro fino. Riescono ad ottenere, con una giornata di lavoro, circa 8 grammi d’oro che vendono ad un prezzo discreto, non molto lontano dal prezzo di mercato. Considerando che la roccia in quella zona contiene circa 100 grammi d’oro per tonnellata, vuol dire che lavorando pochi quintali di pietra al giorno riescono a guadagnare. Se può sembrare pesante dovreste invece incontrare i piccoli minatori di rame. Questo metallo, pur essendo interessante per il mercato, richiede un lavoro molto più duro per poter guadagnare. Il gruppo che abbiamo incontrato vicino a Copiapò lavora quasi una settimana per caricare un intero camion di roccia e ricavare circa 500 € lordi per quel carico. E sono più di 6 persone che devono viverci, alcune già anziane.

Un forte inconveniente dell’attività mineraria sono le scorie di produzione. Ogni miniera infatti scava della roccia che non contiene minerale utile e lo scarica poco distante. Essendo in pieno deserto ed essendo tutto sommato roccia non è un grosso danno, se si esclude la modificazione del territorio che possono provocare le miniere più grandi. La fase pericolosa è quella della lavorazione della roccia per estrarre il metallo. Per estrarre l’oro ad esempio il sistema classico (perché economico) utilizzato dai piccoli minatori è quello di catturare le microscopiche pagliuzze d’oro tramite mercurio. Questo sistema, a detta dei minatori e degli esperti che abbiamo incontrato, non è tutto sommato molto inquinante. Il mercurio non viene mai lavorato a caldo, quindi non si ha la creazione di gas velenosi. Il suo notevole peso poi fa sì che una parte sia riciclabile direttamente dai minatori e che il restante venga quasi totalmente riciclato nelle fonderie.

Il sistema che però fornisce il migliore rapporto costi/benefici (e che è ampiamente utilizzato anche per estrarre il rame e l’argento) è utilizzando cianuro e arsenico al posto del mercurio. Rispetto al mercurio però questi sono materiali molto più leggeri, quindi si depositano in scorie anche nella roccia inerte. La fase finale della lavorazione del rame consiste infatti in enormi bacini di decantazione dove le scorie rocciose mescolate ai veleni si depositano. L’acqua viene riciclata per continuare il processo, le scorie vengono abbandonate nell’ambiente.

Finché l’abbandono avviene in zone desertiche completamente prive di popolazione e di animali l’impatto ambientale potrebbe anche essere in qualche modo tollerato. Troppo spesso però le scorie sono state abbandonate in prossimità di oasi, città densamente popolate o addirittura lungo il corso dei fiumi. Il caso più eclatante è quello di Chañaral: questa che era una cittadina mineraria costiera ora si trova lontana dal mare alcune centinaia di metri. In mezzo una splendida spiaggia bianca e verde ricca di arsenico e cianuro che il vento manda costantemente sulle scarse zone coltivabili e fra le vie del paese.

—————————– Ma non c’è nulla come il vento dei duri monti, l’acqua fredda d’irrigazione nei canali, lo spazio immobile, la luce che colma la coppa del mondo e l’odore verde della terra.

Per questo devo tornare a tanti luoghi futuri per incontrarmi con me stesso ed esaminarmi senza sosta, senz’altro testimone che la luna e poi fischiare di gioia calpestando pietre e zolle, senz’altro compito che esistere, senz’altra famiglia che la strada.

Il deserto di Atacama ha un’altra caratteristica: la ricchezza di minerali nelle rocce si ripercuote anche nelle sue sabbie e nelle sue terre, rendendolo quindi molto fertile. Circa ogni 4 anni sul deserto cadono almeno 14mm di pioggia: una quantità per noi ridicola, una pioggerellina di meno di un’ora. Una pioggerellina però sufficiente a far fiorire e spuntare milioni di piante che hanno atteso a lungo e che trasformano il deserto in un prato fiorito.

Dove c’è tanta fertilità risulta facile anche coltivare la terra: basta trovare l’acqua e che questa sia buona. Le Ande non sono lontane (meno di 200 Km nel punto più lontano). Da esse scende perennemente acqua: alcune volte sotto forma di piccoli fiumi, più spesso attraverso falde sotterranee.

In tutti questi luoghi sono sorte città che sfruttano la ricchezza acqua per coltivare e per prosperare, alimentando cosí le numerose città minerarie. Un luogo splendido deve essere la valle di Copiapò in estate. Le vigne che stavano germogliando ci hanno dato solo una vaga idea di come deve essere questa valle. Circa 100Km che tagliano il deserto come un nastro verde. E non coltivano certo uve di seconda mano, dato che quasi tutti i vitigni sono di uva da tavola.

Altra splendida oasi è la Quebrada de Jerez. Questa è alimentata da un torrente che scende dalle Ande vicine e permette la coltivazione di numerosi tipi di alberi da frutto. Un sistema di canalizzazioni ereditato direttamente dagli Incas (che avevano colonizzato prima degli spagnoli quasi tutte le oasi) rende la valle simile ad un verde giardino.

