New York in carrozzina

La scelta di partire da solo, per New York è stata data principalmente dal fatto, che essendo in carrozzina, gli Stati Uniti sono uno dei pochi paesi al mondo, dove mi posso recare senza trovare particolari difficoltà legate alle barriere architettoniche. Amo viaggiare da solo e non mi piacciano i viaggi organizzati. L’opposto di quello che un...
Scritto da: ROTEX
new york in carrozzina
Partenza il: 17/04/2007
Ritorno il: 27/04/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
La scelta di partire da solo, per New York è stata data principalmente dal fatto, che essendo in carrozzina, gli Stati Uniti sono uno dei pochi paesi al mondo, dove mi posso recare senza trovare particolari difficoltà legate alle barriere architettoniche.

Amo viaggiare da solo e non mi piacciano i viaggi organizzati.

L’opposto di quello che un disabile “dovrebbe” fare! Comunque decido di partire per NY martedì 17 aprile 2007, dove vi resterò sino al 27 aprile.

Sono in carrozzina, non cammino nemmeno per brevi tratti, ho una discreta forza nelle braccia e mi sposto agevolmente dalla carrozzina. Ma non sono un disabile da para-olimpiade.

Il volo partiva da Milano Linate.

All’aeroporto lascio l’auto nel parcheggio in uno dei posti per disabili, il pedaggio per i disabili è gratuito.

Porto ovvero spingo la valigia, anch’essa con le rotelle, al check-in per il volo per Londra, dove farò scalo per poi prendere la coincidenza per NY.

Per quanto concerne l’imbarco e le relative salite e discese dall’aereo, non vi sono stati particolari problemi.

Ho acquistato il biglietto tramite il sito www.Expedia.It, ho poi chiamato the British Airlines per segnalare che viaggiavo in carrozzina e del tipo d’assistenza che necessitavo.

Il tutto ovviamente è gratuito.

A Londra ho avuto tutta l’assistenza necessaria per i vari passaggi dai terminals per poi imbarcarmi per il volo diretto di NY.

Arrivato al JFK di New York e dopo aver proceduto alle pratiche di dogana, ho ritirato la mia valigia e piano piano mi sono recato alla stazione dei taxi (un tragitto molto breve). Il taxi, il cui costo è stato di $ 80, mi ha portato al hotel da me prenotato a Manhattan al Days Inn Hotel Brodway – 215 West 94th Street.

L’albergo l’avevo scelto e prenotato mediante il sito www.Hotel.Com, in cui vi è la possibilità di cercare gli hotels accessibili ai disabili.

Per sicurezza ho effettuato la prenotazione telefonicamente, in questo modo gli operatori richiedono all’albergo sia l’accessibilità dell’intera struttura che quella delle camere.

Il costo per la camera singola è stato di circa 50€ a notte.

La camera era molto ampia, così come il bagno (con doccia).

L’albergo non ha alcuna barriera architettonica ed è totalmente accessibile.

L’albergo si trova nel Upper West Side, sulla 94th. Una zona molto tranquilla, è nella parte occidentale di Central Park, una zona abitata da “creativi”, perlopiù attori e musicisti, durante il giorno si incontrano mamme e baby sitter con carrozzine…Insomma una zona tranquilla ed ideale per risiedere e per rientrare dopo una giornata nel caos e nel traffico cittadino.

The Upper West Side non è molto vicino alle zone di maggior attrazione, pertanto è necessario utilizzare i mezzi di trasporto, che per l’altro sono, ovviamente, necessari per visitare tutta Manhattan.

E’ sicuramente utile risiedere vicino ad una delle fermate degli autobus, per evitare di “rotellare” troppo.

NY ha alcuni dislivelli (in particolare nelle zone dell’Upper West o Est Side), pertanto può capitare che per recarsi da una stazione di bus all’altra bisogna effettuare delle salite, anche se non troppo ripide.

Ho sempre utilizzato gli autobus, in quanto non tutte le stazioni delle metropolitane sono accessibili, per evitare problemi di arrivare in una stazione in cui non era certo di risalire in superficie, ho pertanto optato per l’utilizzo degli autobus che sono invece tutti accessibili. Sono più lenti, ma danno anche la possibilità di vedere la città.

Alle fermate è meglio farsi notare dall’autista del bus, in modo che possa parcheggiare in modo comodo e vicino al marciapiede.

Durante i dieci giorni vissuti a Manhatann, mi sono comportato da classico turista, non era la prima volta che andavo a NY, ho comunque rivisto con piacere le principali attrazioni turistiche.

Ma soprattutto mi sono lasciato andare al “flusso” di New York, fermandomi quando ne avevo voglia, gironzolando, entrando in luoghi apparentemente insignificanti, assaporando il più possibile il “mood” della città.

Ma NY non è una città, non è l’America, ma è il mondo.

Pieno di contraddizioni, di diversità, di colori, di culture. E’ il futuro, il presente.

Sicuramente non è un luogo “silenzioso”, non vi è luogo e non vi è un ora del giorno o della notte in cui si possa sentire un po’ di silenzio o che non si veda nessuno.

Non ho avuto alcuna difficoltà a gironzolare per Manhatann e credo di averla girata totalmente. Da Harlem alla Statua della Libertà, dal zona Est alla zona Ovest. Come ho già detto prendevo gli autobus, dopo poche ore di permanenza si capisce immediatamente il funzionamento e la facilità in cui ci si orienta Avevo già notato, in altri viaggi negli USA, come gli statunitensi non si soffermino a sgranare gli occhi addosso alle persone in carrozzina e più in generale alle persone con diversità.

Sicuramente questo atteggiamento fa parte della cultura anglosassone oltre che, soprattutto nei grandi centri, si perda l’abitudine al “curiosare” e al “notare” le diversità. Gli Stati Uniti sono sicuramente avvezzi a “convivere” con la disabilità anche nei centri minori, forse perché dopo la guerra in Vietnam si sono dovuti adeguare, sia urbanamente che psicologicamente o forse per una maggior attenzione ad alcuni problemi sociali.

Pertanto sono “abituati” a vedere persone con handicap o persone con problemi di peso che utilizzano carrozzine manuali o elettriche, alcune più assomiglianti a motorini che a delle carrozzine.

Sarà forse per tutti questi motivi che, quando passeggi, non ti senti osservato, spiato, guardato (come invece succede spesso in Italia o in Europa), sarà anche perché purtroppo non c’è un attenzione verso “l’altro” come invece c’è nei paesi latini.

La prima volta che andai negli Stati Uniti, notai con sorpresa, che quando accidentalmente urtavo le persone per strada non mi chiedevano “scusa” oppure vedendomi non si spostavano e non mi davano la priorità.

Inizialmente rimasi sconcertato, non ero abituato. In Italia quando urto qualcuno, anche se per colpa mia, è l’altra persona a chiedermi scusa.

L’atteggiamento americano da un lato è positivo in quanto indica parità, mentre può essere negativo se indica un eccesso di individualismo.

E’ bello comunque sentirsi uno “qualunque”, nessuno che si appresta ad aiutarti ad ogni costo, lo fanno solo se lo richiedi ed in maniera cordiale e tranquilla. In modo “easy”!! La zone del Greenwich Village, Soho ed in particolare quelle a sud di Manhattan sono meno comode per le carrozzine, in quanto le abitazioni risalgono all’inizio del ‘900 e pertanto negozi e locali hanno all’entrata degli scalini. Mentre non vi sono particolari problemi nelle costruzioni moderne e centrali essendo in gran parte degli skylines e pertanto molto moderni.

Ho inoltre assistito a dei musical a Broadway, tra cui: The Company e Chorus Line ecc., i teatri sono quasi tutti accessibili, come i musei.

Uno dei miei posti preferiti resta senza dubbio Central Park , dove si può fare ed incontrare di tutto e di più. E’ possibile passeggiare, correre, leggere, scrivere, dipingere ma anche assistere ad innumerevoli spettacoli di ogni genere e tipo: dalle lezioni di salsa e tango, agli artisti di strada, a set cinematografici e fotografici, alle belle famiglie di Harlem, alle coppie innamorate, a manager indaffarati, a vecchietti che passano il tempo. Insomma a Central Park è possibile vedere e conoscere ogni “specie” umana.

E’ un luogo totalmente accessibile, anche se ha alcune zone con dislivelli, pertanto in alcuni punti bisogna armarsi di muscoli, soprattutto se ci si reca da soli. E’ sicuramente meglio visitarlo da nord verso sud, si evitano così un po’di salite.

Tutta Manhattan è più comoda da visitare da nord verso sud, essendo lievemente in pendenza.

Rientrato da NY e rientrato nel quotidiano a pieno regime e dopo aver recuperato la stanchezza della frenesia newyorchese, restano i ricordi, le foto ed ovviamente la voglia di ripartire.

I “flash” che maggiormente mi vengono in mente della Big Apple sono: Luci tante luci, ma soprattutto gente, quanta gente, quanta vita !!! Ovunque, dovunque ed in qualsiasi momento: OPEN 24 HOURS !!! Potresti vivere un intera esistenza senza uscire da New York e nello stesso tempo avere visto tutto il mondo.