Esistono poi dei progetti più ambiziosi di sfruttamento delle risorse idriche. Un esempio è quello di Diego de Almagro. Qui le falde sotterranee portano acqua che in precedenza è costretta ad attraversare delle rocce di sale. Anche l’acqua è quindi salmastra. La Municipalità è impegnata però nella ricerca di coltivazioni che possano lo stesso prosperare con questa acqua non potabile. Esperimento che ha portato sia a creare dei frutteti di piante autoctone che dei veri e propri orti.

Un’altra cospicua riserva d’acqua in questo deserto è costituita dai bacini artificiali delle miniere (detti tranque). Questi come si è detto sono altamente contaminati da varie sostanze, non sono quindi adatti a irrigare campi di frutta o verdura destinati all’alimentazione. Possono però essere sfruttati sia per la coltivazione di piante a scopo industriale o cosmetico (come la jojoba) oppure per la coltivazione di fiori. Un empio che abbiamo visitato è il tranque Pampa Austral.

———————————- Non torniamo a misurarci con l’atmosfera delicata, essa dipende da una goccia, da una nube, da una violacciocca: tu sbatti le palpebre e subito il cielo cambia camicia.

Un progetto ancora più ambizioso è quello dello sfruttamento delle nebbie. Il deserto di Atacama si spinge infatti fino al mare, creando dei contrasti insoliti di rocce nude che lambiscono le onde. Questa zona di confine non è però completamente priva di vegetazione. La corrente marina, abbastanza fredda, fa sì che nella mattinata si formino dei banchi di nebbia che vanno a lambire la cima dei monti per poi andare a sciogliersi dopo poco. Questa umidità riesce a permettere la vita di alcuni cactus. Gli uomini però hanno pensato bene di sfruttarla appieno e di creare delle vere e proprie riserve di acqua distillata. Sulla cima dei monti hanno steso delle vele di centinaia di metri quadrati che intrappolano le nebbie e le fanno condensare. L’acqua poi scende attraverso delle condutture dalla montagna fino a delle cisterne.

Il progetto delle Atrapanieblas di Chañaral che abbiamo visitato è solo un piccolo esempio che è partito da alcuni anni. In altre zone del Cile ed in altre nazioni esistono progetti simili di dimensioni molto maggiori. È però interessante l’esperimento che si sta tentando in questa zona, dato ogni metro quadro delle vele é capace di catturare circa 1.5 litri d’acqua al giorno. Il progetto attuale è formato da sole cinque vele di circa 600 m2, ma in futuro lo si vuole ampliare.

Ora le cisterne alimentano una serra sperimentale dove stanno coltivando dei normali ortaggi e dove valutano la risposta del terreno. Hanno già avuto una prima coltivazione riuscita di pomodori (che hanno commercializzato trasformandoli in ketchup); ora stanno provando con piselli e lattuga.

La valenza del progetto in questa zona aumenta soprattutto perché è un chiaro segno della presa di coscienza che le miniere non potranno essere eterne. Le municipalità della regione sono impegnate nella ricerca di fonti di reddito che possano essere sostenibili e che dipendano sempre meno dall’attività mineraria.

——————————- Guardando il saluto del mare, la sua insistenza nel tormento rimasi a volare sulla riva o seduto sopra le onde: di questo apprendistato conservo un aroma verde e amaro che accompagna i miei movimenti.

Esistono altre due risorse di cui il Cile è ricco e che le Municipalità stanno cercando di valorizzare. La prima è la pesca. La corrente di Humbold che lambisce il Cile rende la fetta di oceano di competenza nazionale ricco di specie pregiate di pesce e di molluschi. Si stanno quindi favorendo le varie attività di pesca e di raccolta, cercando nel contempo di mantenerle controllate per evitare un esaurimento del pesce.

La seconda risorsa è la natura incontaminata del Cile. A livello internazionale sono molto famosi i parchi delle regioni meridionali, ma anche il nord possiede delle zone con paesaggi splendidi. Il più noto è senza dubbio la Riserva Nacional de los Flamencos, nei dintorni di San Pedro de Atacama. Questa cittadina dal forte sviluppo turistico è al centro di una zona ricchissima di attrattive naturalistiche che vale la pena sicuramente visitare.

Oltre alla già citata Quebrada de Jerez ed il parco de los flamencos sono sicuramente da citare la Valle della Luna (completamente spoglia di vegetazione e dalle rocce di sale che presentano conformazioni bizzarre), il salar de Atacama (uno dei principali del Sud America, ma non molto spettacolare a causa della patina di sabbia che ricopre la crosta di sale), i geyser di El Tatio (che purtroppo non abbiamo potuto visitare a causa di una bufera di neve), i vulcani e le varie sorgenti termali che sorgono alle pendici.