Sembrano che tutti passino da NY, di ogni razza, colore, moda, sessualità, povertà e ricchezza…

Puoi passare dal caos della downtown alla pace del Central Park, tutto in un pomeriggio, locali, ristoranti per ogni genere e gusto. Gironzolavo ascoltando Norah Jones (faceva parte della mia colonna sonora oltre a Biondi e Joss Stone), mi metteva tranquillità in tutta quella frenesia e mi dava la possibilità di farmi meglio i miei “film”.

Mi piace osservare le persone sui bus, al bar, al ristorante ecc, cerco di raccogliere alcuni brani di conversazione e poi inizio a fantasticare su chi sono, cosa fanno e dove vanno, in base a come parlano, a come sono vestiti, che stato d’animo e d’umore sono in quel momento.

Mi faccio dei mini “film”, alcuni durano lo spazio di un attimo, altri due o tre tempi…

A parte questa piccola divulgazione, ci sono due cose che ricorderò maggiormente: 1) sono riuscito, finalmente, ad andare ad una messa Gospel. Così una domenica mattina, mi sono alzato presto, ho preso il mio bel autobus e dalla 94th street (dove alloggiavo) sono andato alla 110° in pieno Harlem.

Sull’autobus ero l’unico bianco, come del resto anche in chiesa.

All’entrata vengo accolto da signore vestite da infermiere, che scoprirò poi che lo sono realmente, in bianco con tanto di quanti dello stesso colore, è bellissimo il contrasto con il colore ebano della pelle.

Inizialmente mi sono sentito un po’ “estraneo”, sia per essere l’unico bianco in sala, sia perché sono in maglietta e jeans, gli altri sono vestiti da “gran festa”.

L’imbarazzo è durato un attimo, infatti i sorrisi e le frasi gentili dei presenti, in particolare delle “signorone-one” con indosso capellini e abiti dai colori intensi, mi hanno fatto sentire subito parte della community.

La cerimonia mi ha molto colpito, non vi è tutta quella liturgia che vi è nelle nostre chiese cattoliche.

Si ricordano i compleanni, le lauree e tutto quanto avviene durante la settimana nel quartiere e nella comunità, sino a giungere alla predica pastorale.

Quella domenica, era sui milioni di morti per AIDS in Africa e l’indifferenza del mondo politico americano; l’impeto e l’entusiasmo del giovane pastore era veramente da pelle d’oca, come lo era la partecipazione dei presenti, con applausi, urla più da stadio che da chiesa.

Sicuramente c’è meno “religiosità” ma una grandissimo impegno nel voler coinvolgere e nel “far sentire” partecipi le persone. Una grande voglia nel trasmettere che tutti possono far parte di una community e di un progetto/obiettivo.

In alcune parrocchie di Harlem vengono anche svolte delle messe con musica hip hop per avvicinare maggiormente i giovani… Mi chiedo spesso, perché la nostra Chiesa non riesce a trovare delle vie comunicative, maggiormente innovative…

Nel sentire tutto quell’entusiasmo da parte del pastore e dei presenti, anch’io ho iniziato ad applaudire (a dire il vero ogni tanto non so bene a cosa, visto che il tutto era in un slang americano bello ostico, ma credo ad una buona causa…).

Al termine della cerimonia vi sono stati una decina di battesimi, non di bambini, ma di uomini e di donne intorno ai 30 anni, è stato commovente, il tutto ovviamente scandito da cori ed applausi.

Alla fine della messa ho gironzolato per le strade di Harlem, c’era tanta musica, molti ballavano e cantavano mentre aspettavano l’autobus o lavavano la macchina o semplicemente sui gradini di casa loro, ovviamente hip hop.

Mi era venuta una gran voglia di trasferirmi li con loro, mi è spiaciuto andarmene da Harlem, immagino che in realtà non sia tutto così roseo e che vi siano molti problemi come la disoccupazione, la droga, il razzismo (vi sono infatti ancora pochi bianchi, anche se negli anni stanno aumentando, non senza trovare delle resistenze da parte dei black residents). Comunque Harlem mi ha dato la sensazione di un quartiere allegro ed unito (e dire che fino a poco tempo fa, era uno dei posti più pericolosi degli States).

2) sono poi andato a Ground Zero, nulla da dire, solo grandi emozioni e non molto positive e la convinzione sempre più forte che l’uomo è un grande idiota.

to be continued…

rotex http://rotex.Myblog.It/



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