Un’altra riserva naturale meno famosa ma non meno attraente è quella del Pan de Azucar. Questa è una piccola isola scelta come colonia da pellicani, lontre marine, leoni di mare e pinguini di humbold. L’isola è il centro del parco e forse il punto più attraente per i turisti, ma la riserva si estende per chilometri nell’entroterra, conservando un pezzo di deserto in riva al mare ricco di cactus di ogni genere (fra cui quello da cui si ricavano i pali della pioggia) e di animali.

Alcuni di questi animali sono molto timidi, come i guanaco, e non amano essere avvicinati. Altri invece hanno capito che un buon sistema di sopravvivenza nel deserto è lo sfruttamento dei turisti. Quando si ferma il mezzo è quindi abbastanza probabile che si avvicinino degli uccellini o addirittura delle volpi.

——————————— Ma è terrestre la cintura della mia migliore innamorata ed ha terra l’avvenire, tutte le cose son di terra.

E’ di terra il pane, il silenzio, il fuoco è la polvere che arde, l’acqua è la terra che corre e tutti i sogni notturni vengono dal fondo della terra.

Il Cile ha una sua storia che non è fatta solo di miniere e dittatori. È stato infatti colonizzato da popolazioni che si sono fermate qui nel corso dei millenni. Il nord, essendo desertico, non ha mai visto ovviamente la fioritura di civiltà particolarmente evolute o di popoli molto numerosi (come per esempio i mapuche del sud). Le più note sono quella degli atacama nell’entroterra e quella dei chinchorro sulla costa. I chinchorro in particolare non sono mai stati una civiltà vera e propria, dato che avevano una economia basata esclusivamente sulla pesca e la raccolta. Addirittura il fuoco fu utilizzato relativamente tardi e venne importato da altre culture limitrofe. Essi però avevano sviluppato una tecnica di mummificazione che, anche grazie alla scarsa presenza d’acqua nel terreno, ci ha portato delle mummie vecchie di oltre 8’000 anni. Queste mummie sono ora disseminate in vari musei e sono incredibili per lo stato di conservazione, considerando che sono state create da una cultura non molto progredita.

Un’altra cultura che con il tempo si è distinta è quella atacamegna, anche se ha sempre risentito dell’influenza delle vicine culture boliviane a peruviane, come la tiwanaku prima e la inca poi. I popoli di queste zone sono sempre stati relativamente pacifici, preferendo una fusione con le culture più avanzate piuttosto che una resistenza armata. Anche nei confronti degli spagnoli successe lo stesso, quindi al giorno d’oggi sono realmente poche le persone e lo comunità che si identificano con le etnie indigene, come la quechua e la colla. Le poche comunità rimaste sono particolarmente remissive e quindi emarginate, spesso trasferite da una zona all’altra per poter permettere lo sfruttamento minerario dei territori che popolavano.

————————– Il sole nasce dal suo seme allo splendore obbligatorio, lava con luce l’universo, si corica ogni giorno a morire sotto le lenzuola oscure della notte germinatrice e per nascere di nuovo lascia il suo uovo nella rugiada.

Chiedo che la mia resurrezione sia anch’essa produttiva, sia solare e delicata; ma ho bisogno di dormire nelle lenzuola della luna, procreando modestamente le mie sostanze terrestri.

Voglio distendermi nel vuoto disinteressato del vento e propagarmi senza sosta nei quaranta continenti, nascere in forme anteriori, esser cammello, essere quaglia, campanile in movimento, foglia dell’acqua, goccia d’albero, ragno, balena del cielo o romanziere tempestoso.

Perciò seduto sulla pietra vedo girare sui miei sogni gli elicotteri che tornano dalle loro stelle minuscole e non ho bisogno di contarli, ce n’è sempre qualcuno di troppo, soprattutto in primavera

Il viaggio è fatto anche di altro. Non ci sono solo le storie, belle o brutte, che abbiamo ascoltato, la natura ed i paesaggi. Ci sono gli odori, ed i sapori dei cibi e delle bevande che abbiamo gustato. I vini cileni, il dulce de leche, il pesce e la carne cucinati in vari modi. Ci sono i colori: dei fiori, delle piante, delle rocce.

Ci sono le persone incontrate. Quelle che hanno lavorato per costruire l’itinerario, a cui va tutta la nostra gratitudine: Pabla, Ana, Leticia… Quelle che ci hanno accompagnato nelle visite e che ci hanno permesso di approfondire la conoscenza di questa terra aspra e dura. Quelle che abbiamo conosciuto quasi per caso e che spesso ci hanno allietato con le loro storie.

Sono però sensazioni non descrivibili a parole e con immagini, dato che in ogni viaggiatore suscitano emozioni differenti. —————————— Le poesie sono di Pablo Neruda.

Il racconto é la presentazione del viaggio fatta durante una serata pubblica. Per vedere le foto che accompagnavano il racconto potete andare su www.Coopoltremare.It/Turismo/Cile/default.Html, da dove poi potete accedere anche alla galleria fotografica completa.



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